TAR MArche Sez. I sent. 1441 del 30 novembre 2009
Rifiuti. Libera circolazione dei rifiuti speciali

La normativa statale di riferimento (identificabile, come detto, sia nel D.Lgs. n. 22/1997 che nel vigente D.Lgs. n. 152/2006) abilita le Regioni a prevedere limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali. Ed infatti, sia l’art.22 del c.d. decreto Ronchi, sia l’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006, nel disciplinare i piani regionali di gestione del ciclo dei rifiuti, stabiliscono che tali atti debbono prevedere, fra le altre cose “…il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti…”.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 01441/2009 REG.SEN.
N. 00734/2007 REG.RIC.




Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA



Sul ricorso numero di registro generale 734 del 2007, proposto da:
Fermo Ambiente Servizi Impianti Tecnologici Energia (A.S.I.T.E.) S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Ranieri Felici, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;


contro


- Provincia di Ascoli Piceno, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carla Cavaliere, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
- Dirigente Servizio Ambiente, Rifiuti, Energia, Acque della Provincia di Ascoli Piceno, non costituito;
- Consiglio Regionale Marche, in persona del Presidente pro tempore, non costituito;
- Regione Marche, rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale De Bellis, con domicilio eletto presso il Servizio Legale Regione Marche, in Ancona, via Giannelli, 36;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

- del provvedimento 26.6.2007, n. 2989, confermato con atto del 16.7.2007, con cui la Provincia ha inibito alla società ricorrente la prosecuzione dell’attività smaltimento rifiuti speciali della Regione Campania;
- del provvedimento con cui si limita l’abbancamento dei rifiuti anche speciali nella discarica di San Biagio, unitamente al relativo provvedimento di chiarimenti del 6.8.2007;
- del piano regionale per la gestione dei rifiuti, approvato dal Consiglio Regionale Marche con deliberazione 15.12.1999, n. 284;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Marche e della Provincia di Ascoli Piceno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza istruttoria 8/11/2007, n. 619;
Viste le ordinanze 4/7/2008, n. 80, e 23/10/2008, n. 140;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2009 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


1. La società ricorrente (a capitale misto pubblico-privato, del quale il Comune di Fermo, per statuto, deve possedere sempre almeno il 51%) gestisce da tempo una discarica di I categoria in località San Biagio del Comune di Fermo, regolarmente autorizzata dalla Provincia di Ascoli Piceno. In data 18/4/2007, A.S.I.T.E. stipulava con il Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (C.I.T.E.) S.r.l. di Salerno un contratto in forza del quale l’odierna ricorrente accettava di smaltire nel proprio impianto, a titolo oneroso, 25.000 tonnellate di rifiuti con codice CER 19.05.01 (“Parte di rifiuti urbani e simili, non compostata”), provenienti dagli impianti CDR FISIA ITALIMPIANTI di Caivano, Giugliano in Campania, Pianodardine e Casalduni, e ciò nell’ambito della c.d. emergenza rifiuti che, come è noto, ha colpito da tempo la Regione Campania e che nel corso del 2006-2007 si era notevolmente aggravata.

Di tale accordo non venivano informati gli enti locali competenti in materia di rifiuti, ed in particolare la Provincia di Ascoli Piceno.

A seguito di verifiche eseguite dal N.O.E. dei Carabinieri di Ancona, la Provincia avviava il procedimento che si è concluso con l’adozione degli atti impugnati, con i quali l’Amministrazione ha:

- diffidato A.S.I.T.E. dal ricevere ulteriori quantitativi di rifiuti provenienti dalla Campania;

- rinnovato l’autorizzazione alla gestione della discarica, inserendo una prescrizione ulteriore (per effetto della quale, fino al 31/12/2007, la società può smaltire nella discarica di San Biagio rifiuti speciali assimilabili di cui al paragrafo 1.1.1. della deliberazione del Comitato Interministeriale del 27/7/1984, ma con esclusione di quelli di provenienza extraregionale).

