Inceneritori e/o termovalorizzatori

di Mauro SANNA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Gli impianti di combustione dei rifiuti sono distinti dalla normativa europea prima, e da quella nazionale poi, in due tipologie, tale distinzione non è però basata sulla categoria dei rifiuti combusti e non è perciò funzione della loro origine o delle loro caratteristiche, né quindi dipende dal fatto che essi siano rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali pericolosi o rifiuti speciali non pericolosi.

La distinzione degli impianti dipende soltanto dal fatto se la combustione che si realizza in essi avvenga o meno con il recupero della energia prodotta; nel primo caso si definiranno impianti di recupero di rifiuti o, come è consuetudine attuale, termovalorizzatori, nel secondo caso, inceneritori, e rientreranno rispettivamente nelle operazioni di recupero o di smaltimento di rifiuti definite dagli allegati B e C della Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nella versione aggiornata fornita dall’Allegato 1 al D.M. 19.05.2016 n. 134.

Tale distinzione non esclude comunque che anche un impianto di incenerimento possa essere impiegato per la produzione di energia, anzi è necessario sottolineare come la normativa si sia progressivamente orientata esclusivamente alla realizzazione di impianti di combustione di rifiuti in cui avvenga il recupero energetico.

In passato, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 133 del 11/05/2005, come era già evidente dai titoli dei decreti; la normativa distingueva gli impianti in relazione ai rifiuti combusti, il D.M. 19 novembre 1997, n. 503 disciplinava la combustione effettuata dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti sanitari, mentre il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 regolamentava le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi.

Anche se i due regolamenti avevano diverse finalità, fatto salvo che uno si riferiva ai rifiuti urbani e l’altro ai rifiuti pericolosi, essi prevedevano però di fatto la medesima definizione per l’impianto di combustione dei rifiuti.

Il D.M. 19 novembre 1997, n. 503

Il DM 19 novembre 1997, n. 503 “Regolamento recante norme per l’attuazione delle Direttive CEE 89/369 e 89/ 429 concernenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la disciplina delle emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti sanitari”, che costituiva l’attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia di incenerimento dei rifiuti. distingueva gli impianti di combustione dei rifiuti, in impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e in impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi.

Il D.M. aveva come finalità e campo di applicazione

1. Il presente decreto disciplina, anche in attuazione delle direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE, le emissioni e le condizioni di combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di rifiuti sanitari contagiosi, purché non resi pericolosi dalla presenza di altri costituenti elencati nell’allegato II della direttiva 91/689/CEE.

L’art.2 comma 1 lett. a) del D.M. 19 novembre 1997, n. 503 definiva

a) “impianto di incenerimento”: qualunque apparato tecnico utilizzato per l’incenerimento dei rifiuti di cui all’articolo 1 mediante ossidazione compreso il pretrattamento tramite pirolisi o altri processi di trattamento termico, per esempio il processo al plasma, a condizione che i prodotti che si generano siano successivamente inceneriti, con o senza recupero del calore di combustione prodotto. La presente definizione include tutte le installazioni ed il luogo dove queste sono ubicate compresi: la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento, lo stoccaggio, le apparecchiature di pretrattamento, l’inceneritore, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, il generatore di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento, le apparecchiature di trattamento dei gas e delle acque di scarico, i camini, i dispositivi e sistemi di controllo delle varie operazioni, e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento;

Il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124

Il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124, diversamente dal D.M. 19 novembre 1997 n. 503, conteneva il Regolamento recante i valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, e dell’articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

Questo decreto aveva come finalità e campo di applicazione:

1. Il presente decreto stabilisce le misure e le procedure finalizzate a prevenire e ridurre per quanto possibile gli effetti negativi dell’incenerimento dei rifiuti pericolosi sull’ambiente, in particolare l’inquinamento atmosferico, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché i rischi per la salute umana che ne risultino, in attuazione della direttiva 94/67/CE ed ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203 e dell’articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 e dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426.

