Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 700, del 10 febbraio 2015
Beni Ambientali.Autorizzazione paesaggistica interruzione termine per annullamento da parte della Soprintendenza
Il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento è pacificamente inteso dalla giurisprudenza come perentorio, ossia come limite temporale decadenziale che decorre dalla ricezione, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione rilasciata e della pertinente e completa documentazione tecnico/amministrativa. Questo termine, benché perentorio, ben può venire interrotto in caso di manifestate esigenze istruttorie o per incompletezza della documentazione trasmessa, con nuova decorrenza dall’acquisizione completa dei chiarimenti richiesti e fermo che, prima della scadenza, deve aver luogo anche l’adozione, non anche la comunicazione agli interessati, dell’eventuale annullamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 00700/2015REG.PROV.COLL.
N. 04174/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4174 del 2010, proposto da:
Angelar s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Allocca, Gianfranco Fontana, Italo Luigi Ferrari, con domicilio eletto presso Giorgio Allocca in Roma, Via G. Nicotera, 29;
contro
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00662/2009, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova e del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti l’ avvocato Allocca e l'avvocato dello Stato Valentina Fico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sezione staccata di Brescia), l’attuale appellante Angelar s.r.l. agiva per l’annullamento del decreto del 10 maggio 2006 n.33 della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, che aveva disposto l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Toscolano Maderno (Brescia) del 14 febbraio 2006 per l’attuazione di una variante edilizia concernente il complesso immobiliare “Hotel Benaco”.
Il 6 settembre 2002 la società aveva presentato al Comune un progetto di Piano di recupero denominato “Hotel Benaco”, per un comparto urbanistico localizzato presso il lungolago Viale Zanardelli, in area interessata da vincolo paesaggistico ex lege – in quanto posizionata nelle immediate vicinanze del Lago di Garda – e da un vincolo paesaggistico introdotto in via amministrativa con d.m. 15 marzo 1958.
Lo strumento urbanistico attuativo prevedeva lo sfruttamento dell’indice di edificabilità del comparto attraverso la demolizione/ricostruzione del preesistente edificio fronte-lago e la creazione di ulteriori corpi di fabbrica, fino al raggiungimento della volumetria complessiva di 13.200,93 mc.
Il Piano di recupero era stato adottato con deliberazione consiliare n. 89 in data 29 novembre 2002 ed aveva ottenuto il comunale parere favorevole degli esperti ambientali l’8 ottobre 2002, mentre l’autorizzazione paesaggistica per quello rilasciata dal Comune il 28 ottobre 2002 era stata inviata alla Soprintendenza, che non aveva esercitato il potere di annullamento.
Il Piano di recupero era stato definitivamente approvato con deliberazione consiliare n. 13 del 18 marzo 2003. Era seguito il rilascio della concessione edilizia (datata 23 maggio 2003), la sottoscrizione della convenzione urbanistica e l’avvio dei lavori (in data 27 aprile 2004).
Il 19 dicembre 2005 la società aveva proposto alcune variazioni planivolumetriche al progetto approvato, che qualificava come variazioni esecutive e come tali non implicanti una variante al Piano di recupero.
Il 22 dicembre 2005 l’amministrazione comunale si era pronunciata positivamente sulla proposta (determinazione n.510 reg. gen.) e in pari data era stato acquisito il parere favorevole degli esperti ambientali.
La società affermava che il volume aggiuntivo rispetto a quello in precedenza autorizzato dalla concessione edilizia era stato collocato nella parte retrostante l’edificio, sito in fregio al lungolago.
Il 27 dicembre 2005 fu rilasciato il permesso di costruire per le variazioni planivolumetriche, mentre il progetto esecutivo dettagliato di variante venne approvato il 19 gennaio 2006. Furono quindi emessi i provvedimenti di autorizzazione paesaggistica n. 40 e 41 del 14 febbraio 2006, che richiamavano il parere favorevole degli esperti ambientali del 22 dicembre 2005.
In precedenza, con nota del 24 gennaio 2006, la Soprintendenza aveva segnalato al Comune la difformità delle opere edilizie rispetto al progetto originario – difformità rilevata nel sopralluogo del 27 dicembre 2005 – e aveva sollecitato l’adozione di provvedimenti sanzionatori.