La Provincia ha fondato la diffida sui seguenti presupposti, non senza avere interpellato i Commissari delegati pro tempore nominati dal Governo della Repubblica per la gestione dell’emergenza rifiuti (i quali si sono pronunciati per la legittimità dell’operazione):

- ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.L. n. 263/2006, convertito il L. n. 290/2006, i rifiuti provenienti dalla Campania possono essere smaltiti in altre Regioni, ma previo accordo in tal senso fra il Commissario delegato e le Regioni interessate. Nella specie, alcun accordo è intervenuto con la Regione Marche;

- la frazione umida derivante dalla selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani non è classificabile quale rifiuto speciale;

- in ogni caso, tali rifiuti non potrebbero essere abbancati presso la discarica di San Biagio, a ciò ostando il Piano regionale dei rifiuti approvato dal C.R. delle Marche con deliberazione n. 284/1999 (paragrafo 4.5.).

2. Fermo A.S.I.T.E. impugna i provvedimenti della Provincia e il presupposto Piano Regionale dei Rifiuti approvato dal Consiglio Regionale delle Marche nel 1999 (ancora vigente, non essendo ancora scaduto all’epoca dei fatti il termine previsto dall’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006 per l’adozione dei nuovi piani regionali), nella parte in cui, per le discariche di I categoria, vieta il conferimento di rifiuti speciali di provenienza extraregionale, deducendo i seguenti motivi:

- violazione e falsa applicazione degli artt. 182, comma 5, e 184, comma 3, let. n), del D.Lgs. n. 152/2006;

- incostituzionalità del Piano regionale dei rifiuti, nella parte in cui pone limiti alla libera circolazione dei rifiuti speciali;

- incompetenza della Provincia (nella parte in cui il dirigente avrebbe modificato i criteri per l’individuazione dei luoghi e degli impianti idonei allo smaltimento delle singole tipologie di rifiuti);

- contraddittorietà fra provvedimenti (la Provincia sostiene che nella discarica di San Biagio non si possono conferire rifiuti speciali, ma di fatto ciò è stato sempre consentito, almeno a far tempo dal 2003);

- nel merito, difetto di istruttoria (per quanto concerne la natura dei rifiuti conferiti dal C.I.T.E. nella discarica di che trattasi).

3. Al fine di accertare la natura dei rifiuti conferiti nella discarica di San Biagio, il Tribunale ha disposto una verificazione, i cui esiti sono contenuti nella relazione depositata in atti in data 4/2/2008.

4. Alla pubblica udienza del 7 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione di merito.


DIRITTO


1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

2. Va preliminarmente osservato che, ai fini della soluzione della controversia, non rivestono valore dirimente gli esiti della verificazione, in quanto:

- non è in discussione fra le parti la classificazione formale dei rifiuti conferiti dal C.I.T.E. presso la discarica per cui è causa (si tratta, come confermato dall’istruttoria, di rifiuti speciali aventi codice CER 19.05.01), così come non può essere revocato in dubbio il fatto che essi siano il prodotto delle operazioni di trattamento di selezione meccanica dei r.s.u., finalizzato alla produzione di CDR;

- peraltro (e questo è risultato dalle verifiche eseguite a suo tempo dal N.O.E. dei Carabinieri – vedasi la documentazione fotografica allegata alla memoria di costituzione della Provincia) non è escluso che, in occasione dei singoli trasporti, addetti ai lavori poco onesti abbiano inserito fra i rifiuti speciali quantitativi di rifiuti solidi urbani tal quali;

- tuttavia, da un lato ciò non incide, se non a livello penale (e a tal uopo vengono in evidenza solo responsabilità personali), sulla legittimità complessiva dell’operazione, dall’altro si deve rilevare che, una volta che i rifiuti sono stati triturati nell’impianto di Fermo, non è più possibile risalire alla loro natura originaria (e anche questo risulta dalla relazione del verificatore).

Ma questo, come si vedrà infra, non è rilevante, visto che il Tribunale ritiene in ogni caso corretto l’operato della Provincia e della Regione Marche.

3. Vanno in primo luogo rigettati i motivi di ricorso con i quali si deduce la violazione degli artt. 182 e 184 del D.Lgs. n. 152/2006, l’incompetenza della Provincia e la contraddittorietà fra provvedimenti.

3.1. Per quanto riguarda la violazione delle citate norme del c.d. Codice dell’ambiente, si tratta di questione che non riveste rilievo autonomo, in quanto, seppure è vero che la prefata normativa pone in generale il principio per cui i rifiuti speciali possono circolare liberamente, è altrettanto vero che esistono altre disposizioni della legge statale che, come si vedrà, legittimano l’operato delle Amministrazioni resistenti.

