Consiglio di Stato Sez. II n. 7839 del 14 novembre 2019
Beni ambientali.Tutela del paesaggio e pianificazione urbanistica
La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa di tali valori. La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia; non par dubbio che gli interventi di antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale con finalità residenziali, soprattutto quando siano particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.
Pubblicato il 14/11/2019
N. 07839/2019REG.PROV.COLL.
N. 02129/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2129 del 2009, proposto dalle signore Caldarola Adesso Giovanna e Caldarola Maria Alda, rappresentate e difese dall’avvocato Sergio Quatela, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Testori in Roma, via Gregorio VII, n. 269,
contro
- la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
- il Comune di Ruvo di Puglia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Caputi Iambrenghi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vincenzo Picardi, n. 4/B;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 486/2008, resa tra le parti, concernente delibera regionale di approvazione di variante al Piano regolatore generale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ruvo di Puglia;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Sabino Adesso e Vito Adesso, nella loro qualità di eredi della signora Giovanna Caldarola;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Pellegrini S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nella sua qualità di procuratrice dei suindicati signori Adesso e promissaria acquirente del suolo di cui è causa, con contestuale declaratoria di sostituzione per tutte e tre le parti del difensore della de cuius;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1° ottobre 2019, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Gabriele Bavaro e l’avvocato Vincenzo Caputi Iambrenghi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Le signore Caldarola hanno impugnato innanzi al T.A.R. per la Puglia la deliberazione di approvazione definitiva, da parte della Giunta regionale (deliberazione n. 282 del 15 aprile 1999) della variante generale al Piano regolatore (PRG) del Comune di Ruvo di Puglia, nonché gli atti comunali presupposti, quali, in particolare, le deliberazioni n. 121 del 10 settembre 1997 e n. 70 del 26 ottobre 1998, con le quali l’Ente, dopo aver controdedotto alla deliberazione di Giunta n. 7557/96, adeguando nel contempo gli elaborati progettuali, si è sostanzialmente adeguato alle indicazioni contenute nella nota regionale n. 9797/1 del 30 settembre 1998.
Esse hanno agito quali proprietarie, nel territorio di ridetto Comune, di un complesso immobiliare costituito, per una parte più ridotta, da un fabbricato storico in precario stato di conservazione, denominato “villa Boccuzzi” e per la restante più vasta parte da un circostante terreno, con annessa pertinenza, di estensione complessiva pari a mq. 2000.
In particolare, mentre in precedenza i ridetti terreni risultavano inseriti in zona B/2, parzialmente edificata (di completamento), con gli atti avversati sarebbero stati inseriti in A/2, unitamente ad altre quindici ville storiche pure catalogabili come “beni sparsi”, con conseguente applicazione del ridotto regime di edificabilità del suolo riconducibile alle – novellate - N.T.E., che impongono che “in sede di esame del progetto edilizio e/o urbanistico dovranno essere valutate le peculiarità dell’immobile e sue pertinenze che possono determinare l’estensione della zona di rispetto (inedificabilità) oltre le distanze minime di cui sopra” (ovvero un’estensione della zona di rispetto all’intorno di quanto indicato negli elaborati di Piano di mt. 50 per alcune ville nominativamente richiamate nel provvedimento).
Le interessate hanno addotto in prime cure cinque motivi di doglianza:
- eccesso di potere per difetto di motivazione, essendo stato acriticamente recepito il parere del Servizio urbanistica regionale (SUR), non supportato dal parere di esperti del settore;
- eccesso di potere e violazione della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e della L.R. 31 maggio 1980, n. 56, avendo il Comune di Ruvo di Puglia supinamente recepito le indicazioni regionali, senza riattivare l’iter di approvazione della variante, con particolare riguardo alla necessità di nuova pubblicazione dell’atto in conseguenza del recepimento delle indicazioni regionali;
- eccesso di potere e violazione della l. n. 1150/1942 (art. 7) per avere la Regione travalicato le sue competenze, introducendo in un ambito non proprio prescrizioni d’autorità;
- eccesso di potere per disparità di trattamento, in relazione all’estensione del vincolo sul suolo circostante la villa, pur in assenza di una ricognizione del bene ovvero di una sua rappresentazione fotografica;
- eccesso di potere per sproporzione del vincolo sul terreno circostante per tutelare una casa di circa mq. 200.