In modo analogo al D.M. 19 novembre 1997, n. 503, l’art.2 comma i lett. b) del D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 definiva: “impianto di incenerimento”: qualsiasi apparato tecnico utilizzato per l’incenerimento di rifiuti pericolosi mediante ossidazione termica, compreso il pretrattamento tramite pirolisi o altri processi di trattamento termico, quali il processo al plasma, a condizione che i prodotti che si generano siano successivamente inceneriti, con o senza recupero del calore di combustione prodotto.

In questa definizione sono inclusi gli impianti che effettuano coincenerimento, cioè gli impianti non destinati principalmente all’incenerimento di rifiuti pericolosi che bruciano tali rifiuti come combustibile normale o addizionale per qualsiasi procedimento industriale, nonché tutte le installazioni e il luogo dove queste sono ubicate, compresi: la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento, lo stoccaggio, le apparecchiature di pretrattamento, l’inceneritore, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento, le apparecchiature di trattamento dei gas e delle acque di scarico, i camini, i dispositivi e sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento;

Il D.Lgs. 11 maggio 2005 n 133

Soltanto con il D.Lgs. 11 maggio 2005 n 133 veniva di fatto unificata la disciplina degli impianti di combustione dei rifiuti facendo riferimento nell’art. 2 comma 1 lett. d) ed e) ai rifiuti in genere ed allo smaltimento inteso come trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione:

– impianto di incenerimento: qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione. Sono compresi in questa definizione l’incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite. La definizione include il sito e l’intero impianto di incenerimento, compresi le linee di incenerimento, la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento, le apparecchiature di trattamento degli effluenti gassosi, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento;

– impianto di coincenerimento: qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento. La definizione include il sito e l’intero impianto, compresi le linee di coincenerimento, la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di coincenerimento, le apparecchiature di trattamento degli effluenti gassosi, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di coincenerimento. Se il coincenerimento avviene in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d).

Il DPCM 10 agosto 2016

Solo con il DPCM 10 agosto 2016, relativo alla individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati, si giunge però ad una definizione esplicita ed univoca di cosa si dovesse intendere per impianto di incenerimento.

L’art. 2 comma 1 lett. a) definisce:

a) impianti di incenerimento: gli impianti che rispondono alla definizione di cui all’art. 237-ter, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che sono autorizzati:

i. all’esercizio delle operazioni di smaltimento indicate nella lettera D10, dell’allegato B, della Parte IV del predetto decreto;

oppure

ii. all’esercizio delle operazioni di recupero indicate nella lettera R1, dell’allegato C della Parte IV del predetto decreto.

b) impianti autorizzati: impianti che hanno ottenuto il rilascio dei provvedimenti autorizzatori ai sensi del Titolo III-bis, della Parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero ai sensi dell’art. 208 del medesimo decreto.

Art. 182 c. 4 del D.Lgs. n. 152/06

La distinzione degli impianti di combustione di rifiuti in impianti di incenerimento ed impianti di recupero di energia o termovalorizzatori, non determina, come già evidenziato non esclude comunque che un impianto di incenerimento possa essere impiegato per la produzione di energia, anzi, tale possibilità è stata prevista sia dall’art. 182 c. 4, del D.Lgs., n. 152/06 che dalla modifica apportata dall’art. 8, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 205/2010, che ha previsto: Nel rispetto delle prescrizioni contenute nel decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, la realizzazione e la gestione di nuovi impianti possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione garantisca un elevato livello di recupero energetico.

Art. 237-quinquies comma b) del D.Lgs. n. 152/06

D’altra parte anche l’art. 237-quinquies c. 2 lett. b) del medesimo D.Lgs. n. 152/06 prevede:

il calore generato durante il processo di incenerimento e di coincenerimento è recuperato, per quanto praticabile, attraverso la produzione di calore, vapore o energia.

