TAR Lazio Sez. II quater n. 4275 del 29 aprile 2013
Sviluppo sostenibile. Autrorizzazione impianti rinnovabili e apposizione di condizione
La sentenza tratta del potere della P.A. di imporre al privato prestazioni patrimoniali di facere (nella specie l’accollo di opere stradali istituzionalmente spettati all’ente locale) come “condizione” apposta ad una autorizzazione ad impianti rinnovabili (segnalazione Avv. G. Graziosi)
N. 04275/2013 REG.PROV.COLL.
N. 09373/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9373 del 2012, proposto da:
Soc Agricola Bg Galliera Srl, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Graziosi, Giacomo Graziosi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Provincia di Bologna, in persona del l.r. p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Cristina Barone, Patrizia Onorato, Adriano Giuffre', con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via dei Gracchi, 39;
Comune di Galliera, in persona del l.r. p,t., rappresentato e difeso dall'avv. Maria Teresa Barbantini, con domicilio eletto in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del l.r. p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato di Roma;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comune di Pieve di Cento, Ausl Bologna, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Emilia Romagna, Enel Spa, Agenzia delle Dogane, Enel Distribuzione Spa, Comando Provinciale dei VV.F. di Bologna;
nei confronti di
Comitato Territorio e Vita, in persona del l.r. p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Moscati, Marzia Calzoni, con domicilio eletto presso Paolo Maria Montaldo in Roma, V.le delle Milizie, 38 Sc 2^, 6^ P;
per l'annullamento
dell'autorizzazione unica ex d.lgs. 387/2003 della Provincia di Bologna n. 1560/2012 del 20.7.2012 che ha assentito l'impianto "a biogas" della società ricorrente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bologna, del Comune di Galliera, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Comitato Territorio e Vita;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Consigliere Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente ( di seguito anche “Galliera” ovvero “società Galliera”) è una società interessata alla realizzazione ed all’esercizio di un impianto di cogenerazione a biogas, della potenza nominale di 0,99 Mw, su terreni agricoli siti nel comune di Galliera e dei quali ne ha la disponibilità. Trattandosi di un impianto alimentato da biomasse agricole prodotte, in parte, in loco e, dunque, di un impianto ad energie rinnovabili, in data 24.5.2010 ha chiesto alla Provincia di Bologna ( ente delegato dalla Regione per effetto della L.R. E.R. n.26 del 2004, art.3) l’autorizzazione unica di cui al c.3 dell’art.12 del d.lgs n.387 del 2003.
Il procedimento avviato sulla base di tale domanda, e mediato dalla Conferenza di servizi promossa dalla Provincia, ha avuto un iter (articolatamente descritto nel provvedimento oggetto della corrente impugnativa) alquanto travagliato a causa della recisa opposizione, mossa dai comuni di Pieve di Cento e di Galliera (la cui viabilità è interessata dal traffico indotto dall’impianto proposto) e mantenuta anche successivamente alla presentazione, da parte della società istante, di nuove proposte progettuali in seno alle quali il traffico veicolare indotto dall’impianto viene completamente deviato sulla viabilità provinciale mantenendo, quale percorso di collegamento all’impianto, solo una strada bianca, poderale (via Bastardina), comunale. Il successivo sviluppo del procedimento in questione risulta intervallato, nell’ordine, dai seguenti tratti:
- rimessione dell’affare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ex art. 14 quater c.3 della legge n.241 del 1990, per i superamento del dissenso tramite deliberazione del detto Consiglio;
- convocazione, da parte della Presidenza del C.d.M., dei membri della Conferenza dei Servizi per tentare, ancora una volta, il raggiungimento dell’intesa;
- accordo fra gli enti convocati di approfondire ulteriormente la tematica ed evitare una decisione di merito da parte della Presidenza stessa;
- raggiungimento dell’intesa, in data 12.3.2012, concordando un elenco di 19 prescrizioni ed adempimenti propedeutici all’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto, da intendere “quali condizioni necessarie al superamento del dissenso espresso”;
- partecipazione dell’ (intervenuta) intesa alla Presidenza del C.d.M. e conseguente, successiva, estraneazione del C.d.M. all’esame della questione stessa;
- rilascio, con provvedimento del competente dirigente provinciale del 20.7.2012, dell’autorizzazione unica richiesta.
