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SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 7 ottobre 2004 (1)

«Inadempimento di uno Stato – Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE – Nozione di quantità di rifiuti – Dispensa dall'obbligo di autorizzazione»

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Nella causa C-103/02,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE,

proposto il 20 marzo 2002,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. R. Wainwright e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,



LA CORTE (Prima Sezione),


composta dal sig. P. Jann, presidente di Sezione, dai sigg. A. Rosas e S. von Bahr (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dal sig. K. Lenaerts, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 maggio 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza


1
Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede che la Corte voglia dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato il decreto 5 febbraio 1998 sull’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che,

– in violazione degli artt. 10 e 11, n. 1, secondo comma, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), consente agli stabilimenti e alle imprese che recuperano rifiuti non pericolosi di essere dispensati dall’obbligo di autorizzazione, senza che tale dispensa sia subordinata al rispetto dei requisiti: 1) relativi alla previa fissazione della quantità massima di rifiuti e 2) di cui all’art. 4 della direttiva 75/442, in riferimento alle quantità di rifiuti trattati dagli stabilimenti che sono dispensati dall’autorizzazione;

– in violazione dell’art. 11, n. 1, secondo comma, della direttiva 75/442, non definisce con esattezza i tipi di rifiuti coperti dalla dispensa dall’autorizzazione e, in tal modo, anche in violazione dell’art. 3 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20; in prosieguo: la «direttiva 91/689»), in alcuni casi, a causa della mancanza di chiarezza e precisione del decreto di cui trattasi, permette a stabilimenti o imprese che recuperano alcuni tipi di rifiuti pericolosi di essere dispensati dall’autorizzazione in base ai meno severi requisiti previsti per i rifiuti non pericolosi,


in violazione degli artt. 9 e 11, con riferimento all’art. 1, lett. e) ed f), della direttiva 75/442, e ai suoi allegati II A e II B, come modificati dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32), definisce alcune attività di smaltimento come attività di «recupero ambientale», consentendo in tal modo a stabilimenti ed imprese che effettuano operazioni di smaltimento, diverse dallo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione, di poter essere esentati dall’obbligo di autorizzazione, come se effettuassero operazioni di recupero,

è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 1, 9, 10 e 11 della direttiva 75/442 e dell’art. 3 della direttiva 91/689.


Contesto normativo

Normativa comunitaria

Direttiva 75/442

2
La direttiva 75/442 si pone l’obiettivo di garantire lo smaltimento e il recupero dei rifiuti nonché di incoraggiare l’adozione di misure intese a limitare la formazione dei rifiuti, in particolare promuovendo le tecnologie pulite e i prodotti riciclabili e riutilizzabili.

3
L’art. 1 della suddetta direttiva definisce segnatamente cosa si deve intendere per «rifiuto», «smaltimento e «ricupero».

4
Ai sensi dell’art. 4 di tale direttiva:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:


senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;


senza causare inconvenienti da rumori od odori;


senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».

5
Gli artt. 9-11 della direttiva 75/442 sanciscono i casi in cui è necessaria un’autorizzazione dell’autorità competente per le operazioni di smaltimento e per quelle di ricupero dei rifiuti. Tali operazioni figurano rispettivamente agli allegati II A e II B di tale direttiva, come modificati dalla decisione 96/350.

6
L’art. 9, n. 1, della direttiva 75/442 prevede che, ai fini dell’applicazione del suo art. 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni di smaltimento elencate nell’allegato II A della stessa direttiva debbano ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente.

«Tale autorizzazione riguarda in particolare:


i tipi ed i quantitativi di rifiuti,


i requisiti tecnici,


le precauzioni da prendere in materia di sicurezza,


il luogo di smaltimento,


il metodo di trattamento».

7
Secondo l’art. 9, n. 2, della direttiva 75/442:

«Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente».

8
L’art. 10 di tale direttiva, relativa alle operazioni di ricupero previste all’allegato II B della stessa recita:

«Ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II B devono ottenere un’autorizzazione a tal fine».

