TAR Piemonte (TO), Sez. II, sent. n. 4164 del 13.11.2006.
Condizioni per l’affidamento in “house
providing” dei
servizi pubblici di igiene urbana. Per maggiori approfondimenti
sull’affidamento “in house” si segnala
l’interessante contributo dell’avv. M. Chilosi su
“Ambiente e Sicurezza” n. 1 del 26.12.2006 (pagg.
49-53) e
la sentenza TAR Friuli V.G. (TS) n. 986 del 12.12.2005. (a cura di Alan
Valentino, Udine).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – 2^
Sezione – ha pronunciato la seguente
Sent.
n. 4164
Anno 2006
R.g. n. 379
Anno 2006
SENTENZA
sul ricorso n. 379/2006 proposto da S.E.A. - SOLUZIONI ECOLOGICHE
AMBIENTALI S.r.l., con sede in Torino, via Livorno n. 60, in persona
del Presidente del Consiglio di Amministrazione in carica Marco
Origliasso, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mariateresa Quaranta e
Alfredo Lanfredi ed elettivamente domiciliata in Torino, via Torricelli
n. 12, presso lo studio della prima,
c o n t r o
il Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente di
Cirié, in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Domenico Prato e Alessandro
Angelini ed elettivamente domiciliata in Torino, corso Vittorio
Emanuele II n. 82, presso lo studio dei medesimi,
e nei confronti
della SETA - Società Ecologica Territorio Ambiente S.p.A.,
in
persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Giorgio Santilli e Francesca Dealessi ed elettivamente
domiciliata in Torino, via Sacchi n. 44, presso lo studio dei medesimi,
per l’annullamento, previa sospensiva,
a) della deliberazione del Consiglio di
amministrazione del 15.2.2006, n. 23, con cui il Consorzio
Intercomunale di servizi per l’ambiente di Cirié
(d’ora in poi - per brevità -
“Consorzio”) ha
deliberato di affidare in house, ai sensi dell’art. 113,
comma 5,
lett. c) del d.lgs. n. 267/2000, alla SETA S.p.A. i servizi di
raccolta, trasporto ed igiene urbana dei Comuni di Cafasse, Fiano,
Givoletto, Grosso, La Cassa, Mathi, Nole, Robassomero, Rocca Canavese,
San Carlo Canavese, Val della Torre, Varisella, Vauda e Villanova,
nonché di rinviare a successivo provvedimento
l’approvazione del contratto di servizio espressamente
previsto
nella “Convenzione per l’affidamento a SETA S.p.A.
dei
servizi di gestione dei rifiuti urbani e di nettezza urbana relativi a
Comuni aderenti al Consorzio CISA”;
b) della deliberazione del Consiglio di
Amministrazione del 15.2.2006, n. 22, con cui il Consorzio ha
deliberato di revocare il proprio atto n. 2 dell’11.1.2006,
con
cui aveva deciso di affidare con gara i servizi di cui sopra nei Comuni
di San Carlo Canavese, Val della Torre e Givoletto;
c) per quanto possa occorrere, della
deliberazione
dell’Assemblea Consorziale n. 3 del 1.2.2006, con cui il
Consorzio ha deliberato di richiedere alla SETA S.p.A. la
riformulazione della proposta tecnico-economica concernente
l’affidamento in house dei servizi di igiene urbana dei
comuni
detti in premessa con un ribasso sui prezzi di capitolato allegato al
progetto di gestione di almeno il 5% e, in caso di riformulazione della
proposta in questo senso, ha deliberato che avrebbe affidato in house
alla SETA S.p.A. i servizi in questione;
d) sempre per quanto possa occorrere, del
protocollo
di intesa in data 16.6.2005, con cui il Consorzio e la SETA S.p.A.
hanno definito i termini di partecipazione del primo alla seconda;
e) di ogni altro atto presupposto,
preparatorio, connesso o consequenziale.
Visto il ricorso e la relativa documentazione.
Viste la memoria di costituzione e risposta del Consorzio Intercomunale
di Servizi per l’Ambiente di Cirié e la relativa
documentazione.
Vista la memoria costitutiva della SETA S.p.A. e la relativa
documentazione.
Viste le memorie depositate dalle parti.
Visti gli atti tutti della causa e le relative produzioni documentali.
Relatore all’udienza del 12 luglio 2006 il Referendario Ivo
Correale.
Uditi gli avv.ti M. Quaranta per la società ricorrente, D.
Prato
e A. Angelini per il Consorzio resistente e G. Santilli per la SETA
S.p.A..
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente di
Cirié, consorzio obbligatorio costituito ai sensi
dell’art. 31 d.lgs. n. 267/2000 di cui fanno parte 38 comuni
piemontesi, approssimandosi - alla fine di marzo 2006, di maggio 2006 e
di luglio 2006 - la scadenza contrattuale del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti solidi urbani ed assimilati ed igiene urbana per
alcuni comuni ad esso facenti capo, svolto dalla S.E.A. - Soluzioni
Ecologiche Ambientali S.r.l., deliberava in data 11 gennaio 2006 di
approvare il progetto di dettaglio, il capitolato speciale
d’appalto e il relativo bando di gara nei comuni di San Carlo
Canavese, Val della Torre e Givoletto che, unitamente al Comune di
Vauda, avevano manifestato la loro intenzione di affidare il servizio
in questione mediante procedura ad evidenza pubblica, non ritenendo di
concordare con la proposta rappresentata dal Consorzio medesimo di
affidamento diretto alla SETA S.p.A., società a capitale
interamente pubblico, inviata ai 14 comuni interessati in data 29
dicembre 2005.
Il medesimo Consorzio, comunque, inviava alla SETA S.p.A., in date 5
gennaio 2006 e 30 gennaio 2006, la documentazione progettuale ed uno
schema di capitolato d’appalto ai fini
dell’affidamento
“in house” del servizio in scadenza per i restanti
comuni e
la SETA S.p.A., in data 31 gennaio 2006, faceva pervenire al Consorzio
la relativa proposta tecnico-economica.
