TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 1634 del 30 aprile 2010
Rifiuti. Definizione di compost
L’art. 183 d.lgs. 152/06 definisce il compost come il “prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualita'”. La definizone normativa richiama una espressione tecnica quale compostaggio che si qualifica per essere un processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate, e che si svolge nelle due fasi della biossidazione e della maturazione, e che porta alla produzione di acqua, anidride carbonica, calore e compost.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01634/2010 REG.SEN.
N. 00307/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 307 del 2008, proposto da:
COMUNE DI QUINZANO D'OGLIO,
rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Domenico Bezzi in Brescia, via Cadorna, 7;
contro
REGIONE LOMBARDIA,
rappresentata e difesa dall'avv. Piera Pujatti,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30 (Fax=030/2449770);
nei confronti di
W.T.E. SRL,
rappresentata e difesa dagli avv. Mauro Ballerini, Paolo Dell' Anno,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37 (Fax=030/46565);
PROVINCIA DI BRESCIA,
rappresentata e difesa dagli avv. Katiuscia Bugatti, Gisella Donati, Magda Poli,
con domicilio eletto presso Magda Poli in Brescia, c.so Zanardelli, 38;
CONSORZIO ROGGIA CESARESCA,
non costituito in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del decreto della Regione Lombardia datato 22/11/2007, di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla controinteressata.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia e di W.T.E. Srl e di Provincia di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 aprile 2010 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Quinzano d’Oglio impugna il provvedimento del 22. 11. 2007 con cui la Regione Lombardia ha rilasciato l’autorizzazione integrata ambientale alla ditta WTE s.r.l. per l’esercizio sul territorio del comune ricorrente di un impianto di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi.
La vicenda dell’impianto di trattamento rifiuti della WTE s.r.l. è stata già oggetto di un procedimento giurisdizionale, il n. 845/06, in cui il Comune di Quinzano d’Oglio contestava la legittimità della autorizzazione rilasciata alla WTE s.r.l.; il ricorso in esame, dopo iniziale pronuncia di sospensiva del provvedimento impugnato, era stato poi dichiarato improcedibile dal Tribunale con sentenza n. 283/08 perché nel frattempo era intervenuta l’autorizzazione impugnata con il presente ricorso che sostituiva ad ogni effetto quella precedente.
Per quanto non si sovrapponga del tutto con la vicenda oggetto del presente ricorso, è il caso di segnalare inoltre che un ulteriore ricorso giurisdizionale, rubricato con il n. 716/05, ed attinente sempre lo stesso impianto, era stato presentato dalla WTE s.r.l. contro il provvedimento del Comune di diniego allo scarico in fognatura comunale dei reflui provenienti dall’impianto; il ricorso era stato deciso dal Tribunale con sentenza n. 403/08 che respingeva la domanda dell’azienda.
Nel procedimento in esame i motivi di ricorso del Comune sono i seguenti:
1. il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per mancata preliminare sottoposizione del progetto a valutazione d’impatto ambientale, atteso che le dimensioni dell’impianto andrebbero valutate non con riferimento alla mera dichiarazione unilaterale dell’impresa che ha chiesto l’autorizzazione a metterlo in esercizio (che dichiarava poco meno di 100 t/g giornaliere, e cioè circa 98 t/g), ma in base alla capacità operativa massima dello stesso (che era superiore a 100 t/g giornaliere).
Nel motivo è contenuto anche un argomento subordinato in quanto si rileva che, quand’anche non fosse stato necessario sottoporre il progetto a v.i.a., occorreva comunque avviare la procedura di screening prevista per gli impianti dalla capacità operativa superiore a 10 t/g, quale è pacificamente quello in esame.
2. il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza motivazionale in quanto, nel rilasciare l’autorizzazione, non sarebbe stata indagata accuratamente la questione delle emissioni in atmosfera, meritando in particolare un approfondimento il valore delle emissioni di fondo esistenti in loco al netto di quelle destinate ad essere prodotte dall’impianto;
3. il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per violazione di legge, e segnatamente della delibera di Giunta regionale 26. 6. 2005, n. 8/220 che prescrive che le discariche di rifiuti non pericolosi non putrescibili non possano essere collocate a meno di 200 m. dai centri abitati, e gli impianti di compostaggio a meno di 500 m. dagli stessi, laddove nel caso in esame l’abitazione più vicina all’impianto disterebbe soli 108 m. dallo stesso;
4. il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 3 l. 241/90 per l’insufficienza della motivazione addotta in ordine alla questione sollevata dal Comune sulla natura (corpo idrico superficiale o suolo) della Roggia Cesaresca in cui l’impianto era autorizzato a scaricare;
5. il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per ulteriore violazione dell’art. 3 l. 241/90 per l’insufficienza della motivazione addotta sulla circostanza che l’impianto in esame era stato classificato dal Comune quale industria insalubre di prima classe ex art. 216 testo unico leggi sanitarie.
Si costituivano in giudizio la Regione Lombardia e la Provincia di Brescia, che deducevano l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Si costituiva altresì la controinteressata WTE s.r.l., che deduceva l’inammissibilità del motivo relativo alla mancata sottoposizione a v.i.a., e comunque l’infondatezza nel merito dei motivi di ricorso.
Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
Con ordinanza del 17. 4. 2008, n. 315 il Tribunale respingeva la domanda cautelare, rilevando “ad un sommario esame: - che la procedura di screening risulta essere stata già compiuta dalla Regione nel 2005 con esito negativo, e il provvedimento non risulta impugnato; - che il limite di 98,14 t/giorno appare puntualmente individuato nell’atto di autorizzazione e l’autorità amministrativa ha imposto rigorose prescrizioni finalizzate a garantirne il rispetto; - che le emissioni in atmosfera sono state esaminate e vagliate dall’autorità regionale, con l’adozione di dettagliate prescrizioni (cfr. pagg. 42 e segg. autorizzazione); - che la Conferenza di servizi – riunitasi il 7/11/2007 – ha espresso parere favorevole con la sola eccezione del Comune, convalidando l’allegato tecnico elaborato dall’ARPA”.
Con ordinanza del 29. 7. 2008, n. 5224, invece, il Consiglio di Stato, adito in fase cautelare, sospendeva interinalmente il provvedimento impugnando, disponendo nel frattempo il riesame del provvedimento con particolare riferimento alla quantità di rifiuti trattabili pro die nell’impianto.
Con successiva ordinanza del 5. 12. 2008, n. 6548 il Consiglio di Stato rigettava l’istanza cautelare ritenendo nelle more acclarato, a seguito dell’approfondimento istruttorio, che il quantitativo massimo di rifiuti suscettibile di trattamento biologico nell’impianto fosse inferiore al limite di 100 t/g pro die che faceva scattare l’obbligo di sottoposizione alla procedura di v.i.a..
Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 18. 4. 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Nel primo motivo di ricorso, occorre vagliare preliminarmente l’eccezione di inammissibilità presentata dalla controinteressata che ha rilevato che nel contesto del ricorso contro il provvedimento impugnato (che è una autorizzazione integrata ambientale) non sarebbe possibile ridiscutere questioni inerenti l’esistenza di una v.i.a., che sono state decise con altri provvedimenti a suo tempo non impugnati.
Questa eccezione, in effetti, è fondata.
Il progetto in esame, infatti, non è stato sottoposto a valutazione d’impatto ambientale, ma ha affrontato la procedura di screening prevista per gli impianti dalla capacità superiore a 10 t/g. All’esito della procedura di screening, la Regione Lombardia ha deciso di non sottoporre il progetto a v.i.a. con provvedimento del 10. 6. 2005.
Il Comune di Quinzano ha avuto la piena conoscenza di tale provvedimento sicuramente almeno in data 28. 6. 2005, perché il relativo provvedimento era contenuto in allegato alla conferenza di servizi convocata in quella data.
Ne consegue che, nella parte in cui deduce profili relativi alla decisione di non sottoporre il progetto a v.i.a., il ricorso, notificato a più di due anni e mezzo di distanza, è irricevibile per tardività.
2. Nel secondo motivo si deduce che il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza motivazionale in quanto, nel rilasciare l’autorizzazione, non sarebbe stata indagata la questione delle emissioni in atmosfera, meritando in particolare un approfondimento il valore delle emissioni di fondo esistenti in loco al netto di quelle destinate ad essere prodotte dall’impianto.
Si tratta del profilo di doglianza centrale perché attiene alla questione delle emissioni odorifere, notoriamente particolarmente moleste in impianti quali quelli di trattamento rifiuti, emissioni che sono destinate ad essere sopportate dalla comunità locale in cui viene insediato l’impianto, che finisce quindi per scontare il prezzo di un impianto che è posto a servizio di una collettività più ampia di quella che ne sopporta le conseguenze.
Si tratta di questione che, in un ordinamento che sta progressivamente affinando la tutela civile dei diritti, meriterebbe di essere approfondita anzitutto dal legislatore che potrebbe introdurre meccanismi compensativi modellati su quello dell’art. 42, co. 3, Cost., in favore non (solo) delle amministrazioni locali nel cui territorio sono collocati impianti di questo tipo, ma anche delle persone fisiche che per motivi di interesse generale si vedono ridurre la qualità della vita, oltre che il valore delle eventuali proprietà.
Nei termini de jure condito dedotti in questo giudizio, peraltro, la questione non è fondata.
Deve essere notato immediatamente che nel motivo di ricorso ci si dilunga sugli asseriti vizi di altra precedente autorizzazione (la 1444/06) che aveva sottovalutato l’aspetto delle emissioni odorifere rispetto alla autorizzazione impugnata in questo procedimento che, invece, ne riconosce l’esistenza e ne evidenzia le criticità.
Quando però si passa a specificare quali sarebbero i vizi - sotto il profilo delle emissioni in atmosfera - dell’autorizzazione oggi impugnata la censura si rivela piuttosto generica. Ci si limita, infatti, ad affermare che l’aspetto delle emissioni odorifere non avrebbe ricevuto “adeguata” considerazione in sede istruttoria, e si appunta l’attenzione su una frase dell’autorizzazione della cui fondatezza si dubita (frase in cui si sostiene che non si può assumere come valore di fondo quello del nullo del bianco perché vi possono essere emissioni preesistenti con valori difformi dallo zero).
In realtà, leggendo l’autorizzazione impugnata si noterà che essa contiene numerose valutazioni in ordine alle problematiche odorifere dell’impianto, ma ritiene che tali criticità possano essere superate mediante il ricorso alle migliori tecniche disponibili (c.d. MTD) riferite ai sistemi di abbattimento ed alla valutazione dell’efficienza delle condizioni operative ottimali.
L’autorizzazione prescrive, infatti, che la concentrazione odorigena massima in ingresso al biofiltro dovrà essere tale per cui l’efficienza di abbattimento garantisca un valore teorico in uscita dal biofiltro inferiore alle 300 u.o/Nmc (pagina 43), aggiunge che devono essere evitare emissioni diffuse e fuggitive anche attraverso il mantenimento strutturale degli edifici che non devono permettere via di fuga delle emissioni stesse (pagina 44)
Nelle altre pagine si evidenzia, inoltre, che il sistema di abbattimento scrubber proposto dalla ditta in un primo momento non sarebbe risultato conforme alle miglior tecniche disponibili per l’abbattimento degli odori, ma nel seguito della motivazione si dà atto nel punto successivo che la ditta ha riscontrato tale criticità ed ha previsto un sistema di modifica dell’aspirazione e convogliamento all’esterno delle emissioni (pagina 40).
Si dà conto anche delle modifiche progettuali chieste dal N.O.E. Carabinieri nell’ambito del procedimento penale aperto davanti alla Procura della Repubblica di Brescia, e quindi si evidenzia che su richiesta della polizia giudiziaria specializzata in materia ambientale è stato aggiunto un canale di aspirazione aggiuntiva in P.V.C. colluttante gli sfiati dei serbatoi e tre sistemi di erogazione e dissoluzione di prodotto a base enzimatica e deodorizzante, nonché due ventilatori centrifughi aggiuntivi.
Le valutazioni sull’adeguatezza di tali scelte progettuali, decise o avallate dalla Regione, è materia di discrezionalità tecnica. A fronte di attività espressione di discrezionalità tecnica, il giudice amministrativo può censurare l’operato dell’amministrazione soltanto nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata incoerente, irragionevole o frutto di errore tecnico (Cons. St., IV, 6 ottobre 2001, n. 5287). Nel caso di specie, il ricorso non evidenzia alcuno specifico errore tecnico in cui l’amministrazione sarebbe incorsa, limitandosi a definire non adeguata la soluzione tecnica scelta dall’amministrazione per risolvere il problema in esame.
Né si può recuperare l’errore tecnico dell’amministrazione attraverso l’inciso sull’impossibilità di attribuire alle emissioni preesistenti il valore nullo del bianco (che serve per calcolare le emissioni odorifere dell’impianto sottraendo quelle preesistenti in atmosfera) posto che lo stesso ricorrente evidenzia nel seguito del ricorso che ci si trova in prossimità del centro abitato (che per la concentrazione di attività umane provoca inevitabilmente emissioni odorifere), che per di più l’impianto sorge in area artigianale (che è attività a sua volta fonte di emissioni in atmosfera), e che d’altronde persino in piena campagna si avrebbe difficoltà ad attribuire al preesistente il valore nullo del bianco posto che anche la maggior parte delle attività agricole provocano emissioni odorifere di sottofondo attraverso concimazioni naturali irrorazione delle piante con prodotti antiparassitari. Talchè, in definitiva, la circostanza che l’amministrazione non abbia assunto come valore di fondo quello nullo del bianco non può integrare in alcun modo una scelta incoerente o un errore tecnico che possa viziare la discrezionalità (tecnica) esercitata.
3. Nel terzo motivo di ricorso si sostiene che il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per violazione di legge, e segnatamente della delibera di Giunta regionale 26. 6. 2005, n. 8/220, che prescrive che le discariche di rifiuti non pericolosi non putrescibili non possano essere collocate a meno di 200 m. dai centri abitati, e gli impianti di compostaggio a meno di 500 m. dagli stessi, laddove nel caso in esame l’abitazione più vicina all’impianto disterebbe soli 108 m. dallo stesso.
Sul punto occorre rilevare preliminarmente che è la stessa autorizzazione impugnata a riferire che l’impianto viene ad essere collocato a breve distanza dal centro abitato, specificando in particolare che l’insediamento in oggetto “è situato a ridosso del centro abitato di Quinzano d’Oglio che si sviluppa ad ovest rispetto all’area di interesse; l’abitazione più vicina è posta a circa 108 m. dal perimetro dell’impianto”.
Anche, d’altronde, le produzioni documentali depositate dalle parti, e segnatamente quelle del 3. 2. 2010, depongono chiaramente nel senso della vicinanza dell’impianto non con singola abitazione, ma con un nucleo urbano ben individuato (si ricorda che l’art. 2, lett. t), d.lgs 36/03 definisce come centro abitato un raggruppamento continuo di 25 fabbricati, anconchè intervallati da strade o piazze, e nelle fotografie depositate dal ricorrente si nota come il nucleo abitato di Quinzano si estenda senza soluzione di continuità dopo la prima abitazione posta a m. 108 dall’impianto in parola).
La censura, però, non è fondata, in quanto l’impianto in esame non può essere assimilato né ad una discarica, né ad un impianto di compostaggio.
La definizione di discarica è individuata dalla normativa, essendo contenuta (come nota la difesa della controinteressata) nel d.lgs. 36/03, che la definisce come un’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito nel suolo o sul suolo.
L’art. 183 d.lgs. 152/06, invece, definisce il compost come il “prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualita'”. La definizone normativa richiama una espressione tecnica quale compostaggio che si qualifica per essere un processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate, e che si svolge nelle due fasi della biossidazione e della maturazione, e che porta alla produzione di acqua, anidride carbonica, calore e compost.
Ciò posto, e rilevato con immediatezza che l’impianto in parola non è assimilabile in alcun modo ad una discarica, posto che non vi avviene alcun deposito nel suolo o sul suolo, esso però non può essere ricondotto neanche ad un impianto di compostaggio.
Nell’autorizzazione oggetto d’impugnativa, infatti, vengono individuate le attività che è autorizzata ad effettuare la controinteressata nell’esercizio dell’impianto in esame, e si può così notare che nell’impianto sono effettuate operazioni di deposito preliminare di rifiuti non pericolosi (D15), miscelazione all’interno di serbatoi di stoccaggio (D14) e smaltimento (D8 e D9), messa in riserva e deposito preliminare (R13/D15). Alle pagine 13 e ss. sono descritti, inoltre, i rifiuti in ingresso (fanghi di vario tipo) ed il processo di lavorazione degli stessi. Si tratta di attività non sovrapponibili a quella del compostaggio, in quanto non comportano la fase di maturazione del prodotto, che porta poi alla produzione di acqua, anidride carbonica, calore e compost.
In definitiva, la circostanza che nell’impianto sia presente una linea di trattamento biologico (descritta tra l’altro a pag. 18 dell’autorizzazione), che serve asseritamente per aumentare l’efficacia del processo di rimozione della sostanza organica, non è sufficiente per qualificare l’impianto in esame - definito “depuratore” negli atti autorizzatori - come un impianto di compostaggio, perché del compost mancano alcune fasi di lavorazione (la fermentazione e, quindi, la maturazione), e comunque, la formazione del prodotto finale.
4. E’ infondato anche il quarto motivo di ricorso, in cui si afferma che il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 3 l. 241/90 per l’insufficienza della motivazione addotta in ordine alla questione sollevata dal Comune sulla natura (corpo idrico superficiale o suolo) della Roggia Cesaresca in cui l’impianto era autorizzato a scaricare.
Si tratta di un motivo che, a differenza dei precedenti, attiene ad un aspetto del tutto secondario della complessiva autorizzazione rilasciata alla W.T.E.; la marginalità della prescrizione relativa allo scarico nella roggia Cesaresca rispetto alla complessiva attività industriale esercitata dalla controinteressata è attestata anche dalla produzione documentale dalla stessa effettuata in data 4. 2. 2010, da cui risulta che la W.T.E. non ha in realtà mai attivato lo scarico in corpo idrico superficiale dei reflui provenienti dalla lavorazione dell’impianto. Nel verbale 1. 2. 2010 del Corpo di polizia municipale risulta, infatti, che “la ditta non esegue e non ha mai eseguito per quanto accertabile, nessun tipo di scarico in corpo idrico superficiale ed il contatore di misurazione risulta bloccato ed al momento riportante le misurazioni rilevate anche da documentazione fotografica: 00,000”.
A questo punto una qualsiasi censura di tipo formale relativa alla sufficienza della motivazione con cui l’amministrazione regionale aveva autorizzato tale scarico di fronte alle obiezioni del Comune resterebbe comunque travolta dal giudizio di inammissibilità del motivo per difetto di interesse, posto che l’impianto è stato in grado di funzionare anche senza lo scarico nella roggia in questione, ed il ricorrente non potrebbe conseguire alcuna utilità dall'eventuale annullamento di tale atti.
5. Nel quinto motivo di ricorso si afferma che il provvedimento della Regione sarebbe illegittimo per ulteriore violazione dell’art. 3 l. 241/90 per l’insufficienza della motivazione addotta sulla circostanza che l’impianto in esame era stato classificato dal Comune quale industria insalubre di prima classe ex art. 216 testo unico leggi sanitarie, ma anche tale motivo è infondato.
E’ il caso anzitutto di precisare che la circostanza che l’impianto in questione fosse classificato come industria insalubre di prima classe era stata acquisita alla conferenza di servizi che ha deciso sulla concessione dell’autorizzazione allo stesso, come concordemente rilevato da entrambe le parti.
Ma il ricorrente afferma che “la condotta procedimentale dell’amministrazione resistente si è manifestata assai lacunosa giacchè il provvedimento impugnato neppure menziona l’esistenza della delibera di classificazione dell’impianto WTE quale industria insalubre di prima classe” (la frase è sottolineata in ricorso).
Se, alla fin fine, la censura è soltanto il non aver neppure menzionato l’esistenza della delibera di classificazione dell’impianto, essa non può che essere infondata.
La norma dell’art. 11, co. 5, d.lgs. 59/05, infatti, non prevedeva che occorresse menzionare l’esistenza della delibera di classificazione del Sindaco ex art. 216 testo unico delle leggi sanitarie, ma si limitava a disporre che fossero “acquisite le prescrizioni del Sindaco di cui agli artt. 216 e 217” del predetto testo unico.
Se nel classificare l’impianto come industria insalubre il Sindaco avesse dettato delle prescrizioni rimaste disattese in sede di conferenza di servizi si potrebbe discutere della legittimità dell’autorizzazione, ma visto che la censura è solo quella di non aver menzionato l’esistenza di tali provvedimento, essa è infondata perché la pretesa di dover riportare nel provvedimento impugnato il provvedimento del Sindaco recante la classificazione in questione non poggia su alcuna norma di legge.
5. La particolare complessità della questione e l’interesse pubblico sotteso anche alle ragioni del ricorrente impongono di compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. staccata di Brescia, I sezione interna, così definitivamente pronunciando:
Respinge il ricorso.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/04/2010