Per inciso, va osservato che la disposizione di cui all’art. 184, comma 3, let. n), del D.Lgs. n. 152/2006 è stata abrogata dal D.Lgs. n. 4/2008, per cui la ricomprensione fra i rifiuti speciali dei rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani è venuta meno a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto “correttivo” (questo, seppure non rileverebbe nel presente giudizio - dovendosi verificare la legittimità dei provvedimenti impugnati in base al diritto vigente al momento della loro adozione - implicherebbe l’impossibilità di proseguire nelle operazioni di conferimento oggetto del presente giudizio).

3.2. E’ infondato il dedotto vizio di incompetenza della Provincia, la quale non ha modificato in alcun modo i criteri di individuazione degli impianti idonei allo smaltimento dei rifiuti speciali, essendosi limitata a fare applicazione della normativa statale (L. n. 290/2006) e del Piano regionale dei rifiuti.

In questo senso, è irrilevante altresì il contenuto dell’autorizzazione n. 3919/GEN del 13/7/2007 rilasciata dalla Provincia ad A.S.I.T.E., sia perché, come correttamente eccepito dalla ricorrente, essa è posteriore rispetto al primo dei provvedimenti impugnati, sia perché in parte qua essa si limita a ribadire una previsione di legge (art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 36/2003, come modificato dalla L. n. 296/2006) e una prescrizione del Piano regionale dei rifiuti del 1999.

3.3. Né, infine, sussiste alcuna contraddittorietà fra provvedimenti, visto che:

- per un verso, il fatto che la P.A. abbia commesso un errore in passato non la legittima a perseverare nell’errore;

- per altro verso, il divieto di cui al paragrafo 4.5. del Piano regionale dei rifiuti riguarda solo quelli di provenienza extra-regionale (e non è stato provato che i rifiuti conferiti a San Biagio dal 2003 avessero tale provenienza).

4. Passando quindi ad esaminare il punto centrale della controversia, a giudizio del Collegio l’operato delle Amministrazioni resistenti trova legittimazione in due differenti fonti normative, l’una riveniente dal D.Lgs. n. 152/2006 (e in precedenza dal D.Lgs. n. 22/1997), l’altra dalla legislazione speciale in materia di emergenza rifiuti nella Regione Campania.

4.1. Partendo dalle disposizioni del Codice dell’Ambiente, si deve rilevare l’infondatezza della tesi di A.S.I.T.E. nella parte in cui, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (da ultimo, la sentenza n. 10 del 2009), sostiene che le Regioni non possono introdurre alcuna limitazione alla libera circolazione dei rifiuti speciali, pena la violazione del criterio di riparto delle competenze fra Stato e enti locali.

Il Tribunale non ritiene di poter condividere tali asserzioni, o, meglio, esse non sono decisive in questa sede, per le ragioni che si vanno ad esporre.

Seppure è innegabile che la società ricorrente ha correttamente riportato l’orientamento della Corte Costituzionale, si deve tuttavia rilevare che la normativa statale di riferimento (identificabile, come detto, sia nel D.Lgs. n. 22/1997 che nel vigente D.Lgs. n. 152/2006) abilita le Regioni a prevedere limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali. Ed infatti, sia l’art.22 del c.d. decreto Ronchi, sia l’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006, nel disciplinare i piani regionali di gestione del ciclo dei rifiuti, stabiliscono che tali atti debbono prevedere, fra le altre cose “…il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti…”.

A tal proposito va prima di tutto osservato che, alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, non era ancora scaduto il termine fissato dall’art. 199, comma 7, D.Lgs. n. 152/2006 per l’adozione dei nuovi piani regionali e che, per espressa previsione normativa, quelli vigenti conservano efficacia. Pertanto, sotto questo profilo, il Piano regionale delle Marche, approvato dal Consiglio Regionale con deliberazione n. 284/1999, era pienamente applicabile dalla Provincia di Ascoli Piceno.

In secondo e decisivo luogo, poiché è la stessa normativa statale a stabilire che le Regioni possono prevedere specifiche limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali, a patto che questo sia giustificato dall’esigenza di contenere la movimentazione di tali rifiuti (in un’ottica di prevenzione dell’inquinamento ambientale provocato dai trasporti su gomma), nonché dalla capacità tecnico-ricettiva dei singoli impianti, fermo restando che tali prescrizioni non debbono introdurre limitazioni generalizzate.

Ed è proprio questo il motivo che ha indotto la Corte Costituzionale a dichiarare l’illegittimità di leggi regionali che avevano introdotto divieti alla circolazione dei rifiuti speciali.

Si pensi, ad esempio, all’art. 18, comma 1, della L.R. Piemonte n. 59/1995 (il quale vietava il conferimento in tutti gli impianti piemontesi di qualsivoglia rifiuto proveniente da fuori regione), che la Consulta ha dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 281 del 2000; oppure all’art. 16, comma 4, della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 65/1988 (avente contenuto analogo alla norma piemontese e dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 335 del 2001).

Basti pensare, infine, all’ultima sentenza della Consulta richiamata da A.S.I.T.E. (la n. 10 del 2009), avente ad oggetto la L.R. Puglia n. 29/2007, la quale, all’art. 3, comma 1, stabiliva che i rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi di provenienza extraregionale potevano essere smaltiti in impianti pugliesi solo nel caso in questi fossero contemporaneamente quelli più appropriati e quelli più vicini ai luoghi di produzione dei rifiuti stessi.

Questa disposizione introduceva un’indebita restrizione alla circolazione dei rifiuti speciali provenienti da fuori regione, in quanto consentiva la ricezione dei rifiuti speciali solo se l’impianto interessato (e più appropriato dal punto di vista tecnico in ragione del trattamento da riservare alla singola tipologia di materiale) fosse anche il più vicino dal punto di vista geografico al bacino di provenienza dei rifiuti stessi: è evidente che una tale prescrizione - seppure motivata dall’esigenza di limitare i trasporti su gomma - era potenzialmente fonte di differenziazioni rigide, illogiche e basate sul mero fattore geografico.

Va peraltro osservato che, al punto 10 della motivazione della sentenza n. 10 del 2009, la Corte afferma che l’art. 182 del D.Lgs. n. 152/2006, pur esprimendo preferenza per una rete di impianti che consenta di smaltire i rifiuti il più vicino possibile al luogo di produzione, ammette anche opzioni differenti (mentre la norma pugliese dichiarata incostituzionale prevedeva solo la prima opzione), dal che la Consulta trae la conseguenza che è illegittima una norma regionale che impedisca ai rifiuti di provenienza extraregionale l’accesso ad uno degli impianti della rete. Tuttavia, la Corte non ha adeguatamente considerato che l’art. 199, let. d), impone alle Regioni, in sede di adozione dei Piani di gestione dei rifiuti, di prevedere misure volte ad “…assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti…”. Quindi, la legge statale, per il tramite dei Piani regionali, consente anche limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali, a patto che tali limitazioni non si risolvano in divieti indiscriminati e non sorretti da adeguata motivazione.

Nella specie, il Piano regionale delle Marche del 1999 vieta alle sole discariche di I categoria la ricezione di rifiuti speciali provenienti da fuori regione, il che, oltre ad essere giustificato da ragioni inerenti l’idoneità e la capacità degli impianti (nel caso della discarica di San Biagio, vi sono delle prescrizioni, risalenti al 2002 e al 2005 e mai impugnate dalla ricorrente, che impongono di riservare ai rifiuti del bacino almeno il 75% della capacità ricettiva, e questo nell’ottica dell’autosufficienza. Tale limite, come rilevato dal N.O.E. dei Carabinieri, risultava superato al momento dei controlli che hanno dato luogo ai provvedimenti impugnati), è del tutto coerente con le previsioni della legge statale.

Tra l’altro, sarebbe palesemente irrazionale ammettere che le Regioni debbono, nell’ambito della pianificazione relativa ai rifiuti prodotti nel proprio territorio, limitare la movimentazione dei rifiuti speciali (perché questo è uno dei principi sanciti dall’art. 199 del Codice dell’Ambiente), mentre analoghi limiti non potrebbero essere imposti con riferimento a rifiuti della medesima tipologia di provenienza extra regionale.

Si tratterebbe di una conseguenza assurda, che oltretutto penalizzerebbe proprio le Regioni più virtuose, le quali dovrebbero subire le conseguenze della mancata o insufficiente pianificazione posta in essere da altre Regioni.

E a riprova di quanto appena detto, la Regione Marche, richiestane espressamente dalla Regione Campania, aveva consentito l’abbancamento di rifiuti in un altro impianto, quello di Corinaldo (provincia di Ancona), mentre in passato (maggio 2004) analoga disponibilità era stata espressa proprio per la discarica di San Biagio (vedasi le note della Regione n. 134528 del 29/6/2007 e n. 161575 del 7/8/2007 , depositate dalla Provincia in allegato alla memoria di costituzione).

4.2. Tuttavia, laddove tali argomenti non dovessero essere ritenuti sufficienti, il Collegio ritiene che anche la normativa speciale sull’emergenza rifiuti in Campania, ed in particolare il D.L. n. 263/2006, convertito in L. n. 290/2006, contiene disposizioni che legittimano l’operato della Provincia di Ascoli Piceno.

In effetti, l’art. 5, ai commi 1 e 3, stabilisce che “…Fino alla cessazione dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani o speciali non pericolosi provenienti dalle attività di selezione, trattamento e raccolta dei rifiuti solidi urbani, che potranno essere destinati in via eccezionale fuori regione, sono utilizzate e messe in sicurezza le discariche già autorizzate o realizzate dal Commissario delegato-prefetto di Napoli…” e che “Il Commissario delegato può disporre, d'intesa con le regioni interessate, lo smaltimento ed il recupero fuori regione, nella massima sicurezza ambientale e sanitaria, di una parte dei rifiuti prodotti…”.

Come si vede, la normativa speciale sulla c.d. emergenza rifiuti in Campania (la quale, in parte qua, non può non derogare alla normativa ordinaria, se non altro perché la portata dell’emergenza è tale, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, da non consentire l’applicazione delle regole ordinarie sulla pianificazione del ciclo dei rifiuti) non distingue, in relazione alle possibilità di smaltimento fuori regione, fra rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali, prevedendo in entrambi i casi il previo accordo fra Commissario delegato e Regione interessata.

Questo è del tutto comprensibile, in quanto:

- in primo luogo, la possibilità di smaltire fuori regione anche i r.s.u. (per i quali, come riconosce la stessa ricorrente, vale invece ordinariamente il principio dell’autosufficienza e quindi il divieto di smaltimento fuori regione) implica un incremento esponenziale dei quantitativi di rifiuti che affluiscono presso altre Regioni (anche perché, oggettivamente, la Campania è una regione molto popolosa), dei quali, normalmente, una parte (quelli speciali) potrebbe circolare liberamente. Ma questo non è possibile in situazione di emergenza, in quanto l’enorme incidenza dei r.s.u. impone di calibrare la capacità ricettiva degli impianti tenendo conto, unitariamente, sia dei rifiuti solidi urbani che di quelli speciali e questo può avvenire solo in sede di accordi fra Commissario delegato e Regioni;

- a voler opinare diversamente, si avrebbe l’inammissibile conseguenza per cui la politica di gestione dei rifiuti (soprattutto in un periodo storico in cui stanno venendo al pettine in molte Regione i nodi legati all’esaurimento delle vecchie discariche, alla carenza di un’adeguata pianificazione ed all’ancora insufficiente percentuale di raccolta differenziata) è nelle mani dei singoli gestori degli impianti. La vicenda che occupa il Tribunale è al riguardo emblematica: A.S.I.T.E., senza perlomeno avvisare nessuno degli enti preposti al settore, ha deciso, in base ad autonome valutazioni di natura imprenditoriale, di abbancare un consistente quantitativo di rifiuti provenienti dalla Campania, superando anche i vincoli imposti dalla Regione e dalla Provincia in sede di pianificazione (e, a quanto è dato capire dall’esame degli atti, nemmeno il C.I.T.E. aveva avvisato dell’operazione i commissari delegati pro tempore, i quali si sono trovati in una posizione di estremo imbarazzo, dovendo a posteriori giustificare alla Regione Marche la legittimità del conferimento).

5. Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso va respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti costituite

Va invece confermata la statuizione assunta dal Tribunale con l’ordinanza n. 80/2008, a proposito delle spese per la verificazione, le quali sono definitivamente addossate alla società ricorrente.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche respinge il ricorso in epigrafe.
Spese di giudizio compensate.
Spese relative alla verificazione (già liquidate con le ordinanze n. 80/2008 e n. 140/2008) a carico della società ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Luigi Passanisi, Presidente
Gianluca Morri, Primo Referendario
Tommaso Capitanio, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/11/2009