L’Assemblea consorziale, con deliberazione n. 3 in data 1
febbraio 2006, stabiliva di invitare il Presidente del Consiglio di
Amministrazione del Consorzio a richiedere alla SETA S.p.A. la
riformulazione della proposta economica concernente
l’affidamento
“in house” dei servizi di igiene urbana dei comuni
detti in
premessa che prevedesse un ribasso sui prezzi di capitolato, allegato
al progetto di gestione, di almeno il 5%, aggiungendo che, ove fosse
stata riformulata l’offerta nel senso predetto,
l’affidamento in house avrebbe avuto luogo, mentre, in caso
contrario, sarebbe stata bandita una gara ad evidenza pubblica.
La SETA S.p.A., preso atto, con nota dell’8 febbraio 2006,
confermava la propria proposta economica per un costo pari al 5% in
meno rispetto all’ammontare complessivo indicato nel
capitolato e
nella documentazione allegata, ferma restando l’offerta per i
servizi aggiuntivi.
Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio stabiliva: a) con la
deliberazione n. 22 del 15 febbraio 2006, di revocare il proprio atto
n. 2 dell’11 gennaio 2006 ad oggetto: “Servizio di
raccolta
e trasporto R.S.U., assimilati, R.D. e N.U. nei Comuni di San Carlo
C.se, Val della Torre e Givoletto. Approvazione progetto di dettaglio,
C.S.A. e Banda di Gara”; b) con la deliberazione n. 23 in
pari
data, di affidare “in house”, ai sensi
dell’art. 113,
comma 5, lett. c), d.lgs. n. 267/2000, alla SETA S.p.A., con sede in
Settimo Torinese, via Verga n. 40, i servizi di raccolta, trasporto e
igiene urbana, con diversa decorrenza, dei comuni di Cafasse, Fiano,
Givoletto, Grosso, La Cassa, Mathi, Nole, Robassomero, Rocca Canavese,
San Carlo Canavese, Val della Torre, Vauda Canavese e Villanova, alle
condizioni di cui alle offerte economiche con allegate proposte
innovative e migliorative di SETA S.p.A. del 31.1.2006 e
dell’8.2.2006, di rinviare a successivo provvedimento
l’affidamento “in house” del relativo
servizio nel
comune di Varisella, a decorrere dal 1° giugno 2007, alle
stesse
condizioni di cui alle offerte di SETA S.p.A. suddette, per le
motivazioni indicate in narrativa.
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 30 marzo 2006, la S.E.A.
- Soluzioni Ecologiche Ambientali S.r.l. chiedeva, previa sospensione,
l’annullamento di tali deliberazioni, nonché della
presupposta deliberazione dell’Assemblea consortile del 1
febbraio 2006 e del protocollo d’intesa del 16 giugno 2005
con la
quale il Consorzio e la SETA S.p.A. avevano definito i termini di
partecipazione del primo alla seconda, lamentando:
I. Violazione di legge, con riferimento
all’art. 113, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 267/2000,
nonché agli articoli 43, 49 e 86 del Trattato istitutivo
della
Comunità Europea.
La società ricorrente ricostruiva preliminarmente il quadro
normativo in materia di affidamento diretto di servizi pubblici,
richiamando, in primo luogo, gli artt. 43, 49, primo comma, e 86, primo
comma, del Trattato CE, che vietano, rispettivamente, le restrizioni
alla libertà di stabilimento, le restrizioni alla libera
prestazione di servizi e l’adozione di misure contrarie alle
norme del Trattato medesimo in favore di imprese pubbliche o a cui sono
riconosciuti diritti speciali o esclusivi.
Ne conseguiva, secondo la S.E.A. S.r.l., che l’obbligo di
scegliere con gara gli affidatari di servizi pubblici deriva in via
diretta già dall’applicazione delle norme del
Trattato,
come più volte ribadito anche dalla giurisprudenza
amministrativa, e che l’affidamento diretto costituisce
un’eccezione nell’attuale quadro normativo
comunitario.
La normativa nazionale di riferimento, a sua volta, è
costituita
dall’art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000, come modificato
dall’art. 14 l. n. 326/2003, laddove, alla lettera c),
è
specificato che l’erogazione del servizio, oltre alle ipotesi
di
cui alle lettere a) e b), può essere conferita a
“...
società a capitale interamente pubblico a condizione che
l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte
più importante della propria attività con
l’ente o
gli enti pubblici che la controllano”.
Osservava la società ricorrente che tale norma, nella sua
attuale formulazione, rispetta le indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza comunitaria, confermata anche successivamente
all’entrata in vigore della norma, come riportata in sintesi.
Da essa si ricava che l’ampliamento dell’oggetto
sociale,
l’apertura obbligatoria della società, a breve
termine, ad
altri capitali, l’espansione territoriale della
società ed
i considerevoli poteri del relativo Consiglio di Amministrazione
costituiscono indici che escludono la presenza del “controllo
analogo” richiesto dalla norma in questione.
Così pure il Consiglio di Stato ha richiamato tali principi,
specificando che il “controllo analogo” corrisponde
ad un
vero rapporto di subordinazione gerarchica, con controllo gestionale e
finanziario stringente dell’ente pubblico su quello
societario,
il quale, a sua volta, è istituzionalmente destinato in modo
assorbente ad operare in favore del primo, secondo anche quanto
desumibile nell’atto costitutivo e nello statuto della
società interamente partecipata.
Nel caso di specie, la società ricorrente non rinveniva il
rispetto dei presupposti fondamentali indicati nell’art. 113,
comma 5, lett. c), d.lgs. cit. perché il Consorzio
affidatario
del servizio non esercita un controllo analogo a quello che
eserciterebbe sui propri servizi e la SETA S.p.A. non svolge la parte
più rilevante della propria attività in favore
del
Consorzio medesimo.
Quest’ultimo, secondo il protocollo d’intesa
sottoscritto
tra le parti il 18 luglio 2005, sarebbe titolare di una partecipazione
limitata al 10% del capitale sociale. Inoltre, da una visura effettuata
presso la camera di Commercio di Torino, non risultava alcuna attuale
partecipazione in SETA S.p.A. da parte del Consorzio, se non limitata
al 2,5% del capitale sociale.
Secondo il protocollo d’intesa tra le parti, poi, il
Consorzio
avrebbe diritto solo di segnalare - e non nominare - due membri del
Consiglio di Amministrazione, su un totale di nove.