Art. 237-ter comma 1 lettere b) e c) D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

L’art. 237-ter, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 esplicita ancora meglio ed in via definitiva cosa si debba intendere per impianti di incenerimento e di coincenerimento:

b) ‘impianto di incenerimento’: qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione, attraverso l’incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite. Nella nozione di impianto di incenerimento si intendono compresi: il sito e tutte le linee di incenerimento, nonché i luoghi di ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento, i luoghi di stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione in rifiuti, in combustibile ausiliario e in aria di combustione, le caldaie, le installazioni di trattamento degli scarichi gassosi, le installazioni di trattamento o stoccaggio in loco dei residui e delle acque reflue, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle operazioni di incenerimento, di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento. Se per il trattamento termico dei rifiuti sono utilizzati processi diversi dall’ossidazione, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione o il processo al plasma, l’impianto di incenerimento dei rifiuti include sia il processo di trattamento termico che il successivo processo di incenerimento;

c) ‘impianto di coincenerimento: qualsiasi unità tecnica, fissa o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento, mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite. Nella nozione di impianto di coincenerimento si intendono compresi: il sito e l’intero impianto, compresi le linee di coincenerimento, la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell’aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di coincenerimento, le installazioni di trattamento degli scarichi gassosi, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di coincenerimento. Se per il trattamento termico dei rifiuti sono utilizzati processi diversi dall’ossidazione, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione o il processo al plasma, l’impianto di coincenerimento dei rifiuti include sia il processo di trattamento termico che il successivo processo di coincenerimento. Se il coincenerimento dei rifiuti avviene in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l’impianto e’ considerato un impianto di incenerimento dei rifiuti ai sensi della lettera b).

Quindi in definitiva, allo stato attuale, unico elemento distintivo degli impianti di combustione dei rifiuti è se l’operazione che in essi si svolge avvenga o meno con recupero di energia e quindi per la loro definizione ci si deve riferire agli allegati B e C, della Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che distinguono le operazioni di combustione dei rifiuti come segue.

Allegati B e C, della Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

ALLEGATO B (Operazioni di smaltimento)

D10 Incenerimento a terra.

D11 Incenerimento in mare.

ALLEGATO C (Operazioni di recupero)

R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia

Allegato C al D.Lgs. 205/2010

In conformità a quanto previsto dall’allegato II della direttiva 2008/98/UE, l’allegato C del D.Lgs. 205/2010 ha definito la formula per il calcolo dell’efficienza energetica, stabilendo anche la soglia superata la quale un impianto di combustione di rifiuti solidi urbani può essere qualificato come impianto di recupero di energia e quindi come R1 in quanto contribuisce in modo significativo alla produzione di energia e non quindi come inceneritore D10.

La nota 4 all’allegato specifica i criteri da applicare per definire gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani.

Nota 4 Allegato C al D.Lgs. 205/2010

4 Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a:

– 0,60 per gli impianti funzionanti e autorizzati in conformità della normativa comunitaria applicabile anteriormente al 1° gennaio 2009,

– 0,65 per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008, calcolata con la seguente formula:

Efficienza energetica = [Ep – (Ef + Ei)]/[0,97 × (Ew + Ef)] dove:

Ep = energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica. È calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 e l’energia termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)

Ef = alimentazione annua di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)

Ew = energia annua contenuta nei rifiuti trattati calcolata in base al potere calorifico inferiore dei rifiuti (GJ/anno)

Ei = energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)

0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni.

La formula si applica conformemente al documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti.