Il 16 febbraio 2006 il Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale aveva informato la Soprintendenza dell’avvenuta emissione dei titoli abilitativi e dell’intervenuta positiva valutazione di compatibilità paesaggistica: Le autorizzazioni n. 40 e n. 41 e le relative pratiche erano pervenute alla Soprintendenza il 21 febbraio 2006.
Il 1 marzo 2006 la Soprintendenza, nel comunicare l’avvio del procedimento di annullamento, aveva dato atto dell’impossibilità di esaminare le pratiche per l’illeggibilità del parere di compatibilità paesaggistica e per l’assenza della documentazione relativa alla concessione edilizia 23 maggio del 2003. Il Comune aveva quindi trasmesso nuovamente la documentazione richiesta con nota del 23 marzo 2006, cui aveva fatto seguito un’ulteriore comunicazione di avvio del procedimento.
Il 10 maggio 2006 fu emesso il provvedimento soprintendentizio qui impugnato, di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica n. 40 per varie ragioni. Per la Soprintendenza: 1) non erano stati individuati né vagliati gli elementi critici (alterazione della percezione dalle sponde e verso le sponde, introduzione di elementi e volumi invasivi nel contesto, ampliamento spropositato del fabbricato esistente, perdita dell’integrità figurativa del complesso edilizio); nella relazione degli esperti non erano quindi stati vagliati gli elementi di vulnerabilità e di rischio; 2) l’autorizzazione era stata rilasciata quando i lavori erano stati completati al rustico, senza attivare la corretta procedura di sanatoria; la costruzione era stata realizzata in totale difformità dal primo progetto autorizzato, con riferimento al progetto planivolumetrico e ai prospetti; 3) vi erano carenze nella valutazione di compatibilità ambientale, difettando l’esame degli elementi di vulnerabilità e di rischio ed anche l’analisi indicata nelle “linee guida per l’esame paesaggistico dei progetti” di cui alla d.G.R. 8 novembre 2002 n. 7/11045; 4) non risultava valutato l’impatto della variante, a fronte di un volume notevolmente incrementato; 5) non era stata motivata la compatibilità in rapporto alle esigenze di tutela, limitandosi gli esperti a definire il progetto come migliorativo, senza vagliare la peculiarità dell’architettura lacustre.
Con il ricorso proposto al Tribunale amministrativo venivano dedotte le censure di violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza sotto svariati profili.
Sull’istanza cautelare, il giudice di primo grado provvedeva con ordinanza di rigetto. Questa Sezione del Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare accoglieva la domanda con ordinanza n.197 del 16 gennaio 2007. In esito a ordinanza istruttoria, la Soprintendenza evidenziava l’anomalia della prima autorizzazione rilasciata nell’anno 2002, che aveva approvato un progetto di tipo razionalista con la prescrizione di mantenere la facciata nello stile liberty esistente.
Il Tribunale amministrativo respingeva nel merito il ricorso perché infondato.
In particolare, dichiarava infondata la censura di superamento del termine perentorio, essendo state formulate in modo giustificato richieste istruttorie, con riguardo alla ulteriore istanza, diretta ad ottenere l’invio di una relazione degli esperti in forma leggibile, essendo il testo in alcune parti in realtà oscuro e illeggibile; affermava che il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento dell’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004 è pacificamente inteso come perentorio, ossia come limite temporale previsto a pena di decadenza decorrente dalla ricezione, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione rilasciata e della pertinente documentazione tecnico-amministrativa; in caso di omessa o incompleta trasmissione del materiale descritto, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti.
Il primo giudice respingeva le censure di asserito difetto di istruttoria, avendo la Soprintendenza bene evidenziato l’omessa valutazione di elementi critici, cioè dei volumi invasivi introdotti nel contesto e dell’ampliamento del fabbricato esistente; l’annullamento contestato dava conto anche dell’assenza di adeguata istruttoria sull’accettabilità dell’impatto dovuto all’intervento prospettato, in relazione al vincolo derivante dal d.m. 15 marzo 1958 della zona costiera del Lago di Garda sita nell’ambito dei comuni di Toscolano Maderno e Gargnano; se la vista del lago non era stata adeguatamente documentata, l’opposta visuale prospettica in direzione del lago non era stata minimamente rappresentata a livello grafico, sicché non potevano valere acquisizioni di elementi di fatto avvenute dopo la formulazione del parere.