Il Consorzio, inoltre, viene consultato per alcune problematiche
gestionali specifiche, in relazione al bacino di utenza, ma non detiene
alcun potere decisorio relativamente ad esse né in ordine
all’approvazione del bilancio di esercizio o alla modifica di
schemi-tipo di contratti di servizio o dello statuto sociale.
In secondo luogo, la società ricorrente rilevava che anche
il
requisito della prevalenza dell’attività svolta in
favore
dell’ente controllante era assente.
L’oggetto sociale della SETA S.p.A. è molto ampio,
comprendendo varie attività ai fini del conseguimento, anche
indiretto, degli scopi sociali; in più, il fatturato annuale
che
la medesima società ricaverà per i servizi resi
al
Consorzio si attesta intorno alla cifra di euro 1.632.875,00, laddove
le entrate riguardanti i servizi resi al di fuori dell’ambito
territoriale consortile, nel 2004, ammontavano a euro 25.956.805, di
cui 19.247.887 per servizi di igiene ambientale.
Il fatturato per i servizi resi all’interno del Consorzio
ammonta, quindi, a circa il 7-8% di quello complessivo e la
società ricorrente evidenziava anche che la SETA S.p.A.
partecipa a numerose gare d’appalto per servizi di raccolta e
trasporto di rifiuti in comuni non compresi nella Regione Piemonte,
concorrendo con altri operatori privati, differenziando,
così,
la sua attività rispetto a quella che interessa il Consorzio
affidatario.
Si costituiva in giudizio il Consorzio Intercomunale di Servizi per
l’Ambiente di Cirié, rilevando, preliminarmente,
la
carenza di interesse in capo alla società ricorrente, in
quanto
l’art. 113, comma 6, d.lgs. n. 267/2000 preclude
l’ammissione alle gare di cui al comma precedente - cui la
S.E.A.
S.r.l. ambirebbe a partecipare ove fosse bandita - alle
società
che in Italia o all’estero gestiscono a qualunque titolo
servizi
pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una
procedura ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi.
Al Consorzio risultava che la società ricorrente gestiva nel
Comune di Varisella il servizio in questione in virtù della
cessione di un ramo d’azienda e, nei comuni di Fiano,
Givoletto,
La Cassa, Val della Torre e Robassomero, in virtù di
affidamento
diretto.
Di conseguenza, in assenza della dimostrazione contraria, il Consorzio
rilevava l’assoluta carenza di interesse della S.E.A. S.r.l.
al
presente gravame.
Nel merito, il Consorzio contestava comunque la fondatezza del ricorso,
confutando dettagliatamente le tesi della società ricorrente
e
tendendo a dimostrare la sussistenza dei principi del
“controllo
analogo” e della “attività
più
rilevante” necessari per legittimare un affidamento
“in
house”.
Si costituiva in giudizio anche la SETA S.p.A., rilevando
preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per
tardiva
impugnazione del protocollo d’intesa a suo tempo stipulato
con il
Consorzio, costituendo questo il provvedimento concretamente idoneo a
sottrarre al mercato di riferimento la possibilità di
accesso
alla contrattazione con l’amministrazione che ha optato per
la
gestione diretta del servizio.
Anche la società controinteressata rilevava, poi,
l’infondatezza del ricorso.
Alla camera di consiglio del 12 aprile 2006, fissata per la trattazione
della domanda cautelare, la società ricorrente chiedeva di
esaminare quest’ultima congiuntamente alla trattazione del
merito.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in
decisione.
In data 18 luglio 2006 è stato pubblicato il dispositivo n.
29 della presente sentenza.
DIRITTO
Il Collegio deve esaminare preliminarmente le eccezioni di
inammissibilità del ricorso sollevate dal Consorzio
resistente e
dalla società controinteressata.
Il primo rileva la carenza di interesse alla proposizione del presente
gravame da parte della S.E.A. S.r.l., che non potrebbe avere alcuna
ambizione di partecipazione ad una eventuale procedura ad evidenza
pubblica da effettuarsi in seguito all’annullamento
dell’affidamento “in house” come
disposto, in quanto
escludibile in base alla previsione dell’art. 113, comma 6,
d.lgs. n. 267/2000, poiché essa già gestisce un
affidamento diretto del medesimo servizio in alcuni comuni piemontesi,
in virtù di diverse modalità.
Sul punto, la società ricorrente ha replicato - con
osservazioni
che il Collegio ritiene pienamente condivisibili - richiamando la
vigenza del regime transitorio previsto dall’art. 113, comma
15-quater, d.lgs. cit., come aggiunto dall’art. 4, comma 234,
l.
24 dicembre 2003, n. 350.
In effetti, il Collegio rileva che tale norma ha specificamente
previsto che solo “A decorrere dal 1 gennaio 2007 si applica
il
divieto di cui al comma 6, salvo nei casi in cui si tratti
dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto i
servizi
forniti dalle società partecipanti alla gara
stessa”. Tale
disposizione transitoria, nel suo impianto, è stata ritenuta
imprescindibile anche dalla Corte Costituzionale, la quale con la
sentenza 1 febbraio 2006, n. 29, nel dichiarare
l’illegittimità di una norma di una legge
regionale
abruzzese, ha evidenziato la ragionevolezza della disciplina
transitoria nazionale di cui al richiamato art. 113, comma 15-quater,
d.lgs. cit., per consentire un complessivo riequilibrio e un
progressivo adeguamento del mercato di riferimento, anche ai fini di
assicurare lo sviluppo di una effettiva capacità
concorrenziale
(v. Cons. Stato, sez. V.,28.9.2005, n. 5196).
Chiarito ciò, quindi, il Collegio ritiene infondata
l’eccezione in questione, in quanto il divieto legislativo
richiamato dal Consorzio resistente non è operativo alla
data di
proposizione del presente ricorso e tale osservazione è
sufficiente per ritenere l’interesse della S.E.A. S.r.l.
all’accoglimento del gravame, in qualità di
impresa del
settore potenzialmente idonea a partecipare a gare ad evidenza pubblica
da bandirsi per i relativi servizi in scadenza in periodo anteriore al
1 gennaio 2007, anche prescindendo, quindi, delle modalità
concrete con cui la stessa gestisce i servizi presso i comuni
piemontesi richiamati, comunque precisate dalla società
ricorrente come non riconducibili ad affidamento diretto.