2. L’adìto Tribunale amministrativo con sentenza n. 486/2008 respingeva il proposto gravame, ritenendolo infondato e condannava altresì le parti alla rifusione delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di Ruvo di Puglia, non essendosi costituita la Regione. Quest’ultima, infatti, avrebbe fatto legittimo uso del proprio potere di intervento sugli strumenti urbanistici a tutela del patrimonio ambientale e storico, senza che ciò rendesse necessario un supplemento di istruttoria. In sintesi, “La scelta di preservare tutte le ville di un determinato periodo storico, nel caso fine ottocento – primo novecento, è del tutto legittima perché ancorata ad un criterio razionale e predeterminato e di generale applicazione”: ciò in forza della distinzione esistente tra vincolo apposto dall’autorità pianificatoria e vincolo ex l. n. 1089 del 1939, che, al contrario, richiede un giudizio di valore sul singolo bene.
La ritenuta inscindibilità del complesso, comprensivo di fabbricato e pertinenze, ne renderebbe razionale l’estensione di tutela, palesandosi ininfluente la lamentata sproporzione in termini di dimensioni fisiche dell’uno rispetto alle altre.
3. Avverso tale decisione sono insorte le originarie ricorrenti in primo grado, che con l’appello all’esame hanno denunciato la erroneità delle statuizioni rese dal primo giudice, deducendo con un unico articolato motivo, le seguenti censure:
a) violazione o errata interpretazione della l. n. 1150/1942 e della L.R. della Puglia n. 56/1980, che non legittimerebbero una previsione a carattere costitutivo, e non meramente ricognitivo di regimi vincolistici apposti dalle autorità statali preposte alla salvaguardia del bene di riferimento;
b) violazione della richiamata normativa urbanistica statale e regionale anche sotto il profilo procedurale, stante che l’incisività dell’intervento modificativo avrebbe imposto la riedizione ab origine del potere pianificatorio, avuto riguardo in particolare alla necessità di nuova pubblicazione e conseguente acquisizione delle osservazioni degli interessati;
c) eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto, per disparità di trattamento e per illogicità e ingiustizia manifesta in quanto la villa, occupante una superficie minima rispetto al circostante terreno, avrebbe un valore storico scarso, se non inesistente, a maggior ragione in quanto inserita in un tessuto urbanistico di recente edificazione; non vi sarebbe poi ragione di estendere il vincolo al terreno circostante, senza previsione di alcun indennizzo per gli interessati, in assenza peraltro di un’istruttoria mirata sulla “consistenza” dell’edificio.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Ruvo di Puglia, chiedendo la reiezione del ricorso per infondatezza e la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
5. A seguito di decesso della signora Giovanna Caldarola, con atto depositato in data 16 ottobre 2014, si sono costituiti in giudizio gli eredi della stessa, signori Sabino Adesso e Vito Adesso.
Con successivo atto depositato in data 16 luglio 2019 si è altresì costituita in giudizio la Pellegrini S.r.l., nella duplice veste di procuratrice dei suindicati signori Adesso e di promissaria acquirente del suolo in forza di atti notarili in data 4 aprile 2019.
In data 19 luglio 2019 i signori Adesso e la ridetta società, per il tramite del nuovo difensore, hanno presentato documentazione a supporto, indicizzandola in numerazione progressiva da 001 a 023.
5.1. Con memoria depositata in data 30 luglio 2019, il Comune di Ruvo di Puglia, oltre a ribadire la propria prospettazione a sostegno della richiesta conferma della sentenza appellata, ha eccepito l’inammissibilità della produzione documentale, chiedendone lo stralcio, sia in quanto verosimilmente riferita al quinto motivo di ricorso in primo grado (estensione del vincolo anche al giardino pertinenziale della villa), la cui riproposizione in appello risulterebbe a sua volta inammissibile per genericità; sia per la violazione del divieto di produzione di nuovi documenti in grado d’appello.
5.2. Con successiva memoria depositata in data 9 settembre 2019, gli appellanti evocano anche un possibile contrasto di giudicati, in relazione a quanto deciso con la sentenza n. 588/11 dello stesso T.A.R. per la Puglia, confermata in appello da questo Consiglio di Stato (sentenza n. 49/2015), in riferimento ad un’altra villa (denominata “De Leo”) assoggettata allo speciale regime vincolistico riveniente dall’indicata modifica alle N.T.E. al P.R.G. del Comune di Ruvo di Puglia, che ha accolto il ricorso del ricorrente, con ciò confermando l’erroneità dell’assunto di cui al punto 9 della sentenza di prime cure (circa l’irrilevanza della sproporzione tra la superficie dell’edificio e quella del giardino).
