Cass. Sez. III n. 18366 del 7 maggio 2008 (Ud. 11 mar. 2008)
Pres. Grassi Est. Sarno Ric. PG in proc. Rapuano
Rifiuti. Inosservanza all’ordinanza di rimozione rifiuti

Nei reati omissivi che consistono nell\'inottemperanza a un ordine legalmente dato dall\'Autorità, occorre distinguere le ipotesi nelle quali l\'Autorità medesima ha fissato un termine perentorio all\'adempimento dell\'ordine, da quelle nelle quali non ne ha fissato, né direttamente, né indirettamente, alcuno, ovvero il termine, quantunque fissato, non è perentorio. Nel primo caso l\'agente deve ottemperare all\'ordine entro il termine perentorio, scaduto il quale la situazione antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente verificata, sicché l\'eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato, che ha natura istantanea e la cui prescrizione comincia a decorrere dal termine fissato. In tutti gli altri casi nei quali l\'agente, anche dopo la scadenza del termine, ove fissato dall\'Autorità, può validamente far cessare la situazione antigiuridica sanzionata dalla norma incriminatrice, dando esecuzione, con un comportamento attivo, all\'ordine ricevuto, il reato ha natura permanente che cessa allorché, appunto, l\'agente dà esecuzione all\'ordine
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Torino, in riforma della decisione del tribunale della medesima città in data 26 gennaio 2005, assolveva Rapuano Cosimo dal reato di cui all’art. 50 co. 2 D.L.vo 22/97 perché il fatto non sussiste.
Ciò in quanto si era ritenuto che il reato di inottemperanza alle ordinanze n. 400 del 15 luglio 2002 del Sindaco di Rivoli e n. 115 del 3 luglio 2002 del Dirigente dell’Ufficio di Polizia Municipale del Comune di Orbassano con le quali veniva ingiunta entro 120 giorni l’asportazione e l’avviamento al recupero di rifiuti speciali pericolosi e non depositati rispettivamente in un capannone e nel cortile, non potesse essere ravvisato nella specie nei confronti dell’imputato posto che la società era fallita già dal 1999 ed era quindi subentrato un curatore. Né ad avviso della corte di merito rilevava la circostanza che l’imputato aveva continuato ad operare quale socio accomandatario di altra società - la Recomat - dall’ottobre 2001 in quanto entrambe le ordinanze, come confermato anche dalle testimonianze acquisite, non facevano alcun riferimento a quest’ultima gestione.
Il PG propone ricorso per cassazione eccependo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sul rilievo che:
- le ordinanze erano state notificate all’imputato personalmente e, quindi, residuava comunque a suo carico l’onere dì adempiere alle prescrizioni impartite in sede amministrativa;
- il reato ha natura permanente e non temporanea come ritenuto erroneamente dalla corte di merito.

Motivi della decisione
Ritiene il Collegio senz’altro fondato il primo motivo di ricorso.
Correttamente rileva il PG ricorrente, infatti, che entrambe le ordinanze con le quali si ingiungeva la rimozione dei rifiuti avevano come destinatario unico e diretto il Capuano senza alcun riferimento alle società da esso amministrate o rappresentate.
A quest’ultimo incombeva, pertanto, l’onere di impugnare in sede amministrativa gli atti in questione ove avesse effettivamente ritenuto gli stessi illegittimi in difetto delle condizioni soggettive per potere adempiere al precetto.
Poiché ciò non è avvenuto ed effettivamente, come sostiene il PG ricorrente citando giurisprudenza di questa Corte, il reato di cui all’art. 50 co. 2 D.L.vo 22/97 (ora 256 D.L.vo 152/06) è configurabile nei confronti di chiunque sia individuato nell’ordinanza sindacale quale responsabile dell’abbandono dei rifiuti, a prescindere dalla qualifica rivestita (Sez. 3 n. 31003 del 10 luglio 2002), si deve ritenere che erroneamente la corte di merito abbia escluso la configurabilità del reato contestato nel caso di specie.
Diversamente da quanto sostiene il PG ricorrente con il secondo motivo di ricorso deve tuttavia ritenersi che il reato sia oramai prescritto.
Nel ricorso si sostiene che il reato abbia natura permanente e si cita in proposito la decisione di questa Sezione n. 23489 del 18 maggio 2006 (RV 234484) secondo cui la scadenza del termine per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l’inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell’ottemperanza all’ordine ricevuto.
La questione della natura permanente o istantanea del reato è stata invero affrontata anche in altre decisioni della Corte con le quali si è puntualizzato che nei reati omissivi che consistono nell’inottemperanza a un ordine legalmente dato dall’autorità occorre distinguere le ipotesi nelle quali l’Autorità medesima ha fissato un termine perentorio all’adempimento dell’ordine, da quelle nelle quali non ne ha fissato, né direttamente, né indirettamente, alcuno, ovvero il termine, quantunque fissato, non è perentorio. Nel primo caso l’agente deve ottemperare all’ordine entro il termine perentorio, scaduto il quale la situazione antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente verificata, sicché l’eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato, che ha natura istantanea e la cui prescrizione comincia a decorrere dal termine fissato. In tutti gli altri casi nei quali l’agente, anche dopo la scadenza del termine, ove fissato dall’Autorità, può validamente far cessare la situazione antigiuridica sanzionata dalla norma incriminatrice, dando esecuzione, con un comportamento attivo, all’ordine ricevuto, il reato ha natura permanente che cessa allorché, appunto, l’agente dà esecuzione all’ordine (Sez. 4, n. 21581 del 28 febbraio 2007 Rv. 236718).
In quest’ultima decisione citata si è poi in particolare ritenuto che l’espressione usata “entro e non oltre” fosse indicativa della natura perentoria del termine.
Tale orientamento ritiene il Collegio di dover ribadire nella specie condividendone le motivazioni.
Il richiamo al principio indicato comporta che nel caso in esame debba essere riconosciuta la natura istantanea del reato.
Ed, invero, in entrambe le ordinanze si impone di provvedere alla rimozione, all’avvio del recupero, ecc. entro e non oltre centoventi giorni dalla notifica del provvedimento e si precisa anche che decorso infruttuosamente il termine si provvederà d’ufficio a spese del contravventore fatta salva l’‘applicazione delle sanzioni amministrative e penali previste dall’art. 50 comma 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22.
Discende da quanto sopra che alla data odierna il reato è comunque prescritto e che, pertanto, in assenza delle condizioni indicate dall’art. 129 cpp, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per la ragione indicata.