Infondata è anche l’eccezione proposta dalla SETA
S.p.A.
in ordine all’inammissibilità del ricorso per
mancata
impugnazione nei termini di legge della delibera consorziale n. 24 del
16 giugno 2005 con la quale l’assemblea aveva deliberato di
confermare la volontà di aderire a SETA S.p.A., conferendo
al
Presidente il potere di dare corso a tutti gli atti previsti
dall’art. 3 del protocollo di intesa sottoscritto tra le
parti.
Come condivisibilmente osservato dalla società ricorrente,
però, tale delibera societaria appare meramente confermativa
di
quanto già contenuto nel protocollo di intesa tra le parti,
limitandosi a conferire al Presidente meri poteri di attuazione.
Tale protocollo risulta pure impugnato nella presente sede e la
società ricorrente ha dimostrato di averne avuto conoscenza
solo
in seguito all’evasione di una richiesta di accesso, nel
marzo
2006.
In virtù dei principi generali del processo amministrativo,
quindi, è onere di chi propone l’eccezione di
tardività dimostrare in giudizio la data di effettiva
conoscenza
del provvedimento impugnato da parte del ricorrente. In assenza di tale
dimostrazione, perciò la relativa eccezione deve ritenersi
infondata.
Passando all’esame del merito del ricorso, il Collegio ne
rileva la fondatezza secondo quanto di seguito specificato.
Sostiene la società ricorrente, con l’unico,
articolato,
motivo di ricorso, sviluppato ulteriormente nella successiva memoria,
che il Consorzio resistente non poteva affidare “in
house”
il servizio in questione, non sussistendone i presupposti di cui alla
normativa nazionale applicabile, che si è conformata
all’interpretazione comunitaria in argomento.
In effetti, al caso di specie, è incontestato che sia
applicabile la norma di cui all’art. 113, comma 5, d.lgs. n.
267/2000, nel testo attualmente in vigore in virtù delle
modifiche e integrazioni di cui all’art. 14, comma 1, d.l. 30
settembre 2003, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326.
Tale norma prevede che l’erogazione del servizio pubblico
locale
di rilevanza economica - come si configura quello in esame - avviene
secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa
dell’Unione europea, con conferimento della
titolarità del
servizio “... c) a società a capitale interamente
pubblico
a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del
capitale
sociale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte
più importante della propria attività con
l’ente o
gli enti pubblici che la controllano”.
Il richiamo, contenuto nella medesima norma, al “rispetto
della
normativa dell’Unione europea” impone di esaminare
come
essa sia stata interpretata dalla relativa giurisprudenza, secondo
quanto richiamato dalla medesima società ricorrente.
Ebbene, di sicuro, deve richiamarsi la disciplina di cui agli artt. 43,
49, paragrafo 1, e 86, paragrafo 1, del Trattato CE, che impongono,
rispettivamente, il divieto di restrizioni alla libertà di
stabilimento, alla libera prestazione di servizi e il divieto di
emanare e mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e di quelle
cui si riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle
norme del Trattato.
In sostanza, quest’ultimo si è preoccupato di
evitare
squilibri nella concorrenza e norme di favore per particolari categorie
di imprese idonee a distorcere il libero mercato - anche nel settore
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica - coincidenti con
l’affidamento diretto senza procedura di evidenza pubblica la
quale costituisce, pur sempre, la regola generale cui ogni Stato membro
deve attenersi (su tale principio generale, da ultimo, v. TAR Lazio,
sez. I, 1.9.2006, n. 7375).
Ebbene, la Corte di giustizia, investita di questioni pregiudiziali in
argomento, ha progressivamente specificato i criteri per i quali
è considerato legittimo e conforme all’ordinamento
comunitario l’affidamento diretto di servizi pubblici, anche
locali.
Con una prima pronuncia (sentenza 18.11.2000, in causa C-107/98,
Teckal), la Corte ha introdotto il principio - poi ripreso dal
legislatore nazionale proprio con l’art. 113, comma 5, d.lgs.
n.
267/2000 invocato nel presente giudizio - secondo il quale i tratti
qualificanti del c.d. “affidamento in house”,
qualificabile
nell’ordinamento interno, sia pure con qualche oscillazione
interpretativa, in riferimento all’istituto della
“delega
interorganica”, sono enucleabili: 1) quando tra
l’ente
pubblico conferente e il soggetto giuridico destinatario
dell’affidamento intercorre un “controllo
analogo” a
quello esercitato dall’ente direttamente sui propri servizi;
2)
quando l’affidataria realizza la parte più
importante
della propria attività solo con il suddetto ente.
In tal caso, emerge l’impossibilità di attribuire
alla
persona giuridica affidataria la qualità di
“terzo”
(in tal senso, si richiama anche la sentenza 7.12.2000, in causa
C-324/98, Teleaustria).
Tali conclusioni sviluppavano quanto già accennato dalla
medesima Corte di Giustizia negli anni immediatamente precedenti (v.
sentenza 10.11.1998, in causa C-360/96, Arnhem e sentenza 9.9.1999, in
causa C-108-98, RI.SAN), secondo cui il rapporto di terzietà
é da escludere in presenza di un potere assoluto di
direzione,
coordinamento e supervisione dell’attività del
soggetto
partecipato da parte dell’ente controllante-affidatario,
corrispondente, in sostanza, alla relazione di subordinazione
gerarchica conosciuta in molti ordinamenti, tra cui quello italiano.
Tale principio generale, qualificato anche come di ”influenza
dominante” trovava delle difficoltà applicative
nell’ipotesi di società
“mista”, a capitale
pubblico-privato, per cui la Corte di Giustizia è stata
chiamata
a pronunciarsi anche in relazione a tale fattispecie.
Con la sentenza 11.1.2005, in causa C-26/03, Stadt-Halle, la Corte ha
sostanzialmente reinterpretato il principio del “controllo
analogo”, generalmente applicabile, anche in relazione a tale
peculiare situazione.
In tale occasione, la Corte ha ribadito il principio generale per cui
sussiste sempre l’obbligo per le amministrazioni
aggiudicatrici -
o enti ad esse equiparate - di applicare le regole comunitarie che
prevedono l’attribuzione di appalti e/o servizi mediante
procedura ad evidenza pubblica, costituendo qualsiasi deroga ad esse
come mera eccezione, da interpretarsi il più possibile
restrittivamente.