Il Comune di Ruvo a sua volta ha insistito per lo stralcio della richiamata documentazione, stigmatizzando anche il mutamento di petitum che parte avversa vorrebbe supportare attraverso la stessa. In tale ottica, le difese da ultimo proposte si porrebbero in contrasto con il divieto di nuove censure, per giunta veicolate per il tramite di memoria non notificata: mentre, infatti, il quinto motivo di ricorso di primo grado, riproposto in forma sintetica in sede d’appello, fondava sulla tesi per la quale con la variante al P.R.G., dunque in applicazione delle N.T.A., l’intero “lotto Boccuzzi” era stato sottoposto al vincolo e ciò avrebbe concretato la violazione del principio di proporzionalità; viceversa, nell’ultima memoria avversaria, siffatta prospettazione originaria risulterebbe capovolta, essendosi in concreto dedotto che l’aver esteso il vincolo al giardino concreterebbe la violazione delle N.T.E. che ne circoscrivevano la portata nei confronti del solo fabbricato e della sua stretta pertinenza, coincidente con il suolo della particella n. 38, non intaccando le restanti particelle nn. 37 e 826 del lotto relative al giardino, alla stalla e ai magazzini.
6. All’udienza pubblica del 1°ottobre 2019 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
7. Preliminarmente, il Collegio ritiene di dovere scrutinare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune appellato, sia in relazione alle produzioni documentali del 18 luglio 2019, sia in relazione all’impatto delle stesse sulla modifica delle doglianze originariamente avanzate: in sintesi, o la riproposta censura di sproporzione tra dimensioni del complesso vincolato e dimensione del fabbricato, è inammissibile perché generica; ovvero è diversa, e come tale egualmente inammissibile perché introdotta in violazione del divieto dei nova.
7.1. La prima eccezione è fondata nei sensi e limiti di seguito specificati, per cui si impone la inutilizzabilità ai fini della decisione della documentazione versata in atti in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., in quanto preesistente e come tale producibile nel giudizio di primo grado.
In particolare, devono essere stralciati i documenti indicizzati come allegati da 001 a 009, 012 e da 016 a 020, concernenti per lo più allegati, anche planimetrici, alla disciplina urbanistica dell’Ente. Diversa considerazione merita la documentazione inerente il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il diniego di permesso di costruire opposto alla medesima parte appellante, avverso la cui reiezione, già formalizzata nel d.P.R. in data 3 aprile 2019, la stessa ha presentato istanza di revocazione ai sensi dell’art. 395, nn. 3 e 4 c.p.c. ( allegati sub 010, 011, 22 e 23): concernendo essi una vicenda già definita, che trae spunto dall’attuale, ma se ne diversifica anche per l’oggetto (il diniego di premesso di costruire per come il vincolo è stato in concreto interpretato e attuato), fuoriescono dal perimetro dell’odierna decisione; a maggior ragione estranea alla stessa appare la fattispecie sottesa alla decisione 13 aprile 2011, n. 588, del T.A.R. per la Puglia, confermata in appello da questo Consiglio di Stato (sentenza 13 gennaio 2015, n. 49). A prescindere, infatti, dalla diversità del ricorrente, anche in quel caso veniva all’esame un diniego di permesso di costruire all’esito della concreta rideterminazione della fascia di rispetto da parte di apposita Conferenza dei servizi, così come imposto dalle N.T.E., ma senza tenere conto della mancata coerenza tra rappresentazione dell’area di interesse negli allegati planimetrici e nella corrispondente parte normativa dello strumento urbanistico, che avuto riguardo al terreno (non al giardino) individuava un diverso azzonamento, distinto da quello del fabbricato (e del giardino), e compatibile con l’invocato regime di edificabilità dei suoli.
Quanto infine alla relazione tecnica di parte (allegato 013), egualmente trattasi di prova non proposta nel giudizio di primo grado e come tale inammissibile, oltre che irrilevante, essendo essa volta a descrivere lo stato manutentivo del fabbricato e del “presunto” giardino, di per sé ininfluenti ai fini del ritenuto pregio storico del complesso.