Articolo 35 della Legge 11/11/2014 n 164

A ribadire la necessità che nella combustione dei rifiuti, indipendentemente che l’impianto sia definito come inceneritore o meno, si proceda al recupero dell’energia prodotta con la combustione dei rifiuti, l’articolo 35 della Legge 11/11/2014 n 164, riguardante Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene, prevede ai commi 3, 4 e 5 che:

3. Tutti gli impianti di recupero energetico da rifiuti sia esistenti sia da realizzare sono autorizzati a saturazione del carico termico, come previsto dall’articolo 237-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, qualora sia stata valutata positivamente la compatibilità ambientale dell’impianto in tale assetto operativo, incluso il rispetto delle disposizioni sullo stato della qualità dell’aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le autorità competenti provvedono ad adeguare le autorizzazioni integrate ambientali degli impianti esistenti, qualora la valutazione di impatto ambientale sia stata autorizzata a saturazione del carico termico, tenendo in considerazione lo stato della qualità dell’aria come previsto dal citato decreto legislativo n. 155 del 2010.

4. Gli impianti di nuova realizzazione devono essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.

5. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti esistenti, le autorità competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguano in tal senso le autorizzazioni integrate ambientali.

Allegato 1 al D.M. 19.05.2016 n. 134

La formula per il calcolo dell’indice di efficienza energetica è stata poi aggiornata con il D.M. 07.08.2013 e successivamente con l’art. 1 c. 1 del D.M. 19.05.2016 n. 134, che modifica la nota (4) dell’allegato «C» alla Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 sostituendola con la nota (4) dell’allegato 1 del decreto, con l’introduzione del fattore climatico (CCF), come previsto dalla Direttiva 2008/98/CE del Parlamento e del Consiglio del 19 novembre 2008.

Allegato 1 al D.M. 19.05.2016 n. 134

(4) Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a:

– 0,60 per gli impianti funzionanti e autorizzati in conformità’ della normativa comunitaria applicabile anteriormente al1° gennaio 2009,

– 0,65 per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008,

calcolata con la seguente formula:

Efficienza energetica = «(Ep (Ef + Ei))/(0,97 × (Ew + Ef))» x CCF

dove:

Ep = energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica. È calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 e l’energia termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)

Ef = alimentazione annua di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)

Ew = energia annua contenuta nei rifiuti trattati calcolata in base al potere calorifico netto dei rifiuti (GJ/anno)

Ei = energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)

0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni.

CCF = valore del fattore di correzione corrispondente all’area climatica nella quale insiste l’impianto di incenerimento (Climate Correction Factor).

1. Per gli impianti funzionanti e autorizzati in conformità alla legislazione applicabile nell’Unione europea prima del 1settembre 2015, CCF è uguale a:

CCF = 1 se HDDLLT >= 3350

CCF = 1,25 se HDDLLT <= 2150

CCF = (0,25/1200) × HDDLLT + 1,698 se 2150 < HDDLLT < 3350

2. Per gli impianti autorizzati dopo il 31 agosto 2015 e per gli impianti di cui al punto 1 dopo il 31 dicembre 2029, CCF e’uguale a:

CCF = 1 se HDDLLT >= 3350

CCF = 1,12 se HDDLLT <= 2150

CCF = (0,12/1200) x HDDLLT + 1,335 se 2150 < HDDLLT < 3350

I valori di CCF sono approssimati alla terza cifra decimale.

Dove:

HDDLLT, ovvero HDD locale a lungo termine, e’ uguale alla media ventennale dei valori di HDDanno calcolati nell’area di riferimento come segue:

Parte di provvedimento in formato grafico

HDDanno è il grado di riscaldamento annuo calcolati nell’area di riferimento come segue:

HDDanno = ΣHDDi

HDDi e’ il grado di riscaldamento giornaliero dello iesimo giorno

Pari a:

HDDi = (18°C Tm) se Tm ≤ 15°C

HDDi = 0 se Tm > 15°C

Essendo Tm la temperatura media giornaliera, calcolata come (Tmin + Tmax)/2, del giorno “i” dell’anno di riferimento nell’area di riferimento.