Ferma tale precisazione, la Corte, pur richiamando che in linea di
principio l’autorità pubblica adempie ai propri
compiti
istituzionali mediante propri strumenti diretti, senza obbligo di
ricorrere ad entità esterne non appartenenti ai propri
servizi,
ha precisato che non è esclusa la circostanza per la quale
tale
autorità possa anche fare ricorso a soggetti esterni al suo
apparato amministrativo. In tale ipotesi, però, deve
sussistere
il doppio presupposto del “controllo analogo” a
quello
esercitato sui propri servizi e dello “svolgimento della
parte
più rilevante dell’attività”
dell’affidatario con l’autorità
medesima, di cui
alla sentenza “Teckal” sopra richiamata.
La peculiarità della fattispecie era data dalla circostanza
che
mentre in tale ultima sentenza si era valutata l’ipotesi di
partecipazione interamente pubblica, nel caso della sentenza
“Stadt-Halle” si esaminava un’ipotesi di
società “mista”.
Ebbene, la Corte ha precisato che, in tal caso, la partecipazione -
anche minoritaria - dell’autorità pubblica
all’impresa conferitaria esclude in ogni caso che tale
autorità possa esercitare su quella impresa un
“controllo
analogo” a quello che essa esercita sui propri servizi, per
la
principale ragione che qualunque investimento privato, anche
minoritario, privilegia considerazioni legate a interessi privati senza
necessariamente perseguire interessi pubblici, cui invece deve sempre
essere conformata la pubblica autorità.
In sostanza, il c.d. “controllo analogo” -
richiamato
esplicitamente, come detto, dall’art. 113, comma 5, lett. c),
d.lgs. n. 267/2000 applicabile al caso di specie - è
collegato
inscindibilmente al perseguimento degli interessi pubblici.
Sotto tale profilo, ritiene il Collegio che l’affidamento
“in house” non possa che essere riconosciuto, allo
stato
attuale dell’interpretazione comunitaria, a
società a
capitale interamente pubblico, purché vengano rispettati i
criteri di cui alla ricordata sentenza “Teckal”.
Premesso ciò, rilevando che le parti in giudizio non negano
che
la SETA S.p.A. sia società a capitale interamente pubblico,
deve
esaminarsi se la Corte di giustizia ha offerto la sua interpretazione
anche relativamente a tale fattispecie.
Ebbene, con la sentenza 13.10.2005, in causa C-458/03, Parking Brixen,
la Corte si è pronunciata proprio relativamente ad un caso
relativo a società a capitale interamente pubblico e
detenuto
dall’ente affidatario, in relazione ad una fattispecie
qualificata dalla Corte stessa, però, come di
“concessione
di pubblico servizio”.
Richiamando l’applicazione dei principi fondamentali del
Trattato
CE, di cui agli artt. 43 e 49, sempre prevalenti pur in esclusione
dell’applicazione della direttiva 92/50/CE relativa ad
appalti di
pubblici servizi, la Corte ha ribadito che anche nell’ipotesi
di
concessione di pubblici servizi ad ente non indipendente
dall’autorità affidataria devono applicarsi i
principi
relativi al richiamato “controllo analogo” e alla
“prevalenza dell’attività”,
confermando, con
tale precisazione, che questi due presupposti sono ormai cardini
fondamentali ai fini della valutabilità della aderenza
all’ordinamento comunitario - ed a quello nazionale ad esso
conformato - di tutte le ipotesi di affidamento diretto, anche se a
società a capitale interamente pubblico.
In particolare, la Corte ha precisato che le due condizioni
(“controllo analogo” e
“prevalenza”) devono
essere “... oggetto di un’interpretazione
restrittiva e
l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle
circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole
grava su colui che intenda avvalersene. Occorre esaminare,
innanzitutto, se l’autorità pubblica concedente
eserciti
sull’ente concessionario un controllo analogo a quello
esercitato
suoi propri servizi. Tale valutazione deve tenere conto di tutte le
disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da
quest’esame deve risultare che l’ente
concessionario in
questione è soggetto ad un controllo che consente
all’autorità pubblica concedente di influenzarne
le
decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni
importanti ...”.
La Corte di giustizia è di recente tornata sui medesimi
principi
proprio in relazione ad un caso assimilabile a quello in esame, in
riferimento all’interpretazione dell’art. 113,
comma 5,
d.lgs. n. 267/2000 nel testo attualmente in vigore in seguito alla
novella di cui al d.l. n. 267/03, conv. in l. n. 326/03 cit. ed alla
circostanza per cui la pubblica gara era stata prima bandita e poi
revocata, con affidamento diretto del servizio pubblico locale di
trasporto a società a capitale interamente pubblico
(sentenza
6.4.2006, in causa C-410/04, AMTAB).
Ebbene la Corte, ribadendo nuovamente
l’applicabilità
generale dei principi di parità di trattamento, non
discriminazione e trasparenza, di cui agli artt. 43, 49 e 86 del
trattato CE, ha specificato che tali principi non ostano ad una
disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un
servizio pubblico direttamente ad una società della quale
esso
detiene l’intero capitale, “... a condizione che
l’ente pubblico eserciti su tale società un
controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la
società
realizzi la parte più importante della propria
attività
con l’ente che la detiene”.
In sostanza, i requisiti del “controllo analogo” e
della
“rilevante attività” devono sempre
essere accertati
se si vuole affidare direttamente a società, miste o a
capitale
interamente pubblico, un appalto o una concessione di pubblico
servizio, anche locale se a rilevanza economica (a conferma, si
richiama anche la sentenza della Corte di Giustizia, 11.5.2006, in
causa C-340/04, Carbotermo).
Che tali conclusioni siano eccessivamente penalizzanti per lo sviluppo
dell’istituto dell’affidamento “in
house”, come
paventato da alcuni commenti dottrinari, è circostanza che
non
può rilevare nella presente sede, ove si deve tenere conto
dello
stato attuale della legislazione nazionale e comunitaria e dei principi
ad essa correlati.
Precisando, quindi, che deve verificarsi, nel caso di specie, la
eventuale sussistenza dei due requisiti sopra richiamati, per
giustificare l’affidamento diretto come disposto in favore
della
SETA S.p.A., alla luce dell’art. 113, comma 5, lett. c),
d.lgs.
n. 265/2000 che esplicitamente li richiama, in relazione agli artt. 43,
49, paragrafo 1, e 86, paragrafo 1, del Trattato CE, il Collegio
precisa quanto segue.
