TAR Lombardia (MI) Sez. II n.1291 del 7 luglio 2020
Urbanistica.Ambiente e pianificazione urbanistica

All’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. E ciò in quanto l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’art. 9 della Costituzione

Pubblicato il 07/07/2020

N. 01291/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01027/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1027 del 2017, proposto da
- Angelo Beretta, in proprio e quale legale rappresentate pro-tempore di Angelo Beretta S.r.l., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Andrea Simone Edoardo Barni e Giusi Colombo e domiciliati ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;

contro

- il Comune di Erba, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Erminia Gariboldi e domiciliato ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;
- la Provincia di Como, in persona del Presidente pro-tempore, non costituita in giudizio;
- la Regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

- della deliberazione del Consiglio comunale di Erba n. 1 del 5 gennaio 2017, avente ad oggetto “Variante generale al PGT – Esame delle osservazioni e controdeduzioni – approvazione definitiva. Prosecuzione seduta del 28.12.2016”, e di tutti i relativi atti allegati e richiamati, ed il cui avviso di approvazione è stato pubblicato sul B.U.R.L. – Serie Avvisi e Concorsi n. 11 del 15 marzo 2017;

- della deliberazione del Consiglio comunale di Erba n. 101 del 28 dicembre 2016, avente ad oggetto “Variante generale al PGT – Esame delle osservazioni e controdeduzioni – approvazione definitiva”, e di tutti i relativi atti allegati e richiamati, con particolare riferimento all’allegato n. A.1 alla medesima deliberazione, con cui sono stati indicati i criteri di analisi delle osservazioni, all’allegato n. D.3 al fascicolo D, relativo anche alle osservazioni/controdeduzioni aventi ad oggetto le “osservazioni che prevedono una riduzione delle aree a servizi” (la n. 33 di parte ricorrente) e all’allegato sub F, registro delle osservazioni e relative “Proposte di controdeduzione”;

- delle delibere citate, con le quali il Consiglio comunale di Erba ha controdedotto ed effettuato l’“allineamento cartografico e normativo”, in due sedute, alle osservazioni presentate, ed approvato definitivamente la Variante generale al Piano di Governo del Territorio (P.G.T.);

- se e per quanto occorra, della deliberazione del Consiglio comunale di Erba n. 70 del 2016, con la quale sono stati adottati gli atti costituenti la Variante al medesimo P.G.T. e tutti i relativi atti allegati e richiamati, con espresso riferimento al Rapporto Ambientale, al Documento Sintesi non Tecnica;

- se e per quanto occorra, degli atti inerenti alla procedura di V.A.S. della variante al P.G.T.;

- di ogni altro atto e/o documento, comunque connesso, antecedente – ivi inclusa la delibera di Giunta comunale n. 135 del 29 maggio 2014 di avvio del procedimento di Variante generale – o consequenziale, facente parte della Variante al P.G.T.;

- nonché per la condanna della P.A. resistente, al risarcimento del danno ingiusto subito dai ricorrenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Erba;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore il consigliere Antonio De Vita;

Tenutasi l’udienza in data 23 giugno 2020, senza discussione orale e mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in legge n. 27 del 2020, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 12 maggio 2017 e depositato il 17 maggio successivo, i ricorrenti hanno impugnato le deliberazioni del Consiglio comunale di Erba n. 1 del 5 gennaio 2017, avente ad oggetto “Variante generale al PGT – Esame delle osservazioni e controdeduzioni – approvazione definitiva. Prosecuzione seduta del 28.12.2016”, e n. 101 del 28 dicembre 2016, avente ad oggetto “Variante generale al PGT – Esame delle osservazioni e controdeduzioni – approvazione definitiva”; è stato altresì chiesto il risarcimento del danno.