7.2. Da ciò discende la ritenuta fondatezza della ulteriore eccezione di inammissibilità.
Mentre, infatti, il Collegio non ritiene di accedere alla stessa sub specie di genericità del motivo di appello, sostanzialmente reiterativo di quello di primo grado, essendo sufficiente a scongiurarla il richiamo in chiave critica delle affermazioni del giudice di prime cure; lo stesso non è a dirsi in relazione alla mutatio libelli innegabilmente introdotta solo con le ultime memorie di parte, in assenza di contraddittorio: nell’atto di appello, infatti, le proprietarie dell’epoca, originarie ricorrenti, lamentavano genericamente l’avvenuta estensione senza alcun indennizzo del vincolo a tutta l’area attorno alla villa in maniera “improvvida ed immotivata”, per di più in assenza di concreta preventiva ricognizione dello stato dei luoghi; per contro, la tesi da ultimo sostenuta, strumentalmente riconducendola retrospettivamente alla già affermata sproporzione tra i due beni, ribalta completamente la prospettiva, appuntando l’attenzione non su vizi degli atti di pianificazione a monte, come in origine; bensì sulla loro applicazione. La generica - e per questo asseritamente inammissibile - critica alla variante al P.R.G., che, in applicazione delle N.T.E., aveva sottoposto a vincolo l’intero “lotto Boccuzzi”, in violazione del principio di proporzionalità, diviene ipotizzata errata interpretazione delle medesime norme tecniche, che non avrebbero affatto inteso estendere la propria portata oltre la villa e la sua stretta pertinenza coincidente con il suolo della particella n. 38, non intaccando le restanti particelle nn. 37 e 826 del lotto relative al giardino, alla stalla e ai magazzini. Con ciò, tuttavia, contestando l’attuazione dello strumento urbanistico, non la sua astratta previsione.
8. Sgombrato il campo, pertanto, da tale suggestiva argomentazione, indotta dalle planimetrie allegate all’evidente fine di evidenziare le rappresentazioni grafiche, mutuando affermazioni rese in relazione alla parte di esse di specifico interesse in un autonomo contenzioso (quello, cioè, che ha riguardato la “villa De Leo”) le ragioni dell’appello perdono di consistenza e possono essere respinte.
9. La quaestio iuris sottesa all’odierna controversia attiene all’esatta estensione del potere pianificatorio degli Enti territoriali avuto riguardo alla tutela degli interessi paesaggistici, storici e ambientali che la Costituzione assegna allo Stato. In sintesi, occorre scrutinare da un lato l’estensione del potere vincolistico riconosciuto agli stessi, senza invadere competenze statali; dall’altro, al suo interno, le ricadute delle scelte regionali sulla discrezionalità decisionale del Comune e le garanzie procedurali funzionali a garantire il rispetto delle relative prerogative.
10. Al fine dunque di correttamente perimetrare i confini della vicenda, occorre chiarire la natura del vincolo imposto sui beni di proprietà dei ricorrenti, in quanto potenzialmente esteso oltre quello caratterizzante il fabbricato ottocentesco, a tutela del “complesso” rappresentato dal contesto globale nel quale esso si inserisce. In ragione, cioè, dell’insistenza sul terreno di un bene (“villa Boccuzzi”) individuato come di interesse storico architettonico ex art. 16/r delle N.T.A. del P.R.G., l’intera zona nella quale esso si colloca è assoggettata ad un particolare regime edificatorio, mirato a tutelarne la riconosciuta valenza di pregio.
11. Giova premettere che la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa di tali valori.
La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia; non par dubbio che gli interventi di antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale con finalità residenziali, soprattutto quando siano particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.
E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio; vicendevolmente, il potere di pianificazione urbanistica, via via evoluto in senso propulsivo di miglioramento della vivibilità del suolo (si pensi alla tutela dei centri storici e, più settorialmente ma in maniera egualmente incisiva, a tutte le disposizioni di legge speciale che hanno valorizzato il potere di limitare in senso qualitativo gli insediamenti, anche commerciali, per migliorare il “decoro” e la vivibilità delle città) può rafforzare i limiti, anche conservativi, ampliando la soglia della tutela, ma mai prescinderne, condizionandola.
Da qui l’affermazione del giudice di prime cure per cui la tutela ex l. n. 1089/1939, vigente ratione temporis, riguarda il singolo bene (tutela “puntiforme”), laddove quella del luogo nel quale esso si inserisce può essere estesa in sede di pianificazione urbanistica al complesso che da quel singolo bene trae la sua esigenza di conservazione, ovvero di sviluppo controllato.
11.1. Costituisce peraltro ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui il potere di pianificazione urbanistica non è limitato all’individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, e in specie alle potenzialità edificatorie delle stesse e ai limiti che incontrano tali potenzialità.
Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non sia limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale, non in contrasto ma, anzi, in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato, nel quadro del rispetto e dell’attuazione di valori costituzionalmente tutelati.