I valori di temperatura sono quelli ufficiali dell’aeronautica militare della stazione meteorologica più rappresentativa in termini di prossimità e quota del sito dell’impianto di incenerimento. Se nessuna stazione dell’aeronautica militare e’ rappresentativa del sito dell’impianto di incenerimento o non presenta una sufficiente disponibilità di dati e’ possibile fare riferimento a dati di temperatura acquisiti da altre istituzioni del territorio, quali ad esempio le ARPA regionali o altre reti locali.

La formula si applica conformemente al documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti.

Quindi l’Allegato 1 al D.M. 19.05.2016 n. 134 ha modificato il precedente allegato C al D.Lgs. 205/2010, introducendo per il calcolo del valore di efficienza energetica il CCF (Climate Correction Factor) fattore di correzione corrispondente all’area climatica nella quale insiste l’impianto di incenerimento.

La “formula R1”, introdotta con la direttiva 2008/98/CE, era stata definita originariamente al fine di discriminare quando l’incenerimento dei rifiuti urbani è classificabile come operazione di recupero energetico (R1) e quando, invece, come operazione di smaltimento (D10), essa si applica conformemente al documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti, nel rispetto delle modalità previste dalle Linee Guida elaborate dalla Commissione Europea “Guidelines on the interpretation of the R1 energy efficiency formula for inceneration facilities dedicated to the processing of municipal solid waste according to Annex II of Directive 2008/98/EC on waste“.

Sulla base di tale formula, la qualifica di operazione di recupero energetico (R1) è assegnata in luogo di quella di smaltimento (D10) quando l’incenerimento dei rifiuti urbani contribuisce in modo significativo alla produzione di energia per il sistema industriale e civile. La significatività di tale recupero è misurata e calcolata secondo la “formula R1” denominata, in generale, come indice di efficienza energetica R1, considerato un indicatore dell’efficienza con cui si recupera energia dai rifiuti urbani.

La combustione dei rifiuti urbani, perciò, sulla base di tale formula, è qualificata operazione di recupero energetico (R1) quando l’indice R1, conseguito dall’unità d’incenerimento in cui è effettuata la combustione, raggiunge o supera la soglia di:

    0,60 se l’installazione è in funzione e autorizzata prima del 1° gennaio 2009;
    0,65 se l’installazione è autorizzata dopo il 31 dicembre 2008.

Quando non viene raggiunta la soglia applicabile, la combustione è classificata come operazione di smaltimento (D10).

Varie precisazioni utili alla interpretazione della “formula R1”, sono contenute nelle linee guida europee del giugno 2011 (EC, 2011).

Poiché le unità di misura indicate per le varie forme d’energia sono i Giga-Joule annui (GJ/a), dalla formula stessa si ricava che la sua applicazione riguarda un arco temporale di un anno, diversamente, il contenuto energetico dei rifiuti trattati, ossia il termine Ew, deve essere valutato con riferimento alla convenzione del Potere Calorifico Inferiore (PCI), infatti nella sua definizione sono specificati i due “pesi”, rispettivamente dell’energia elettrica e del calore prodotti nella combustione con i quali le due forme d’energia concorrono alla determinazione del termine Ep, secondo la relazione: EP = 2,6 x EELR1 + 1,1x EtiR1

Dove i due addendi si riferiscono alle produzioni di energia elettrica (EELiR1) e di calore (EtR1) secondo i criteri di applicazione della “formula R1”.

L’origine dei due “pesi”, “2,6” e “1,1”, per i due tipi di energia, viene spiegata nel documento di riferimento riguardante le migliori tecniche disponibili relativo all’incenerimento dei rifiuti (il BREF WI = ‘”Best available techniques Reference document for Waste Incineration”), anche se nella versione dell’agosto 2006 (EC, 2006), in vigore al tempo della definizione della direttiva 2008/98/UE, del novembre 2008, (antecedente all’introduzione della “formula R1”), non ne trattava esplicitamente. A tale documento comunque, come richiamato anche nella stessa definizione della “formula R1”, è stata demandata la definizione dei criteri di conformità per la sua applicazione.1

Le linee guida europee sull’interpretazione della “formula R1” sopra ricordate, hanno fornito varie precisazioni sui diversi termini in essa contenuti, tra le quali sono da evidenziare le seguenti:

La definizione di unità d’incenerimento

L’unità d’incenerimento cui fa riferimento la “formula R1” comprende solo i componenti essenziali che realizzano i processi di incenerimento e recupero energetico e quindi non corrisponde all’”impianto d’incenerimento” definito dalla Direttiva 2000/76/EC e dalla Direttiva 2010/75/EU).

