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Corte di Giustizia CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE CHRISTINE STIX-HACKL
presentate il 14 aprile 2005 nella Causa C-270/03

Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato – Violazione dell’art. 12 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE – Imprese che provvedono alla raccolta e al trasporto dei propri rifiuti a titolo professionale – Obbligo d’iscrizione – Albo»

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I – Introduzione

1. Con il presente ricorso la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di prevedere nel proprio ordinamento nazionale l’obbligo di iscrizione all’albo nazionale per le imprese che esercitano la raccolta o il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare, nonché per le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità inferiori ai 30 kg o ai 30 litri al giorno, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (2), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (3).

2. Nella presente causa si pone essenzialmente la questione dei limiti entro i quali le imprese che raccolgono o trasportano i propri rifiuti (pericoloso o non pericolosi) debbano essere considerate «imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale» ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, e siano soggette pertanto all’obbligo di registrazione.

II – Contesto normativo

A – Normativa comunitaria

3. L’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, dispone quanto segue:

«Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari), devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione».

B – Normativa nazionale

4. Ai sensi dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426 (in prosieguo: il «decreto legislativo»):

«Le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, esclusi i trasporti di rifiuti pericolosi che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore degli stessi rifiuti (…) devono essere iscritte all’Albo» (4).

III – Fasi precontenziosa e contenziosa

5. La Commissione, ritenendo che l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo contravvenisse all’art. 12 della direttiva sui rifiuti, con lettera di diffida 24 ottobre 2001 ha avviato nei confronti della Repubblica italiana un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE.

6. Con lettera di risposta 27 febbraio 2002 il governo italiano ha respinto la censura della Commissione, fondandosi su una nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio.

7. La Commissione, essendo rimasta sulle proprie posizioni, il 27 giugno 2002 ha inviato al governo italiano un parere motivato, esortandolo a conformarvisi entro il termine di due mesi.

8. Rimasto il parere motivato privo di riscontro, la Commissione, con atto 17 giugno 2003, iscritto a ruolo presso la cancelleria della Corte il 24 giugno 2003, ha proposto il presente ricorso.

9. La Commissione chiede alla Corte di:

– dichiarare che la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in virtù dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426, di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti, e di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità inferiori ai 30 kg e ai 30 litri al giorno senza obbligo di essere iscritte al medesimo Albo, è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 12 della direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE;

– condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese di giudizio.

IV – Disamina del ricorso

A – Argomenti essenziali delle parti

10. La Commissione afferma che, ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, tutte le imprese indistintamente che provvedono a titolo professionale alla raccolta o al trasporto di rifiuti, indipendentemente dal fatto che si tratti di rifiuti pericolosi o non pericolosi, devono essere iscritte presso le competenti autorità. A tal proposito, la nozione di imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti «a titolo professionale» ricomprenderebbe, secondo la Commissione, non solo le imprese che esercitano tali attività per conto di terzi, bensì anche quelle che, come attività collaterale nel contesto della propria attività commerciale consueta, raccolgano o trasportino i propri rifiuti traendone un vantaggio economico. Anche la Corte avrebbe confermato questa tesi nella motivazione della sua ordinanza nella causa C-311/99 (5).

11. Tale interpretazione sarebbe, secondo la Commissione, coerente con la sistematica e gli obiettivi perseguiti dalla direttiva sui rifiuti, in particolare con la necessità, illustrata dal dodicesimo considerando della direttiva di modifica sui rifiuti, di assicurare il controllo continuo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento definitivo. Poiché è l’obbligo di registrazione a consentire tale controllo, l’intera vigilanza sui rifiuti non sarebbe garantita qualora fossero esentate dall’obbligo di registrazione le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti.

12. L’art. 30 del decreto legislativo imporrebbe invece un obbligo di registrazione soltanto a carico delle imprese che raccolgono o trasportano rifiuti per conto terzi, in contraddizione con la nozione di rifiuti raccolti o trasportati «a titolo professionale», accolta dall’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata.

13. Inoltre, l’art. 12 non ammetterebbe alcuna limitazione quantitativa, cosicché l’esenzione dall’obbligo di registrazione, riconosciuta dall’art. 30 del decreto legislativo a favore delle imprese che trasportino rifiuti pericolosi non eccedenti la quantità di 30 kg al giorno o di 30 litri al giorno, sarebbe anch’essa incompatibile con la direttiva sui rifiuti.

14. Il governo italiano afferma che nessuna norma comunitaria prescrive che la raccolta e il trasporto di rifiuti avvengano ad opera di terzi. Essenziale sarebbe invece il conseguimento dell’obiettivo di un controllo sul ciclo dei rifiuti. Secondo la direttiva, il detentore dei rifiuti ne sarebbe responsabile sino al momento della loro consegna per il riutilizzo, riciclo o recupero. L’obbligo d’iscrizione ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti sarebbe pertanto destinato ad assicurare il controllo del rifiuto a partire dal momento in cui esso esce dalla disponibilità del produttore. Il produttore dei rifiuti «si disfa» di questi solo al momento della consegna all’imprenditore che si occupa del riutilizzo o dello smaltimento. Fino a tale momento, finché quindi il rifiuto permane nell’ambito della sua responsabile vigilanza, non vi sarebbe dunque alcuna necessità che il produttore-imprenditore si iscriva, a fini di controllo.

15. A parere del governo italiano, la locuzione «a titolo professionale» di cui all’art. 12 della direttiva sui rifiuti, da un lato, indica che si deve trattare di un’attività abituale e, dall’altro, va interpretata nel senso che l’imprenditore di cui trattasi deve disporre delle cognizioni e dell’esperienza necessarie per svolgere tale attività. Ove si accogliesse l’interpretazione di tale nozione propugnata dalla Commissione, ne deriverebbe un obbligo d’iscrizione per migliaia di imprenditori, tale da compromettere la possibilità di controllo da parte delle autorità. Inoltre, in sede di attuazione del sistema di vigilanza previsto dalla direttiva sui rifiuti si potrebbe, infine, tenere conto della pericolosità e della quantità dei rifiuti.

B – Valutazione

16. La Commissione contesta all’art. 30, comma 4, del decreto legislativo il fatto che in tale disposizione non sia previsto alcun obbligo d’iscrizione per le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti – nel caso di rifiuti non pericolosi – o che tale obbligo d’iscrizione sia previsto soltanto a partire da una certa quantità (nella specie 30 kg o 30 litri al giorno) – nel caso di rifiuti pericolosi.

17. Nella presente causa occorre pertanto accertare, da un lato, se, ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, sia necessario imporre un obbligo d’iscrizione anche a quelle imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti, e, dall’altro, se eventualmente tale obbligo d’iscrizione – in ogni caso con riferimento ai rifiuti pericolosi – possa essere sottoposto, come nella fattispecie, ad una limitazione quantitativa.

18. Per quanto riguarda anzitutto la questione se le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti siano, o non siano affatto, ricomprese nella sfera dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, occorre rilevare che tale direttiva sancisce regole più chiare con riferimento allo smaltimento e al recupero di rifiuti propri che non con riferimento alla raccolta e al trasporto di rifiuti propri.

19. In tal senso, l’art. 8 della direttiva sui rifiuti dispone che gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché ogni detentore di rifiuti, nei limiti in cui non li consegni ad un’impresa di raccolta o ad un’impresa che effettua le operazioni di recupero o di smaltimento, provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva. Vero è che, ai sensi dell’undicesimo considerando della direttiva di modifica sui rifiuti, le imprese che trattano direttamente i propri rifiuti o recuperano rifiuti possono essere dispensate dall’autorizzazione, purché rispettino le esigenze di tutela dell’ambiente; tali imprese devono tuttavia, in ogni caso, essere assoggettate all’obbligo di iscrizione. La normativa corrispondente è contenuta nell’art. 11, n. 1 e 2, della direttiva sui rifiuti, come modificata.

20. Nella direttiva sui rifiuti non si rinviene invece alcun riferimento espresso alle imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti. Comunque, come risulta dal dodicesimo considerando della direttiva di modifica sui rifiuti, anche «altre imprese che si occupano di rifiuti, come gli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto e alla mediazione» devono essere sottoposte ad autorizzazione o iscrizione e a un adeguato controllo.

21. L’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, circoscrive specularmente l’ambito di applicazione dell’obbligo di autorizzazione o iscrizione facendo riferimento alle «imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari)».

22. Stando al mero tenore letterale del dodicesimo considerando della direttiva di modifica sui rifiuti e dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, sembra potersi concludere, prima facie, che tale articolo ricomprenda unicamente le imprese che operano nel settore della raccolta e del trasporto, e non le imprese che in via di principio operano in un altro settore, e, collateralmente, provvedono anche alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti.

23. Alla stregua della Commissione, tuttavia, sono anch’io dell’opinione che l’analisi della genesi di tale disposizione nonché della sistematica complessiva della direttiva sui rifiuti imponga di interpretare l’art. 12 della direttiva, come modificata, nel senso che esso deve ricomprendere anche le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti.

24. In proposito occorre rilevare che la direttiva sui rifiuti, nella sua versione originaria, distingueva due gruppi di imprese per le quali, ai fini della tutela ambientale, vigevano requisiti differenti.

25. Il primo gruppo ricomprendeva le imprese «che provvedono al trattamento, all’ammasso o al deposito di rifiuti per conto di terzi». Tali imprese erano soggette all’obbligo di autorizzazione (art. 8 della direttiva sui rifiuti nella versione originaria) nonché ad un controllo periodico da parte dell’autorità competente (art. 9 della direttiva sui rifiuti nella versione originaria).

26. Il secondo gruppo comprendeva le «imprese che provvedono al trasporto, alla raccolta, all’ammasso, al deposito o al trattamento dei propri rifiuti nonché quelle che raccolgono o trasportano i rifiuti per conto di terzi ». Tali imprese erano sottoposte a una mera «vigilanza» da parte dell’autorità competente (art. 10 della direttiva sui rifiuti nella versione originaria).

27. Nella versione modificata della direttiva sui rifiuti, invece, non vi è più spazio per un «controllo» da parte delle autorità come misura autonoma.

28. Al suo posto, ormai, una parte delle imprese precedentemente ricomprese nel secondo gruppo – vale a dire quelle che provvedono autonomamente all’ammasso, al deposito o al trattamento dei propri rifiuti – rientra nella categoria di imprese che smaltiscono o recuperano i rifiuti, soggette ad autorizzazione ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti come modificata, oppure, ove risultino soddisfatte le condizioni per l’esenzione dall’obbligo di autorizzazione ai sensi dell’art. 11, n. 1, sono in ogni caso soggette a un obbligo d’iscrizione ai sensi del n. 2 dello stesso articolo.

29. Per quanto riguarda poi le altre imprese menzionate nell’art. 10 della direttiva sui rifiuti nella sua versione originaria, vale a dire le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti – propri o altrui –, è pacifico che ormai in ogni caso le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti altrui sono ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, e sono pertanto soggette a un obbligo d’iscrizione, sempreché non necessitino di autorizzazione.

30. Riassumendo, occorre rilevare che le imprese – che ai sensi dell’art. 10 della direttiva sui rifiuti nella versione originaria erano soggette a un controllo da parte delle autorità competenti – le quali provvedono autonomamente all’ammasso, al deposito o al trattamento dei propri rifiuti, nonché le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti altrui, sono ormai soggette, ai sensi della direttiva sui rifiuti come modificata, a un obbligo di autorizzazione o d’iscrizione e devono pertanto, ai sensi dell’art. 13 della stessa direttiva, essere sottoposte ad adeguati controlli periodici da parte delle competenti autorità.

31. Ma è arduo ammettere che le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti debbano risultare escluse da questo innalzamento del livello di efficacia del controllo introdotto dalla direttiva di modifica sui rifiuti, consistente nell’imporre un obbligo di autorizzazione o d’iscrizione nonché un adeguato controllo periodico anziché di una mera sorveglianza.

32. Soprattutto, non è ravvisabile nella direttiva sui rifiuti, come modificata, a prescindere dall’art. 12, alcuna specifica misura di controllo applicabile alle imprese che raccolgano o trasportino rifiuti. Se davvero l’art. 12 dovesse essere inteso nel senso che esso non ricomprende anche le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti, allora la direttiva di modifica sui rifiuti, sotto questo profilo, non solo non avrebbe apportato alcun innalzamento del livello di protezione e di efficacia dei controlli, ma addirittura ne avrebbe determinato un peggioramento, laddove la direttiva sui rifiuti nella sua versione originaria prevedeva quantomeno una vigilanza di tali imprese da parte delle competenti autorità. Un’interpretazione del genere, inoltre, come afferma la Commissione, si porrebbe in una certa contraddizione rispetto al dodicesimo considerando della direttiva di modifica sui rifiuti, in cui si fa riferimento alla necessità di assicurare il «controllo continuo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento definitivo».

33. Il fatto che un’impresa che provvede alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti, in quanto detentore di rifiuti, in forza dell’art. 8 o anche dell’art. 4 della direttiva sui rifiuti, come modificata, sia «responsabile» per tali rifiuti fino alla loro consegna ad un’impresa di smaltimento o di recupero – essendo soggetta al divieto di smaltimento incontrollato e all’obbligo di consegnare i rifiuti a un apposito stabilimento – non depone, contrariamente a quanto argomenta il governo italiano, contro la necessità che tale impresa sia assoggettata ai requisiti d’iscrizione e di controllo conformemente agli artt. 12 e 13 di questa direttiva. Infatti, ai sensi degli artt. 4 e 8 della direttiva sui rifiuti, come modificata, anche le imprese che recuperano o smaltiscono i propri rifiuti sono soggette al divieto generale di smaltimento incontrollato nonché all’obbligo di assicurare il recupero o lo smaltimento nel rispetto delle disposizioni della direttiva, e tuttavia tali imprese sono assoggettate, ai sensi degli artt. 9, 10 e 11 di questa direttiva, a un obbligo di autorizzazione o d’iscrizione nonché, ai sensi dell’art. 12, a un adeguato controllo periodico.

34. Giungo pertanto alla conclusione che, ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, in linea di principio anche per le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti debba essere previsto un obbligo d’iscrizione, sempreché non sussista un obbligo di autorizzazione.

35. Resta ancora da chiedersi, tuttavia, quale significato debba essere attribuito, nell'art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, alla locuzione «a titolo professionale».

36. Poiché, come ho già rilevato, l’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, non si riferisce solo alle imprese che operano nel settore economico dei rifiuti in quanto imprese di raccolta o di trasporto, bensì anche alle imprese attive in altri settori, che raccolgono o trasportano i propri rifiuti soltanto a titolo di attività collaterale, non appare appropriato intendere la nozione di «professionalità» in primo luogo in senso quantitativo, vale a dire dal punto di vista del vantaggio economico o della redditività per l’impresa interessata.

37. Piuttosto, a mio parere, l’inserimento della locuzione «a titolo professionale» mira in certo qual modo a una delimitazione, nel senso che non ogni impresa presso la quale occasionalmente o eccezionalmente si producano rifiuti – che essa provvede poi a trasportare autonomamente a uno stabilimento di raccolta, recupero o smaltimento – è soggetta all’obbligo d’iscrizione ai sensi dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, bensì quelle imprese con la cui attività commerciale siano regolarmente o abitualmente connessi il trasporto o la raccolta dei propri rifiuti, e ciò, in pratica, in ragione della natura di tale attività.

38. Sotto questo profilo, va pertanto condiviso l’argomento, sostanzialmente dedotto da entrambe le parti del procedimento, secondo il quale l’inserimento della locuzione «a titolo professionale» dimostrerebbe che, nel caso di raccolta o trasporto di rifiuti, deve trattarsi di un’attività che l’impresa svolge regolarmente o abitualmente nell’ambito della sua effettiva attività commerciale.

39. Per quanto riguarda la limitazione in senso quantitativo dell’obbligo d’iscrizione, conformemente al decreto legislativo, che opera a partire da 30 kg o 30 litri al giorno per le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti pericolosi, occorre rilevare che la locuzione «a titolo professionale» accolta dall’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, presenta effettivamente una certa imprecisione, così concedendo agli Stati membri un margine di discrezionalità in sede di trasposizione. Poiché tuttavia la locuzione «a titolo professionale» non si fonda, come evidentemente assume il governo italiano, sulla redditività della raccolta o del trasporto dei propri rifiuti, l’art. 12 anche a mio parere non consente di esonerare in generale le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti pericolosi entro il limite di 30 kg o 30 litri al giorno dall’obbligo di registrazione.

40. In altre parole, l’impresa che giornalmente provveda alla raccolta di un quantitativo non superiore a 30 kg o ai 30 litri di propri rifiuti pericolosi può perfettamente essere considerata un’impresa che svolge tale attività a titolo abituale nell’ambito della sua attività imprenditoriale.

41. Del resto, come afferma la Commissione, l’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata, è formulato in maniera incondizionata e non contiene alcuna indicazione del fatto che l’obbligo d’iscrizione debba valere soltanto a partire da una determinata quantità minima. Né il governo italiano ha precisato quali considerazioni siano sottese alla fissazione di tale quantitativo minimo.

42. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte occorre pertanto constatare che il decreto legislativo, nei limiti in cui esclude in generale le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti non pericolosi dall’obbligo d’iscrizione contravviene agli obblighi derivanti dall’art. 12 della direttiva sui rifiuti, come modificata. Si deve altresì constatare che il decreto legge si pone in contrasto con lo stesso articolo allorché esclude dall’obbligo d’iscrizione le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei propri rifiuti pericolosi entro il limite quantitativo di 30 kg o di 30 litri al giorno.

43. Il ricorso della Commissione è pertanto fondato.

V – Sulle spese

44. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica italiana è rimasta soccombente, propongo alla Corte di condannarla alle spese del procedimento.

VI – Conclusione

45. Propongo pertanto alla Corte di

– dichiarare che la Repubblica italiana, avendo permesso alle imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, modificato dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426, di provvedere alla raccolta e al trasporto dei propri rifiuti non pericolosi a titolo di attività abituale, senza obbligo di iscriversi all’Albo nazionale delle imprese esercenti i servizi di smaltimento rifiuti, nonché di trasportare i propri rifiuti pericolosi, in quantità inferiori ai 30 kg o ai 30 litri al giorno, senza obbligo di iscriversi al medesimo Albo, è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 12 della direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE;

– condannare la Repubblica italiana alle spese.

11 – Lingua originale: il tedesco.

2 – GU L 194, pag. 39 (in prosieguo: la «direttiva sui rifiuti» o, rispettivamente, la «direttiva sui rifiuti nella versione originaria»).

3 – GU L 78, pag. 32 (in prosieguo: la «direttiva di modifica sui rifiuti»; in prosieguo, la versione della direttiva sui rifiuti nella versione modificata dalla detta direttiva sarà designata come la «direttiva sui rifiuti, come modificata»).

4 – Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti.

5 – Ordinanza della Corte 29 maggio 2001, causa C-311/99, Caterino (non pubblicata nella Raccolta, punto 25), emessa ai sensi dell'art. 104, n. 3, del regolamento di procedura.