1. In ordine al requisito del
“controllo analogo”.
In ordine a tale esame è necessario partire da quanto
previsto
dal protocollo d’intesa stipulato tra le parti in data 18
luglio
2005 e dalla successiva convenzione del 25 ottobre 2005 per verificare
se sussiste il richiamato “controllo analogo”,
qualificato,
in sintesi, dalla medesima Corte di Giustizia come una influenza o una
possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi
strategici sia sulle decisioni più importanti della
società giuridica affidataria, tenendo conto che la
circostanza
della presenza di un capitale interamente pubblico non è di
per
sé dirimente a tali fini (sentenza
“Carbotermo”
cit.).
Non si può fare a meno, dunque, di esaminare in concreto i
rapporti sociali ed i collegamenti tra ente affidante e persona
giuridica affidataria, come concordano anche la società
ricorrente e il Consorzio resistente.
In primo luogo, prendendo in esame lo statuto della SETA S.p.A., si
rileva, all’art. 3 - Oggetto - che “La
società ...
ha quale oggetto l’attività di gestione dei
servizi
preordinati alla tutela, conservazione, valorizzazione della
qualità ambientale, senza vincoli di
territorialità,
eccetto la città di Torino. La società
può
ricevere l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto
degli
RSU e RSA nonché i servizi di igiene urbana da Consorzi di
Bacino, relativamente all’ambito territoriale di competenza,
ovvero da singoli Comuni, relativamente ai servizi di igiene urbana,
nel rispetto dell’art. 113, comma 5 del D.Lgs. 267/2000; la
gestione del servizio di raccolta e trasporto degli RSU e RSA e/o del
servizio di igiene urbana oggetto dell’affidamento
è
svolta secondo quanto previsto in apposita convenzione e/o contratto di
servizio, anche al fine di assicurare che i soci affidanti esercitino
il controllo ai sensi dell’art. 113, comma 5 lett. C del
D.lgs.
267/2000 e della L.R. Piemonte 24/2002. Essa potrà tra
l’altro svolgere, a titolo puramente esplicativo e non
esaustivo:
la gestione dei servizi di igiene ambientale, compresa la manutenzione
del verde, nel rispetto della normativa nazionale, regionale e
provinciale vigente; la raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani,
assimilati, speciali pericolosi e non; le operazioni di nettezza urbana
(quale pulizia viaria, spezzamento e lavaggio strade e altri spazi
pubblici comprese le aree complementari); le operazioni di qualsiasi
tipo destinate a consentire il riuso dei prodotti e il riciclo dei
materiali provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti solidi
urbani e/o assimilati; lo sgombero neve; le operazioni e i servizi di
valorizzazione ambientale in genere, comprese le attività di
bonifica di aree compromesse, terreni e falde nonché la
rimozione di discariche abusive; le attività di trasporto
cose
in conto terzi, nell’ambito dei propri servizi;
l’attività di riscossione della tariffa di igiene
ambientale ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 22/1997 a seguito
della relativa approvazione da parte dei comuni interessati. Essa
potrà operare inoltre in settori integrativi, complementari
e
affini ... 2. La società può inoltre eseguire
qualsiasi
attività di carattere immobiliare, mobiliare, commerciale,
industriale, finanziario, comunque connessa o complementare a quelle
sopra indicate o reputata necessaria o utile per il conseguimento,
anche indiretto, degli scopi sociali, con eccezione della raccolta del
risparmio tra il pubblico e dell’esercizio delle
attività
riservate agli intermediari finanziari. 3. La società
può
effettuare le attività rientranti nel proprio oggetto
sociale
tanto direttamente quanto indirettamente, anche per conto di soggetti
terzi, pubblici e privati, in regime di concessione, di appalto,
nonché di affidamento ai sensi della vigente normativa in
materia di servizi pubblici locali e di gestione dei relativi impianti,
reti, infrastrutture e dotazioni patrimoniali, ed in qualunque altra
forma o qualunque altro titolo nel rispetto delle leggi vigenti. A tali
fini la società può partecipare, anche in forma
associata, a qualsivoglia genere di gara o di procedura di selezione ad
evidenza pubblica. 4. La società può assumere
partecipazioni od interessenze in altre società o imprese,
tanto
italiane quanto estere, aventi oggetto analogo, affine o complementare
al proprio oggetto sociale; può altresì prestare
garanzie
reali e/o personali per obbligazioni sia proprie che di terzi, anche a
favore di enti o società controllati o collegati”.
Come si può rilevare, l’oggetto sociale
è
particolarmente ampio e non limitato esclusivamente a servizio analogo
a quello affidato dal Consorzio, secondo quanto sarà in
prosieguo ulteriormente approfondito.
Inoltre, l’art. 9 dello Statuto prevede che il consiglio di
amministrazione sia composto da un minimo di cinque ed un massimo di
nove membri, nominati dall’assemblea ordinaria. Le relative
deliberazioni sono assunte con il voto favorevole di almeno due terzi
dei consiglieri in specifiche materie, tra cui l’approvazione
del
bilancio. Il collegio sindacale, poi, secondo l’art. 15,
è
formato da tre sindaci effettivi e da due supplenti.
Premesso ciò, il Collegio esamina il protocollo
d’intesa
sottoscritto il 18 luglio 2005, che pone le regole per il servizio da
affidare alla SETA S.p.A., ai sensi dell’art. 113, comma 5,
lett.
c), d.lgs. n. 267/2000.
Ebbene, al punto 2 (Obiettivi), è testualmente affermato che
le
parti desiderano integrarsi ai fini del rispetto delle condizioni di
cui all’art. 113, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 267/2000 cit.,
mediante un assetto che prevede: la titolarità da parte del
Consorzio di una partecipazione pari a circa il 10% del capitale
sociale di SETA, per un valore nominale di circa 800.000,00 euro; il
diritto di designare due membri del consiglio di amministrazione; la
possibilità di essere coinvolto nell’assunzione di
deliberazioni relative al servizio in tema: a) di acquisto ed
alienazione di aziende o rami d’azienda strumentale allo
svolgimento del servizio nel bacino 17°; b) di apertura e
chiusura
di sedi secondarie nel territorio compreso nell’attuale
bacino
17°; c) di modalità di erogazione del servizio sul
territorio servito; d) di definizione del piano di investimenti di SETA
attinenti ai servizi oggetto dell’affidamento.