La “formula R1” è applicabile solo a unità dedicate all’incenerimento degli RSU indifferenziati, eventualmente pre-trattati; sono esclusi perciò gli impianti di co-incenerimento e le installazioni dedicate al trattamento di rifiuti pericolosi, ospedalieri, fanghi di depurazione e rifiuti industriali e tutti i processi di pre-trattamento del rifiuto, come quelli di trattamenti dei residui solidi prodotti che devono essere considerati esterni all’unità d’incenerimento alla quale riferirsi per l’applicazione della “formula R1”.

Allo stesso modo, i sistemi ibridi, basati cioè sull’integrazione di unità d’incenerimento con turbine a gas, cicli a vapore alimentati con combustibili convenzionali, etc., sono esclusi dall’unità d’incenerimento e da questa sono anche escluse tutte le installazioni al di fuori della responsabilità del gestore dell’impianto di incenerimento; e l’inclusione o meno del gruppo turboalternatore all’interno di un’unità di incenerimento è mutuato dal concetto di unità tecnica utilizzato nella definizione di “impianto di incenerimento” in accordo con l’art. 3(4) della (WID) Directive on the incineration of waste 2000/76/EC.

La qualificazione dei combustibili

I combustibili, convenzionali o rifiuti, che concorrono alla determinazione dei vari termini della “formula R1”, devono essere quantificati con riferimento alla convenzione del Potere Calorifico Inferiore (PCI); pertanto tutti i contributi energetici di natura elettrica e tutti quelli di natura termica che concorrono alla determinazione dei vari termini della “formula R1” devono essere “pesati” rispettivamente mediante i due fattori “2,6” e “1,1”, che assumono quindi il ruolo di coefficienti di conversione delle due forme d’energia in termini di energia primaria (espressa su base PCI).

Pertanto la “formula R1” è applicabile solo a unità dedicate all’incenerimento degli RSU indifferenziati, eventualmente pre-trattati, in ossequio alla definizione data di essi dal Best Available Techniques (BAT) Reference Document for Waste Incineration Industrial Emissions Directive 2010/75/EU (Integrated Pollution Prevention and Control) 2019, a cui rinviano le modalità previste dalle Linee Guida elaborate dalla Commissione Europea che definisce i rifiuti solidi urbani: Municipal solid waste: Solid waste from households (mixed or separately collected) as well as solid waste from other sources that is comparable to household waste in nature and composition.2

D’altra parte i rifiuti solidi urbani sono definiti dalla stessa DIRETTIVA 2000/76/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 4 dicembre 2000 sull’incenerimento dei rifiuti, come: «rifiuti urbani misti»: i rifiuti domestici o derivanti da attività commerciali, industriali o amministrative che, per natura e composizione, sono analoghi ai rifiuti domestici, ad esclusione degli elementi menzionati nell’allegato della decisione 94/3/CE della Commissione al punto 2001 che sono raccolti separatamente alla fonte e degli altri rifiuti di cui al punto 2002 di tale allegato.

Sempre in relazione alla definizione di rifiuto solido urbano si deve anche ricordare quanto previsto nel decimo considerando della DIRETTIVA (UE) 2018/851 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 30 maggio 2018 che prevede che siano da qualificare come rifiuti solidi urbani anche i rifiuti derivanti dal loro trattamento contrassegnati con i codici di cui al capitolo 19 dell’elenco.3

Altro aspetto innovativo introdotto dalla nuova formulazione del fattore R1, è che il parametro che definisce la capacità di un termovalorizzatore non è più solo la quantità di rifiuti combusti in un anno ma anche la quantità totale di energia prodotta annualmente, sotto forma di energia termica o elettrica, calcolata nelle forme previste dalla formula ed espressa come Giga-Joule annui (GJ/a), che dovrà essere autorizzata dall’Amministrazione competente una volta che essa sia stata verificata durante l’esercizio dell’impianto.

    La direttiva è stata aggiornata allo stato attuale con la versione 2019 – Joint Research Center (JRC) 118637 WI BREF↩︎
    Municipal waste is classified in chapter 20 of Commission Decision 2000/532/EC on the list of waste. Usually, MSWI are installations permitted for the incineration of “’mixed municipal waste”. Mixed municipal waste is defined in Art 3(3) WID (Directive on the incineration of waste 2000/76/EC) as waste from households as well as commercial, industrial and institutional waste, which because of its nature and compositions similar to waste from households, excluding separately collected fractions of recyclable waste. In addition, other waste streams can be accepted by MSWI if listed in the permit for the IPPC category 5.2, if applicable, or the permit according to WID. Authorization of any waste input, except for mixed municipal solid waste, shall be in line with the BREF on waste incineration and with the waste hierarchy (Art 4 WFD, Waste Framework Directive 2008/98/EC.) In practice, the waste input into a MSWI is made of different mixed and heterogeneous fractions, which are blended before feeding the hopper in order to optimize the combustion process. The calculation of the R1 formula shall be done on the waste composition, which is actually incinerated in a facility, not only on the part of the waste which is classified as municipal waste or mixed municipal waste.↩︎
    Affinché gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio si basino su dati affidabili e raffrontabili e i progressi nel perseguimento dei suddetti obiettivi siano controllati in modo più efficace, la definizione di «rifiuti urbani» nella direttiva 2008/98/CE dovrebbe essere in linea con la definizione elaborata a fini statistici da Eurostat e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) e utilizzata ormai da vari anni dagli Stati membri nella comunicazione dei dati. I rifiuti urbani sono definiti come rifiuti domestici e rifiuti provenienti da altre fonti, come per esempio la vendita al dettaglio, l’amministrazione, l’istruzione, i servizi del settore della sanità, gli alloggi, i servizi dell’alimentazione e altri servizi e attività, che, per natura e composizione, sono simili ai rifiuti domestici. Pertanto, i rifiuti urbani dovrebbero comprendere, tra l’altro, i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati e dalla nettezza urbana, come il contenuto dei cestini portarifiuti e la spazzatura, a eccezione dei materiali come la sabbia, la roccia, i fanghi o la polvere. Occorre che gli Stati membri provvedano a che i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici non rientrino nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. I rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, della costruzione e demolizione, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento, e dei veicoli fuori uso sono esclusi dall’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. Occorre intendere i rifiuti urbani come corrispondenti ai tipi di rifiuti figuranti nel capitolo 15 01 e nel capitolo 20, a eccezione dei codici 20 02 02, 20 03 04 e 20 03 06, dell’elenco dei rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE della Commissione nella versione in vigore il 4 luglio 2018. I rifiuti che rientrano in altri capitoli di tale elenco non dovrebbero essere ritenuti rifiuti urbani, tranne nei casi in cui i rifiuti urbani siano sottoposti a trattamento e siano contrassegnati con i codici di cui al capitolo 19 dell’elenco. Gli Stati membri possono usare le categorie pertinenti dell’elenco dei rifiuti a fini statistici. La definizione di «rifiuti urbani» nella presente direttiva è introdotta al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo. Essa è neutra rispetto allo stato giuridico, pubblico o privato, del gestore dei rifiuti e comprende pertanto i rifiuti domestici e quelli provenienti da altre fonti che sono gestiti da o per conto dei comuni oppure direttamente da operatori privati.