Proprio per tali ragioni, nella stesura dell’art. 117 della Costituzione conseguita alla riforma del 2001 si è inteso sostituire il termine “urbanistica”, con la più onnicomprensiva espressione di “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione sottese alla relativa attività programmatoria degli enti territoriali.
Tali finalità, per così dire “più complessive” dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, tuttavia, già trovavano consacrazione nei principi generali della cosiddetta legge urbanistica fondamentale, ovvero la legge 17 agosto 1942, n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” (art. 1), non solo nell’ “assetto ed incremento edilizio” dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”.
In definitiva, l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non sono mai stati intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone un’inaccettabile visione minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Per tale ragione è possibile una compenetrazione di vincoli che, senza esautorare lo Stato dai compiti di tutela che gli sono propri, ne rafforzi le finalità ed estenda la portata in una visione di valorizzazione, oltre che di protezione del bene tutelato.
Nel caso in esame peraltro il vincolo che riguarda il “villino” di proprietà delle ricorrenti - così come quello imposto sugli altri immobili ritenuti di particolare pregio storico-architettonico, in maniera generalizzata ed uniforme, tale pertanto da scongiurare qualsiasi ipotesi di disparità di trattamento - non comporta effetti di natura espropriativa, ma si limita a prevedere che gli interventi edilizi concernenti tali immobili vengano realizzati nel rispetto della specifica disciplina di tutela dettata dallo strumento generale di governo del territorio.
12. Per costante orientamento giurisprudenziale, ormai risalente nel tempo, l’art. 1 della l. 19 novembre 1968, n. 1187, modificando l’art. 7 della l. n. 1150/1942, ha esteso il contenuto del piano regolatore generale anche all’indicazione dei vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, con ciò assurgendo al rango di norma primaria su tale possibile intersecarsi di tutele, alla scopo di enfatizzarne gli effetti di ordinato sviluppo del territorio. Si è cioè espressamente legittimata l’autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi e, nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dalle amministrazioni competenti alla relativa tutela, ad imporre nuove e ulteriori limitazioni.
Ne consegue che la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di bellezze naturali o artistiche o storiche non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita anche in sede di adozione e approvazione dello strumento urbanistico comunale (v. Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781).
Si è del pari ritenuto che il piano regolatore generale, nell’indicare i limiti da osservare per l’edificazione nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, può disporre che determinate aree siano sottoposte a vincoli conservativi, indipendentemente da quelli imposti dalle autorità istituzionalmente preposte alla salvaguardia delle cose di interesse storico, artistico o ambientale (Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 1990, n. 78, e 24 aprile 2013, n. 2265).
13. Ove tale competenza non potesse arricchirsi dei richiamati elementi contenutistici che le sono propri, purché nel rispetto della sfera delle competenze costituzionalmente declinate, essa finirebbe per essere svuotata della sua essenza più tipica, ovvero la regolazione del regime di edificabilità dei suoli (anche) in relazione al vincolo riscontrato.
14. Appare cioè indubbio che “tutela” e “valorizzazione” esprimano - per esplicito dettato costituzionale e, in epoca più recente, per disposizione del Codice dei beni culturali (artt. 3 e 6, secondo anche quanto riconosciuto sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del 2004 della Corte costituzionale) - aree di intervento diversificate. E che, rispetto ad esse, è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale, storico o artistico nonché alla loro protezione e conservazione; mentre alle Regioni, ai fini della valorizzazione, spettino la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio (sentenza n. 194 del 2013 della Corte costituzionale), ivi compresa la loro inclusione nelle previsioni urbanistiche locali.
Tuttavia, nonostante tale diversificazione, l’ontologica e teleologica contiguità delle suddette aree determina, nella naturale dinamica della produzione legislativa, la possibilità (come nella specie) che alla predisposizione di strumenti concreti di tutela del patrimonio storico o artistico si accompagnino contestualmente, quali naturali appendici, anche interventi diretti alla valorizzazione dello stesso; ciò comportando una situazione di concreto concorso della competenza esclusiva dello Stato con quella concorrente dello Stato e delle Regioni.
15. Gli appellanti lamentano dunque un utilizzo anomalo dei propri poteri da parte della Regione, cui avrebbe fatto da contraltare l’indebita acquiescenza del Comune alla proposta di vincolo riveniente da una delibera regionale, senza una oggettiva valutazione in concreto del pregio dell’edificio destinato ad attrarre nel suo regime di limitata edificabilità anche le aree a contorno.
15.1.
La tesi non è condivisibile.