E’ indicato come mero obiettivo del Consorzio quello di
ottenere
la nomina di un componente il collegio sindacale al momento del rinnovo
dell’organo in questione.
E’ inoltre specificato che l’esercizio di un
controllo sui
servizi affidati a SETA, analogo a quello esercitato dai comuni suoi
membri sui rispettivi servizi, sarà perseguito mediante la
definizione del contenuto di una convenzione tipo e di contratti di
servizio.
Nel definire le modalità con cui attuare il protocollo
d’intesa, le parti stabilivano che in una prima fase il
Consorzio
avrebbe acquistato azioni per un valore nominale di euro 200.000,00 e
che la gestione diretta del servizio sarebbe avvenuta soltanto
mediante: a) la partecipazione al capitale sociale a controllo
completamente pubblico dello stesso; b) la sussistenza
dell’esercizio di un controllo analogo; c) la realizzazione
della
parte più importante del servizio con il Consorzio, con
ciò ribadendo la necessità di rispettare, in
teoria, i
criteri generali indicati dalla legge e frutto
dell’elaborazione
della giurisprudenza comunitaria.
Su tale regolamentazione futura il Collegio concorda con quanto
osservato dalla società ricorrente in ordine alla
partecipazione
sociale da parte del consorzio.
Il 10 per cento della stessa, di per sé, non appare idoneo a
poter qualificare il necessario stringente controllo sulla
società partecipata, tenuto conto della varietà
della sua
attività come descritta nel su riportato articolo dello
statuto.
In più, dalla visura camerale relativa alla SETA depositata
in
giudizio dalla società ricorrente, risulta che, al momento
dell’affidamento, il Consorzio poteva vantare solo una
partecipazione effettiva del 2,5%, pari al valore nominale di 200.000
azioni, e che gli amministratori in carica sono pari al numero massimo
previsto dallo statuto corrispondente a nove.
Ne consegue, in primo luogo, che la partecipazione al capitale sociale
al 2,5% appare davvero esigua in relazione alla pretesa di esercitare
il necessario “controllo analogo” nelle forme sopra
specificate, perché bisogna tenere conto
dell’effettiva
partecipazione al momento dell’affidamento e non di future
possibilità di ampliamento e che, ad ogni modo, anche
un’eventuale partecipazione al 10% non potrebbe concretare
forme
di controllo stringente come richiesto dalla legge, in relazione alla
vastità dell’oggetto sociale.
Inoltre, in merito, appare condivisibile anche la seconda osservazione
della società ricorrente in relazione all’esiguo
numero di
amministratori, pari a due su nove, lasciato alla scelta del Consorzio,
inidoneo certamente ad influenzare le scelte del consiglio di
amministrazione medesimo; ciò vale anche per la nomina di un
solo un componente su tre del collegio sindacale, nomina ancora da
effettuare alla scadenza dell’attuale mandato del collegio in
questione.
Non appare corretta, quindi, sul punto l’affermazione del
Consorzio resistente contenuta a p. 23 della memoria di costituzione e
risposta, secondo cui esso può contare su due componenti del
consiglio di amministrazione “su un totale di cinque
membri”, laddove è stato dimostrato “per
tabulas” che il consiglio di amministrazione di SETA
è
composto da nove membri. Inoltre, lo statuto della società
affidataria prevede che al consiglio di amministrazione compete la
gestione ordinaria e straordinaria della società, con i
poteri
più ampi per compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale, escluse solo le facoltà
riservate
all’assemblea dei soci.
Tenuto conto, quindi, dell’ampio potere riconosciuto a detto
consiglio di amministrazione e dell’ampiezza
dell’oggetto
sociale, come sopra riportato, non appare proprio al Collegio che nel
caso di specie possa configurarsi un controllo stringente da parte del
Consorzio affidante i servizi in questione.
Tale circostanza appare ancora più importante laddove si
debba
pervenire all’approvazione del bilancio, per statuto
approvato
con i 2/3 degli amministratori, ove i due segnalati dal Consorzio
sarebbero in netta minoranza e non potrebbero influenzare in alcun modo
le scelte gestionali relative.
Sostiene poi il Consorzio resistente che gli effettivi rapporti di
controllo sulla società affidataria devono desumersi dalla
successiva convenzione sottoscritta tra le parti in data 28 ottobre
2005.
In tale atto, però, il Collegio non riscontra particolari
elementi idonei a dimostrare la sussistenza del controllo analogo
stringente richiesto.
In essa vi è soltanto un generico potere, riconosciuto al
Consorzio, di indirizzo e controllo dei servizi svolti dalla
società in questione ma non dei poteri di vigilanza e
controllo
sulle modalità di gestione dell’intera
società.
Oltre tutto tale previsione appare generica e non sostenuta da
specifici elementi concreti su cui il Collegio possa verificare in che
modo il perseguimento dell’oggetto sociale possa essere
influenzato in maniera stringente dal Consorzio resistente mediante
tali controlli.
Né le ulteriori argomentazioni addotte dal Consorzio a
confutazione delle tesi della società ricorrente - riprese
anche
dalla società controinteressata - appaiono convincenti sul
punto.
Sostiene questo che la suddetta convenzione attribuirebbe al Consorzio
un potere di ingerenza diretta nell’attività della
SETA
relativa al servizio in questione, considerando anche che la
partecipazione al 10% del capitale sociale sarebbe proporzionale al
numero di abitanti, in rapporto a quello totale del bacino di utenza
della SETA, facenti capo al consorzio medesimo, rappresentando
così un “peso” effettivo idoneo a
giustificare la
partecipazione azionaria suddetta.
Sul punto, però, il Collegio osserva che il controllo
analogo
inteso nel senso sopra specificato non può essere frantumato
in
tanti parametri proporzionati alla percentuale di partecipazione ma
deve essere verificato in ordine all’intero capitale sociale
ed
agli obiettivi generali della società partecipata, non
potendosi
ritenere - proprio in caso di partecipazione sociale suddivisa tra vari
soci con partecipazioni percentuale non prevalente - che possano
sussistere tanti “controlli analoghi” quanti sono i
soci in
relazione alla partecipazione al capitale sociale limitata alla propria
“quota” di interesse, nel caso di specie rapportata
al
bacino d’utenza di riferimento dei comuni consorziati.
Il “controllo analogo” cui fa riferimento la
giurisprudenza
comunitaria o sussiste su tutta l’attività sociale
o non
sussiste, non potendosi ritenere che esso si presenti in una multiforme
applicazione in relazione alla partecipazione percentuale dei singoli
soci.
Inoltre, il medesimo Consorzio resistente insiste nel rilevare che
nella convenzione sopra ricordata si rinvenirebbe una ingerenza
stringente da parte del Consorzio medesimo nell’operato di
SETA
S.p.A..
Tale conclusione, però, non risulta specificata in relazione
a
fattispecie concrete, tenuto conto di quanto evidenziato sopra in
relazione all’ampiezza dell’oggetto sociale, al
consistente
numero di consiglieri di amministrazione e alle loro prerogative.
Inoltre, nel protocollo d’intesa del luglio 2005 è
unicamente previsto che il Consorzio, in riferimento al bacino n. 17,
ha la possibilità di “concordare” con
SETA
particolari contratti di servizio o modifiche statutarie o specifici
patti parasociali ma questa, come letteralmente si evince, è
una
mera facoltà e non una possibilità di imposizione
né è specificato cosa deciderebbe
l’organo
amministrativo di SETA nell’ipotesi in cui i consiglieri di
amministrazione, diversi da quelli segnalati dal Consorzio, non
concordassero con le scelte suggerite dai rappresentanti di
quest’ultimo.
In assenza di norme specifiche appare chiaro che la maggioranza del
consiglio di amministrazione potrebbe ben decidere in senso diverso da
quello propugnato dal Consorzio.
Né appare condivisibile l’altra argomentazione
sostenuta
dal Consorzio resistente, secondo la quale sarebbero i vari comuni che
lo compongono ad esercitare direttamente il “controllo
analogo” per il tramite del Consorzio medesimo.
In merito, il Collegio concorda con il richiamo operato dalla difesa
della società ricorrente alle sentenze della Corte di
giustizia,
secondo cui la gestione di propri servizi per mezzo di
società
“holding” - cui è assimilabile la
fattispecie in
esame relativa al rapporto tra Consorzio e “suoi”
comuni -
può indebolire il controllo eventualmente esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice sulla società
per
azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale.
Tant’é che ancora una volta non viene chiarito
cosa
accadrebbe nell’ipotesi in cui la amministrazione di SETA
decidesse di non conformarsi alle prescrizioni che i singoli comuni
riterrebbero di impartire per il tramite del Consorzio partecipato.
Quanto osservato, è sufficiente per rinvenire
l’assenza
del necessario requisito del “controllo analogo”,
circostanza che, di per sé, impedirebbe di considerare
legittimamente affidato il servizio in questione.
Ad ogni modo, il Collegio evidenzia anche l’assenza del
requisito dell’“attività
prevalente”.
2. In ordine al requisito
dell’“attività prevalente”.
Come già sopra più volte evidenziato,
l’oggetto
sociale della SETA è molto ampio, prevedendo non solo la
gestione di servizi analoghi a quello affidato ma anche, tra altre, a
titolo esemplificativo, qualsiasi attività “di
carattere
immobiliare, mobiliare, commerciale, industriale, finanziario connessa
o complementare a quelle indicate o reputata necessaria e utile per il
conseguimento anche indiretto degli scopi sociali”. Appare
evidente, quindi, che l’attività della SETA non
può
essere considerata in alcun modo svolta a favore preponderante di un
particolare socio, soprattutto, come nel caso di specie, quando la
partecipazione sociale dello stesso è esigua e i suoi
rappresentanti sono in minoranza nel consiglio di amministrazione.
In più, la società ricorrente ha depositato in
giudizio
documentazione da cui si evince che il fatturato relativo ai servizi
resi al di fuori dell’ambito territoriale facente capo al
Consorzio, per servizi analoghi a quelli affidati, nel 2004 arrivava a
quasi 30 milioni di euro, a fronte di un fatturato annuo che la
società affidataria ricaverà per i servizi resi
al
consorzio affidante, pari a euro 1.632.875.
Inoltre, si osserva anche che, per statuto, la società in
questione può partecipare a numerose gare
d’appalto anche
in comuni diversi dalla regione Piemonte, con ciò
confermando
che essa si pone traguardi di sviluppo imprenditoriale assai
più
ampi di quelli contenuti nell’ambito del bacino di utenza del
Consorzio affidante il servizio per cui è causa.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere accolto
in relazione alla domanda di annullamento delle deliberazioni del
Consiglio di Amministrazione di SETA n. 22 e n. 23 del 15 febbraio 2006
nonché dell’Assemblea Consorziale n. 3 del 1
febbraio 2006.
In subordine, la società ricorrente ha chiesto anche
l’annullamento del protocollo d’intesa in data 16
giugno
2005.
In merito, però, il Collegio osserva che tale atto non
può qualificarsi come provvedimento amministrativo ma come
accordo tra le parti liberamente assunto che, in quanto tale, non
influisce sul concreto affidamento contestato, frutto invece dei
provvedimenti sopra ricordati.
L’accoglimento del ricorso, quindi, deve limitarsi ai
provvedimenti sopra descritti, che sono quelli idonei cui ricondurre
l’affidamento diretto illegittimamente disposto.
La complessità delle questioni trattate comporta giusti
motivi
per compensare integralmente tra le parti costituite le spese del
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - 2^ Sezione -
accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i
provvedimenti impugnati come in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino, alla camera di consiglio del 13
luglio 2006, con l’intervento dei signori magistrati:
Giuseppe Calvo Presidente
Ivo Correale Referendario, estensore
Antonio Plaisant Referendario
Il Presidente L’Estensore
Il Direttore Segreteria II Sezione
Depositata in Segreteria a sensi di
Legge il
13 NOVEMBRE 2006
Rifiuti. Sevizi pubblici di igiene urbana
- Dettagli
- Categoria principale: Rifiuti
- Categoria: Giurisprudenza Amministrativa TAR
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