Ancora confusioni sulla applicazione della tariffa rifiuti per le utenze non domestiche
(nota a Cass. Sez. Trib. 24 febbraio 2023, n. 57861)

di Alberto PIEROBON

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore

La sentenza che brevemente si commenta consente di riprendere alcuni temi che, secondo la mia esperienza professionale, rimangono confusi anche nell’interpretazione di molti addetti ai lavori.

Vero è che qui il punto principale, riferito ad un caso risalente al 2016 (è bene tenere presente quanto la disciplina rifiuti, tariffaria e dei servizi pubblici sia nel frattempo cambiata…) riguarda i limiti che tantissimi regolamenti comunali prevedono nelle ipotesi di «riduzione» della parte variabile della tariffa.

Ma andiamo con ordine, tralasciamo gli aspetti processuali ex art. 360 c.p.c. sull’onere della specificità dei motivi che spetta al ricorrente ed altre questioni come segnalate nella sentenza.

Anzitutto, non è stata affrontata la questione della esclusione dalla privativa e quindi dalla tariffa, riguardante gli imballaggi terziari (artt. 221 e 226 del d.lgs. n. 152/2006 ss.mm.ii.), ciò stante gli intervenuti accertamenti (su iniziativa comunale) effettuati durante il periodo di coltivazione della lite, il cui esito provava che oggetto del contendere erano dei rifiuti urbani (e non speciali) da imballaggi.

Giova sottolineare il fatto che la riduzione ivi esaminata riguarda aspetti p.c.d. «soggettivi», connessi cioè all’affidamento da parte dell’utenza non domestica, dei propri rifiuti recuperabili/riciclabili, a una ditta terza rispetto al servizio pubblico. Non siamo di fronte sono quindi alle «riduzioni» connesse agli aspetti organizzativi del servizio pubblico locale, ad esempio, circa l’istituzione e l’usufruizione del servizio di gestione di queste tipologie di rifiuti (cfr. in proposito la sentenza della Cass. Sez. V Civ. 21 febbraio 2023, n. 5433).

I regolamenti comunali (art. 198, d.lgs. n. 152/2006) non possono limitare le riduzioni perché queste devono essere proporzionali. Si tratta di un criterio di proporzionalità, che è stato stabilito nella normativa nazionale (cfr. l’art. 1, commi 642 e 649 della legge n. 147/2013) e che va applicato dagli enti locali, altrimenti alterandosi il criterio ove i Comuni stabiliscono in sede regolamentare, come accade spesso, delle percentuali limitative di riduzione della parte variabile tariffaria. Peraltro, in tal caso, ricorda la sentenza, potrà giudizialmente richiedersi la disapplicazione d’ufficio di queste limitazioni (cfr. Consiglio di Stato, n. 585 del 2018 1).

Nella ricostruzione ermeneutica svolta dai giudici, il criterio di proporzionalità rientra nei princìpi di coordinamento del sistema tributario (artt. 117 e 119 Cost.) in quanto proiezione comunitaria, ma anche dell’art. 9, comma 3 Cost.

Un altro elemento che viene qui, ricostruttivamente e pure logicamente, chiarito è che la riduzione in parola si applica non solo per l’avvio al «riciclo» dei rifiuti, ma anche per le operazioni di «recupero», osservandosi, giustamente, che il rapporto tra il riciclo e il recupero è di species/genus.

In tal senso le contraddizioni riscontrate tra le diverse disposizioni normative vengono riportate a coerenza. Infatti qui si si citano le disposizioni legislative rientranti nella materia della finanza locale (art. 1, comma 649 della legge n. 147/2013, come novellato dall’art. 2 della legge n. 68/2014 di conversione del d.l. n. 16/2014 2) e quelle specifiche sui rifiuti, che si applicano anche alla tariffa (artt. 198 3 e 238, comma 10 del d.lgs. n. 152/2006) tenuto conto anche dell’art. 7, comma 2 del d.p.r. n. 158/1999 (c.d. metodo normalizzato della tariffa introdotta dal d.lgs. n. 22/1997); degli indirizzi ministeriali emanati in seguito al d.lgs. n. 116/2020 (circolare Ministero transizione ecologica 12 aprile 2021) e soprattutto dell’art. 10 della direttiva 2008/98/CE, anche considerando quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza di cui alla causa C-254/08 del 16 luglio 2009 4.

Dove sta allora la confusione cui alludo nel titolo del presente, fugace, commento?

Nel fatto che i metodi, l’approccio e la linguistica utilizzati per districarsi in queste situazioni non sono sempre univoci e coerenti tra loro.

Così, ancora una volta va notato che il giurista tributario scrive secondo un certo modo (ad es. nelle disposizioni di finanza locale), p.c.d. «pasticciando» con i termini propri delle operazioni sui rifiuti. Il giurista ambientale formula le disposizioni specifiche in un altro modo ancora, ed impropriamente dal punto di vista tributario. Ad esempio si equivoca (anche nei commenti di taluna dottrina) tra gli istituti della «esenzione», «riduzione», «esclusione», eccetera della tariffa rifiuti, come pure già accennato, tra il «recupero» e il «riciclaggio» dei rifiuti. Aggiungasi poi la rovente disciplina sui servizi pubblici locali, anche rimodellata – col pretesto tariffario – dall’Autorità di regolazione ARERA, ove ricomponendo il puzzle permangono ulteriori incertezze, operative ed interpretative, ad esempio avendo riguardo alla questione dell’ex assimilazione quali-quantitativa dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani (ora assimilazione ope legis, ma con pertugi offerti, tra altro, dall’allegato L-quinquies della parte IV del d.lgs. n. 152/2006).

Sempre a mio modesto avviso, rimangono all’impiedi (e inesplorate) più questioni sulle quali non manca chi «gioca», strategicamente come pure sillogisticamente, allorquando davvero si «sparla» (senza conoscere la complessità anche implicata nel loro discorrere): sui princìpi di autosufficienza e di prossimità (soprattutto con riguardo ai loro rapporti); dei flussi dei rifiuti urbani che solitamente sono prospettati quali antagonisti ai rifiuti speciali (stante la dualità definitoria giuridica che, come ho già spesso fatto notare, è a ben vedere apparente, considerate le moltissime intersezioni ed i cosiddetti «punti di fuoco» gestionali); come pure allorquando si affrontano del le «operazioni di smaltimento» e «di recupero» correlate al servizio pubblico locale e alla tariffa come se fossero dei mondi intercomunicabili tra loro, ma non solo.

Così la famosa proporzionalità, potrà venire rispettata togliendo – come sentenziato – i limiti percentuali di riduzione della parte variabile della tariffa, ove determinati nei regolamenti comunali, epperò non si è ancora ben compreso che si dovrebbero mettere “a nudo” ex ante i criteri di calcolo di questa “scontistica” poiché spesso si tratta di calcoli che sono stati camuffati e/o alterati e/o occultati, soventemente entro i sistemi tariffari puntuali.

Purtroppo, infatti, non manca una casistica di gestori e dei loro Enti di governo d’ambito (o di Comuni) che, da un lato sono vessilliferi e portatori di «valori» connessi alla tariffa puntuale, dall’altro, in concreto, inseriscono nella parte fissa della tariffa costi (o parti di essi) ivi non pertinenti, ad esempio i costi dell’appalto di raccolta e di trasporto dei rifiuti.

Così non solo si sviliscono (a tacer d’altro) le funzioni della parte fissa (incentivante e redistributrice) della tariffa anche rispetto alla parte variabile (incentivante e/o disincentivante), distorcendo altresì l’articolazione dei costi della tariffa sulla collettività e sulle utenze che utilizzavano (o non) il servizio pubblico locale, altresì beffandosi del meccanismo della riduzione della parte variabile tariffaria e del prefato criterio proporzionale.

Ciò proprio perché surrettiziamente (citasi, non esaustivamente: nel peso specifico attribuito ai contenitori e ai rifiuti; nella serialità delle movimentazioni comprese quelle virtuali minime; nel sistema che introietta costi gestionali entro il cosiddetto «contatore»; nella costruzione «a scalini» delle classi di utenze non domestiche assoggettate alla tariffa con l’elemento della superficie – il che, nessuno lo fa notare – viola palesemente il criterio della proporzionalità da altra prospettiva; e così via)5 in molte gestioni (e progettazioni delle stesse) si elude sostanzialmente l’impianto tariffario logico, coerente, corretto di cui al mainstream areriano per la tariffa rifiuti.

Rimane poi «imbrogliata» anche l’utenza che in un siffatto sistema tariffario è stata quantomeno «orientata» all’utilizzo – nel riempimento ottimale e nel collocamento del contenitore, affichè il gestore provveda agli svuotamenti e alla movimentazione dei rifiuti ivi conferiti – di un servizio pubblico correlato ad una tariffa puntuale, ove i costi (in un piano economico e finanziario, spesso non esente da critiche, prima di tutto sulla loro trasparenza e tracciabilità) non rispondono nemmeno più alla meccanica utilitaristica e individualistica di una tariffa corrispettivo.

Senza poi dire che la riduzione tariffaria implica, come ha capito l’ARERA (seppur in una visione sub-culturale sintomaticamente manifestata nel periodo di sospensione COVID-19) che il servizio deve essere ricalibrato, flessibilmente, riducendo i costi dello stesso, non diminuendone (con la scusa di assicurare la continuità di un servizio pubblico) in modo, per l’appunto, pseudo-proporzionale i costi gestionali che poi dovrebbero trovare perfetto riscontro nell’applicazione della riduzione proporzionale.

Epperò, ormai da tempo, gli operatori del settore, molti consulenti assieme alle istituzioni preposte, i Comuni e le autorità di ambito bacinali, per non dire poi delle associazioni di consumatori, ambientali e, soprattutto, la politica (che dovrebbe intervenire in parte qua invece di spostare ad organi tecnici delle scelte che sono anche valoriali), paradossalmente trovano più facile incensare siffatte scelte «teatrali» avanzate col pretesto di essere efficaci, corrette ed efficienti nei loro meccanismi e nella loro applicazione all’utenza, piuttosto che davvero sforzarsi (nello interesse della collettività e pubblico) di meglio comprenderne gli effetti e le implicazioni anche socio-culturali, per (appunto) migliorare, se non cambiare, il servizio pubblico locale e questi proventi che lo finanziano.

1 Cons. Stato, Sez. V 29 gennaio 2018, n. 585, in https://www.giustizia-amministrativa.it/.

2 Mentre il comma 661 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 è stato abrogato sempre dall’art. 2, legge n. 68/2014.

3 All’epoca della vicenda non esisteva il comma 2 bis dell’art. 198.

4 In Racc. 2009, I-06995. È utile trascrivere il passo quivi riportato dalla sentenza citata: «spetta tuttavia al giudice a quo accertare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto sottopostigli, se la tassa sui rifiuti su cui verte la causa principale non comporti l’accollo a taluni detentori di costi manifestatamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili».

5 Sulle varie casistiche mi permetto rinviare al mio Ho visto cose…, Milano, 2017 e ai molti scritti sul tema apparsi su più riviste, oltre ai recenti e-book, sempre frutto di esperienze dirette sul campo, diffusi dalla Ipsoa di Milano dal 2017 ad oggi.