Il ricorrente Beretta è proprietario di un’area non edificata situata nel Comune di Erba (mappali 162 e 1288 del foglio 902), acquistata per l’ampliamento della propria attività di vendita e riparazione di autovetture; alla predetta area è annessa la sede dell’attività, oltre che l’abitazione privata (mappali n. 307 e 135 e 731), il cui sedime risulta incluso nel Tessuto Urbano Consolidato ex art. 32 del Piano delle Regole. L’area non edificata, in base al P.R.G. del 1984, risultava classificata zona agricola E1 “rurale generica”, pur essendo contornata dall’edificato esistente destinato a zona D1 – produttiva e commerciale e zona B – residenziale saturo e/o di completamento. Dopo vari tentativi di modifica della destinazione, mai approdati a conclusione, il 1° giugno 2006 venne presentata una richiesta di attivazione di S.U.A.P. ex D.P.R. n. 447 del 1998 in variante, allo scopo di permettere l’ampliamento dell’attività svolta e previa variazione della destinazione da agricola a commerciale (con la realizzazione di un nuovo edificio nella parte sud del lotto). Nel P.G.T. adottato nel 2007 si prevedeva che la porzione edificata fosse mantenuta nel Tessuto Urbano Consolidato ex art. 27 N.T.A., mentre il lotto inedificato veniva inserito in un’Area di trasformazione, denominata AT 5.5 – Via Resegone. Dopo la revoca della deliberazione di adozione del 2007, nel 2010 è stato approvato un nuovo P.G.T. che ha azzonato la porzione edificata (ovvero la sede dell’attività e l’abitazione) nel Tessuto Urbano Consolidato, mentre il lotto inedificato è stato incluso nell’Ambito di trasformazione 3.10 (ex 5.5) di Via Resegone, con destinazione prevalentemente produttiva. Successivamente l’Amministrazione ha consentito di completare e riqualificare autonomamente una parte dei lotti inclusi nell’AT 3.10 di Via Resegone, facendo decadere l’Ambito di trasformazione originario, in quanto eccessivamente esteso e di difficile attuazione. Con la delibera di adozione del P.G.T. del 2016, l’area inedificata di proprietà del ricorrente Beretta è stata inclusa dal Documento di Piano nel sistema delle “aree verdi e della fruizione”, ovvero nelle “aree di verde urbano all’interno dell’edificato”, destinata, ai sensi dell’art. 18 del Piano delle Regole, a “sistemi rurali ed ecosistemi residuali a funzione protettiva”, sostanzialmente priva di capacità edificatoria. Il citato ricorrente ha presentato un’osservazione allo scopo di salvaguardare la destinazione precedentemente attribuita al lotto di appartenenza, ma sebbene la stessa sia stata parzialmente accolta, la nuova destinazione impressa all’area di proprietà è risultata a “servizi a verde con vincolo di acquisizione”, disciplinata dall’art. 3, comma 1, del P.d.S. – criterio tre.

Assumendo l’illegittimità di una tale scelta pianificatoria, i ricorrenti ne hanno chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 13 e ss. della legge regionale n. 12 del 2005, degli artt. 9 e 10 della legge n. 1150 del 1942, della legge n. 241 del 1990, dell’art. 24 Cost., anche in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 3 delle norme del Piano dei servizi, in relazione alla Tavola 2.2 del P.d.S., e per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del Documento di piano, anche in relazione alla normativa espropriativa ed all’art. 9 della legge regionale n. 12 del 2005, e per eccesso di potere per sviamento, per indeterminatezza e genericità delle previsioni sui crediti edilizi, compensazione e sulla scheda normativa e per illegittimità derivata.

Successivamente sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 2, comma 5, della legge regionale n. 12 del 2005, l’eccesso di potere per difetto di trasparenza e per violazione dei criteri di partecipazione e collaborazione e la violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi di buon andamento ed imparzialità della P.A.

Ulteriormente sono stati eccepiti l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, il difetto di istruttoria, l’irragionevolezza, l’illogicità, la contraddittorietà, la genericità, la perplessità, l’omessa considerazione di tutti gli interessi coinvolti, la disparità di trattamento, l’eccesso di potere per difetto di motivazione e la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, la violazione dei principi di affidamento del privato e di buon andamento della P.A., ex art. 97 Cost., della proprietà privata, ex art. 42 Cost., e dell’iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.

Ancora è stato dedotto l’eccesso di potere per contraddittorietà rispetto alle disposizioni del P.T.C.P., per inadeguatezza dell’istruttoria e per contraddittorietà rispetto alla V.A.S.

Inoltre sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 13 e ss. della legge regionale n. 12 del 2005, in relazione alla violazione degli artt. 6 e 12 del D. Lgs. n. 152 del 2006, e degli artt. 4, commi 2, 2 bis e 2 ter, della legge regionale n. 12 del 2005, la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2001/42/CEE, della legge n. 394 del 1991 e delle N.T.A., la violazione e falsa applicazione della legge n. 106 del 2011, del D. Lgs. n. 152 del 2006 e D.C.R. n. 351 del 2007, della D.G.R. 10971 del 31 dicembre 2009, del D.D.S. n. 13071 del 14 dicembre 2010, della D.G.R. n. IX/3836 del 25 luglio 2012 e l’illegittimità derivata.

È stata infine articolata l’istanza risarcitoria, con richiesta di istruttoria in via subordinata.

Si è costituito in giudizio il Comune di Erba, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, i difensori delle parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare, la difesa del Comune di Erba ha eccepito, in via preliminare, la tardività del ricorso, cui ha replicato la difesa dei ricorrenti, chiedendone il rigetto, e insistendo per l’accoglimento del gravame.

All’udienza del 23 giugno 2020, svoltasi senza discussione orale e mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in legge n. 27 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, va respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso formulata dalla difesa del Comune di Erba e fondata sulla circostanza che la pubblicazione all’Albo pretorio comunale della Variante approvata risalirebbe agli inizi del mese di febbraio 2017, con scadenza del termine per impugnare in data antecedente al 12 maggio 2017.

Difatti, secondo una condivisibile giurisprudenza, «qualora un atto amministrativo a carattere generale sia sottoposto a plurime forme di pubblicità, la decorrenza del termine di impugnazione deve essere ancorata alla scadenza dell’ultima forma di pubblicità prevista dalla legge o in base alla legge (cfr. art. 41 comma 2 Cpa). Con particolare riguardo alla Regione Lombardia, l’art. 13 della L.r. 12/2005 – rubricato “Approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio” statuisce al comma 11 che “Gli atti di PGT acquistano efficacia con la pubblicazione dell’avviso della loro approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione, da effettuarsi a cura del comune…”: ne consegue che, quando la deliberazione di approvazione del PGT sia stata dapprima pubblicata all’Albo Pretorio e solo in seguito assoggettata alla pubblicazione sul BURL, la presunzione legale di conoscenza non avrà luogo sino a che non si sia perfezionata l'intera fase della pubblicità legale» (T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 5 marzo 2018, n. 264; altresì T.A.R. Lombardia, Milano, II, 16 gennaio 2017, n. 102; 12 luglio 2011, n. 1882; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 22 aprile 2011, n. 622; anche T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 8 luglio 2013, n. 6705). Relativamente alla presente controversia, l’avviso di approvazione della Variante al P.G.T. è stato pubblicato sul B.U.R.L., Serie Avvisi e concorsi, di mercoledì 15 marzo 2017 (all. 2 al ricorso), e rispetto a tale termine il ricorso risulta tempestivo.

2. Passando all’esame del merito del gravame, lo stesso è infondato.

3. Con il primo e il secondo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, si assume che la modifica di destinazione impressa all’area di proprietà dei ricorrenti in sede di approvazione finale della Variante, rispetto alla destinazione attribuita alla stessa in sede di adozione, avrebbe imposto la riadozione del Piano e la sua ripubblicazione, al fine di consentire alle parti private una effettiva partecipazione in sede di pianificazione urbanistica e di formulare le proprie osservazioni al riguardo.

3.1. Le doglianze sono infondate.

I ricorrenti hanno evidenziato che, in fase di adozione della Variante, l’area di proprietà, nella parte inedificata, era stata inserita all’interno dei “sistemi rurali ed ecosistemi residuali a funzione protettiva”, ovvero equiparata ad un’area agricola con una limitata capacità edificatoria, mentre in sede di approvazione finale la stessa è stata inclusa tra le “aree per servizi con vincolo di acquisizione o già di proprietà pubblica”, ovvero una vera e propria “area a servizi”.

Trattandosi di un cambio di destinazione d’uso che avrebbe determinato una sostanziale modifica dell’assetto dell’area rispetto alla fase di adozione, sarebbe stato necessario provvedere alla riadozione e alla nuova pubblicazione degli atti pianificatori, in modo da consentire ai soggetti interessati di trasmettere le proprie osservazioni con riferimento al nuovo assetto.

Tale prospettazione non può essere condivisa, poiché nella specie non risulta essersi verificato alcuno stravolgimento, in sede di approvazione finale, della Variante di Piano adottata, considerato che la destinazione da ultimo impressa al compendio in cui è collocata la proprietà dei ricorrenti non ha prodotto effetti così rilevanti sull’assetto territoriale complessivo, o almeno ciò non è stato oggetto di inequivoca dimostrazione.

Infatti, con riguardo alla necessità di una ripubblicazione del Piano, legata ad un asserito stravolgimento di quest’ultimo in fase di approvazione, va sottolineato che, sebbene, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, la rielaborazione complessiva di uno strumento di pianificazione territoriale, avvenuta in sede di approvazione definitiva dello stesso, comporti la necessità della sua ripubblicazione, va tuttavia osservato che ricorre una tale ipotesi allorquando fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione (cfr., da ultimo, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 febbraio 2020, n. 309; 26 novembre 2018, n. 2677; altresì, 19 luglio 2018, n. 1768).

Con riferimento ai piani urbanistici dei Comuni, si esclude che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree, come avvenuto nella fattispecie de qua (cfr. Consiglio di Stato, IV, 4 dicembre 2013, n. 5769; 30 luglio 2012, n. 4321; 27 dicembre 2011, n. 6865).

In tali casi trova applicazione la norma dell’art. 13, comma 9, della legge regionale n. 12 del 2005 che esclude la necessità di nuova pubblicazione in caso di approvazione di “… controdeduzioni alle osservazioni e di recepimento delle prescrizioni provinciali e regionali …”. Tale disposizione appare del tutto ragionevole alla luce della interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza, avendone limitato l’operatività alle situazioni in cui non risulta essersi prodotto uno stravolgimento del piano o delle sue linee portanti (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 6 maggio 2019, n. 1021; 17 aprile 2019, n. 868; 4 aprile 2019, n. 751; 26 novembre 2018, n. 2677).

3.2. Quanto poi all’asserita imposizione di un vincolo espropriativo sull’area, senza previsione di alcun indennizzo o di un idoneo e puntuale sistema compensativo – considerata anche la mancata istituzione del registro dei diritti edificatori – va evidenziato che il predetto registro è stato istituito nel 2012 (all. 28 del Comune) e che l’art. 3.1 delle N.T.A. del Piano dei Servizi individua le modalità per ristorare i proprietari delle aree soggette ad espropriazione (all. 33 del Comune). Peraltro, l’art. 16 del Piano dei Servizi, per gli interventi diretti ad “organizzare e valorizzare il verde e gli spazi non costruiti”, ammette la possibilità anche di esclusive iniziative private, evitandosi in tal modo l’acquisizione del bene alla mano pubblica (all. 34 al ricorso). Di conseguenza, in linea con un consolidato indirizzo giurisprudenziale, va ribadito che sono estranei allo schema ablatorio-espropriativo, con le connesse garanzie costituzionali, i vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, come nel caso de quo, che non comportino l’espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica (Corte costituzionale, sentenza 20 maggio 1999, n. 179; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 13 febbraio 2020, n. 305; 6 maggio 2019, n. 1021; 3 dicembre 2018, n. 2724; 27 febbraio 2018, n. 566; T.A.R. Piemonte, II, 29 gennaio 2016, n. 133).

3.3. Ciò determina il rigetto delle predette censure.

4. Con la terza doglianza si assume l’illegittimità della scelta pianificatoria relativa all’area di proprietà dei ricorrenti in quanto affetta da un grave vizio di carenza di istruttoria, peraltro svincolata dall’effettivo stato dei luoghi, e connotata da irragionevolezza e arbitrarietà, oltre che da disparità di trattamento per aver disciplinato più favorevolmente aree contigue.

4.1. La doglianza è infondata.

Va premesso che l’area di proprietà dei ricorrenti, inedificata, sotto il profilo del rischio geologico ricade nelle classi di fattibilità 2 e 4 (cfr. Studio Geologico allegato al Documento di Piano, all 10 del Comune), mentre da un punto di vista ecologico ricade nel corridoio della Rete ecologica provinciale (relativa al Fiume Lambro), disciplinata dall’art. 11 del P.T.C.P. di Como (all. 11 del Comune); infine, sotto il profilo del sistema paesaggistico ricade entro la fascia dei 150 metri del Fiume Lambro e, al momento dell’approvazione del P.G.T., era interessata dal percorso della Roggia Molinara, nel reticolo idrico minore del Comune intimato (cfr. Tav. 1/B Reticolo idrico minore, all. 12 del Comune). Inoltre il compendio è interessato da un percorso di interesse paesaggistico ed è inserito in una classe di sensibilità paesaggistica molto elevata (cfr. pag. 80 della Relazione al Documento di Piano: all. 30 del Comune).

Alla base della destinazione impressa all’area dei ricorrenti sono state indicate diverse ragioni, quali la mancanza di iniziative per l’attuazione unitaria e complessiva di tutto l’Ambito di trasformazione 3.10 di Via Resegone prevista dal precedente strumento urbanistico (in ragione della molteplicità dei proprietari da coinvolgere nella concertazione unitaria dell’intervento), e le diverse sensibilità dell’area, anche di tipo geologico, legate al contesto paesistico particolarmente esposto e fragile e alla presenza del Fiume Lambro (cfr. Relazione al Documento di Piano, pagg. 25 e ss., 80 e ss.: all. 30 del Comune).

Una tale condotta appare certamente in linea con la consolidata giurisprudenza, secondo la quale le scelte riguardanti la classificazione dei suoli sono sorrette da ampia discrezionalità e in tale ambito la posizione dei privati risulta recessiva rispetto alle determinazioni dell’Amministrazione, in quanto scelte di merito non sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare, potendosi derogare a tale regola solo in presenza di situazioni di affidamento qualificato del privato a una specifica destinazione del suolo, nel caso non sussistenti (Consiglio di Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1907; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 febbraio 2020, n. 309; 4 aprile 2019, n. 751; 27 febbraio 2017, n. 451). Come già rilevato, gli strumenti urbanistici previgenti classificavano l’area come E1 “rurale generica” e, anche quando è stata ricompresa nell’Ambito di trasformazione AT 3.10, comunque sulla stessa non era possibile localizzare alcuna edificazione, a causa dei vincoli ivi presenti.

La più recente evoluzione giurisprudenziale ha, oltretutto, evidenziato che all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (così, Consiglio di Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6656). E ciò in quanto l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’art. 9 della Costituzione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 10 maggio 2012, n. 2710; altresì, 22 febbraio 2017, n. 821; 13 ottobre 2015, n. 4716; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 17 aprile 2019, n. 868; 22 gennaio 2019, n. 122; 18 giugno 2018, n. 1534).

4.2. In ordine, poi, al mancato riconoscimento delle capacità edificatorie richieste dai ricorrenti e al deteriore trattamento rispetto al Piano adottato, nel caso di specie pare applicabile, a fortiori, l’orientamento della costante giurisprudenza secondo la quale, in materia urbanistica, non opera il principio del divieto di reformatio in peius, in quanto in tale materia l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte, che relega l’interesse dei privati alla conferma (o al miglioramento) della previgente disciplina ad interesse di mero fatto, non tutelabile in sede giurisdizionale (Consiglio di Stato, IV, 24 marzo 2017, n. 1326; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 febbraio 2020, n. 309; II, 17 aprile 2019, n. 868; 27 febbraio 2018, n. 566; 15 dicembre 2017, n. 2393).

Peraltro si deve rilevare come le contestazioni formulate dai ricorrenti attengano al merito delle scelte dell’Amministrazione, palesando un differente punto di vista rispetto a quest’ultima, assolutamente soggettivo, che non può trovare ingresso in questa sede (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 dicembre 2019, n. 2636; 20 agosto 2019, n. 1896).

4.3. Ulteriormente, la diversa collocazione della proprietà dei ricorrenti rispetto a quelle di altri soggetti, seppure poste tra loro in rapporto di prossimità, giustifica certamente una differente classificazione urbanistica delle stesse, anche in conseguenza della disomogeneità degli interventi da effettuarsi nei vari comparti edificatori e in ragione della loro consistenza.

Pertanto, in assenza di omogeneità delle zone poste in comparazione, affatto dimostrata nel presente giudizio, non è possibile invocare pretese finalizzate ad ottenere una parità di trattamento, tanto meno in relazione all’assetto urbanistico del territorio, dove l’Amministrazione dispone della più ampia discrezionalità, non rilevando affatto l’ampiezza dei lotti interessati dalle differenti previsioni. Le scelte di pianificazione territoriale, in quanto espressione di tale ampia discrezionalità, sono sindacabili dal giudice amministrativo entro limiti alquanto ristretti: a tale riguardo le scelte urbanistiche compiute dalle autorità preposte alla pianificazione territoriale costituiscono scelte di merito, che non possono essere sindacate dal giudice amministrativo salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare, con la conseguenza che non è configurabile il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 17 aprile 2019, n. 868; 22 gennaio 2019, n. 122; 27 febbraio 2018, n. 567; si veda pure Consiglio di Stato, IV, 16 gennaio 2012, n. 119).

4.4. Ciò determina il rigetto della suesposta doglianza.

5. Con il quarto motivo di ricorso si assume l’irragionevolezza della destinazione a servizi a verde impressa all’area dei ricorrenti, considerato che la stessa sarebbe ricompresa nel tessuto “urbanizzato” del territorio di Erba dal vigente P.T.C.P. di Como; inoltre, il procedimento di V.A.S. sarebbe contraddittorio, perché avrebbe posto ingiustificate limitazioni sull’area dei ricorrenti a favore degli altri comparti circostanti, nonostante la stessa non risulti inclusa nella rete ecologica, ma nell’urbanizzato del P.T.C.P., e sia posta in continuità con il resto dell’edificato.

5.1. La doglianza è infondata.

La previsione del P.T.C.P. che inserisce l’area di proprietà dei ricorrenti nel tessuto urbanizzato non ha carattere prescrittivo e vincolante, ma soltanto orientativo (art. 32 delle N.T.A. al P.T.C.P.: “Il PTCP in relazione alle aree urbanizzate indica le seguenti direttive: a) conferma il principio di autonomia comunale nell’elaborazione delle scelte di pianificazione locale …”: all. 36 del Comune), con la conseguenza che ben poteva il Comune individuare zone non edificabili anche nel predetto tessuto, al fine di ridimensionare il peso insediativo e il carico urbanistico e ridurre significativamente il consumo di nuovo territorio.

Del resto, in base all’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005, il Piano Territoriale Regionale ed i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale hanno efficacia di orientamento, indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi della stessa legge, abbiano efficacia prevalente e vincolante.

Il modello delineato dalla legge regionale prevede che i piani collocati al livello superiore non sono gerarchicamente sovraordinati agli altri, ma dettano una disciplina di orientamento, indirizzo e coordinamento, che non può essere stravolta ma, in particolari casi, derogata dalla disciplina puntuale dettata dallo strumento di pianificazione contenente disposizioni di maggior dettaglio.

Ne consegue che il potere pianificatorio dei Comuni non può essere trasformato dalla Regione e dalla Provincia in funzioni meramente consultive prive di reale incidenza, o in funzioni di proposta o ancora in semplici attività esecutive (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 5 aprile 2017, n. 798).

5.2. Quanto alle censure rivolte avverso la procedura di V.A.S., appare opportuno ribadire che le stesse attengono al merito delle scelte dell’Amministrazione, palesando un differente punto di vista da parte dei ricorrenti, assolutamente soggettivo, che non può trovare ingresso in questa sede.

Ugualmente, la diversa collocazione della proprietà dei ricorrenti rispetto a quelle di altri soggetti, seppure poste tra loro in rapporto di contiguità, giustifica certamente una differente classificazione urbanistica delle stesse, considerato che la pianificazione urbanistica ontologicamente opera delle differenziazioni nel regime dei suoli, anche laddove gli stessi sono immediatamente confinanti.

5.3. In ragione delle suesposte considerazioni, anche la predetta doglianza va respinta.

6. Con la quinta censura si evidenzia che la modifica della destinazione dell’area dei ricorrenti in fase di approvazione del P.G.T., rispetto a quanto stabilito in sede di adozione, rende del tutto incoerente la procedura di V.A.S. svolta sia dall’Autorità competente che procedente, non essendosi potuto considerare in tal modo gli effetti di tale (modificata) scelta sull’ambiente, a prescindere dal relativo esito.

6.1. La doglianza, ai limiti dell’ammissibilità, è infondata.

Va premesso che, secondo una consolidata giurisprudenza, le censure inerenti al procedimento di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento, essendo pertanto inammissibile una doglianza meramente “strumentale”, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 4 aprile 2019, n. 451; 26 novembre 2018, n. 2676; 15 dicembre 2017, n. 2394; 26 maggio 2016, n. 1097).

In ogni caso, i ricorrenti non perseguono l’interesse a conseguire una più attenta valutazione e, quindi, una più intensa tutela dei valori ambientali, che costituisce l’obiettivo proprio della V.A.S., bensì quello di ottenere, in occasione di una, futura ed eventuale, rinnovata pianificazione, l’assunzione rispetto al terreno di loro proprietà di scelte meno conservative nei confronti di quegli stessi valori. Anche sotto questo profilo, quindi, non risulta dimostrata l’incidenza del vizio prospettato rispetto all’interesse azionato nel ricorso (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 novembre 2018, n. 2676; 15 dicembre 2017, n. 2394; 14 gennaio 2016, n. 81).

6.2. Di conseguenza, anche la predetta censura va respinta.

7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

8. In ragione dell’infondatezza del gravame, la connessa domanda risarcitoria deve essere respinta (ivi compresa la subordinata richiesta istruttoria).

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore del Comune di Erba.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe, unitamente alla domanda di risarcimento del danno.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Erba nella misura di € 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 23 giugno 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in legge n. 27 del 2020, e dal decreto n. 6 del 19 marzo 2020 del Presidente del T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, con l’intervento dei magistrati:

Italo Caso, Presidente

Antonio De Vita, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi', Referendario