Secondo il primo giudice, inoltre, erano infondate anche le censure che contestavano le affermazioni della Soprintendenza relative all’avvenuta ultimazione a rustico delle opere, rilevando già da soli i riscontrati difetti di istruttoria e motivazione.
Infine, sempre secondo la sentenza, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica n. 40 del 2006 comporta l’eliminazione dal mondo del diritto, per effetto del rapporto di presupposizione necessaria, anche dell’autorizzazione n. 41 del 2006, in quanto entrambe si fondavano sul parere degli esperti ambientali del 22 dicembre 2005.
Avverso la sentenza propone appello la stessa Angelar s.r.l., per i seguenti motivi, in sostanza ripropositivi dei motivi già proposti e respinti in prime cure.
Con un primo motivo essa lamenta il superamento del termine perentorio di cui all’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto una prima istanza era pretestuosa, perché i documenti erano già in possesso dell’amministrazione e riferendosi l’istruttoria (nota del 1 marzo 2006) alla supposta illeggibilità del parere del 22 dicembre 2005.
Con la nota del 1 marzo 2006 la Soprintendenza chiedeva la documentazione relativa alla valutazione di compatibilità paesistica leggibile e la documentazione fotografica relativa alla concessione edilizia n.86 del 23 maggio 2003.
L’appellante società assume che il primo documento sarebbe in realtà pienamente leggibile e che il secondo documento riguarderebbe una distinta pratica già esaurita sotto l’aspetto del controllo ministeriale; tra l’altro con la richiesta di documentazione la Soprintendenza aveva comunicato anche l’avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica n. 40 del 2006.
In realtà, sostiene l’appellante (pagina 9 dell’appello) riguardo alla seconda richiesta istruttoria, che già il primo giudice ha accertato che non era idonea a interrompere i termini.
Riguardo alla richiesta dell’atto che per come trasmesso sarebbe stato illeggibile (parere del 22 dicembre 2005) perché scritto di pugno, di lettura non agevole, con testo oscuro in alcune parti, con disamina solo intuitiva o ipotetica, stesura effettuata rapidamente, come emerge dalla assenza di punteggiatura in alcuni tratti, al fine di escludere ambiguità o incertezze, l’appellante società deduce l’illegittimità delle richiesta e dunque del provvedimento: al massimo - a suo dire - l‘incomprensibilità concerneva pochi termini di natura tecnica, ma nella sostanza il parere era ben leggibile, seppure scritto a mano.
Con un altro motivo di appello (da pagina 13 dell’appello) la società lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto immune da censure l’atto soprintendentizio. Infatti non sussisterebbero le carenze motivazionali e istruttorie evidenziate dalla Soprintendenza.
Infatti, l’amministrazione comunale ha esattamente individuato l’elemento di vulnerabilità e ha considerato il grado di incidenza del progetto di variante rispetto a quello del progetto originariamente autorizzato; dalla valutazione dell’amministrazione comunale emerge l’avvenuta considerazione del prospetto del lungo-lago, che veniva migliorato sotto l’aspetto architettonico, in modo più consono alla architettura gardesana tipica del mondo ottocentesco. Sotto l’aspetto vedutistico, la linea dei tetti era prospettata come più articolata e mossa rispetto al progetto precedente, in quanto intervallata da parti terrazzate e da parti con copertura tradizionale a due falde: sicché contribuiva a un miglior inserimento nel contesto del lungo-lago. La percettibilità dal lago verso lo scenario retrostante, costituito dall’ambiente pedemontano, rispetto al precedente progetto non subiva variazioni tali da occultarne la percettibilità. Nel complesso la variante migliorava notevolmente il prospetto posto in fregio al lungo-lago.
Da tale motivazione, secondo il motivo di appello, si evincerebbe l’attenzione per l’aspetto dell’intervento percepibile dal lago e dai luoghi pubblici che offrono punti di vista panoramici, per il resto l’intervento edilizio si sviluppava all’interno del lotto, in una posizione non visibile e retrostante al prospetto in fregio al lungo-lago. Il provvedimento comunale prestava attenzione al cono visivo fruibile dal lago verso lo scenario circostante costituito dall’ambiente pedemontano. Si dava conto della soluzione architettonica caratterizzata da una linea di tetti più articolata e mossa rispetto al progetto precedente, con attenzione all’architettura lacustre. Le soluzioni architettoniche erano più consone all’architettura gardesana del periodo ottocentesco. Sarebbe illegittimo l’annullamento soprintendentizio quando sostiene che vi sarebbe un’omessa valutazione dell’incidenza paesaggistica dell’incremento volumetrico implicato dalla variante progettuale autorizzata, trattandosi sì di volume superiore a quello autorizzato con la concessione edilizia del 23 marzo 2003, ma trattandosi di volume edilizio corrispondente alla volumetria già prevista dal Piano di Recupero convenzionato, oggetto di autorizzazione paesaggistica nell’ottobre del 2002.
A dire dell’appellante società, è errato il rigetto della censura concernente l’affermazione della Soprintendenza che fa riferimento al mancato rispetto delle Linee guida indicate dalla Regione Lombardia per la valutazione paesistica dei progetti edilizi: anche se non sono vincolanti (pagina 18 dell’appello), si è tenuto conto della corretta individuazione del vincolo paesaggistico imposto con d.m. 15 marzo 1958 nella parte in cui riconosce che la zona vincolata “offre numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai quali si può godere la visuale panoramica del lago di Garda e dei monti che lo circondano e dell’opposta sponda veronese”.
Riguardo al rapporto tra l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica n. 40 del 2006 e la omissione di analogo provvedimento nei confronti dell’autorizzazione paesaggistica n. 41 del 2006, l’appello della società sostiene l’erroneità dell’affermazione del primo giudice, che ne ha dedotto la presupposizione basandosi entrambe sul parere degli esperti del 22 dicembre 2005. Al contrario, secondo l’appello, l’autorizzazione non annullata (n. 41 del 2006), al di là del numero di riferimento, è a monte e non a valle di quella annullata (n. 40 del 2006), riguardando le variazioni planivolumetriche al Piano di recupero.
Con un altro motivo di appello (n. 2 a pagina 24 e seguenti, in realtà è il terzo motivo di appello) l’appellante società lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha respinto i motivi di censura relativi all’assunto della Soprintendenza che l’autorizzazione n. 40 del 2006 sarebbe intervenuta quando parte delle opere edilizie già erano state eseguite al rustico e che quindi avrebbe dovuto essere rilasciata in sanatoria: la valutazione di compatibilità in realtà può al massimo condizionare gli effetti dell’atto, ma non la sua legittimità, e ’aspetto dell’abusività edilizia è estraneo alle funzioni soprintendentizie.
L’appellante società rileva che il primo giudice ha riconosciuto la preesistenza dell’autorizzazione rispetto alle opere, ma non esclude che il travisamento dei fatti abbia potuto impropriamente influire in modo negativo “agli occhi della Soprintendenza” (pagine 27 e 28 dell’appello).
Con un altro motivo di appello (da pagina 28 a pagina 30), lamentando l’omessa pronuncia da parte del primo giudice, l’appellante deduce violazione di legge ed eccesso di potere, sostenendo che la Soprintendenza, nel ritenere che la realizzazione delle opere in progetto si porrebbe in contrasto con le motivazioni del vincolo, e annullando per insufficienza di motivazione e di istruttoria, in realtà avrebbe travalicato i limiti delle sue competenze e sarebbe sfociata in un giudizio di merito.
Si è costituita in giudizio l’appellata amministrazione statale.
Alla udienza pubblica del 27 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Con un primo motivo l’appellante Angelar s.r.l. lamenta, riproponendola in appello, la violazione del superamento del termine perentorio dell’art. 159, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), perché la richiesta di integrazione documentale era – a suo avviso - pretestuosa, essendo i documenti già in possesso dell’amministrazione, posto che l’istruttoria si riferiva (nota del 1 marzo 2006) alla supposta illeggibilità del parere del 22 dicembre 2005.
Con la nota del 1 marzo 2006 la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova chiedeva al Comune una documentazione relativa alla valutazione di compatibilità paesistica che fosse leggibile, la valutazione di compatibilità paesistica e la documentazione fotografica relativa alla concessione edilizia n.86 del 23 maggio 2003.
L’appellante Angelar s.r.l. assume che il primo documento, di cui si richiedeva copia perché illeggibile, in realtà era pienamente leggibile; e che il secondo documento riguardava una distinta pratica, che era già esaurita sotto l’aspetto del controllo ministeriale; un’altra incongruità riguarda a suo avviso la circostanza che con quella richiesta di documentazione la Soprintendenza aveva comunicato anche l’avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica n. 40 del 2006.
In realtà, ammette la stessa appellante (pagina 9 dell’appello) riguardo alla seconda richiesta istruttoria, il primo giudice ha accertato che non era idonea a interrompere i termini, perché trattavasi di pratica esaurita.
Con riguardo alla richiesta relativa al documento assunto come illeggibile (il parere del 22 dicembre 2005) per la sentenza qui impugnata la richiesta è giustificata e idonea a interrompere il termine.
Si trattava del parere degli esperti ambientali. Per la sentenza era in effetti almeno in parte illeggibile, perché scritto di pugno, di lettura non agevole, con testo oscuro in alcune parti, con disamina solo intuitiva o ipotetica, stesura effettuata rapidamente, come emerge dalla assenza di punteggiatura in alcuni tratti. Il che giustificava la richiesta, al fine di escludere ambiguità o incertezze.
L’appellante società insiste nel lamentare l’illegittimità perché, al massimo, l’incomprensibilità riguardava pochi termini di natura tecnica, mentre nella sostanza il parere era ben leggibile, seppure scritto a mano.
L’appello sostiene il superamento del termine perentorio di sessanta giorni, posto a pena di decadenza per la Soprintendenza, che decorre dalla ricezione dell’autorizzazione rilasciata e della pertinente documentazione, senza che richieste dilatorie possano sospenderlo.
L’atto è stato ricevuto dalla Soprintendenza il 14 febbraio 2006; la documentazione di accompagnamento è pervenuta il 21 febbraio 2006; la richiesta di integrazione è stata trasmessa il 1° marzo 2006; l’annullamento è stato disposto il 10 maggio 2006.
Il motivo è infondato.
L’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, come vigente al 14 febbraio 2006, vale a dire al momento del ricevimento statale degli atti comunali di base (vale a dire prima delle modifiche dell’art. 26 d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, entrate in vigore il 12 maggio 2006 cioè due giorni dopo l’atto qui impugnato) nel disciplinare il procedimento di autorizzazione in via transitoria stabiliva: “Il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione”.
Il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento è pacificamente inteso dalla giurisprudenza come perentorio (Cons. Stato, VI, 12 agosto 2002, n. 4182 e 3 febbraio 2000, n. 629), ossia come limite temporale decadenziale che decorre dalla ricezione – da parte della Soprintendenza – dell’autorizzazione rilasciata e della pertinente e completa documentazione tecnico/amministrativa. Questo termine, benché perentorio, ben può venire interrotto in caso di manifestate esigenze istruttorie o per incompletezza della documentazione trasmessa, con nuova decorrenza dall’acquisizione completa dei chiarimenti richiesti e fermo che, prima della scadenza, deve aver luogo anche l’adozione, non anche la comunicazione agli interessati, dell’eventuale annullamento (cfr., fra le tante, Cons. Stato, VI, 11 agosto 2000, n. 4465, 24 maggio 2000, n. 3010, 8 marzo 2000, n. 1162, 17 febbraio 2000, n. 885; III, 20 settembre 2007, n. 41078; 27 dicembre 2010, n. 9436; 3 maggio 2011, n. 2611; 15 novembre 2011, n. 6032; 24 gennaio 2012, n. 300; 31 maggio 2013, n. 2997; 3 settembre 2013, n. 4387; 9 ottobre 2014, n. 5015; 4 novembre 2014, n. 5430).
Del resto, a norma dell’art. 159 del Codice, il potere di annullamento della Soprintendenza non può che riferirsi a quel potere con tutti i “connotati” riconosciutigli sulla base della normativa previgente, tra cui quello, costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza (anche nel vigore dell’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, che pure non prevedeva espressamente la richiesta di integrazione documentale) di chiedere le integrazioni documentali ritenute necessarie o utili per il corretto esercizio del potere di annullamento (cfr. Cons. Stato, VI, 19 febbraio 2002, n. 997; 3 maggio 2002, n. 2350; 10 luglio 2002, n. 3851; VI, 17 luglio 2013, n. 3896; VI, 1 dicembre 2010, n. 8379; VI, 15 novembre 2011, n. 6032; VI, 24 gennaio 2012, n. 300; 21 giugno 2013, n. 3385; II, 11 gennaio 2011, n. 4931/09; VI, 9 ottobre 2014, n. 5015).
Tale effetto decadenziale postula dunque – come vuole testualmente la legge - la completezza della documentazione trasmessa. Sicché la regola non vale in caso di omessa o incompleta trasmissione del materiale descritto; in tal caso, la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti e il termine non decorre (tra le varie, cfr. anche Cons. Stato, VI 26 settembre 2003, n. 4838).
Quanto alla lunghezza di questo termine, la disciplina allora vigente voleva che l’interruzione del termine a fini istruttori fosse limitata a trenta giorni dal d.m. 19 giugno 2002 n.165 (che aggiungeva il comma 6-bis all’art. 6 d.m. 13 giugno 1994, n.495 per evitare dilazioni): il che era applicabile anche ai procedimenti di autorizzazione paesaggistica in via transitoria ai sensi dell’art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (cfr. ad es. Cons. Stato, VI, 9 ottobre 2014, n. 5015)
Nella specie, l’annullamento è intervenuto entro quel limite massimo di novanta giorni (sessanta più trenta).
Non può poi ritenersi che non fosse giustificata la richiesta di nuova produzione di un parere in buona parte, o comunque in alcuni decisivi passaggi, illeggibile. La non intelligibilità per illeggibilità, infatti, pone l’Amministrazione statale non in grado di ragionevolmente esercitare il proprio potere di cogestione del vincolo. Naturalmente, questo vale anche in caso di illeggibilità parziale, sempre che questa non cada su un elemento del tutto ultroneo e di nulla portata rispetto alla funzione da esercitare.
In punto di fatto, va considerato che il parere degli esperti ambientali del 22 dicembre 2005 risulta trascritto dai soggetti preposti alla valutazione paesistico-ambientale di loro pugno.
Come ha già rilevato dal primo giudice, la lettura dei differenti passaggi della relazione non si presenta agevole in quanto, se è possibile cogliere il significato di alcuni di essi e comprendere senza difficoltà una parte delle espressioni, in altre parti il testo è più oscuro e la disamina può avvenire soltanto in via intuitiva e ipotetica.
Si è di fronte evidentemente ad una stesura effettuata rapidamente, circostanza che emerge dall’assenza di punteggiatura in alcuni tratti.
Di fronte a tale situazione in punto di fatto, attesa anche la rilevanza del giudizio tecnico degli esperti, che supportava un progetto di variante con non modesto impatto sul paesaggio, è giustificata la pretesa della Soprintendenza che stimava indispensabile una rappresentazione grafica degli enunciati ben chiara, con un testo dattiloscritto ovvero una grafia comprensibile che rendesse la lettura scorrevole ed escludesse il rischio di ambiguità o di incertezze sui termini adoperati.
2. Con un altro motivo di appello (da pagina 13 in poi dell’appello) si lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto immune da censure l’atto di annullamento soprintendentizio; secondo la prospettazione dell’appellante, infatti, non sussisterebbero le carenze motivazionali e istruttorie assunte da parte della Soprintendenza.
In sintesi, secondo l’appellante, l’amministrazione comunale avrebbe già da parte sua individuato gli elementi di vulnerabilità, di impatto e di rischio derivanti dalla variante di progetto.
Secondo l’annullamento della Soprintendenza, ritenuto dal primo giudice immune da censure, la valutazione e il giudizio avrebbero avuto un ambito limitato, inidoneo a valutare completamente gli effetti della variante sul bene tutelato rispetto al vincolo paesaggistico.
I motivi di appello sono infondati.
Il parere degli esperti del 22 dicembre 2005 così affermava: “le modifiche proposte rispetto a quanto precedentemente approvato migliorano l’aspetto architettonico del prospetto esposto verso il lungo-lago rendendo il tutto più consono all’architettura gardesana tipica del periodo ottocentesco. Sotto l’aspetto vedutistico la linea dei tetti più articolata e mossa rispetto al progetto precedente, in quanto intervallata da parti terrazzate e da parti con copertura tradizionale a due falde, contribuisce ad un miglior inserimento nel contesto del lungo-lago. La percettibilità dal Lago verso lo scenario retrostante costituito dall’ambiente pedemontano rispetto al precedente progetto non subisce variazioni tali da occultarne la percettibilità. Nel complesso la variante migliora notevolmente il prospetto posto in fregio al lungo-lago”.
L’impugnato annullamento dell’autorizzazione paesaggistica (n. 40 del 10 maggio 2006) è motivato sui seguenti punti: a) non sono individuati né vagliati elementi critici (alterazione delle sponde e verso le sponde, introduzione di elementi e volumi invasivi nel contesto, ampliamento spropositato del fabbricato esistente, perdita dell’integrità figurativa del complesso edilizio); nella relazione degli esperti non sono vagliati elementi di vulnerabilità e di rischio; b) non risulta valutato l’impatto della variante a fronte di un volume notevolmente incrementato; c) non è motivata la compatibilità in rapporto alle esigenze di tutela, limitandosi gli esperti a definire il progetto come migliorativo, senza vagliare l’architettura lacustre; d) l’autorizzazione sarebbe stata rilasciata a lavori completati al rustico; e) vi sono carenze nella valutazione di compatibilità ambientale difettando l’analisi indicata nelle Linee guidaregionali.
L’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica, deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze che derivano dalla realizzazione delle opere, nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale; e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto (Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9).
Inoltre, tale autorità deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi.
Quanto ai poteri del Ministero, se l’autorità statale non può annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’ente subdelegato, tuttavia il suo potere sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale (o dall’autorità subdelegata) è di “cogestione dei valori paesistici”, espressione di amministrazione attiva nell’ambito di un unitario procedimento complesso, all’interno del quale l’autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica, oltre che per violazione di legge in senso stretto e per incompetenza, anche quando risulti un profilo di eccesso di potere (ad es. per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta) (per tutte: Cons. Stato, Ad. plen., n. 9 del 2001,cit.).
Nella fattispecie, la Soprintendenza ha ritenuto sussistente un evidente difetto istruttorio nel valutare la compatibilità dell’intervento in variante rispetto al vincolo di tutela.
Il d.m. 15 marzo 1958 appositivo del vincolo così si esprime “dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera del lago di Garda, sita nell’ambito dei comuni di Toscolano Maderno e Gargnano”,riconosciuta come una “zona di notevole interesse pubblico perché oltre a formare un quadro di non comune bellezza per il caratteristico susseguirsi di sontuose ville ed artistici giardini ricchi di essenze pregiate e per la caratteristica zona rocciosa di acceso colore, a picco sul lago, e per la vegetazione ricca di ulivi, vigneti, cipressi, oleandri e agrumi, offre numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai quali si può godere la visuale panoramica del Lago di Garda e dei monti che lo circondano e dell’opposta sponda veronese”.
Il Collegio ritiene quindi immuni da errori le valutazioni del primo giudice – e prima ancora dall’organo statale – sulla circostanza che nel parere degli esperti ambientali gli elementi di vulnerabilità e di rischio erano stati valutati con riferimento alla sola facciata modificata.
Tale limitazione istruttoria non è giustificata dalla tesi, sostenuta dall’appellante, secondo cui gli interventi all’interno del lotto si sviluppano in posizione retrostante rispetto al fronte principale e ne è preclusa la visibilità, vista la latitudine del vincolo (“offre numerosi punti di vista accessibili dai quali si può godere….”).
L’affermazione secondo cui lo sviluppo in posizione retrostante non va vagliata in quanto ne sarebbe preclusa (in assoluto) la visibilità è una petizione di principio, in quanto dà per dimostrato ciò che viene soltanto affermato, senza la possibilità di un concreto ed efficace riscontro documentale da parte dell’amministrazione.
Anzi, dalla documentazione in atti si evince che: a) vi è un rilevante incremento volumetrico previsto dalla variante nella misura di circa 1.500 mc., per cui da 13.227 mc. della concessione edilizia originaria si arriva a 14.751 mc.; b)sulla base delle planimetrie di confronto (prima e dopo) vi è un mutamento della dimensione e una differente collocazione dei corpi di fabbrica nell’area considerata, con prolungamento del blocco D e la previsione del nuovo blocco C; c) come evidenziato dal primo giudice, dai prospetti e dalle sezioni emerge in particolare che il (nuovo) blocco C si eleva in altezza per oltre dieci metri.
Va pertanto confermata la sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto immune da censure l’operato della Soprintendenza, che aveva evidenziato l’omissione, da parte del parere degli esperti, della valutazione degli elementi critici apportati, consistenti nell’invasività dei volumi introdotti nel contesto (nuovo blocco) e nell’ampliamento (prolungamento) del fabbricato esistente.
L’intervento spettante all’autorità statale “ad estrema difesa del vincolo” paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio e sotto il profilo dell’indagine istruttoria presuppone anzitutto la “completezza”, vale a dire l’esaustività – e intelligibilità - della documentazione allegata alla pratica esaminata e vagliata dal Comune, che ha emesso il provvedimento favorevole.
Per quanto sopra evidenziato, non è accettabile l’assunto dell’appellante della sufficienza dell’istruttoria e della conseguente valutazione formulata dall’amministrazione comunale sulla base del parere degli esperti.
Se la vista dal lago non era adeguatamente documentata, come invece necessario per un vaglio compiutamente funzionale alla tutela degli interessi esposti nel vincolo paesaggistico (cosa che impediva di considerare talune visuali prospettiche in direzione del lago), l’amministrazione comunale difettava della disponibilità degli elaborati tecnici necessari per esercitare la sua funzione: e parimenti, in sede di successiva verifica, la Soprintendenza.
3. Con altro motivo di appello (n. 2 alle pagine 24 e seguenti, in realtà è il terzo motivo di appello) l’appellante società lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha respinto i motivi di censura relativi all’assunto della Soprintendenza che l’autorizzazione n. 40 del 2006 sarebbe intervenuta quando parte delle opere edilizie erano già state eseguite al rustico e che quindi avrebbe dovuto essere rilasciata in sanatoria, potendosi sostenere che la valutazione di compatibilità possa al massimo condizionare gli effetti dell’atto ma non la sua legittimità, essendo tra l’altro l’aspetto dell’abusività edilizia estraneo alle funzioni dell’organo statale.
Al riguardo l’appellante rileva come il primo giudice abbia riconosciuto la preesistenza dell’autorizzazione rispetto alle opere, ma non può escludersi che il travisamento dei fatti abbia potuto impropriamente influire in modo negativo “agli occhi della Soprintendenza” (pagine 27 e 28 dell’appello).
Le doglianze sono infondate.
Come sopra esposto, l’annullamento della Soprintendenza è motivato con diverse ragioni, tra cui in primo luogo e in modo assorbente il difetto di istruttoria, di motivazione e di valutazione effettiva dell’impatto paesaggistico della variante, sicché a già intervenuta parziale esecuzione dell’intervento non rileva.
Costituisce principio generale pacifico che in caso di atto negativo o diniego sorretto da più ragioni giustificatrici fra loro autonome è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto impugnato la conformità a legge anche di una sola di esse (tra varie, Cons. Stato, IV, 10 dicembre 2007, n.6325).
4. In ordine al motivo di appello (pagine 20 e seguenti) con cui si contestano le conclusioni del primo giudice in ordine alle conseguenze dell’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, non possono non condividersi le conclusioni dell’appellata sentenza.
Non può invece condividersi la tesi dell’appellante secondo cui l’autorizzazione paesaggistica n. 40 annullata, avente ad oggetto la variante di progetto (progetto esecutivo della variante edilizia al permesso di costruire originario), è distinta ed autonoma dall’autorizzazione n. 41, di pari data 14 febbraio 2006, non annullata, che riguardava le variazioni planivolumetriche (variazione apportata alle previsioni Planivolumetriche del Piano di recuperooriginariamente approvato). Infatti entrambe si basavano sul parere degli esperti ambientali del 22 dicembre 2005, in ordine al quale sono stati ravvisati evidenti difetti di istruttoria, il quale vizio non può che riguardare anche l’altra e connessa valutazione di compatibilità paesaggistica.
5.Per quanto esposto, va respinto anche il motivo di appello che lamenta l’erroneità della sentenza perché non avrebbe rilevato lo sconfinamento nel merito della Soprintendenza.
In ragione della disciplina vigente ratione temporis, in sede di vaglio del contenuto dell’autorizzazione paesaggistica la Soprintendenza può motivatamente valutare se la gestione del vincolo avvenga con un atto legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare l’autorizzazione illegittima sotto qualsiasi profilo, anche per eccesso di potere per difetto di istruttoria - come è avvenuto nel caso di specie - senza che ciò significhi la sovrapposizione delle proprie eventuali difformi valutazioni sulla modifica dell’area (per tutte: Cons. Stato, Ad. plen. 14 dicembre 2001, n. 9).
6.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando l’appellata sentenza.
Condanna l’appellante Angelar s.r.l. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio a favore dell’Amministrazione statale appellata, che liquida in totali euro mille.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)