Peraltro, e più puntualmente, l’atto del 20.7.2012 non si traduce nel rilascio, sic et simpliciter, dell’autorizzazione di cui all’art.12 del d.lgs n.387 del 2003, in quanto tanto l’apertura quanto l’avvio dell’impianto ad energie rinnovabili di cui si discute, sono stati condizionati, fra l’altro, alla previa progettazione (sia preliminare che definitiva/esecutiva), completa esecuzione e collaudo di una serie di lavori ed opere, quali:
- prescrizione n.4: prevedere un percorso ciclo pedonale pavimentato, opportunamente protetto, nei tratti extra urbani, da realizzarsi lungo il versante destro della strada provinciale (SP) 12, costituente il prolungamento del percorso ciclabile già esistente e da affidare in gestione al comune di Galliera;
- prescrizione n.5: realizzare un allargamento di circa 1 m della banchina stradale della SP12 nel tratto compreso tra il km 12+700 ed il km 9,00;
- prescrizione n.7: realizzare delle piazzole di scambio lungo il lato sinistro della SP12, orientativamente ogni 300 mt, nel tratto compreso tra il km 12+700 ed il km 9,00; e, comunque, ove ritenuto necessario a seguito di opportuno sopralluogo;
- prescrizione n.9: rispettare, ai fini dell'accesso all'impianto e relativamente al corridoio ecologico individuato dal vigente Regolamento Urbano Edilizio (R.U.E.), quanto previsto dagli artt. 3.5 e 3.6 del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.);
- prescrizione n.13: realizzazione di una adeguata segnaletica limitatamente alle piazzole di scambio previste al n.7;
- prescrizione n.14: fornire ed installare lungo la SP12, nel tratto compreso tra il Km 10,00 ed il km 9,00 idonei dispositivi di ritenuta (barriere elastiche) a protezione dello Scolo Rio, ove mancanti.
Avverso tali prescrizioni nonché (avverso) quelle contraddistinte dai numeri seguenti:
- n.6: interramento, lungo il lato sinistro della SP12, dei cavi attualmente passanti su pali in adiacenza alla strada nel tratto compreso tra il km 12+700 ed il km 9,00;
- n.10: verifiche sul rumore nei tratti di viabilità interessati dai centri abitati con conseguente adozione di adeguati sistemi di mitigazione ove ritenuti necessari;
- n.11: divieto di transito agli automezzi della ditta istante nella viabilità che interessa i centri abitati nelle fasce orarie 7.30-9.00 e 17.30-18.30;
- n.16: onere a totale carico della società istante della progettazione e realizzazione delle opere sopra citate, ivi compresi i costi di eventuali espropri;
la Galliera – ritenendole di eccezionale gravità e, di fatto, idonee a inibire la concreta realizzazione del progetto - ha reagito con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio affidato ad otto distinti mezzi di gravame al cui scrutinio è riservata la parte motiva della presente decisione. Sinteticamente la società ricorrente:
1. dopo aver evidenziato i riferimenti normativi che investono la Provincia delle competenze in materia di viabilità e trasporti sulle strade provinciali nonchè sui percorsi ciclo pedonali (ai quali ultimi deve provvedere l’ente proprietario della strada), rileva la natura patrimoniale delle prestazioni che le sono state imposte e, dunque, il loro valore di misure compensative atte a bilanciare gli effetti negativi che l’impianto avrebbe sul piano ambientale del traffico e dell’inquinamento: misure che però la legislazione vigente (art.12 c.6 del d.lgs n.387 del 2003 ed art.1 commi 4 e 5 della legge n.239 del 2004) così come autorevolmente interpretata in più decisioni della Corte Costituzionale, non consente allorquando vengano in considerazione, come nella specie, impianti alimentati da fonti rinnovabili;
2. impugna, per l’evenienza che dette misure di compensazione debbano ritenersi consentite dal d.m. 10.9.2010 (che ha dettato le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”), lo stesso d.m. agli artt.14.15, 16.5 ed il relativo All.n.2;
3. deduce che, nelle varie riunioni tenute dalla Conferenza dei Servizi, lo stesso rappresentante della Provincia addetto al Settore Viabilità ha escluso che il traffico veicolare indotto dall’impianto, incidendo nella misura dell’1% sull’attuale flusso di traffico, risulti significativo e/o presenti rischi per la viabilità provinciale. Ne consegue che il costo dei lavori e delle opere che condizionano il rilascio del titolo, in quanto interamente a carico della ricorrente, si rivela sproporzionato rispetto a tale dato percentuale; mentre illogicamente discriminatoria è la condizione concernente il divieto di transito in determinate fasce orarie imposta unicamente nei confronti della ricorrente e non genericamente nei confronti di tutti i mezzi pesanti che attraversano l’area;
4. deduce che la lamentata, da parte del comune di Galliera, pericolosità del traffico generato dall’impianto è affermazione priva di ogni supporto tecnico idoneo a darle supporto;
5. deduce che il dissenso manifestato dal Comune è correlato ad interesse pubblico la cui cura e tutela competono alla Provincia e non all’amministrazione comunale;
6. deduce che le prescrizioni imposte sono illegittime anche se riguardate sotto una prospettiva urbanistico territoriale;
7. deduce che le prescrizioni del PTCP e del RUE (relative al corridoio ecologico) non possono operare nei confronti delle attività già in corso;
8. deduce che il Codice della Strada laddove vieta la circolazione lo fa con riguardo a date categorie di veicoli e non con specifico riferimento ai veicoli di una data ditta.