Una corretta lettura del combinato disposto degli artt. 7 e 10 della l. n. 1150/1942, da un lato, e degli artt. 14 e 16 della L.R. n. 56/1980 confermano sia il dovere della Regione di intervenire per esigenze di salvaguardia dei beni storici e artistici e del paesaggio, sia l’innesto di tali esigenze nel contenuto della pianificazione urbanistica. Ed è proprio la doverosità della disciplina, pur discrezionale nei suoi contenuti concreti, che ne implica l’innesto nelle scelte pianificatorie originarie del Comune, ovviamente coinvolto nel procedimento, senza necessità di un azzeramento della procedura con conseguente nuova pubblicazione del Piano.
16. Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che vada confermato il principio correttamente posto a base di pronunce risalenti del Consiglio di Stato (concernenti pure altre analoghe vicende svoltesi nella Regione Puglia) secondo cui le modifiche allo strumento urbanistico introdotte d’ufficio dall’Amministrazione regionale, ai fini specifici della tutela del paesaggio e dell’ambiente, non comportano la necessità per il Comune interessato di riavviare il procedimento di approvazione dello strumento, con conseguente ripubblicazione dello stesso, inserendosi tali modifiche - in conformità a quanto stabilito dall’art. 10, secondo comma, lettera c), della legge n. 1150/1942 e dell’art. 16, decimo comma, della legge regionale n. 56/1980 - nell’ambito di un unico procedimento di formazione progressiva del disegno relativo alla programmazione generale del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2008, n. 927; id., 30 settembre 2002, n. 4984; 5 settembre 2003, nn. 2977 e 4984).
Proprio con specifico riferimento all’obbligo di ripubblicazione del piano a seguito delle modificazioni che possono essere introdotte dalla Regione al momento dell’approvazione, si è altresì puntualizzato che occorre distinguere tra modifiche “obbligatorie” (in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi), modifiche “facoltative” (consistenti in innovazioni non sostanziali) e modifiche “concordate” (conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal Comune). Mentre per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del Comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale, come risulta essersi verificato nella fattispecie in esame.
16.1. La necessità di ripubblicazione del piano, dunque, viene ritenuta sussistere allorché, in un qualunque momento della procedura che porta alla sua approvazione, vi sia stata una sua rielaborazione complessiva, cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1477; id., 25 novembre 2003, n. 7782; cfr. anche la più recente Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484).
Si tratta di orientamento seguito anche dalla giurisprudenza di prime cure, secondo la quale la necessità di ripubblicazione si impone allorquando fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26 novembre 2018, n. 2677).
16.2. Rileva infine il Collegio che debba escludersi che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree (Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484, cit. supra); in altri termini, l’obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 8 maggio 2017, n. 614; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 8 maggio 2017, n. 880). Il che è quanto accaduto nel caso di specie, che ha riguardato, come già precisato, le aree a contorno di ville storiche disseminate nel territorio comunale.
A ciò si aggiunga che al riguardo la parte ricorrente si è limitata a contestare la indebita natura di variante generale delle modifiche apportate al P.R.G. in recepimento della delibera di G.R. n. 7557/1996, senza tuttavia dimostrare che vi sia stata una rielaborazione complessiva del piano adottato dal Comune, id est un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono. Anche a prescindere, pertanto, dall’avvenuta accettazione formale delle indicazioni regionali da parte del Comune, il motivo è privo di base.
17. Lamenta infine la parte appellante che l’apposizione del vincolo sarebbe conseguita ad una disamina “a tavolino” del contesto, con palese difetto di istruttoria, funzionale a verificare l’effettivo pregio del manufatto, in pessimo stato, e del giardino circostante.
Anche questo motivo è infondato.
Premesso che l’assenza di pregio appare del tutto compatibile con un vincolo che riguarda l’epoca di realizzazione dell’immobile, risalente all’800, e il contesto nel quale è compenetrato, non assumendo rilievo lo stato di abbandono del giardino e perfino il degrado della villa, la censura attiene al merito dell’azione amministrativa. Come risulta dagli atti, tutti gli edifici sparsi versanti nella medesima situazione sono stati qualificati d’interesse storico-architettonico, con varie gradazioni dei vincoli e prescrizioni differenziate per gli interventi autorizzabili.
18. Conclusivamente, pertanto, l’appello va rigettato e, per l’effetto, va confermata la sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 486/2008.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese del presente grado compensate, stante la complessità ricostruttiva in fatto e in diritto, della questione dedotta in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 486/2008.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Fulvio Rocco, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere