TAR Puglia (BA) Sez. I n. 1580 del 29 ottobre 2021
Rifiuti.Biogas proveniente da rifiuti di matrice organica

L’allegato X alla parte V del D.Lgs. n.152/2006, dedicato ai combustibili, si riferisce all’impiego di combustibili d’alimentazione negli impianti dei titoli I e II della parte V (quest’ultima contenente le norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera) del T.U. Ambiente, prescrivendo espressamente, nella sezione 6 della parte II, per l’utilizzo in combustione del biogas proveniente da “discariche, fanghi, liquami e altri rifiuti di matrice organica”, il rispetto delle modalità e condizioni previste dalla disciplina sui rifiuti (implicitamente escludendo, quindi, le disposizioni della parte V invocate dalla ricorrente). Precipitato logico di tale statuizione è che il biogas proveniente da rifiuti di matrice organica (quali i fanghi e liquami) segue la disciplina dei rifiuti e necessita, per ciò, di autorizzazione ad hoc.

Pubblicato il 29/10/2021

N. 01580/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00321/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 321 del 2017, proposto da
Acquedotto Pugliese S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Monica Boezio e Maria Rosaria Mola, con domicilio eletto presso lo studio Maria Rosaria Mola in Bari, via Cognetti, n.36;

contro

Regione Puglia, Autorità Idrica Pugliese, Comune di Cassano delle Murge non costituiti in giudizio;
Citta' Metropolitana di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Rosa Dipierro, Monica Gallo, con domicilio eletto presso lo studio Metropolitana Città in Bari, Lungomare Nazario Sauro, n.29;

per l'annullamento

- della determina dirigenziale n. 82 del 12.1.2017, ricevuta via pec in pari data, recante l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera dei gas provenienti dal depuratore di acque reflue di Cassano, limitatamente alla prescrizione con cui si impone all'Acquedotto Pugliese (AQP), di acquisire un'ulteriore autorizzazione, ai sensi della parte IV del D.Lgs n.152/2006, per lo smaltimento del biogas;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Citta' Metropolitana di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6.10.2021 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori avv. Maria Rosaria Mola, per la ricorrente e l'avv. Alessia Strada, su delega dell'avv. Rosa Dipierro, per la città Metropolitana;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La ricorrente si duole della prescrizione (contenuta nella determina dirigenziale della Città Metropolitana di Bari, n. 82 del 12.1.2017, recante l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera dei gas provenienti dal depuratore di acque reflue di Cassano) che impone all'Acquedotto Pugliese (AQP), di acquisire un'ulteriore autorizzazione, ai sensi della parte IV del D.Lgs 152/2006 per la combustione del biogas (destinato ad essere arso per alimentare l’essiccatore dei fanghi reflui, facente parte del complessivo impianto di depurazione).

Giova chiarire, per una migliore comprensione in fatto della vicenda da cui trae origine l’odierna controversia, che la società ricorrente gestisce detto impianto di depurazione delle acque reflue urbane ed ha richiesto, ex art. 269 D.Lgs. n.152/2006, all’Amministrazione provinciale (ora metropolitana) l’autorizzazione all’emissione in atmosfera delle sostanze gassose derivanti dall’attività depurativa.

La ricorrente ha compreso nella richiesta autorizzatoria anche il biogas riveniente dalla digestione anaerobica dei fanghi di depurazione, il quale -così come già indicato nella precedente parte motiva e specificato nella relazione tecnica sul funzionamento dell’impianto ovvero nello stesso provvedimento parzialmente impugnato- è destinato alla combustione per alimentare il digestore (ad eccezione dell’eventuale quota di esso eccedente l’impiego nella centrale termica, da bruciarsi a mezzo di una torcia di emergenza), con rilascio dei prodotti di combustione in atmosfera.

L’Amministrazione, nel concedere l’autorizzazione per gli altri effluenti gassosi, ha prescritto, tuttavia, che detto biogas, sul presupposto della sua qualificazione come combustibile e della sua conseguente disciplina ai sensi dell’allegato X (alla parte V), parte II, sezione 6 del D.Lgs. n.152/2006, segua, invece, la normativa sui rifiuti, prevista nella parte IV del D.Lgs. n.152/2006, così come contemplato dalla predetta sezione 6, laddove prescrive che “Il biogas deve provenire dalla fermentazione anaerobica metanogenica di sostanze organiche, quali per esempio effluenti di allevamento, prodotti agricoli o borlande di distillazione, purche' tali sostanze non costituiscano rifiuti ai sensi della parte quarta del presente decreto. In particolare non deve essere prodotto da discariche, fanghi, liquami e altri rifiuti a matrice organica. Il biogas derivante dai rifiuti può essere utilizzato con le modalità e alle condizioni previste dalla normativa sui rifiuti”.

La ricorrente, con quattro motivi di gravame dei quali, per ragioni di sintesi, si darà più dettagliatamente conto nel prosieguo motivazionale, contesta in diritto l’applicabilità alla fattispecie in esame della disposizione sopramenzionata.

Concisamente, la ricorrente:

- esclude che il biogas possa definirsi “rifiuto”- richiamando gli artt. 183, 184 bis e 185 D.Lgs. n.152/2006 – ritenendo, quindi, erronea la prescrizione dell’Amministrazione, reclamando, invece, l’inapplicabilità della disciplina del menzionato allegato all’impianto de quo;

- invoca, poi, a sostegno della propria tesi, le prescrizioni di cui agli artt. 185 e 269 D.Lgs. n.152/2006 che, da un lato, escluderebbero (art. 185) dall’ambito di applicazione della parte IV (dedicata alla disciplina sui rifiuti) le emissioni costituite da effluenti gassosi; dall’altro (art. 269) prescriverebbero l’unicità dell’autorizzazione per tutte le attività presenti in un unico stabilimento.

Il 30.3.2017, si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del gravame per la mancata impugnazione del verbale della conferenza di servizi tenutasi ai sensi dell’art.269 co.3 D.Lgs. n.152/2006; poi, prendendo posizione sulle censure tutte formulate dalla ricorrente; infine, ritenendo la materia del contendere oggetto di discrezionalità tecnica e, come tale, insindacabile nel merito.

In vista dell’udienza, la ricorrente ha depositato documenti (25.8.2021) e memoria conclusionale (3.9.2021), con cui ha ripercorso le argomentazioni sostenute.

L’Amministrazione intimata, invece, ha prima depositato la propria memoria difensiva (11.8.2021), confermando le proprie difese, e poi, con memoria di replica del 15.9.2021, ha controdedotto alle argomentazioni della ricorrente.

All’udienza del 6.10.2021, la causa è trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e tanto esime il Collegio dall’esaminare diffusamente le eccezioni preliminari formulate dall’Amministrazione resistente, su cui ci si soffermerà in modo sintetico, per soli fini di completezza motivazionale.

In primo luogo, l’Ente deduce, nella propria memoria di costituzione, l’inammissibilità del gravame per non avere la ricorrente impugnato preventivamente il verbale conclusivo della conferenza di servizi, tenutasi ai sensi dell’art.14 ter L. n. 241/1990, ovvero gli atti ad esso presupposti.

L’eccezione è infondata, in quanto la conferenza di servizi, indetta nel procedimento di cui al presente giudizio, è stata avviata nel regime normativo antecedente l’introduzione dell’art.14 quater L. n. 241/1990, così come sostituito dall’art.1, comma 1, D. Lgs. n.127/2016 (applicabile, in virtù dell’art. 7 del medesimo decreto, ai soli procedimenti instaurati successivamente alla sua entrata in vigore e, dunque, ratione temporis, non a quello in esame).

Ne consegue la natura esclusivamente endoprocedimentale e, dunque, non immediatamente lesiva, delle determinazioni conclusive della conferenza stessa, non avendo esse valenza sostitutiva del provvedimento finale che, invece, può desumersi soltanto dal testo dell’art. 14 quater cit. oggi vigente ma ininfluente, perché sopravvenuto, rispetto alla fattispecie in esame.

Va, poi, sgomberato il campo dalla suggestiva ma non corretta allegazione dell’Amministrazione, secondo la quale la fattispecie di cui trattasi rientrerebbe tra quelle di discrezionalità tecnica e, come tale, sarebbe insindacabile nel merito.

Così non è, atteso che l’intera controversia si snoda intorno la qualificazione giuridica del biogas, risolvendosi, quindi, in questioni di puro diritto, da cui esula qualsivoglia profilo valutativo discrezionale, sia pur tecnico.

Tanto premesso, può passarsi all’esame delle censure che, nel merito, sono tutte infondate.

Le parti, come anticipato, dibattono sulla qualificazione del biogas proveniente dai reflui di un depuratore e destinato alla combustione e, pertanto, sulla disciplina ad esso applicabile.

In prima battuta, il ricorso muove dall’assunto secondo cui il biogas non potrebbe considerarsi ‘rifiuto’ in quanto effluente gassoso escluso ex lege dal novero dei rifiuti (ex artt. 183, 185 D.Lgs. n.152/2006) ed incluso nelle emissioni di cui all’art 269 D. Lgs. n.152/2006; al più, si sostiene, esso rappresenterebbe un ‘sottoprodotto’ del procedimento di depurazione delle acque, utile ad alimentare l’impianto e, quindi, rispondente alle caratteristiche ex art.184 bis D. Lgs. n.152/2006.

La ricorrente si duole, poi, dell’errata applicazione dell’allegato X alla parte V, D.Lgs. n.152/2006, affermando che il menzionato allegato, posto a base della prescrizione impugnata, si riferirebbe ad impianti diversi (per dimensioni) da quello preso in considerazione.

Infine, lamenta l’illogicità e l’erroneità della motivazione - peraltro definita carente - della prescrizione impugnata, in ragione del fatto che l’Amministrazione procedente non solo non avrebbe esaustivamente giustificato la propria determinazione sul punto, ma avrebbe errato nel corretto inquadramento, di cui alla disciplina ex D.Lgs. n.152/2006, del materiale in questione.

Alla luce della stretta connessione fra le diverse doglianze, queste possono essere scrutinate congiuntamente.

Preliminarmente, deve evidenziarsi l’inconferenza, rispetto al caso di specie, degli artt. 185 e 269 D. Lgs. n.152/2006, richiamati dalla ricorrente a sostegno del proprio gravame.

Infatti, benché su tale aspetto non si sia diffusamente soffermata l’Amministrazione metropolitana, le due disposizioni si riferiscono -come espressamente chiarito dal dato testuale- alle sole emissioni degli effluenti gassosi in atmosfera e, pertanto, non risultano applicabili alla fattispecie in esame.

Invero, come già anticipato in premessa e pacifico in atti, il biogas, sulla qualificazione del quale le parti dibattono, non è finalizzato ad essere emesso direttamente in atmosfera ma, invece, è destinato alla combustione per la produzione di energia termica per lo stesso impianto di depurazione, sicchè sono al più i fumi di combustione ad essere destinati all’emissione.

Sulla scorta di tale rilievo, le disposizioni sopraindicate, dedicate alle emissioni (dirette) in atmosfera - e non ai combustibili - non possono essere invocate per governare la fattispecie.

Deve aggiungersi, a tal proposito, che i richiami evocati dalla ricorrente alle autorizzazioni già ottenute per altri impianti si palesano fuori mira poiché si riferiscono ad ipotesi di autorizzazioni alle mere emissioni in atmosfera ex art.269 D.Lgs. n.152/2006 e, dunque, non volte a regolare l’utilizzo del biogas per combustione.

In via dirimente, si osserva che, quand’anche fossero stati casi del tutto identici, l’accertata correttezza dell’agere amministrativo metropolitano nel caso in questa sede sottoposto al vaglio giurisdizionale renderebbe assolutamente irrilevante qualsiasi altro provvedimento di contenuto difforme della cui legittimità non potrebbe che dubitarsi.

Quanto, poi, al nucleo centrale della controversia, ossia la qualificazione ex se del biogas e, quindi, la legittimità della prescrizione impartita, attesa la accertata destinazione della sostanza gassosa alla combustione, essa va desunta dall’analisi puntuale del disposto dall’allegato X alla parte V del D.Lgs. n.152/2006 dedicato, proprio ai combustibili.

Per espressa disposizione normativa, il menzionato allegato si riferisce all’impiego di combustibili d’alimentazione negli impianti dei titoli I e II della parte V (quest’ultima contenente le norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera) del T.U. Ambiente, prescrivendo espressamente, nella sezione 6 della parte II, per l’utilizzo in combustione del biogas proveniente da “discariche, fanghi, liquami e altri rifiuti di matrice organica”, il rispetto delle modalità e condizioni previste dalla disciplina sui rifiuti (implicitamente escludendo, quindi, le disposizioni della parte V invocate dalla ricorrente).

Precipitato logico di tale statuizione è che il biogas proveniente da rifiuti di matrice organica (quali i fanghi e liquami) segue la disciplina dei rifiuti e necessita, per ciò, di autorizzazione ad hoc.

Per escluderne tale natura (ossia di biogas proveniente da rifiuto ed in particolare da fanghi di depurazione di liquami) la ricorrente ha invocato, negli ultimi scritti difensivi, la prescrizione di cui all’art. 127 D.Lgs. n.152/2006, secondo cui detti fanghi andrebbero considerati rifiuti solo a compimento del processo di depurazione (art. 127 D.Lgs. n.152/2006: “1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato (1) .

2. È vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.”) .

Tale soluzione interpretativa, per quanto suggestiva, non può essere percorsa poiché si pone in contrasto con il canone ermeneutico di ragionevolezza, nonché con basilari esigenze di tutela della salute, in quanto non ne sarebbe ravvisabile alcuna ragionevole giustificazione, non comprendendosi in che modo i fanghi prodotti da rifiuti (per ciò solo potenzialmente nocivi) possano perdere le proprie caratteristiche ontologiche in un processo di depurazione a circuito chiuso ed addirittura prima che questo venga completato, per poi riacquistarla a compimento del trattamento complessivo.

Al contrario, come efficacemente dedotto dalla difesa dell’Amministrazione, citando pertinente giurisprudenza a supporto (Corte di Cassazione penale n. 27958 del 6.6.2017), la ratio legis dell’art.127 D.Lgs. n.152/2006 va individuata nell’esigenza di precisare come i citati fanghi, oltre che durante il normale decorso del trattamento, mantengano la qualifica di rifiuti persino a compimento dell’iter depurativo. In particolare, come chiarito dal precedente indicato “le parole “e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”, aggiunte dal decreto legislativo n. 4 del 2008, vanno lette nel senso che il legislatore non ha inteso restringere, attraverso il riferimento cronologico, l’applicabilità delle disposizioni sui rifiuti, confinandole esclusivamente alla fine del processo di trattamento e disinteressandosi di qualsiasi tutela ambientale nelle fasi precedenti, ma ha precisato che la disciplina sui rifiuti va applicata al trattamento considerato nel suo complesso e ciò anche in considerazione del fatto che il preliminare trattamento dei fanghi viene effettuato presso l’impianto ed è finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale (smaltimento o riutilizzo) in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi, con la conseguenza che la disciplina sui rifiuti si applica anche in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio (Sez. 3, n. 36096 del 22/09/2011, Lupi, Rv. 25126), e tanto per comprensibili ragioni di tutela ambientale e della salute umana che costituiscono la ratio essendi delle disposizioni in materia.”.

Infine, neppure coglie nel segno la prospettata esclusione dalla disciplina di cui alla sezione 6, in considerazione delle caratteristiche dimensionali dell’impianto, assumendo la difesa della ricorrente che la disciplina in questione sia applicabile solo ai grandi impianti di cui al titolo I della parte V (dedicata ai rifiuti).

Infatti, le disposizioni di cui alla sezione 6 si applicano anche agli impianti disciplinati dal titolo II della parte V (v. allegato X, parte I, sezione 2), ossia anche quelli di dimensioni pari a quelle del depuratore di Cassano Murge che ha potenza termica nominale inferiore a 3MW.

In particolare, la sezione 2 della parte I dell’allegato X già citato, nell’indicare l’elenco dei combustibili di cui è consentito l'utilizzo negli impianti di cui al titolo II (tra cui quelli con potenza inferiore a 3 MW), contempla il “n) biogas individuato nella parte II, sezione 6, alle condizioni ivi previste.”.

I limiti appena indicati al suo utilizzo, oltre al principio di specialità delle disposizioni dell’allegato X appena citate inerenti il biogas, escludono, inoltre, che il predetto biogas possa essere considerato un sottoprodotto ai sensi dell’art. 184 bis cit. (vigente ratione temporis), invocato dalla ricorrente, sicchè il relativo profilo di censura va respinto al pari degli altri.

Neppure, infine, risulta pertinente il precedente (TAR Sicilia, Palermo I sez., n. 1430 del 24.5.2007)

invocato dall’AQP a sostegno delle proprie tesi, in considerazione della diversa provenienza del biogas in quella sede controverso (derivante da fermentazione di prodotti vegetali).

Sulla scorta delle considerazioni suesposte, ogni profilo di censura inerente la sufficienza motivazionale perde di rilievo, essendo emerso dalla ricostruzione normativa sin qui operata che l’Ente metropolitano, con la prescrizione imposta, ha fatto buon governo della disciplina di settore applicabile al biogas combustibile proveniente da rifiuti.

Conclusivamente, per le ragioni suesposte, il ricorso non può trovare accoglimento.

Le spese derogano alla soccombenza in ragione della particolarità e novità della questione esaminata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese integralmente compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6.10.2021 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Desirèe Zonno, Consigliere, Estensore

Angelo Fanizza, Consigliere