Dei numerosi enti evocati in giudizio, si sono costituiti:
a) il comune di Galliera che, con memoria, dopo aver sinteticamente e parzialmente contestato l’avverso gravame, ha reso noto di avere impugnato, nella sua interezza, con ricorso straordinario al Capo dello Stato (pervenuto al Ministero dello Sviluppo Economico il 23.11.2012 e dunque successivo al deposito del gravame in epigrafe) l’autorizzazione rilasciata alla società qui ricorrente. A detta memoria è stato unito, anche, l’analogo rimedio amministrativo azionato (anch’esso successivamente al deposito del gravame in trattazione), avverso la stessa autorizzazione unica, dal Comitato Territorio e Vita Onlus di cui appresso;
b) la Provincia di Bologna che, con apposita memoria, ha contestato che le misure di compensazione imposte abbiano mera natura patrimoniale;
c) il Comitato Territorio e Vita Onlus, che è uno degli organismi che sono stati invitati a partecipare ad una delle riunioni della Conferenza di Servizi sopra ricordata.
Tanto la ricorrente quanto l’amministrazione provinciale hanno curato, da ultimo, il deposito di rispettiva nota conclusionale. Quindi all’udienza del 26.3.2013 la causa è stata trattenuta e spedita in decisione.
DIRITTO
I)- Occorre preliminarmente dare atto – con riferimento ai ricorsi amministrativi di cui si è detto in narrativa – che perché operi il principio dell'alternatività, desumibile dall'art. 8 comma 2, d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato è necessario che il primo non sia solo notificato ma anche depositato presso la Segreteria dell'organo adito, atteso che, a differenza del processo civile, nel quale l'atto di citazione contiene un invito a controparte a presentarsi dinanzi al Giudice per sentir decidere la controversia, il giudizio amministrativo si sostanzia in un ricorso rivolto direttamente al Giudice affinché decida la controversia; pertanto, identificandosi la costituzione del rapporto processuale con il deposito del ricorso presso la Segreteria dell'organo giurisdizionale (poiché soltanto in tale momento il Giudice viene investito del giudizio) ed essendo documentato, nel caso di specie, che il deposito del ricorso in epigrafe ha preceduto quello dei rimedi amministrativi sopra richiamati, nessun ostacolo alla procedibilità del ricorso in esame riviene dai citati, alternativi, strumenti di tutela. E tanto fermo restando che detti ricorsi, giurisdizionale ed amministrativi, non hanno ad oggetto la medesima pretesa sostanziale (identità della materia del contendere), atteso che quello giurisdizionale mira solo alla soppressione di alcune delle prescrizioni imposte ad un’autorizzazione che il ricorrente ha interesse a mantenere; mentre quelli amministrativi sono mirati all’integrale abbattimento del titolo ritenendo lo stesso, nonostante le prescrizioni imposte, in ogni caso, pregiudizievole per gli interessi ivi prospettati.
II)- Lo scrutinio delle doglianze dedotte in gravame – tutte, come si è avuta occasione di cogliere, incentrate sulla natura e sui destinatari delle misure, ivi definite, compensative della rilasciata autorizzazione unica ( di seguito, anche: A.U. ovvero “autorizzazione”) – rende, non opportuna ma, necessaria la descrizione del quadro normativo di riferimento e, soprattutto, l’analisi delle pronunce della Corte Costituzionale che sono intervenute sulle parti di interesse (ai fini della corrente delibazione) di detto impianto normativo.
Detto quadro, che inerisce la materia dell’energia, si rinviene dal combinato disposto del d.lgs n.387 del 2003, di recepimento della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, come modificato, da ultimo, dal d.lgs n. 28 del 2011, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, e dalla legge n.239 del 2004 di “riordino” del settore energetico. In detto contesto – in seno al quale si inserisce anche la legge 1 giugno 2002 n. 120 di ratifica del Protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997 (che assegna all’Italia l’obiettivo di ridurre del 6,5% l’emissione in atmosfera dei gas responsabili dell’effetto serra entro il 2010) - la direttiva comunitaria 2001/77/CE, nel determinare gli obiettivi indicativi nazionali di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili per ciascun Stato membro, impone ad ognuno di essi di verificare l’assetto regolativo vigente per conformarlo al fine di «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili», «razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili» (articolo 6). Pertanto, in esecuzione della fonte comunitaria, con l’articolo 4 del d. lgs n. 387 del 2003, l’Italia si è prefissa lo scopo di incrementare, «nel rispetto delle tutele di cui all’articolo 9 della Costituzione», la quota minima di elettricità prodotta da fonte rinnovabile da immettere nel sistema elettrico nazionale dello 0,35% annuo, per il periodo 2004/06 e dello 0,75% annuo, per il periodo 2007/12.
Allo scopo di favorire lo sviluppo delle fonti alternative, il d.lgs 29 dicembre 2003 n. 387, oltre a promuovere un accordo di programma quinquennale con l’E.N.E.A. (articolo 9) ed un’apposita campagna di informazione e comunicazione (articolo 15), effettua un’imponente razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative; ed a tal riguardo prevede, all'art. 12, c. 3 e 4, che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia considerata "attività libera", soggetta ad una procedura semplificata di "autorizzazione unica" che è affidata agli enti di riferimento (Regioni o Province da esse delegate) attraverso lo strumento della Conferenza dei servizi, salvo che per determinate soglie di potenza degli impianti per cui è sufficiente la denuncia di inizio attività.
Nonostante il carattere dettagliato della disciplina che individua le procedure autorizzative, la Corte costituzionale ha riconosciuto nelle disposizioni statali in questione e, in particolare, nell'art. 12 citato, le norme recanti l'indicazione "dei principi fondamentali in materia energetica" (sul principio che spetta al legislatore statale la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e la conseguente applicazione sull'intero territorio nazionale, si vedano le sentenze n. 99 del 2012, n. 310, 308, 275 e 107 del 2011; n. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006). La normativa contenuta nel decreto riserva infatti allo Stato il compito di dettare i "principi fondamentali" della materia, individuando, peraltro, nel livello regionale la dimensione idonea alla razionalizzazione e all'accelerazione delle procedure autorizzative per la costruzione e l'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. In detto contesto, dunque, il d.lgs n.387/2003 viene a porsi, come condivisibilmente osservato in dottrina, quale trait d’union di una disciplina frammentata tra diversi livelli di governo:segmentazione che ha facilitato l'adozione, da parte delle Regioni – competenti in materia di A.U. – di normative di specificazione dell’art.12 cit. che hanno spesso ecceduto le indicazioni della normativa nazionale, determinando un cospicuo intervento della Corte costituzionale in tal senso (Sul riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» cfr. decc. nn. 307, 308 e 324 del 2003; 6 e 7 del 2004; 336 e 383 del 2005; 248 e 364 del 2006; 166, 282 e 382 del 2009; 119 e 120 del 2010; mentre sull’esclusione di un potere regionale di dettare – prima dell’adozione delle Linee guida di cui al comma 10 dell’art. 12 citato - norme per assicurare il corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, ved. sentt. nn.166 e 282 del 2009, 119 e 124 del 2010, 44, 67 e 122 del 2011 che hanno affermato e ribadito che, se da un lato, la normativa statale di cornice non contempla alcuna limitazione specifica, né divieti inderogabili, rinviando alle Linee guida di cui all’art.12 c.10 il compito di «assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio», d’altro canto, è ben vero che la richiamata disposizione statale abilita le Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti», ma ciò può aver luogo solo «in attuazione» delle predette Linee guida nazionali la cui assenza non consente, dunque, alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa).
Quanto dianzi sintetizzato consente di tracciare una prima serie di postulati d’interesse:
- la normativa internazionale, quella comunitaria e quella nazionale manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili (cfr., in tal senso, anche C. C.le, sentt. n.282 del 2009 e 124 del 2010);
- in particolare, in ambito europeo una disciplina così orientata è rinvenibile nella citata direttiva 2001/77/CE e in quella più recente del 23.4.2009, n.2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), che ha confermato questa impostazione di fondo;
- in ambito nazionale, la normativa comunitaria è stata recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia, come riconosciuto dal Giudice delle Leggi, i princìpi fondamentali in materia (ved. sentt. sopra richiamate). Ulteriori princìpi fondamentali sono stati fissati, anche in questo ambito, dalla legge n.239 del 2004 che ha realizzato «il riordino dell'intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice» (sentt. nn.383 del 2005 e 282 del 2009).
Occorre ora soffermarci su detti testi legislativi nazionali e, nello specifico, sulle norme degli artt.12 del d.lgs 387 del 2003 ed 1 della legge n.239 del 2004 che sono determinanti ai fini della definizione del corrente giudizio.
II.1)- Dell’art.12 si è in parte già detto laddove si è ricordato che, ai sensi dei relativi commi 3 e 4, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili richiede un’autorizzazione unica, che fa seguito ad un procedimento unico mediante conferenza dei servizi, cui partecipano “tutte le amministrazioni interessate” per tali intendendosi, ai sensi dell’art.14 della legge n.241 del 1990, tutti gli enti cui spetta esprimere «intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati» sull’oggetto del procedimento.
L’autorizzazione (che ove riguarda impianti alimentati a biomassa richiede la previa dimostrazione, da parte del proponente, della disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto: c. 4 bis), “non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province” (c.6).
Ora, è vero che dal tenore di detta ultima disposizione potrebbe desumersene, a contrario, la possibilità di misure di compensazione a favore di altre collettività locali, e segnatamente i Comuni quali enti esponenziali. Tuttavia, tale previsione va letta in via sistematica insieme:
- all’art. 1, co. 4, lett. f), l. n. 239/2004, a tenore del quale lo Stato e le Regioni garantiscono <<l'adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili>>;
- all’art.1 c.5 della stessa legge, a tenore del quale << Le regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 12 del d.lgs. n.387 del 2003>>;
e (oltre ad essere letta in via sistematica con le citate disposizioni) va interpretata alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con le pronunce appresso riportate:
- sent. n.383 del 2005: nel giudizio definito con detta pronuncia la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1 c. 4, lett. f), l. n. 239/2004 limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», osservando (testualmente): “La disposizione in questione si risolve, infatti, nella imposizione al legislatore regionale di un divieto di prendere in considerazione una serie di differenziati impianti, infrastrutture ed attività per la produzione energetica, ai fini di valutare il loro impatto sull'ambiente e sul territorio regionale (che, in caso di loro concentrazione sul territorio, può anche essere considerevole) solo perché alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Tale previsione eccede il potere statale di determinare soltanto i principi fondamentali della materia, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., determinando una irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell'impatto che tali opere possono avere sul proprio territorio, in quanto individua puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni in sede di esercizio delle proprie competenze costituzionalmente garantite”. E’ stata dunque ritenuta corretta la censura mossa al riguardo dalla Regione Toscana che aveva sostenuto che l'ultima parte di tale disposizione lederebbe le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost. in materia di "governo del territorio", in quanto anche gli impianti alimentati da fonti rinnovabili potrebbero avere sul territorio una incidenza tale da giustificare la necessità di misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale;
- sent. n. 248 del 2006: nel giudizio definito con detta pronuncia sono stati censurati gli artt. 13 e 26 della L.R. Toscana n.39 del 2005 poiché, nel consentire alla Regione di subordinare il rilascio o la modifica dell'autorizzazione per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ad accordi relativi all'esecuzione di un programma di misure di compensazione e riequilibrio ambientale, violerebbero l’art.117 c.3 della Costituzione, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale espresso dagli artt.1 c.5 della legge n.239 del 2004 e 12 c.6 del d.lgs n.387 del 2003 in base ai quali il rilascio o la modifica della suddetta autorizzazione «non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province». La Corte ha ritenuto non fondata la q.l.c. sollevata evocando, sul punto, la precedente pronuncia n.383 del 2005 per effetto della quale, attualmente, l’art.1 c. 4, lett. f), l. n. 239/2004 prevede la possibilità che possano essere determinate dallo Stato o dalle Regioni «misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale» in riferimento a «concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale», anche con specifico riguardo alle opere in questione;
- sent. n. 282 del 2009: detta pronuncia ha avuto riguardo alla q.l.c. di quella parte della L.r.Molise del 2008 che prevedeva il versamento di una somma di denaro, a titolo di oneri di istruttoria, in parte in misura fissa ed in parte in misura variabile a seconda della potenza nominale dell'impianto. In tale occasione è stata richiamata la sent. n.383 del 2005 ricordando che, per effetto di tale pronuncia, anche al legislatore regionale è stata estesa la facoltà di introdurre misure di compensazione nella disciplina delle fonti rinnovabili di energia, peraltro a condizione che i beneficiari delle predette misure non siano né le Regioni, né le Province eventualmente delegate (con conseguente declaratoria di incostituzionalità della legge regionale in questione);
- sent. n.119 del 2010: ha avuto ad oggetto l’art.1 L.r. Puglia n.31 del 2008 che stabilisce che la Giunta regionale possa stipulare e approvare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte di operatori industriali, sia previsto il rilascio di autorizzazioni: norma questa tacciata di incostituzionalità con riguardo all’art.1 c.5 della legge n.239 del 2004 che, pur consentendo di stipulare accordi con soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fa salvo il divieto previsto dal noto art.12 di subordinare l'autorizzazione per l'installazione e l'esercizio di impianti da energie rinnovabili a misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province. Ebbene qui la Corte ha ritenuto non fondata la q.l.c. in riferimento all’art.117 Cost. osservando:
- che per misure di compensazione s'intende, in genere, una monetizzazione degli effetti deteriori che l'impatto ambientale determina, per cui chi propone l'installazione di un determinato impianto s'impegna ad assicurare all'ente locale cui compete l'autorizzazione determinati servizi o prestazioni;
- che la legge statale vieta tassativamente l'imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio di titoli abilitativi per l'installazione e l'esercizio di impianti da energie rinnovabili, tenuto anche conto che, secondo l'ordinamento comunitario e quello nazionale, la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono libere attività d'impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione;
- che devono, invece, ritenersi ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall'ambiente per l'impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene "compensato" dall'impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell'operatore economico proponente;
- Che l’art.1 c.4 lett. “f” della legge n.239 del 2004, dopo aver posto il principio della localizzazione delle infrastrutture energetiche in rapporto ad un adeguato equilibrio territoriale, ammette concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto ambientale, prevedendo in tal caso misure di compensazione e di riequilibrio (anche relativamente ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, a seguito della sent. n.383 del 2005 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili dalle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale). A tal fine l’art.1 c.5 citato afferma il diritto di Regioni ed enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’art.12 citato: quest'ultimo vieta che l'autorizzazione possa prevedere (o essere subordinata a) compensazioni (evidentemente di natura patrimoniale) a favore della Regione o della Provincia delegata;
- Che la sent. n.248 del 2006 ha ammesso che una norma regionale, in via generale, possa prevedere misure di compensazione quale contenuto di un'autorizzazione, a fini di riequilibrio ambientale;
- Che l’art.1 L.R. Puglia n.31 del 2008 non consente la fissazione di compensazioni patrimoniali a favore degli enti locali (come invece la norma regionale oggetto di scrutinio nella recente sent. n. 282 del 2009). Il sistema complessivo in cui s'inserisce la disposizione convince della inequivoca riferibilità all'ambiente, posto lo stretto collegamento alle riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali, nel quadro complessivo del riequilibrio ambientale, ed in considerazione della proporzione quantitativa che si vuole instaurare, all'interno degli accordi, tra le riduzioni delle emissioni inquinanti e la potenza degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili autorizzati, comunque coerenti con gli obiettivi del piano energetico ambientale regionale;
- Sent. n.124 del 2010: la q.l.c. ha interessato la L.R. Calabria, n. 42/2008 che prescriveva l’allegazione alla domanda di autorizzazione di un atto con il quale il richiedente si impegna, tra l'altro: a) a costituire prima del rilascio della suddetta autorizzazione, una società di scopo con residenza fiscale nel territorio della Regione Calabria; b) a sottoscrivere garanzie fideiussorie; c) a favorire l'imprenditoria calabrese nella fase della realizzazione; d) a facilitare l'assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di unità lavorative per la gestione dell'impianto; e) a versare a favore della Regione Calabria la somma di 50 cent per ogni KW eolico di potenza elettrica nominale autorizzata (( 1,5 per le altre tipologie) quali oneri per monitoraggio con relativa dotazione di antinfortunistica e per l'accertamento della regolare esecuzione delle opere. La successiva lettera o) stabiliva che il richiedente l'autorizzazione alleghi alla domanda la ricevuta di avvenuto versamento degli oneri istruttori a favore della Regione Calabria pari ad €100 per ogni MW per il quale si richiede l'autorizzazione, con un minimo di €300. In detta occasione la Corte ha affermato che “Le disposizioni censurate …….prevedono oneri e condizioni a carico del richiedente l'autorizzazione che si concretizzano in vantaggi economici per la Regione e per gli altri enti locali e, quindi, si configurano quali compensazioni di carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale (sentenza n. 282 del 2009). La disciplina impugnata, infatti, prescinde dall'esistenza di concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, presupposto quest'ultimo previsto dall’art1 citato che legittima la previsione di misure di compensazione finalizzate al riequilibrio ambientale in deroga al principio fondamentale fissato dall’art.12 c.6 del 387/2003”.
II.2)- Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra descritto consente di tracciare delle coordinate esegetiche che si rivelano dirimenti al fine di comprendere l’effettiva natura delle “prescrizioni” imposte alla ditta ricorrente e, conseguentemente, apprezzare la fondatezza, o meno, delle dedotte doglianze.
Punto di partenza di tale indagine è l’art.12 c.6 del d.lgs n.387 del 2003 che fissa il principio fondamentale che l’A.U. di cui ai commi 3 e 4 dello stesso articolo “non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province”. Dunque, ed in linea di principio, il procedimento descritto dal citato articolo 12 non può culminare in un provvedimento che subordini ovvero condizioni il rilascio del titolo a misure di compensazione a favore delle regioni e delle province. Per misure di compensazione s'intende, in genere, una monetizzazione degli effetti deteriori che l'impatto ambientale determina, per cui chi propone l'installazione di un determinato impianto s'impegna ad assicurare all'ente locale cui compete l'autorizzazione una prestazione in denaro ( si ricordi la legge regionale calabrese sopra citata che imponeva al richiedente l’A.U. di allegare alla domanda la ricevuta di avvenuto versamento degli oneri istruttori a favore della Regione Calabria pari ad €100 per ogni MW per il quale si richiede l'autorizzazione, con un minimo di €300) ovvero determinati servizi o prestazioni privi di alcuna diretta connessione con l’impianto da autorizzare (si ricordi sempre la legge calabrese citata che impegnava il richiedente a costituire prima del rilascio della suddetta autorizzazione, una società di scopo con residenza fiscale nel territorio della Regione ovvero a favorire l'imprenditoria calabrese nella fase della realizzazione).
Tale divieto non è invulnerabile perché l’art.1 c. 4, lett. f), l. n. 239/2004 prevede la possibilità che possano essere determinate dallo Stato o dalle Regioni «misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale» (ndr: le specificazioni “ambientale e territoriale” vanno collegate sia alle misure di compensazione che a quelle di riequilibrio) in riferimento a «concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale», anche relativamente ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, a seguito della sent. n.383 del 2005 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili dalle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale. Tali misure sono solo “eventuali” in quanto correlate alla circostanza, già sopra evidenziata, che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. A tal fine l’art.1 c.5 della legge n.239 del 2004 citato afferma il diritto di Regioni ed enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’art.12 citato, il quale vieta che l'autorizzazione possa prevedere (o essere subordinata a) compensazioni (della natura patrimoniale sopra ricordata) a favore della Regione o della Provincia delegata.
Dunque la legittima applicazione di una misura di compensazione ambientale e territoriale non può prescindere dall'esistenza di concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, al che accede che non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente ( in tal senso e con riguardo a fattispecie analoga, Cons. St., III^, parere n.2849 del 14.10.2008). Tutti detti postulati trovano, poi, riscontro nel d.m. 10.9.2010 (ved., al riguardo, Corte Cost. nn. 275 e 308 del 2011) che, nel dettare, come sopra ricordato, le “linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, elenca,nell’Allegato 2, criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative (ved. lettere da “a” ad “h”) perfettamente coincidenti con quelli sopra descritti (con accessiva, aggiunge il Collegio, infondatezza della doglianza, pur azionata in via gradata, contenuta nel secondo dei mezzi di gravame proposti dalla ricorrente).
Ora, nel caso in trattazione:
- non sussisteva una norma regionale che prevedesse misure di compensazione quale contenuto di un'autorizzazione, a fini di riequilibrio ambientale ( e dunque non trovava applicazione l’art.1 c.4 lett. “f” della legge n.239 del 2004);
- non sono venute in considerazione concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale né risulta stipulato alcun accordo col soggetto proponenti che individuasse misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale (e dunque non trovava applicazione l’art.1 c.5 della legge n.239 del 2004);
al che accede che la fattispecie in trattazione ricadeva sotto la regolamentazione dettata dall’art.12 c.6 citato che, come già ricordato, vieta che l’A.U. sia subordinata (ovvero condizionata) a misure di compensazioni a vantaggio delle regioni e delle province.
Tale limite sembra percepito dalla difesa dell’Amministrazione provinciale che rileva che le condizioni imposte al proponente non hanno carattere patrimoniale (non traducendosi in canoni periodici, contributi economici una tantum, aggi sulle produzioni, minimi garantiti ecc.) ma sono state dettate ( al fine di superare il dissenso interposto dal comune di Galliera) per ragioni attinenti alla pubblica incolumità degli utenti della viabilità interessata al traffico indotto dall’impianto.
Sennonchè – ed a prescindere dal fatto che sono vietate non solo le misure compensative aventi ad oggetto denaro ma anche quelle (non finalizzate ad assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale dell'attuazione del progetto e) aventi ad oggetto servizi ed attività che il proponente si impegna, sostenendone in proprio tutti gli oneri economici, a fare in luogo del competente ente locale ovvero della competente regione – le argomentazioni difensive provinciali sono recisamente contraddette dalla stessa amministrazione comunale di Galliera che, evocando uno dei postulati della Corte sopra ricordati ( si tratta del principio ribadito da C. C.le n.119 del 2010 ove si afferma che “devono, invece, ritenersi ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall'ambiente per l'impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene "compensato" dall'impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell'operatore economico proponente”), sostiene che “tutte le prescrizioni previste nell’autorizzazione impugnata hanno come finalità, infatti, la riduzione delle emissioni inquinanti e, come tali, sono legittime”), e, quindi, giunge ad affermare che le misure imposte sono in sintonia con detto principio.
Dunque due strategie difensive tra loro perfettamente contraddittorie. L’una (quella comunale) sostiene, in evidente contrasto con i parametri normativi ed esegetici sopra evidenziati (e dunque infondatamente), che le prescrizioni imposte sarebbero misure di compensazione ambientali e territoriali consentite dalla legislazione vigente; l’altra (quella provinciale) sembra escludere la natura compensativa delle condizioni prescritte che (non avrebbero finalità di riequilibrio territoriale/ambientale ma) sarebbero funzionali al superamento di quelle esigenze (di pubblica incolumità dei cittadini) “di stretta competenza del Sindaco ai sensi del Tulps” (così a pag. 8 del provvedimento impugnato).
Sennonchè, neanche le argomentazioni difensive provinciali persuadono.
Ferma restando l’improprietà al richiamo del Tulps – in quanto il concetto di pubblica sicurezza ivi contenuto, in endiadi con quello di “ordine pubblico”, è di tutt’altra natura rispetto alle esigenze correlate alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale che l’art.1 del Codice della Strada fa rientrare tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato – le prescrizioni imposte, nella misura in cui si rivelano carenti di un rapporto di stretta correlazione con le esigenze che mirano a tutelare ovvero (si rivelano) non improntate ad un criterio di equilibrata proporzionalità con le medesime esigenze, si traducono, di fatto, – non essendo finalizzate, come sembra sostenere la Provincia, ad assicurare la sostenibilità ambientale/territoriale dell'attuazione del progetto (ma ad evitare i pregiudizi che per la pubblica incolumità deriverebbero dal traffico veicolare indotto dall’impianto) – in misure compensative che le norme sopra richiamate non consentono. E così tanto dicasi per le prescrizioni (per i cui contenuti si rimanda a quanto già riportato nella narrativa) di cui ai nn. 4, 5, 7, 13, 14, 15, 16 e 17 in quanto – una volta escluso, e confermato in sede di Conferenza, dallo stesso rappresentante della Provincia addetto al Settore Viabilità, che il traffico veicolare indotto dall’impianto, incidendo nella misura dell’1% sull’attuale flusso di traffico, risulti significativo e/o presenti rischi per la viabilità provinciale ( aspetto questo confermato dalla Provincia anche nella propria memoria difensiva) – la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e la realizzazione (con costi, inclusi quelli di eventuali espropri, a carico del solo proponente) di un allargamento della banchina stradale (sul lato sinistro della SP 12) per km 3,700 (dal Km12,700 al km 9,00), di un percorso ciclo pedonale pavimentato di circa 1 km ( lungo il lato destro della SP 12), la realizzazione di piazzole di scambio lungo un tratto di km 3,700 (sul lato sinistro della SP 12) in misura di una piazzola ogni 300 mt e l’apposizione di adeguata segnaletica, la previsione di barriere elastiche (ove mancanti) in un tratto di 1 km della SP 12 a protezione di un corso d’acqua, si traducono in servizi che condizionano il rilascio del titolo e che:
- in quanto, come dice la stessa Provincia, non finalizzate ad assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale dell'attuazione del progetto ma ad evitare i pregiudizi che per la pubblica incolumità deriverebbero dal traffico veicolare indotto dall’impianto;
- in quanto prive di un criterio di equilibrata proporzionalità con le medesime esigenze;
si rivelano, all’evidenza, in misure compensative che il proponente, ove interessato al rilascio dell’A.U., si ritrova obbligato a prestare in lungo dell’Ente proprietario della strada, e cioè la Provincia, cui l’art.14 del Codice della Strada riserva, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, la manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze, il controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze, la apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta nonché in caso di manutenzione straordinaria della sede stradale, la realizzazione di percorsi ciclabili adiacenti purché realizzati in conformità ai programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati problemi di sicurezza.
Parimenti incompatibili – col dato istruttorio emerso in sede di Conferenza di servizi relativo all’assenza di significatività del traffico veicolare indotto sull’impianto anche in ordine ad eventuali rischi per la viabilità provinciale – si rivelano le prescrizioni nn.10 e 11 che impongono al proponente di provvedere a suo carico alle verifiche acustiche sui tratti di viabilità interessati adottando, ove ritenuti necessari, dei sistemi di mitigazione nonché interdicono il transito sulla strada provinciale, nei tratti che interessano i centri abitati, in determinate fasce orarie, solo ai veicoli del proponente.
Sono, invece, infondate le doglianze correlate alle prescrizioni n.6 – che vincola il proponente all’interramento, lungo il lato sinistro della SP 12, dei cavi attualmente passanti su pali in adiacenza alla strada nel tratto compreso tra il km 12+700 ed il km 9,00 – e n.9 ove si deduce che l’obbligo imposto alla proponente di rispettare le norme vigenti del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e del R.U. comunale relativamente al corridoio ecologico che interessa un tratto di transito in area comunale, può inibire i nuovi interventi edilizi non compatibili ma non le attività già in atto. Al riguardo – e fermo restando che nel caso di specie non viene in considerazione la modifica di un’autorizzazione già rilasciata e pertanto l’attività per la prima volta autorizzata col titolo sopra citato non può definirsi (né alcun indizio o elemento probatorio è stato, in tale senso, fornito) una “attività già insediata ed in atto” – è sufficiente ricordare che l’art.12 del d.lgs n.387 del 2003 specifica che l’A.U. “è rilasciata nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico” : normative nel cui genus rientrano certamente le disposizioni del P.T.C.P. esibite in stralcio agli atti di causa e (normative) che legittimano anche la previsione nr. 6 con accessiva infondatezza della connessa doglianza.
III)- Conclusivamente il ricorso, nei limiti sopra indicati, è meritevole di accoglimento. A tanto accede – attesa l’unicità del procedimento che culmina nel rilascio dell’A.U. ed il fatto che, nel caso di specie, l’intesa dei partecipanti alla Conferenza ha, ovviamente, interessato, nei suoi contenuti, tutte le 19 condizioni cui è stato condizionato il rilascio del titolo - l’esigenza che si provveda alla integrale rinnovazione del procedimento regolamentato dall’art.12 del d.lgs n.387 del 2003 e ferma restando, ove eventualmente rivenga in considerazione l’interesse alla tutela della pubblica incolumità in relazione all’incremento del traffico veicolare provinciale, l’illegittimità di prescrizioni violative della normae agendi desumibili dalla presente decisione.
Rimangono altresì fermi, nella dialettica dei numerosi interessi collettivi coinvolti nel procedimento de quo, i principi, in ordine al superamento di eventuali dissensi, elaborati dalla più giurisprudenza più accreditata (ved. Cons. St. 4400 e 3039 del 2012 e precedenti ivi richiamati nonché Cons. St. n.1020 del 2010).
IV)- Le spese di lite, attesa la complessità delle questioni trattate, possono essere compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla l’autorizzazione unica con lo stesso impugnata nei limiti di cui in motivazione.
Salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi della p.a.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere, Estensore
Maria Laura Maddalena, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)