TAR Veneto, Sez. III, n. 373, del 20 marzo 2014
Rifiuti.Riempimento di cava e legittimità ordinanza di adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza
Con riguardo all’asserzione, che nel 1975 il riempimento della cava costituisse attività lecita, in quanto la prima disciplina in tema di discariche è stata dettata dal D.P.R. n. 915 del 1982, va richiamato il principio secondo cui l’obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell’aver cagionato l’inquinamento. Il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l’applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell’art. 2043 c.c. (il cui disposto esiste da quando esiste il diritto), secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento. Norma generale che, d’altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni e omissioni (il c.d. principio comunitario del chi inquina paga ne costituisce ulteriore specificazione in materia ambientale). (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00373/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00752/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 752 del 2006 ed i successivi motivi aggiunti proposti da:
Descar Srl e Alessandro, Massimo e Maurizio Bonaventura, rappresentati e difesi dagli avv. Domenico Giuri, Alessandro Veronese, con domicilio eletto presso il loro studio in Venezia-Marghera, via delle Industrie, 19/C P. Lybra;
contro
Comune di Venezia ,rappresentato e difeso dagli avv. Giulio Gidoni, Maddalena Morino, Antonio Iannotta, con domicilio eletto presso l’ Avvocatura Civica in Venezia, San Marco 4091;
nei confronti di
Bonaventura Giovanni;
per l'annullamento:
dell’ordinanza del Comune di Venezia 11 gennaio 2006, n. 15167, notificata in data 17 gennaio 2006,;
della comunicazione di avvio del procedimento 16 dicembre 2005, n. 498554;
della nota del Comune di Venezia 23 gennaio 2006, n. 31246, con la quale l’ordinanza n. 15167/2006 è stata notificata anche agli altri comproprietari;
del provvedimento del Comune di Venezia 26.2.2008, prot. n.2008/88251;
del provvedimento del Comune di Venezia 5.11.2008, prot. n. 2008469157;
Visti il ricorso e i relativi allegati;visti i motivi aggiunti depositati in data 19.5.2008 ed in data 22.1.2009;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia - (Ve);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2014 il dott. Riccardo Savoia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorso impugna l’ordinanza di adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza e di predisposizione di un piano di caratterizzazione per l’area dell’ex Cava Cavasin di Chirignago, essendosi riscontrato il superamento dei valori ammessi per Arsenico, Ferro e Manganese, deducendosi l’estraneità della società , che sarebbe chiamata in quanto incorporante dell’originaria società asseritamente responsabile dell’imbonimento dell’area, e riconoscendosi gli attuali amministratori solo quali proprietari delle aree, contestando conseguentemente con motivi aggiunti le note con cui ripetutamente l’amministrazione ha ribadito anche la responsabilità sociale.
La normativa di cui si è fatta applicazione con gli atti in questa sede opposti è contenuta nell’art. 17 del D.Lgs. 22/1997 (c.d. decreto "Ronchi") e nel D.M. n. 471/1999.
L’art. 17 cit. disciplina la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati ponendone l'obbligo a carico dei responsabili dell'inquinamento (comma 2); demanda al Comune (comma 9), ove i responsabili non provvedano o non siano individuabili, la realizzazione d'ufficio dei relativi interventi; e dispone che detti interventi costituiscano onere reale sulle aree inquinate (comma 10), mentre la relativa spesa è assistita da privilegio speciale immobiliare sulle aree stesse oltre che da privilegio generale mobiliare (comma 11).
L’art. 17, dispone, al comma 2: “chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere, a proprie spese, agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.
In esecuzione di detti principi, il regolamento attuativo (D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati ai sensi dell'art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997) prevede che la diffida ad eseguire i necessari interventi sia rivolta dal Comune, con propria ordinanza, al responsabile dell'inquinamento (art. 8, comma 2) e che l'ordinanza sia notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del D.Lgs. n. 22/1997 (art. 8, comma 3).
Il potere esercitato nella specie è disciplinato dall’art. 8 del D.M. n. 471/1999 titolato “Ordinanze” che recita:
“1. Qualora i soggetti e gli organi pubblici accertino nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di pericolo di inquinamento o la presenza di siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1 ne danno comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune.
2. Il comune, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, con propria ordinanza diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del presente regolamento.
3. L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni.
4. Il responsabile dell'inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui all'art. 7, comma 2, entro le quarantotto ore successive alla notifica dell'ordinanza. Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato nè altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla regione o dal comune ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.”
Principiando la trattazione delle articolate questioni giuridiche poste, va prioritariamente presa in esame la censura con la quale si contesta che le sanzioni ripristinatorie previste dal D.Lgs. n. 22 del 1997 possano applicarsi, per i principi di legalità e di irretroattività delle leggi, a fattispecie svoltesi antecedentemente.
La censura non risulta fondata.
Il Collegio, pur dovendo dare atto che nel senso propugnato dai ricorrenti si è recentemente espressa la Cassazione (cfr. Sez. I civile 21 ottobre 2011, n. 21887), ritiene preferibile l’opposta tesi – per esempio recentemente affermata dal TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 19.7.2011, n. 1081 e costituente giurisprudenza consolidata del G.A. - secondo cui la normativa in materia di bonifiche di cui all'art. 17 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 è applicabile a qualunque situazione di inquinamento ancora in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 9.10.2007, n. 5283, T.A.R. Parma, 28.6.2011, n. 218; T.A.R. Toscana; Sez. II 1.4.2011, n. 573). A tale conclusione si deve pervenire, ove si ponga mente al fatto che l’inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura finché non vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente accettabili (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5.12.2008, n. 6055).
Con riguardo, poi, all’asserzione, fatta dai ricorrenti, che nel 1975 il riempimento della cava costituisse attività lecita, in quanto la prima disciplina in tema di discariche è stata dettata dal D.P.R. n. 915 del 1982, va richiamato il principio secondo cui l’obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell’aver cagionato l’inquinamento. Il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l’applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell’art. 2043 c.c. (il cui disposto esiste da quando esiste il diritto), secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento. Norma generale che, d’altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni e omissioni (il c.d. principio comunitario del chi inquina paga ne costituisce ulteriore specificazione in materia ambientale).
In punto di diritto è necessario ripercorrere il sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 22/1997, alla stregua della condivisibile ricostruzione fattane del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI , 15.7.2010 n. 4561):
<<Il d.lgs. n. 22/1997, applicabile ratione temporis, alle ordinanze impugnate …prevede che accanto alle responsabilità dell'inquinatore si collocano, ad ulteriore garanzia dell'esecuzione degli interventi previsti, quelle del proprietario del sito inquinato.
La responsabilità dell'inquinatore e quella del proprietario si fondano su presupposti giuridici diversi ed hanno differente natura.
La responsabilità dell'autore dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. La natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile dal fatto che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento.
Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento ed il superamento - o pericolo concreto ed attuale di superamento - dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario "chi inquina paga", principio che risulta espressamente richiamato dall'art. 15 della direttiva n. 91/156, di cui il D.Lgs. del 1997 costituisce recepimento.
Sensibilmente diversa si presenta invece la posizione del proprietario del sito, per la responsabilità del quale occorre fare riferimento al comma 10 dell'art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate; il comma 11 del medesimo articolo dispone poi altresì che le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile.
Ne consegue che chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all'onere reale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario dall'art. 17, commi 10 e 11, è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione.
È quindi evidente che il proprietario del suolo - che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all'inquinamento - non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell'inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell'esistenza dell'onere reale sul sito.
Il responsabile diretto e principale della bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale è invece individuato, sia dall'art. 17, commi 2 e 3, del D.Lgs. 22/1997, che dagli artt. 7 e 8 del D.M. 471/1999, esclusivamente in colui che abbia cagionato l'inquinamento.
Ciò è stato reso ancora più evidente dall'art. 8 dal citato D.M., il quale individua, in conformità all'art. 17, comma 3, nel responsabile dell'inquinamento il destinatario dell'ordinanza comunale di diffida ad adottare gli interventi necessari in relazione allo stato di contaminazione dei suoli, prevedendo invece che la stessa ordinanza debba essere "comunque notificata anche al proprietario del sito" ma solo "ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", e cioè in relazione all'esistenza dell'onere reale sulle aree inquinate, che deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica, ed al privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime.
Il proprietario del sito a cui non sia imputabile, neppure in parte, la contaminazione dello stesso, non è pertanto tenuto né ad attivare di propria iniziativa il procedimento previsto dall'art. 17 comma 2, né ad ottemperare all'ordinanza comunale che imponga la bonifica del sito notificatagli, come si è detto, solo in ragione dell'esistenza dell'onere reale (C.d.S. n.4525/2005)>>.
Ancora, è stato posto in luce dal Supremo Consesso Amministrativo (cfr. Sez. V, 16.6.2009 n. 3885) che : << Il complesso di questa disciplina è rispondente ai dettami del diritto comunitario ed, in particolare, al principio “chi inquina paga” che va - come è tradizione nella giurisprudenza comunitaria – interpretato in senso sostanzialistico, in modo da non pregiudicare l’efficacia del diritto comunitario (per un richiamo all’effettività come criterio guida nell’interpretazione del diritto comunitario ambientale cfr. Corte di giustizia Ce 15 giugno 2000 in causa Arco).
Il principio “chi inquina paga” consiste, in definitiva, nell’imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall’attività di trasformazione industriale dell’ambiente che non supera gli standards legali).
Ciò, sia in una logica risarcitoria ex post factum, che in una logica preventiva dei fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e di incentivare – per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell’ambiente (con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l’ambiente).
Esso trova molteplici significative applicazioni nel campo della disciplina dei rifiuti e del danno ambientale.
Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, “sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale”. Anche tale direttiva è conformata dal principio “chi inquina paga” che emerge dal diciottesimo considerando della direttiva: “ secondo il principio “chi inquina paga, l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l’autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore. E’ inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.”
La direttiva non si applica al danno di carattere diffuso – ma tale non è il caso di specie - se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli operatori.
Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell’ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ, (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’ “id quod plerumque accidit” che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori.>>.
Le ultime considerazioni valgono, da un lato, a escludere il difetto di legittimazione passiva – e la conseguente inammissibilità- dei proposti motivi aggiunti, laddove i ricorrenti contestano proprio la qualifica di responsabili limitandosi ad assumere le iniziative accertative vantando la sola condizione di proprietari-, dall’altro a incentrare l’esame fattuale sulla sussistenza di quegli indizi di responsabilità ritenuti dal Comune sufficienti e, ad avviso dei ricorrenti, invece, privi del crisma della concordanza.
Risulta agli atti come la società incorporante Descar- la quale subentra nella posizione della incorporata- applicandosi comunque la normativa commerciale subentrata,( art. 2504 bis c.c., come derivante dall’art.6 D.Lgs n. 6/2003) ed essendo dunque privo di pregio il rilievo secondo cui l’incorporazione sarebbe avvenuta nel regime normativo precedente, dal 2000 – data di costituzione- ha acquisito la posizione della Bonaventura Giovanni &C snc, costituita nel 1980, individuata dall’amministrazione come responsabile sulla base di accertamenti non contestabili:
condanna nel 1988 e 1992 per aver adibito a discarica di rifiuti speciali, tra l’altro, anche un terreno in via Pugliese;
oggetto sociale della detta società “ lavori di demolizione edili, movimentazione di terra in generale e lavori stradali;
rinvenimento nell’area - cfr. relazione Arpav- proprio di materiali inerti di vario tipo, mattoni e materiale di demolizione;
riconoscimento - cfr. nota del 1999 del legale della società- di avvenuto imbonimento con riporto di materiale inerte, proveniente da demolizione.
Il ragionamento necessariamente induttivo risulta dunque plausibile, mentre è invece indimostrata la tesi della ancor più risalente – ante 1975- attività di discarica, imputabile dunque ad altro soggetto.
Ne deriva la responsabilità della originaria società e della incorporante, costituendo questa una vicenda evolutiva modificativa della società incorporata.
Il ricorso deve dunque essere respinto, e parimenti respinti i motivi aggiunti , pur potendosi compensare le spese del giudizio fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Riccardo Savoia, Consigliere, Estensore
Stefano Mielli, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)