9
L’art. 11 di tale direttiva prevede la possibilità di una dispensa dall’autorizzazione applicabile a tutti i rifiuti fatti salvi i rifiuti pericolosi che costituiscono l’oggetto di specifiche norme:

«1. (…) possono essere dispensati dall’autorizzazione di cui all’articolo 9 o all’articolo 10:

a) gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione

e

b) gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti:

Tale dispensa si può concedere solo:


qualora le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione

e


qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all’articolo 4.

2. Gli stabilimenti o le imprese contemplati nel paragrafo 1 sono soggetti a iscrizione presso le competenti autorità.

3. Gli Stati membri informano la Commissione delle norme generali adottate in virtù del paragrafo 1».

Direttiva 91/689

10
L’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 91/689, relativa ai rifiuti pericolosi, prevede quanto segue:

«1. La deroga all’obbligo di autorizzazione per gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti prevista all’articolo 11, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 75/442/CEE non è applicabile ai rifiuti pericolosi oggetto della presente direttiva.

2. Conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 75/442/CEE, uno Stato membro può dispensare dall’articolo 10 della presente direttiva gli stabilimenti o le imprese che provvedono al ricupero dei rifiuti oggetto della presente direttiva:


qualora detto Stato membro adotti norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti in questione e le condizioni specifiche (valori limite di sostanze pericolose contenute nei rifiuti, valori limite di emissione, tipo di attività) e altri requisiti necessari per effettuare forme diverse di ricupero e


qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all’articolo 4 della direttiva 75/442/CEE».

Normativa nazionale

11
Il decreto del Ministero dell’Ambiente 5 febbraio 1998, sull’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Supplemento ordinario n. 72 alla GURI n. 88 del 16 aprile 1998; in prosieguo: il «decreto»), recepisce nell’ordinamento nazionale le direttive 91/156 e 91/689.

12
L’art. 5, n. 1, del suddetto decreto, intitolato «Recupero ambientale», recita:

«Le attività di recupero ambientale individuate nell’allegato 1 consistono nella restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici».

13
L’art. 7 del suddetto decreto, intitolato «Quantità», recita:

«1. Fatto salvo quanto specificatamente previsto negli allegati, le quantità massime annue di rifiuti, impiegabili nelle attività di recupero disciplinate dal presente decreto, sono determinate dalla potenzialità annua dell’impianto in cui si effettua l’attività al netto della materia prima eventualmente impiegata e senza creare rischi per la salute dell’uomo e per l’ambiente.

(…)

2. Per le attività di recupero energetico di cui all’allegato 2, la quantità massima di rifiuti è definita in funzione del potere calorifico del rifiuto, della potenza termica nominale dell’impianto in cui avviene il recupero energetico e del tempo di funzionamento stimato per ogni singolo impianto di recupero.

3. Le quantità annue di rifiuti avviati al recupero devono essere indicate nella comunicazione di inizio di attività, precisando il rispetto delle condizioni di cui al presente articolo».


Procedimento precontenzioso

14
Con lettera di diffida del 28 febbraio 2000, la Commissione comunicava alle autorità italiane che la Repubblica italiana, avendo adottato il decreto, era venuta meno agli obblighi che ad essa incombevano ai sensi degli artt. 1, 9, 10 e 11 della direttiva 75/442 e dell’art. 3 della direttiva 91/689.

15
Ai sensi dell’art. 226 CE, la Commissione chiedeva alle autorità italiane di formulare eventuali osservazioni entro due mesi dal ricevimento della lettera di diffida.

16
Tali autorità rispondevano con due lettere, rispettivamente, del 3 maggio 2000 e 26 maggio 2000.

17
Giudicando le risposte delle autorità italiane non soddisfacenti in merito ad alcuni aspetti, l’11 aprile 2001 la Commissione inviava al governo italiano un parere motivato invitandolo a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi al medesimo entro due mesi dalla sua notificazione.

