Rifiuti con codici a specchio. Continuano le creative interpretazioni
di Walter FORMENTON, Mariano FARINA, Luca TONELLO, Francesco ALBRIZIO
Nell’ultimo articolo pubblicato su Lexambiente i, Gianfranco Amendola considera l’ordinanza del tribunale per il riesame di Roma ii,“ un chiaro e condivisibile punto di arrivo nella tormentata vicenda dei codici a specchio” da cui argomenta che “pare inutile e fuorviante proseguire nelle polemiche, alimentando altra confusione ”. Purtroppo la confusione invece perdura in modo ostinato, alimentata dall’interpretazione tecnica contenuta nell’ordinanza, che richiede, necessariamente, un chiarimento e una precisazione.
Questa nostra nota non intende assolutamente entrare nel merito della causa derivata dalla “Operazione Maschera”, non è nostro fine giustificare comportamenti scorretti, anzi questi devono essere certamente censurati, purché ciò avvenga con argomenti tecnici corretti.
L’ordinanza in questione si avventura nei dettagli operativi del campionamento e delle analisi dei campioni per la classificazione dei rifiuti; per cui, prima di evidenziarne gli errori, ci sembra opportuno ricordare le modalità di esecuzione di tutto il processo analitico, necessario per determinare le concentrazioni delle sostanze pericolose presenti, finalizzato alla caratterizzazione del rifiuto. A tal fine, ci avvaliamo di una chiara illustrazione riportata dall’EPA iii, ben nota Agenzia americana.
Figura 2 (da EPA). Campioni analitici molto piccoli sono usati per prendere decisioni su volumi molto più grandi
Per caratterizzare un rifiuto solido, costituito spesso da grandi ammassi anche eterogenei (impossibili da analizzare nella loro interezza), è necessario campionarlo in modo che il campione prelevato sia il più rappresentativo possibile dell’intera massa, che costituisce la popolazione o “l’unità decisionale iv.
Alla base delle tecniche normate di campionamento rappresentativo, vi è la teoria del campionamento statistico v che costituisce il fondamento di tutte le norme internazionali di prelievo di materiali, materie prime ed anche rifiuti (UNI EN, ISO, ASTM, ecc.).
A tale scopo, sono prelevate diverse aliquote dallo stesso ammasso, secondo tecniche attentamente studiate e collaudate. Il numero di campioni da prelevare (campioni primari), la quantità di ciascun campione e le tecniche di prelevamento dipendono dalla quantità, dallo stato fisico, dall’eterogeneità del materiale e dal grado di rappresentatività che si vuole ottenere, cioè quale incertezza si è disposti ad accettare.
Il campionamento è quindi un’operazione specificatamente statistica, alla quale ci si affida, con scienza, per fare in modo che la rappresentatività del rifiuto abbia determinati margini di incertezza, preventivamente definibili; tutto ciò dovuto alla elementare constatazione che non è mai possibile campionare e analizzare l’intero ammasso di un rifiuto. Tanto minore è l’incertezza accettabile e maggiore l’eterogeneità del rifiuto e tanto maggiore deve essere il numero di aliquote da prelevare; numero che si determina in anticipo, con un calcolo statistico. La corretta esecuzione del campionamento si esegue, infatti, predisponendo prima un adeguato piano di campionamento, secondo le indicazioni dettate dalle norme vi.
I campioni primari (aliquote) raccolti sono generalmente miscelati fra di loro in campo, secondo tecniche codificate come la quartatura vii, per ottenere un unico campione composito denominato “campione di campo” che è trasportato in laboratorio, con le cautele del caso e sottoposto ad analisi per determinarne la composizione. Così operando, l’errore di campionamento è quello stabilito nel piano di campionamento.
Le strumentazioni analitiche, sempre più sofisticate e sensibili, richiedono, per l’analisi dei vari parametri, una piccola quantità di campione, spesso inferiore a 1g e qualche volta anche qualche mg (sottocampione). Pertanto è necessario che questa minuscola quantità, effettivamente analizzata, rappresenti il campione di campo che rappresenta il campione primario, che a sua volta rappresenta il rifiuto.
Allo scopo, il campione solido di campo è trattato in laboratorio in modo da polverizzare il materiale per renderlo maggiormente omogeneo e dalla miscela, omogeneizzata il più possibile, si trae una quantità, stabilita dalle metodiche analitiche (qualche decina di grammi), che viene sottoposta a specifico trattamento, a seconda del parametro da determinare (estrazione, dissoluzione, ecc.) ed infine una minuscola quantità di quanto ottenuto costituisce la frazione (sottocampione inferiore a 1 grammo) da iniettare nello strumento di analisi.
In laboratorio, si ripresenta lo stesso problema del campionamento in campo, sia pure più attenuato perché in tal caso il campione è già stato sottoposto ad omogeneizzazione meccanica, cosa impossibile in campo perché vorrebbe dire macinare e omogeneizzare l’intera partita del rifiuto.
Se invece il campione è sufficientemente omogeneo, ad esempio una soluzione o una sospensione ben miscelata (come un percolato per riprendere l’esempio citato nell’ordinanza) viii, allora il campionamento in laboratorio è meno problematico e l’incertezza è dovuta principalmente ai metodi analitici (incertezza propria della metodica e del laboratorio).
Risulta pertanto evidente che, alla fine, da un ammasso di tonnellate di rifiuto, la frazione che è analizzata è solo una quantità risibile del rifiuto stesso e che, dai dati ottenuti, si inferisce la composizione dell’intera massa del rifiuto; esattamente come da una popolazione di milioni di elettori se ne intervistano poche migliaia o centinaia per ottenere la previsione di un risultato elettorale (maggiore è il numero di intervistati, minore è l’incertezza della previsione).
Il punto di domanda della figura rappresenta la problematicità dell’inferenza dai dati dell’analisi alla composizione effettiva dell’intera massa del rifiuto. Si riporta testualmente quanto affermato da EPA:
“ Come mostrato nella Figura 2, dopo che un campione di determinate dimensioni, forma e orientamento ottenuto in campo (come campione primario), viene gestito, trasportato e preparato per l'analisi, in ogni fase, si possono verificare cambiamenti nel campione (come guadagno o perdita di componenti, cambiamenti nella distribuzione delle dimensioni delle particelle ecc.). Questi cambiamenti si accumulano come errori durante il processo di campionamento in modo tale che le misurazioni effettuate su campioni analitici relativamente piccoli (spesso meno di 1 grammo) potrebbe non essere più "rappresentative" della popolazione interessata. Poiché sui risultati del campionamento e dell’analisi si fa affidamento per prendere decisioni su un rifiuto è importante conoscere le fonti degli errori introdotti in ogni fase del campionamento e adottare misure per ridurre al minimo o controllare tali errori. In tal modo, i campioni saranno sufficientemente "rappresentativi" della popolazione da cui sono ottenuti.
Con buona pace degli amici assertori della “certezza”, nella classificazione dei rifiuti, sin dalle prime fasi del campionamento, in misura prevalente, e anche successivamente nell’analisi chimica, deve necessariamente essere accettato un grado d’incertezza sulla conoscenza dell’intera partita del rifiuto, incertezza calcolabile statisticamente; così come, nei sondaggi elettorali, si accetta una previsione incerta sull’intera popolazione, secondo margini di errore (forchetta) che dipendono dall’ampiezza del numero di persone intervistate, dai criteri di sceltaix e in ultima analisi, dal costo che si è disposti a sostenere per il sondaggio.
Il campionamento e l’analisi dei rifiuti, come i sondaggi elettorali, sono operazioni intrinsecamente “probabilistiche”, che conducono ad una conoscenza incerta, secondo un grado di probabilità accettabile (usualmente il 90%) e pertanto, quando si parla di campionamento e analisi dei rifiuti, non si può scomodare “la certezza”, che non esiste e che, in generale, non è di questo mondo x.
Per evitare le confusioni bisogna utilizzare i termini correttamente nel loro condiviso significato semantico evitando di definirli a proprio piacimento.
Analizziamo quanto riportato nell’ordinanza e citato anche da Amendola:
“ si evince che la parzialità delle analisi effettuate nella quasi totalità dei casi scaturisce dalla non esaustività dell'analisi dei campioni , che pur consistendo in piccole porzioni dell'intero rifiuto conferito (poche centinaia di grammi o di centilitri a fronte di rifiuti quantificati in centinaia o migliaia di tonnellate) viene quasi sempre effettuata con riferimento a una quantità risibile minima del campione, pari a pochi punti percentuali dello stesso , lasciando indeterminata la composizione della maggior parte dello stesso ”. Il che non avveniva per caso ma attraverso la “reiterata e deliberata alterazione dei risultati delle analisi dei campioni raccolti e caratterizzati, effettuata mediante la consapevole omissione delle analisi del campione raccolto nella sua interezza ” .
Non avendo letto gli atti, non siamo in grado di commentare l’affermazione “reiterata e deliberata alterazione dei risultati delle analisi …” , che è reato; in questa sede, ci interessa valutare la parte finale della frase “ analisi del campione raccolto nella sua interezza”.
L’affermazione lascia noi chimici senza parole: l’ordinanza si avventura in una questione squisitamente tecnica, affermando il principio, inaccettabile, che si deve analizzare il campione nella sua interezza; condizione non prevista da alcuna prassi analitica nel mondo in quanto assolutamente impossibile. Dato che la moderna strumentazione scientifica è in grado di processare piccoli quantitativi di campione (il grammo di cui si parlava prima), analizzare l’intero campione di campo, che ha dimensioni di circa 500 g, equivale a dover analizzare 500 sottocampioni di 1 g ciascuno, per altro solo per parametri determinabili con una sola strumentazione (alcuni metalli o alcune sostanze organiche) e si dovrà rinunciare alla determinazione di tutti gli altri parametri che richiedono strumentazioni diverse. È evidente che questo modo di operare non è in alcun modo sostenibile (né operativo, né scientifico, né economico) e, soprattutto, non ha alcun senso.
L’ordinanza, pur di motivare in qualche modo il famoso 99,9% di conoscenza del rifiuto, ha spostato l’attenzione dalla composizione del rifiuto alla estensione del campione di rifiuto, facendo un errore ancora più grave del precedente.
Siamo seriamente preoccupati, come chimici, che tale interpretazione venga consolidata in altre sentenze o ordinanze, tanto più in quanto avvallata dall’autorevolezza di Amendola, così da spingerci, con ritrosia visto il macroscopico errore, a confutare tale interpretazione che, sottolineiamo, è esclusivamente di ordine tecnico e non giuridico.
Va comunque rilevato, con soddisfazione, che l’ordinanza ha il merito di definire il concetto di “ragionevolezza”, uno dei due pilastri, assieme a quello di “sufficienza”, della sentenza della Corte UE xi: ” il detentore, “pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuti, ha comunque l’obbligo di ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi”, laddove il giudizio di ragionevolezza della ricerca rinvia alla variegata tipologia di accertamenti delineati nel punto 44 della sentenza della Corte UE , che – la Corte precisa – non si limitano al campionamento . ” Analoga interpretazione è stata proposta in un nostro precedente scritto xii.
Tuttavia l’ordinanza erra, ancora una volta tecnicamente, quando pretende che i criteri di cui al punto 44 della sentenza della Corte Ue si riferiscano al campionamento: “ Come si vede, la Corte di legittimità, in linea con la Corte UE, dopo aver fornito (punto 44) la corretta metodologia che il detentore deve seguire per verificare e accertare l’eventuale presenza di sostanza pericolose ( campionamento ragionato sulla base delle informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell'oggetto prima che questi diventassero rifiuti o delle banche dati )...”, confondendo il campionamento con l’analisi chimica. La proposizione corretta è: “( analisi chimica ragionata sulla base delle informazioni fornite … )”.
Il campionamento dipende esclusivamente dalla quantità e dalle caratteristiche fisiche del rifiuto non dalla sua costituzione chimica. Infatti si possono campionare, in maniera rappresentativa, anche rifiuti dei quali non si abbia nessuna informazione sulla loro provenienza.
Le informazioni fornite dal produttore, le schede di sicurezza delle sostanze originarie che concorrono a formare il rifiuto e le banche dati sono utili per identificare le sostanze pericolose che possono “ragionevolmente” essere presenti nel rifiuto e che vanno ricercate e quantificate mediante l’analisi chimica. È nell’analisi chimica che si inserisce il problema di quali sostanze pericolose quantificare per non dover determinare tutte le sostanze pericolose esistenti, cosa evidentemente impossibile. Sarebbe assurdo, a fronte di un rifiuto del quale si conosca, dalle informazioni del produttore e dalle schede di sicurezza, le sostanze pericolose presenti, richiedere di quantificare anche sostanze che ragionevolmente non possono essere presenti. Tuttavia, la conoscenza del rifiuto deve essere “sufficiente”.
Bisogna accordarsi su cosa significa sufficiente. Tutti noi operatori del settore siamo in attesa di qualche sentenza o pronuncia che specifichi il grado di sufficienza accettabile; noi abbiamo proposto il 90% della composizione del rifiuto sulla base di una metodica internazionale e dell’ampiezza delle incertezze comunemente accettate sia di campionamento sia di analisi. Incertezze che, spesso, nella realtà pratica possono essere anche più elevate del 10%, specialmente in presenza di sostanze a basse concentrazioni o di rifiuti molto eterogenei e pertanto la scelta è cautelativa.
Certo è che la cosiddetta “operazione maschera” ha condotto ad uno sfortunato contenzioso giudiziario dal quale è sorta la copiosa messe di opinioni sulla conoscenza dei rifiuti con codici a specchio, con nascita dei partiti della “certezza” e della probabilità” e persino della “certezza attenuata”, per approdare infine in Cassazione ed in Corte di giustizia Europea. In un certo senso anche positivamente, in quanto lo scambio critico di opinioni ha permesso di affinare sempre più una difficile interpretazione della norma, molto carente in proposito.
La questione è sorta, e sembra continui, esclusivamente per ragioni tecniche: è iniziata dalla ormai famosa affermazione che è necessario conoscere almeno il 99,9% della composizione del rifiuto, è proseguita con varie opinioni su quale sarebbe il grado di conoscenza richiesto per classificare un rifiuto: “certo”, “probabile”, “certo scientificamente”, “quasi certo”, infine che deve essere “ragionevole” e “sufficiente”, aprendo il campo a cosa significa ragionevole e sufficiente, termini per i quali abbiamo fornito una proposta di definizione operativa sotto il profilo tecnico (v. nota 12).
Ora la disputa prosegue con “analisi del campione nella sua interezza”, che di tutte ci sembra quella più fuori luogo, in quanto non si basa su alcun presupposto, mentre le altre hanno almeno un presupposto logico teorico, persino quella più audace del 99,9% della composizione xiii.
Siamo propensi a ritenere che l’ordinanza, affrontando concetti tecnici, si esprima in modo non appropriato. L’ordinanza, a nostro giudizio, in alcune parti lascia intravvedere una diversa interpretazione, specialmente quando parla di “campioni” al plurale: “ alteravano sistematicamente e deliberatamente i risultati dell’analisi dei campioni prelevati, sottoponendo a esame solo una percentuale minima di tali campioni ”.
L’ordinanza si deve interpretare nel senso che non il singolo campione ma la serie di campioni prelevati deve essere analizzata nella sua interezza, cioè si devono analizzare tutti i campioni che sono stati prelevati in campo e portati in laboratorio. Non si può omettere l’analisi di alcuni campioni, magari sul presupposto che non siano diversi dagli altri, per risparmiare sul costo dell’analisi o, peggio, scegliendo opportunamente i campioni per indirizzare forzatamente la classificazione in una certa direzione, scartando tutti i campioni pericolosi. Così come sarebbe scorretto omettere parametri su ogni singolo campione che non sia giustificato trascurare o, peggio ancora, correggere un dato analitico senza adeguata motivazione e ripetizione dell’analisi.
Per concludere, rimanendo nel nostro campo senza entrare nel merito della causa, ci sembra che in tutto questo contenzioso gli argomenti tecnici siano stati oltremodo sfregiati, usati senza adeguate conoscenze sulla base di elementi indiziari, a danno della verità.
i G. Amendola, Rifiuti con codici a specchio. La prima ordinanza di tribunale dopo Cassazione e Corte Europea , Lexambiente 02 ottobre 2020.
ii Tribunale di Roma, Sez. XI ord. N. 9 del 5 giugno 2020.
iii USEPA, RCRA Waste Sampling Draft Technical Guidance. EPA 530-D-02-002 August 2002.
iv Un campione rappresentativo si definisce come: “un campione di un universo o di un intero (ad es. cumulo di rifiuti, corso d’acqua, acque sotterranee, emissione in aria) che ci si può aspettare esibisca le proprietà medie dell'universo o dell'intero.”
ASTM definisce un campione rappresentativo come “un campione raccolto in maniera tale che rifletta una o più caratteristiche di interesse (come definite dagli obiettivi di progetto) della popolazione dalla quale è raccolto” (ASTM D 6044).
Per ottenere un campione rappresentativo di rifiuti si applicano i metodi di campionamento specificati nell’allegato 4 della Comunicazione della Commissione – Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (GUUE 2018/C124/01) o, per il conferimento in discarica, dalla norma UNI 10802 o metodo alternativo equivalente.
v Gy, P.M. (1967). Memoires du Bureau de Recherches Geologiques Minieres, no. 56, (Chapitre 4, Theorie de l'enchantillonnage equiprobable, pp. 42-51), Paris.
Gy, P. 1982. Sampling of Particulate Materials: Theory and Practice. 2 nd ed. New York: Elsevier.
Pierre Gy (1924-2015) era un ingegnere minerario che ha messo a punto la teoria del campionamento probabilistico per le esplorazioni minerarie, in modo da poter prevedere, entro margini di errori accettabili e mediante un numero ragionevolmente finito di campionamenti, la consistenza di un giacimento minerario al fine dello sfruttamento.
vi UNI EN 14899: 2006 Caratterizzazione dei rifiuti - Campionamento dei rifiuti - Schema quadro di riferimento per la preparazione e l’applicazione di un piano di campionamento .
Caratterizzazione dei rifiuti, a cura di W. Formenton, ECOCHEM, Vicenza 2020. https://www.researchgate.net/
vii I campioni primari raccolti vengono mescolati fra loro e disposti a forma di torta che si suddivide in quattro quadranti, due di quali, diagonalmente contrapposti, vengono scartati; si mescolano fra loro gli altri due e si prosegue con una successiva quartatura e così via sino ad ottenere un unico campione di circa 0,5 Kg (campione di campo) da trasportare in laboratorio.
viii “ le analisi eseguite sul percolato sono considerate non esaustive essendo basate su una caratterizzazione riferita ad un numero esiguo di parametri e, soprattutto, per quanto interessa, “ è stata limitata ad una piccola percentuale dello stesso, lasciando indeterminata la restante parte .
ix Come sarebbe assurdo parlare di partito della “certezza” nel caso dei sondaggi elettorali è altrettanto assurdo parlare di partito della “certezza” nel caso della classificazione dei rifiuti.
x La chimica non è pura teoria come, ad esempio, la matematica. Se a due matematici si chiede loro di calcolare l'area di una superficie, essi produrranno due risultati identici. Essi, infatti, non sono soggetti ad errori di tipo sperimentale e si limitano ad applicare equazioni e teoremi matematici. Per un chimico la situazione è alquanto diversa. La chimica è una scienza sperimentale e per questa sua intrinseca natura presenta sempre un ambito fisiologico di incertezza. Il chimico mette in opera tutti quegli accorgimenti affinché il valore trovato in un'analisi corrisponda al migliore dei risultati che, secondo scienza, coscienza e miglior esperienza, egli è in grado di determinare. Nella sua autonomia professionale, egli si assume la responsabilità di decidere ciò che è più opportuno fare. (F. Albrizio).
xi Sentenza della Corte (decima sezione) 28 marzo 2019 nelle cause riunite da C-487/17 a C-489/17.
xii W. Formenton, M. Farina, L. Tonello, F. Albrizio, Classificazione dei rifiuti con codici a specchio. Una proposta operativa per un comportamento ragionevole, Lexambiente 10 Gennaio 2020.
xiii “… perché è in tale sede che può aver rilievo il criterio di scelta della porzione di materiale da analizzare, essendo ovviamente inesigibile un’analisi del 99,9 % del rifiuto ” . L’ordinanza confonde il significato del 99,9% attribuendolo alla estensione del rifiuto e non, come in effetti è, alla sua composizione, una grandezza intensiva che non dipende dalla quantità di rifiuto.