18
Le autorità italiane rispondevano con lettera del 17 agosto 2001.

19
Ritenendo tale risposta insoddisfacente, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.


Sulla prima censura, relativa alle quantità massime di rifiuti che possono essere dispensate dall’obbligo di autorizzazione

Argomenti delle parti

20
La Commissione sostiene che l’art. 7 del decreto viola le disposizioni dell’art. 11 della direttiva 75/442 in quanto non stabilisce una quantità massima di rifiuti destinati al ricupero che possono essere dispensati dall’obbligo di autorizzazione ma prevede, al contrario, una quantità variabile in funzione della potenzialità annua di ogni impianto interessato.

21
L’interpretazione della Repubblica italiana, consentendo alle imprese di recupero di essere esentate dall’obbligo di autorizzazione anche se trattano ingenti quantitativi di rifiuti, lederebbe la finalità di protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente di cui all’art. 4 della direttiva 75/442. Un tale approccio priverebbe di qualsiasi utilità pratica la procedura ordinaria di domanda d’autorizzazione.

22
Da parte sua, il governo italiano sostiene che gli Stati membri non sono tenuti a fissare quantità massime assolute. Il testo dell’art. 11 della direttiva 75/442 non conterrebbe alcuna espressa disposizione in tal senso.

23
Tale governo rileva anzi che, ai sensi del detto art. 11, n. 1, secondo comma, al fine di beneficiare dell’esenzione, è sufficiente che sia soddisfatto uno dei due requisiti che figurano rispettivamente in ciascuno dei due trattini del suddetto comma. In base al secondo requisito, gli Stati membri devono definire i tipi o le quantità di rifiuti interessati al fine di garantire l’osservanza dei requisiti di protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente previsti dall’art. 4 della direttiva 75/442. Il termine «o» nel corpo dell’espressione «i tipi o le quantità di rifiuti» corroborerebbe tale analisi.

24
Qualora ricorra quest’ultimo requisito, e quindi risultino rispettate le condizioni previste dall’art. 4 della detta direttiva, non sarebbe necessario soddisfare il primo requisito di cui al primo trattino dell’art. 11, n. 1, secondo comma, della stessa direttiva. Tali due condizioni costituirebbero due ipotesi distinte e dovrebbero essere dunque considerate alternative, a discrezione degli Stati membri, e non cumulative.

25
Il governo italiano evidenzia che le disposizioni del decreto nel loro insieme e, in particolare, quelle che si riferiscono alla determinazione di quantità massime relative, hanno per scopo un’elevata protezione dell’ambiente e rispondono al detto scopo meglio di quanto possa fare la fissazione di una quantità massima assoluta. Secondo tale governo, l’impossibilità per gli impianti di ampia potenzialità di recuperare i rifiuti al di là di una soglia assoluta e l’obbligo di smaltirli sarebbero incompatibili anche con i principi generali della direttiva 75/442.

Giudizio della Corte

26
Per stabilire se la Repubblica italiana ha correttamente applicato la direttiva 75/442, occorre verificare se quest’ultima imponga agli Stati membri di fissare quantità massime assolute di rifiuti destinati a essere recuperati che possono costituire oggetto di una dispensa dall’autorizzazione o se i suddetti Stati siano legittimati a prevedere quantità relative in funzione della potenzialità di ogni impianto. A tale scopo occorre esaminare la formulazione stessa dell’art. 11, n. 1, secondo comma, della direttiva 75/442.

27
Dal tenore letterale di tale disposizione emerge, anzitutto, che l’esenzione dall’obbligo di autorizzazione si applica a condizione che ricorrano due requisiti. Dal momento che ciascuno dei requisiti è preceduto da un trattino e che gli stessi sono uniti mediante la congiunzione coordinativa «e», non vi è alcun dubbio che le due condizioni siano cumulative e non alternative, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano.

28
Occorre inoltre delimitare la portata dell’obbligo di fissare una quantità, che figura nella prima condizione, in quanto quest’ultima si impone agli Stati membri allo stesso titolo della seconda condizione.

29
Tale prima condizione prevede espressamente l’adozione, da parte delle autorità competenti, per ciascun tipo di attività, di norme che fissino «i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione».

30
Sebbene l’espressione «quantità massime assolute» non venga espressamente utilizzata, dalla lettera stessa della disposizione emerge che la nozione di quantità rinvia a una soglia superiore applicabile a ogni tipo di rifiuti al di là della quale le operazioni di ricupero non beneficiano del regime di dispensa, ma devono essere soggette ad autorizzazione.

31
Per di più, il sistema della direttiva 75/442 nel suo insieme milita a favore di tale interpretazione. Tale direttiva prevede infatti una procedura ordinaria che comporta l’obbligo di ottenere l’autorizzazione menzionata agli artt. 9 e 10. L’art. 11, prevedendo un’esenzione dall’obbligo a determinate condizioni, istituisce una procedura semplificata. Quest’ultima, di natura derogatoria, deve poter essere applicata e controllata nel modo più facile possibile, cosa che non si verificherebbe se le quantità di rifiuti potessero variare in funzione di ogni impianto.

32
L’argomento del governo italiano, secondo cui le disposizioni del decreto risponderebbero meglio allo scopo di tutela dell’ambiente rispetto a quelle previste nella direttiva 75/442, è inconferente.

33
Come la Corte ha precedentemente statuito, l’obbligo di garantire la piena efficacia di una direttiva, in conformità del suo obiettivo, non può essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono dispensati dall’adottare misure di trasposizione qualora ritengano che la loro normativa nazionale sia migliore della normativa comunitaria in questione e che le norme nazionali siano, per questa ragione, più adatte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’esistenza di norme nazionali può rendere superflua la trasposizione mediante provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc solo a condizione, in particolare, che tali norme garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva da parte dell’amministrazione nazionale (v., segnatamente, sentenza 29 aprile 2004, causa C-194/01, Commissione/Austria, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39). Pertanto, nella specie, agli Stati membri non è consentito discostarsi dalla disciplina imposta dalla direttiva 75/442 sostituendo le quantità massime per tipo di rifiuti che possono essere oggetto di ricupero senza autorizzazione con quantità variabili in funzione delle potenzialità di ogni impianto di ricupero.

34
Peraltro, è errato sostenere, come fa il governo italiano, che l’interpretazione della Commissione è incompatibile con lo scopo della direttiva in quanto implicherebbe che impianti di grandi dimensioni possano ricuperare solo un’esigua quantità di rifiuti corrispondente alle quantità massime e che debbano smaltire il resto. Infatti, nulla impedisce a tali imprese di ricuperare quantità di rifiuti superiori a tali quantità massime, a condizione di farlo in regime di autorizzazione.

35
Occorre quindi dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo stabilito nel decreto quantità massime di rifiuti, per tipo di rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa dall’autorizzazione, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in virtù degli artt. 10 e 11, n. 1, della direttiva 75/442.


Sulla seconda censura, relativa a una definizione imprecisa dei tipi di rifiuti coperti dalla dispensa dall’autorizzazione

Argomenti delle parti

36
La Commissione formula due addebiti: in primo luogo, alcuni titoli delle norme tecniche, contenute negli allegati 1 e 2 del decreto, definiscono i tipi di rifiuti in modo estremamente vago; in secondo luogo, i codici del Catalogo Europeo dei Rifiuti (in prosieguo: i codici «CER») spesso non sono citati oppure, pur essendo citati, non corrispondono alla definizione riportata nei titoli delle norme tecniche. Ne conseguirebbe che alcuni rifiuti pericolosi potrebbero essere fatti rientrare nella categoria dei rifiuti non pericolosi, consentendo in tal modo agli stabilimenti e alle imprese che li trattano di essere dispensati dall’autorizzazione, avvalendosi dei criteri meno severi previsti per i rifiuti non pericolosi.

37
La Commissione illustra la sua censura menzionando tre casi.

38
La Commissione rileva, innanzi tutto, a titolo di esempio, che la norma tecnica 5.9, che figura nell’allegato 1 del decreto, relativa «a spezzoni di cavo in fibra ottica ricoperta di tipo dielettrico, semidielettrico e metallico» non menziona alcun codice CER.

39
Inoltre, la norma tecnica 7.8, contenuta nell’allegato 1 del decreto, che fa riferimento ai «rifiuti di refrattari, rifiuti di refrattari da forni per processi ad alta temperatura», è accompagnata da una serie di codici CER che non consentirebbe di stabilire se i materiali di rivestimento usati, provenienti da processi metallurgici dell’alluminio, siano o meno ricompresi in detta norma e darebbe origine ad una confusione tra rifiuti non pericolosi e pericolosi.

40
Infine, la norma tecnica 3.10, contenuta nell’allegato 1 del decreto, che si riferisce alle «pile all’ossido di argento esauste», reca l’errato codice CER 160605, corrispondente alla tipologia «altre pile ed accumulatori», compresa fra i rifiuti non pericolosi, invece di recare, in considerazione del tenore di mercurio, il codice CER 160603, che fa riferimento alle «pile a secco al mercurio» e quindi rientra nella categoria dei rifiuti pericolosi. La Commissione segnala a tale proposito che il titolo del codice 160603 è stato modificato dalla decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE (GU L 226, pag. 3) che ha introdotto la dicitura «accumulatori al mercurio».

41
Il governo italiano rileva che i tre casi esaminati dalla Commissione costituiscono casi non esemplari e che quest’ultima ha ingiustamente presunto in maniera generalizzata una mancata definizione o una definizione erronea dei tipi di rifiuti coperti dalla dispensa dall’autorizzazione.

42
Per quanto riguarda la norma tecnica 3.10 relativa alle pile all’ossido di argento esauste, il governo italiano afferma che la lettura della definizione della norma e del codice CER che le è stato attribuito dev’essere contestuale all’esame della provenienza e delle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti stessi. Nel caso particolare, l’attribuzione ai rifiuti in questione del codice CER assegnato ai rifiuti non pericolosi corrisponderebbe esattamente alle caratteristiche chimico-fisiche indicate nel decreto, ovvero «involucro in acciaio contenente ossidi e/o sali di argento oltre l’1%, Zn <9% e Ni <55%».

Giudizio della Corte

43
Con tale seconda censura la Commissione addebita in modo generalizzato alla Repubblica italiana di non aver definito con esattezza i tipi di rifiuti non pericolosi destinati a essere ricuperati in regime di procedura semplificata. Le norme tecniche che si riferiscono a tali tipi di rifiuti sarebbero enunciate in modo estremamente vago e i codici CER sarebbero stati omessi o erroneamente citati. La Commissione formula il suo addebito facendo riferimento a tre norme tecniche.

44
A tale proposito occorre constatare che la Commissione cita solo tre casi specifici e non fornisce alcun mezzo di prova che consenta alla Corte di verificare la fondatezza della censura in quanto si riferisce a tutte le norme tecniche contenute nel decreto. L’esame della censura dev’essere pertanto limitato ai tre casi menzionati.

45
Per quanto riguarda la norma tecnica 5.9, si deve osservare che il governo italiano ha anzitutto comunicato alla Commissione, in risposta alla lettera di diffida e al parere motivato, che prevedeva di introdurre un codice CER e che successivamente nel controricorso ha fatto presente che i codici CER erano stati effettivamente adottati in applicazione della decisione 2000/532/CE.

46
Anche se il governo italiano sostiene che i codici CER da esso adottati mirano a riprodurre i codici previsti dalla decisione 2000/532 cui gli Stati membri avrebbero dovuto conformarsi non oltre il 1º gennaio 2002, ossia a una data successiva ai fatti addebitati, è giocoforza constatare che tale governo non ha negato che avrebbe dovuto adottare un codice CER per i rifiuti in questione prima di tale data, in conformità alle disposizioni della direttiva 75/442.

47
Occorre constatare che, poiché la Repubblica italiana non ha ancora attribuito un codice CER alla norma 5.9 nonostante sia decorso il termine fissato nel parere motivato, risulta accertato l’inadempimento addebitato dalla Commissione con riferimento a tale norma.

48
Quanto alla censura della Commissione riguardante la norma tecnica 7.8, è sufficiente rilevare che il governo italiano nel controricorso ha asserito che si sarebbe dovuto provvedere il più celermente possibile alla modifica dei codici CER applicati. Ne consegue che il governo italiano non ha contestato la mancanza di conformità dei codici applicati ai requisiti della direttiva 75/442 e che è necessario constatare l’inadempimento addebitato dalla Commissione in quanto si riferisce a tale norma.

49
Il terzo caso riguarda la norma tecnica 3.10. A tale proposito occorre rilevare che il governo italiano non ha replicato all’affermazione della Commissione secondo cui le pile di cui trattasi contenevano mercurio. Esso ha semplicemente affermato che la definizione delle caratteristiche tecniche del prodotto fornita nel decreto non attesta la presenza di mercurio, la qual cosa, a suo giudizio, giustificava l’applicazione del codice CER corrispondente a un rifiuto non pericoloso.

50
Si deve constatare che, nella misura in cui le pile in questione contenessero mercurio, la Commissione ha potuto ritenere che si trattasse di un rifiuto pericoloso e che il codice CER appropriato fosse il codice 160603, che si applica alle pile secche al mercurio, e non il codice 160605, corrispondente alle altre pile e accumulatori attribuito ai rifiuti non pericolosi. Spettava tuttavia alla stessa Commissione fornire la prova che le pile in questione contenessero mercurio, cosa che non emerge dai documenti presentati alla Corte. In mancanza di tali prove, occorre respingere la censura della Commissione relativa alla norma 3.10.

51
Alla luce delle considerazioni sopra esposte occorre dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo definito con esattezza i tipi di rifiuti relativi alle norme tecniche 5.9 e 7.8 dell’allegato 1 del decreto, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 11, n. 1, della direttiva 75/442 e dell’art. 3 della direttiva 91/689.


Sulla terza censura, relativa alla definizione di alcune attività di smaltimento come attività di recupero

Argomenti delle parti

52
La Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver presentato operazioni di smaltimento come operazioni di recupero e di aver in tal modo violato gli artt. 9 e 11 della direttiva 75/442, relativi al regime di autorizzazione, con riferimento all’art. 1, lett. e) ed f), della stessa direttiva e agli allegati II A e II B che definiscono tali operazioni.

53
Le operazioni di cui trattasi sono menzionate all’art. 5 del decreto. Esse riguardano la restituzione delle aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici e includono la copertura di discariche.

54
La Commissione rileva che le operazioni relative alla restituzione delle aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici sono state erroneamente classificate nella categoria R 10 di cui all’allegato II B della direttiva 75/442. Tale categoria riguarda gli spandimenti sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia e, secondo la Commissione, si riferisce piuttosto all’uso di fanghi in agricoltura.

55
Quanto alle operazioni di copertura di discariche, consistenti nel mero deposito di rifiuti su rifiuti già esistenti, la Commissione sostiene che non costituiscono attività di riciclaggio o di recupero vere e proprie tali da rientrare nella voce R 5 dell’allegato II B della direttiva 75/442, come la Repubblica italiana le ha erroneamente classificate. La copertura di discariche rientra, secondo la Commissione, nella voce D 1 dell’allegato II A alla stessa direttiva, concernente le operazioni di smaltimento e intitolato «Deposito sul o nel suolo (ad esempio, messa in discarica, ecc.)».

56
Il governo italiano sostiene, per contro, la correttezza della scelta di assegnare operazioni di «recuperi ambientali» al codice R 10, «spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia». Le suddette operazioni mirano a ripristinare l’ambiente e pertanto rientrano effettivamente in tale codice. Il recupero ambientale non dovrebbe essere confuso con un’operazione di smaltimento.

57
Quanto alla «copertura di discariche», il governo italiano sottolinea che tale operazione, come anche il «recupero ambientale», non costituisce un’operazione di smaltimento, ma un’attività di recupero in senso proprio.

58
La Commissione nella replica, alla luce della recente giurisprudenza della Corte sulla distinzione fra «recupero» e «smaltimento», rileva che alcune operazioni di rimodellamento morfologico indicate all’art. 5 del decreto possono essere fatte rientrare nel codice R 10.

59
Per contro, la Commissione sostiene che l’utilizzo di detriti e fanghi di perforazione, che possono contenere fino a 50 kg/t di idrocarburi e 300 kg/t di gasolio o olio a bassa tossicità, corrispondente alle norme tecniche 7.14 e 7.15, non può essere classificato come recupero ambientale.

Giudizio della Corte

60
Occorre osservare, come emerge dalla replica della Commissione, che quest’ultima mantiene solo la propria censura relativa all’utilizzo di detriti e fanghi di perforazione corrispondente alle norme tecniche 7.14 e 7.15 del decreto. L’utilizzo di tali rifiuti non costituirebbe, a suo giudizio, un’operazione di recupero, ma di smaltimento.

61
La Commissione non indica la ragione precisa per la quale mantiene la sua censura nei confronti di tali rifiuti e si limita a indicare che contengono quantità molto elevate di idrocarburi o di gasolio e di olio a bassa tossicità. La Commissione sembra altresì ritenere che i rifiuti di cui trattasi contengano sostanze pericolose che ne impediscono l’utilizzazione per fini di recupero.

62
La Corte ha tuttavia dichiarato che il fatto che taluni rifiuti siano o meno pericolosi di per sé non rappresenta un criterio rilevante per stabilire se un’operazione di trattamento dei rifiuti debba essere classificata come «recupero» ai sensi dell’art. 1, lett. f), della direttiva 75/442. La caratteristica essenziale di un’operazione di recupero di rifiuti consiste nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, il che consente di preservare le risorse naturali (sentenza 27 febbraio 2002, causa C-6/00, ASA, Racc. pag. I-1961, punti 68 e 69).

63
Ne consegue che il mero fatto che i rifiuti in questione contengano idrocarburi e gasolio e oli a bassa tossicità in quantità elevate non impedisce che possano essere utilizzati per fini di ricupero.

64
Peraltro, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, la Commissione ha ammesso che alcune operazioni di recupero ambientale e di copertura di discariche potevano essere considerate come operazioni di recupero in particolare ai sensi della norma tecnica 4.4. Orbene, le attività previste dalle norme tecniche 7.14 e 7.15 sono descritte in modo identico o quasi identico a tali operazioni.

65
Occorre pertanto dichiarare che la Commissione non ha dimostrato che la Repubblica italiana avesse erroneamente classificato operazioni di smaltimento come operazioni di recupero di rifiuti e si deve respingere la sua terza censura nel suo insieme.


Sulle spese

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Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, a norma dell’art. 69, n. 3, del medesimo regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più punti, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese. Poiché nella specie ciascuna delle parti è rimasta parzialmente soccombente, ciascuna di queste sopporterà le proprie spese.




Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)
La Repubblica italiana, non avendo stabilito nel decreto 5 febbraio 1998, sull’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, quantità massime di rifiuti, per tipo di rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa dall’autorizzazione, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 10 e 11, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE.

2)
La Repubblica italiana, non avendo definito con esattezza i tipi di rifiuti relativi alle norme tecniche 5.9 e 7.8 dell’allegato 1 del detto decreto, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 11, n. 1, della direttiva 75/442, come modificata, e dell’art. 3 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi.

3)
Per il resto il ricorso è respinto.

4)
Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese.