AMIANTO: un problema ancora aperto che merita attenzione Di Stefano Cudini (*) VERIFICA GIURIDICA DELLE DENUNCE AMBIENTALI

La recente approvazione da parte della Regione Marche del piano operativo  per il censimento sulla presenza di amianto nelle imprese e negli edifici rappresenta l’occasione per tornare a parlare di questa particolare tipologia di rifiuto e, in particolare, degli  obblighi da osservare per la sua corretta gestione e successivo smaltimento.

In questo articolo si cercherà di fare il punto sui principali aspetti attinenti al corretto comportamento da tenere per il rispetto delle norme sulla sicurezza e dell’ambiente che interessano questa particolare tipologia di materiale e di rifiuto.

 

COS’E’ L’AMIANTO

L’amianto, chiamato anche indifferentemente asbesto, è un minerale naturale a struttura fibrosa, che per le sue particolari proprietà (flessibilità, resistenza al fuoco, capacità isolante, resistenza agli acidi e all’usura), abbinate ad un costo relativamente basso di estrazione e ad una facilità di lavorazione, lo hanno reso particolarmente idoneo, in passato, per realizzare molti manufatti ed oggetti. Il suo impiego è stato largamente diffuso in svariati settori dell’industria, nell’edilizia e in molti prodotti di uso domestico. Gli usi sono stati i più diversi:

nell’Industria

-         come isolante termico in cicli industriali (es. centrali termiche, industria chimica, siderurgica, vetraria, ceramica e di laterizi, alimentare, fonderie);

-         come isolante termico in impianti (es. frigoriferi e di condizionamento);

-         come materiale fonoassorbente per l’isolamento acustico;

-         come componente di parti meccaniche sottoposte a frizione o surriscaldamento (es. freni, frizioni, guarnizioni);

-         come materiale di coibentazione di carrozze ferroviarie, autobus e navi.

La produzione permetteva di ricavare anche particolari prodotti quali:  nastri, guaine, tessuti per indumenti antifiamma, adesivi industriali, plastiche rinforzate.


Nell’Edilizia

-         come materiale spruzzato per il rivestimento di strutture per aumentare la resistenza al fuoco;

-         nelle coperture sotto forma di lastre piane o ondulate;

-         in molti manufatti quali tubazioni, serbatoi, canne fumarie ed altro, nelle quali l'amianto è stato inglobato nel cemento per formare il cemento-amianto (più conosciuto come Eternit, dal nome della ditta produttrice);

-         nella preparazione e posa in opera di intonaci e stucchi per rivestimento di strutture portanti, quali solai e pilastri o per travi e colonne;

-         nei pannelli per controsoffittature;

-         nei pavimenti costituiti da vinil-amianto in cui tale materiale è mescolato a polimeri.

 

Nell’Ambito domestico

-         in alcuni elettrodomestici (es.  forni e stufe, ferri da stiro);

-         nelle prese e guanti da forno e nei teli da stiro;

-         nei cartoni posti  a protezione degli impianti di riscaldamento come stufe, caldaie, termosifoni;

-         nei tessuti ignifughi per arredamento (tendaggi, tappezzerie);

-         nei tessuti per abbigliamento (feltri per capelli,  coperte, grembiuli, giacche, pantaloni, stivali).

 

L’insieme dei prodotti contenenti amianto, sopra sinteticamente descritti, può a sua volta essere suddiviso in due gruppi principali in funzione della friabilità dei materiali e della pericolosità per la salute:

1)      prodotti compatti (materiali che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l’impiego di mezzi meccanici);

2)      prodotti friabili (materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere mediante la semplice pressione delle dita).

 

Per questa ragione il cosiddetto amianto friabile è considerato più pericoloso dell’amianto compatto, che per sua natura ha una scarsa tendenza a liberare fibre, a differenza del primo che tende a liberare fibre per effetto di qualsiasi sollecitazione esterna di natura meccanica (es. vibrazioni, usura) o ambientale (es. pioggia, vento).

 

RISCHI PER LA SALUTE E  TUTELA DEI LAVORATORI

Che l’amianto avesse degli effetti nocivi sulla salute dell’uomo era un fatto risaputo già dagli anni quaranta (1). E’ infatti dal 1943 che l’asbestosi (malattia a carico dell’apparato respiratorio) è inserita nell'elenco delle malattie professionali con obbligo di assicurazione. L’esposizione professionale all’amianto è stata però oggetto di provvedimenti legislativi specifici per la prima volta soltanto nel 1965 con il DPR 1124, che istituisce un particolare trattamento assicurativo per i lavoratori affetti da asbestosi e stabilisce le norme, tuttora in vigore, per la sorveglianza sanitaria preventiva e periodica (2).

 

Ma l’esposizione dei lavoratori alle fibre di amianto ha avuto una tutela maggiore e un’attenzione specifica solo molti anni dopo con il recepimento nel nostro ordinamento della normativa di origine comunitaria in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro,  avvenuta con il Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e, a distanza di un anno, con l’approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 che fissa le norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.

 

A seguito dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, le lavorazioni che prevedevano l’uso dell’amianto come materia  prima sono state messe al bando con un piano progressivo di dismissione. Attualmente le occasioni di esposizione professionale sono perciò legate esclusivamente alla presenza di manufatti contenenti amianto presenti nei luoghi di lavoro e più in generale negli edifici; oppure agli interventi di manutenzione, demolizione o rimozione delle strutture contenenti amianto soprattutto nel campo dell’edilizia.

 

Gli ambienti di lavoro più significativi per la presenza di amianto sono ora i cantieri temporanei, nel caso della bonifica di edifici o le officine dove si provvede alla rimozione dell’amianto da carrozze ferroviarie o altri veicoli e, infine, gli impianti di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto. Non va peraltro dimenticato che il rischio di esposizione all’amianto non è limitato soltanto a coloro che lo trattano direttamente, ma anche a tutti coloro nel cui ambiente di lavoro questo materiale è stato utilizzato come coibentante, fonoassorbente, isolante, eccetera.

 

Senza avere qui la pretesa di entrare nella materia molto articolata e complessa della sicurezza sul lavoro, occorre comunque focalizzare alcuni aspetti normativi legati alla sicurezza, considerato che il problema amianto è strettamente collegato al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (3). 

 

Norma cardine della protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione ad amianto durante il lavoro è il Decreto Legislativo 15 agosto 1991 n. 277 (in S. O. alla Gazzetta Ufficiale 200 del 27 agosto 1991), che recepisce in maniera completa e definitiva la direttiva comunitaria 83/477 e formula, al capo terzo, le norme sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione ad amianto durante il lavoro, anticipando così di alcuni anni quelli che saranno i principi guida della nuova normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro introdotti  con il successivo Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626.

 

Il D.Lgs. 277/91 ricalca fedelmente la normativa europea, predisposta in un’epoca in cui la principale fonte di esposizione era rappresentata dall’estrazione e dalla lavorazione dell’amianto e dai rischi di esposizione alla polvere da esso proveniente.

 

Tale norma ha perciò perso, in parte,  coerenza e validità dopo la dismissione dell’uso dell’amianto avvenuta in seguito all’approvazione della legge 257/92. E ora trova la sua principale applicazione solo nelle attività di bonifica e nella valutazione del rischio in ambienti in cui è presente ancora l’amianto.

 

Il D. Lgs. 277/91 riprende (art. 23), la definizione fondamentale di amianto, alla quale fa rinvio anche l’rt. 2 della legge 257/92, che classifica come tale i seguenti silicati fibrosi: actilonite, amosite, antofillite, crisotilo, crocidolite e tremolite e li identifica in base al loro numero CAS (4).

 

Tra gli adempimenti più importanti, che risultano ancora applicabili, quello della valutazione del rischio, basata sull’accertamento dell’esposizione personale dei lavoratori, rappresenta senza dubbio

quello di maggiore importanza.

 

In base all’art. 24 il datore di lavoro (o il dirigente) deve effettuare una valutazione del rischio dovuto alla polvere al fine di stabilire le misure preventive e protettive da attuare. Per le imprese già in attività la valutazione doveva essere effettuata entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto (e cioè entro il 9 marzo 1992). Per le imprese che intraprendono nuove attività lavorative la valutazione è effettuata non prima di 90 giorni dalla data dell’effettivo inizio dell’attività e non oltre 180 giorni dalla data medesima.

 

Il datore di lavoro deve effettuare nuovamente la valutazione ogni qualvolta si verifichino nelle lavorazioni delle modifiche che possono comportare un mutamento significativo dell’esposizione dei lavoratori alla polvere e comunque trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.

 

Le misure preventive sono differenziate in ragione del livello di esposizione dei lavoratori individuato in base alla valutazione del rischio. La norma fissa anche i valori limite di esposizione, che non devono essere superati se non in caso di eventi accidentali o di operazioni lavorative particolari, per le quali vanno adottate speciali misure di sicurezza.

 

Gli adempimenti di legge sono, come già detto, in funzione del livello di esposizione misurato (espresso come numero di fibre per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di riferimento di 8 ore) e possono essere così sinteticamente riassunti:

Livello di esposizione superiore a 0.1 fibre/cc o a 0.5 giorni-fibra/cc. (art. 24, c.3 e 5):

-         Obbligo di notifica all’Organo di Vigilanza (art. 25 c. 1)

-         Informazione annuale ai lavoratori (art. 26 c. 2)

-         Segnaletica di sicurezza, limitazioni di accesso, mezzi individuali di protezione (art. 27 c. 2)

-         Servizi igienici e docce, separazione e lavaggio degli indumenti di lavoro, custodia e controllo dei mezzi di protezione individuali (art. 28 c. 2)

-         Controllo ambientale trimestrale o annuale (art. 30 c. 8)

-         Informazione preventiva ai lavoratori sui campionamenti (art. 30 c. 10)

-         Istituzione e tenuta Registro degli esposti (art. 35)

Livello di esposizione superiore a 0.6 fibre/cc per crisolito o a 0.2 fibre/cc  per le altre varietà (art. 31, c. 1) (5):

-         Identificazione e rimozione tassativa delle cause (art. 31 c. 4)

-         Adozione di misure di protezione specifiche o sospensione dal lavoro (art. 31 c. 5 e 7)

-         Nuovi controlli al termine degli interventi (art. 31 c. 6)

-         Informazione tempestiva all’Organo di Vigilanza (art. 31 c. 8)

-         Informazione ai lavoratori e loro consultazione sulle misure da adottare (art.31 c. 9)

 

Obblighi particolari sono previsti anche per il medico competente, il quale deve fornire ai lavoratori, ovvero ai loro rappresentanti adeguate informazioni sul significato delle visite mediche alle quali sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta l’esposizione alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto (art. 29).

 

Superfluo dire che per tutti gli adempimenti sono previste sanzioni penali, di carattere pecuniario e/o detentivo, nel caso di loro inosservanza da parte dei soggetti obbligati.

 

DIVIETO DI IMPIEGO

Le prime disposizioni che regolamentano l’uso dell’amianto nel nostro paese  risalgono alla seconda metà degli anni ottanta. Un primo intervento si è avuto con l’Ordinanza del Ministero della Sanità 26 giugno 1986 (e successiva circolare 1° luglio 1986, n. 42)  che fissava restrizioni all’immissione sul mercato e all’uso della crocidolite (amianto blu) e dei prodotti che la contenevano.

 

Successivamente, il DPR 24 maggio 1988, n. 215 ha ampliato ulteriormente il campo delle restrizioni estendendolo a tutti i tipi di amianto quando siano impiegati in alcune tipologie di prodotti, quali giocattoli, pitture e vernici.

 

Ma solo nel 1992, con la Legge 27 marzo 1992, n. 257, l’Italia mette definitivamente al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l’estrazione, l’importazione, la produzione,  la lavorazione e la commercializzazione, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo era stato fissato in due anni dall’entrata in vigore della legge (e cioè entro il 28 aprile 1994). Solo recentemente la Legge 9 dicembre 1998, n. 426 ha introdotto una deroga a tale divieto limitatamente ad alcune applicazioni particolari (6).

 

La Legge 257/92 istituisce la commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all’amianto (art. 4) fissandone i compiti (art. 5) e regolamenta il processo di dismissione e di riconversione produttiva  attraverso  misure a sostegno dei lavoratori coinvolti nei processi di riconversione (art. 13) e agevolazioni e finanziamenti per le imprese che producono materiali sostitutivi (art. 14) (7).

 

Ma la legge non si limita a dettare le modalità per la cessazione dell’impiego dell’amianto, ma si pone un obiettivo più ampio, cercando di affrontare la complessa tematica dell’amianto nella sua interezza, mettendo in evidenza le problematiche considerate particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica e adottando alcuni strumenti per monitorare e ridurre nell’ambiente la presenza dell’amianto fino a quel momento liberamente commercializzato (8).

 

Un primo strumento di controllo viene posto a carico delle imprese impegnate nelle attività di lavorazione, bonifica e smaltimento dell’amianto, le quali annualmente devono inviare alla Regione e alla Asl una relazione contenente indicazioni in merito al tipo e quantità di amianto utilizzato o dei rifiuti smaltiti o bonificati, le attività svolte, i procedimenti applicati, il numero e i dati anagrafici degli lavoratori impiegati, le  misure di prevenzione adottate (9).

 

Particolare attenzione viene riservata al problema amianto negli edifici e alla protezione dell’ambiente e della salute pubblica dai rischi connessi ad esso. Per far fronte a questa esigenza la legge prevede a carico delle regioni l’obbligo di adottare, entro 6 mesi, piani di protezione dell’amianto, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica (art. 10). In particolare, i piani devono prevedere, tra l’altro, il censimento delle imprese che estraggono, utilizzano o abbiano utilizzato, smaltiscono o bonificano amianto e il censimento degli edifici nei quali siano presenti materiali contenenti amianto libero o in matrice friabile, con priorità per gli edifici pubblici e per i locali di utilizzazione collettiva.

 

Sulla base della delega prevista dalla Legge 257/92 (art. 6, c. 5) è stato emanato il Decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994 che costituisce appunto l’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per l’adozione dei piani di protezione, decontaminazione, smaltimento e bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto. Il DPR si articola in sei punti:

-         censimento delle attività minerarie;

-         censimento delle attività produttive utilizzatrici;

-         piano di gestione delle attività di smaltimento dei rifiuti;

-         controllo delle condizioni di salubrità ambientale e di sicurezza del lavoro;

-         formazione professionale dei lavoratori;

-         censimento degli stabili contenenti amianto.

 

A distanza  ormai di sei anni, gran parte degli obiettivi che il governo si era prefissato sono rimasti inattuati. Anche se l’atto di indirizzo e coordinamento è stato recepito dalla gran parte delle regioni a cui era indirizzato (10), molti dei compiti in esso previsti sono rimasti però disattesi. In particolare, per il censimento degli edifici sono stati molto rari i casi in cui i proprietari, in special modo delle unità abitative private, hanno comunicato alle Asl i dati relativi alla presenza di materiali contenenti amianto.

 

SISTEMI DI BONIFICA

Tra i compiti della Commissione istituita dalla Legge 257/92 vi è anche quello di predisporre metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto. In attuazione a quanto previsto,  fino ad oggi sono stati pubblicati tre disciplinari tecnici riguardanti: la valutazione del rischio, la manutenzione e la bonifica degli edifici (D.M. 6 settembre 1994), dei mezzi rotabili (D.M. 26 ottobre 1995), dei siti dismessi, unità prefabbricate, tubazioni e serbatoi in cemento-amianto (D.M. 14 maggio 1996) e, infine, a bordo di navi (D.M. 20 agosto 1999).

 

Considerate le notevoli implicazioni e il vasto campo applicativo, è qui opportuno un approfondimento delle tecniche indicate nel D.M. 6 settembre 1994, cui peraltro fanno riferimento anche i decreti successivi (11).

 

Gli argomenti trattati nel decreto sono:

-         identificazione dei materiali sospetti di contenere amianto;

-         criteri di valutazione del rischio;

-         metodi di bonifica;

-         programma di controllo e manutenzione dei materiali presenti in sede;

-         come operare in sicurezza durante gli interventi di bonifica;

-         criteri per la certificazione e la restituibilità degli ambienti bonificati;

-         metodi analitici.

 

Queste indicazioni riguardano diverse tipologie di materiali contenenti amianto:

-         rivestimenti di superfici applicati a spruzzo o a cazzeruola;

-         rivestimenti isolanti di tubazioni e caldaie;

-         lastre e pannelli  a bassa intensità (cartoni) ed a alta intensità (cemento-amianto).

 

Poiché nella quasi totalità dei casi il problema si presenta per le lastre di copertura in cemento-amianto  (eternit), è opportuno fornire alcuni suggerimenti  da adottare per individuare il tipo di intervento più idoneo, onde evitare ingiustificati allarmismi ed  inutili interventi peraltro generalmente molto costosi.

 

a)      Analizzare con obiettività l’ipotesi di pericolo per la salute e l’ambiente:

le lastre piane o ondulate di cemento-amianto, impiegate per coperture in edilizia, sono costituite da materiale non friabile che, quando è in buono stato di conservazione, non tende a liberare fibre spontaneamente. Lo stesso dicasi quando si trova all’interno degli edifici, a condizione che non venga manomesso. Al contrario, il materiale subisce un progressivo degrado se esposto agli agenti atmosferici. Di conseguenza, prima di ogni intervento è sempre necessario un monitoraggio ambientale per valutare lo stato di conservazione del manufatto  e misurare l’eventuale dispersione di fibre aerodisperse all’interno dell’edificio.

 

b) Effettuare  controlli periodici: al di là di particolari eventi climatici o di rotture accidentali, le lastre installate si mantengono in buone condizioni mediamente per 10-15 anni. Se la copertura ha un’età superiore è consigliabile ispezionarla e valutarne lo stato di degrado con controlli periodici.

Nel valutare visivamente lo stato di conservazione della copertura si devono considerare i seguenti parametri:

-         presenza di sfaldamenti, rotture o crepe nelle lastre;

-         lastre che, sottoposte a pressioni o urti di modeste entità, si sbriciolano con facilità;

-         sviluppo di muffe o muschi su aree estese;

-         accumulo di fibre o polveri nei canali di scolo e nelle grondaie;

-         zone di degrado in cui si evidenzia materiale friabile.

Nei casi sospetti, oltre alla ispezione diretta, può rendersi necessario un campionamento dei materiali deteriorati e la loro analisi presso un laboratorio specializzato.

 

c) Programmare una corretta manutenzione o rimozione: se la copertura è danneggiata e richiede interventi di manutenzione è necessario adottare interventi di bonifica costituiti da:

1. Rimozione

E’ l’operazione più frequente ma deve esser condotta salvaguardando l’integrità del materiale e applicando specifiche cautele in tutte le fasi della rimozione. L’intervento è radicale in quanto elimina ogni potenziale fonte di esposizione, ma, per contro, genera la produzione di notevoli quantità di rifiuti pericolosi che devono essere correttamente smaltiti. E’ la procedura che comporta i costi più elevati e  la necessità di installare una nuova copertura in sostituzione del materiale rimosso.

2. Incapsulamento

Consiste nel trattamento dell’aminato con prodotti penetranti o ricoprenti che tendono a inglobare le fibre di amianto e a costituire una pellicola di protezione sulla superficie esposta. L’intervento richiede necessariamente un trattamento preliminare della superficie del manufatto, al fine di pulirla e di garantire l’adesione del prodotto incapsulante. Il trattamento deve essere effettuato con attrezzature idonee che evitino la liberazione di fibre di amianto nell’ambiente e consentano il recupero ed il trattamento delle acque di lavaggio. L’incapsulamento ha il vantaggio di non produrre rifiuti pericolosi, anche se la permanenza nell’edificio del materiale di amianto comporta la necessità di mantenere un programma di controllo e manutenzione (12).

3. Sopracopertura

Il sistema della sopracopertura consiste in un intervento di confinamento realizzato installando una nuova copertura al di sopra di quella in amianto-cemento, che viene lasciata in sede quando la struttura portante sia idonea a sopportare un carico permanente aggiuntivo. Per tale scelta il costruttore od il committente devono fornire il calcolo delle portate dei sovraccarichi accidentali previsti per la relativa struttura. L’installazione comporta generalmente operazioni di foratura dei materiali di cemento-amianto, per consentire il fissaggio della nuova copertura e delle infrastrutture di sostegno, che determinano liberazione di fibre di amianto. La superficie inferiore della copertura in cemento-amianto non viene confinata e rimane, quindi, eventualmente accessibile dall’interno dell’edificio, in relazione alle caratteristiche costruttive del tetto. Come per l’incapsulamento si rendono necessari controlli ambientali periodici ed interventi di normale manutenzione per conservare l’efficacia e l’integrità dei trattamenti stessi.

 

d) Osservare le norme di sicurezza durante gli interventi di bonifica: oltre alle normali norme di sicurezza e alle prescrizioni per la tutela dei lavoratori da osservare nei cantieri temporanei o mobili (13), la demolizione e la rimozione dell’amianto richiede l’adozione di particolari precauzioni. In particolare è necessario:

1. Elaborazione del piano di sicurezza:

prima dell’inizio dei lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto, il datore di lavoro deve predisporre un piano di lavoro, così come disposto dall’art. 34 del Decreto legislativo 277/91. Il piano deve prevedere le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, nonché la protezione dell’ambiente esterno.

Copia del piano di lavoro è inviata, almeno 90 giorni prima dell’inizio lavori, alla ASL competente per territorio unitamente alle seguenti informazioni:

a)    natura dei lavori e loro durata presumibile;

b)   luogo dove i lavori verranno eseguiti;

c)    tecniche lavorative per la rimozione dell’amianto;

d)   natura dell’amianto contenuto nei materiali di coibentazione nel caso di demolizioni;

e)    caratteristiche degli impianti che si intende utilizzare per la decontaminazione del personale;

f)     materiali previsti per le operazioni di decoibentazione.

Decorsi i 90 giorni, se la ASL non rilascia alcuna prescrizione L’impresa può  eseguire i lavori di demolizione secondo le modalità comunicate.

2. Affidamento dei lavori a ditte specializzate:

Le imprese che effettuano la bonifica di beni contenenti amianto devono essere iscritte all’Albo delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti (categoria 10). Con una deliberazione dello scorso 1° febbraio 2000 (in G. U. 17.4.2000, n.90), il Comitato nazionale dell’Albo ha stabilito i criteri per l'iscrizione. L’Albo ha disciplinato le attività in oggetto, dividendo la categoria 10 in due sottocategorie (10A e 10B) in relazione alle diverse caratteristiche di pericolosità; ogni sottocategoria è stata poi ripartita in cinque classi in base all’importo dei lavori di bonifica cantierabili. La deliberazione prevede quindi differenti requisiti che riguardano la tipologia e il valore delle attrezzature, la preparazione del responsabile tecnico e la capacità finanziaria. Sono inoltre previste prescrizioni a tutela dei lavoratori impegnati in queste attività (15).

3. Protezione dei lavoratori:

nelle operazioni che possono dar luogo a dispersione di fibre di amianto, i lavoratori devono essere muniti di idonei mezzi di protezione individuali delle vie respiratorie e di indumenti protettivi. Le calzature debbono essere di tipo idoneo al pedonamento dei tetti (14). Per i lavoratori addetti alle attività di rimozione, smaltimento e bonifica, l’art. 10 dell’Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni prevede la predisposizione di corsi di formazione professionale della durata minima di trenta ore, al termine dei quali è previsto il rilascio di un titolo di abilitazione professionale.

4. Adozione di misure di sicurezza antinfortunistiche:

le aree in cui avvengono operazioni di rimozione di prodotti in cemento-amianto  devono essere temporaneamente delimitate e segnalate. Inoltre, la bonifica delle coperture in cemento-amianto comporta un rischio specifico di caduta per sfondamento delle lastre. A tal fine, fermo restando quanto previsto dalle norme antinfortunistiche per i cantieri edili, devono, in particolare, essere realizzate idonee opere provvisionali per la protezione dal rischio di caduta, ovvero adottati opportuni accorgimenti atti a rendere calpestabili le coperture (es. realizzazione di camminamenti in tavole da ponte; posa di rete metallica antistrappo sulla superficie del tetto).

 

e) Verificare le corrette modalità di smaltimento: effettuata la bonifica, tramite la rimozione delle lastre di eternit, verificare che nel contratto d’appalto siano descritte e documentate le modalità di trasporto e di smaltimento dei rifiuti prodotti. Secondo la giurisprudenza prevalente, in caso di smaltimento abusivo, il proprietario dell’edificio risponde penalmente al pari della ditta appaltatrice (16). E’ quindi buona regola richiedere preventivamente copia delle autorizzazioni degli operatori che provvedono alle diverse fasi dello smaltimento; inoltre, il trasporto deve essere sempre accompagnato dal formulario di identificazione, di cui all’art. 15 del Dlgs. 22/97, in quattro copie una delle quali deve essere controfirmata e datata in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento. A carico del produttore rimangono anche gli altri obblighi previsti per i rifiuti pericolosi: registro, dichiarazione ambientale annuale e rispetto dei tempi del deposito temporaneo.

 

CLASSIFICAZIONE  DEI RIFIUTI E FORME DI SMALTIMENTO

Fino al marzo 1997 i rifiuti di amianto erano disciplinati nell’ambito delle norme generali sui rifiuti dettate dal DPR 915/82 e dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984. Secondo tali disposizioni, l’amianto rientrava nell’elenco delle 28 sostanze che rendevano il rifiuto potenzialmente tossico-nocivo se superiore a determinate concentrazioni limite.

Con l’emanazione del Dlgs. 22/97, che ha abrogato le precedenti disposizioni, i rifiuti di amianto  sono previsti nel Catalogo europeo dei rifiuti (CER) in sei diverse tipologie:

 

060701 (pericoloso)

- Rifiuti contenenti amianto da processi elettrolitici

101302

- Rifiuti della fabbricazione di amianto cemento

160204

- Apparecchiature fuori uso contenenti amianto in fibre

160206

- Rifiuti derivanti dai processi di lavorazione dell’amianto

170105

- Materiali da costruzione a base di amianto

170601 (pericoloso)

- Materiali isolanti contenenti amianto

 

Ad oggi, questa classificazione risulta praticamente applicabile solo ai fini del trasporto e degli adempimenti a carico del produttore. Per quanto riguarda invece lo smaltimento definitivo e in particolare la tipologia della discarica di destinazione, in attesa che vengano approvate le nuove norme regolamentari attuative del Dlgs. 22/97, valgono ancora i criteri introdotti dalla D.I. 27 luglio 1984 e dal DPR 8 agosto 1994. Quest’ultima norma prevede, in particolare, la possibilità di smaltire in discariche di 2° categoria, tipo A, i rifiuti costituiti da sostanze o prodotti contenenti amianto legato in matrice cementizia o resinoide a condizione che tali rifiuti provengano esclusivamente da attività di demolizione, costruzioni o scavi. In tal caso devono essere adottate apposite norme tecniche atte ad evitare l’affioramento dei materiali durante la movimentazione. Fuori da questa ipotesi i rifiuti di amianto dovranno essere smaltiti in discariche autorizzate di 2° categoria, tipo B (per amianto in concentrazione non superiore a 10.000 mg/kg) o tipo C  (se superiore a questo limite). In alternativa, si può ricorrere a spedizioni transfrontaliere, indirizzate verso impianti ubicati in altri paesi europei (prevalentemente Germania e Francia).

Circa le modalità di movimentazione dei rifiuti contenenti amianto, oltre alle prescrizioni di carattere generale previste dalla normativa tecnica in materia di trasporto dei rifiuti ex tossico-nocivi (ora pericolosi), è opportuno evidenziare che fino al prelevamento da parte della ditta autorizzata al trasporto, i rifiuti devono essere depositati in un area all’interno dell’edificio, chiusa ed inaccessibile agli esterni. Possono essere utilizzati, in alternativa, anche container scarrabili, purché chiusi anche nella parte superiore e posti in un’area controllata. Se raccolti in sacchi, questi devono essere sempre doppi e vanno riempiti per non più di due terzi, in modo che il peso complessivo non ecceda mai i 30 chilogrammi. Tutti i contenitori devono essere correttamente etichettati.

 

IL CASO DELLA REGIONE MARCHE

La Regione Marche, in attuazione alla Legge 257/92, ha adottato con deliberazione 30.12.1997, n. 3496 il “Piano regionale amianto”, che si prefigura come lo strumento operativo con cui la regione mette a regime quanto di sua competenza in materia di rischi sanitari ed ambientali collegati all’amianto.

Tra gli obiettivi del Piano, quello sicuramente più importante, anche ai fini di una mappatura del rischio, è la realizzazione del censimento delle imprese e degli edifici potenzialmente a rischio per la presenza e/o esposizione all’amianto.

Le linee operative per il censimento sono state recentemente delineate dalla Giunta regionale con la deliberazione 28.12.2000, n. 2830 e si articolano in cinque punti:

1.      formazione degli operatori pubblici (ASL, Comuni, Arpam, Regione);

2.      informazione e sensibilizzazione degli utenti (attraverso una campagna informativa e incontri sul territorio);

3.      raccolta dei dati (mediante l’invio di oltre seicentomila questionari);

4.      elaborazione e diffusione dei dati raccolti;

5.      sorveglianza delle situazioni maggiormente a rischio di esposizione.

In attesa che questa importante e sicuramente impegnativa iniziativa prenda il via, la Regione Marche ha già approvato un primo bando di accesso a contributi per la realizzazione ad opera di Comuni e Province per attuare primi interventi sulle strutture pubbliche contenenti amianto friabile o amianto compatto deteriorato (deliberazione 28.2.2000, n. 427). I 350 milioni stanziati saranno destinati in maniera prioritaria a strutture quali asili nido, scuole, centri sportivi e servizi collettivi. Si tratta di un intervento ancora molto contenuto, ma che sicuramente va verso la direzione giusta.

 

 

 

(*) responsabile ufficio ambiente Confindustria Macerata

 

 

Note:

(1) Sugli effetti biologici dell’amianto si rinvia alla relazione presentata dal dott. Giovanni Achille, direttore del Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro dell’ASL di Lecco, in occasione del convegno “Problema amianto” – Erba (CO), febbraio 1999. Per approfondimenti: G. Chiappino, “Quali effetti sull’uomo da basse esposizioni agli asbesti” in La medicina del lavoro, 1985 e AA. VV. “Il carico polmonare di fibre inorganiche in soggetti non professionalmente esposti” in La medicina del lavoro, 1987.

(2) L’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali è una forma di assicurazione obbligatoria a favore dei lavoratori prevista dalla Costituzione (art. 38, c. 2) ed è disciplinata dal DPR 30 giugno 1965 n. 1124 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”. La funzione primaria è quella di garantire una protezione sanitaria ed economica ai lavoratori infortunati o colpiti da malattie professionali, nonché di fornire assistenza economica ai superstiti del lavoratore deceduto. Il rischio dell’asbestosi è disciplinato dall’art. 140 e seguenti del decreto.

(3) Per un approfondimento degli aspetti legati alla sicurezza si rinvia agli atti del convegno organizzato dall’Assoamianto: “La sicurezza sul lavoro: problema sociale”- Erba (CO), gennaio 2000.

(4) La classificazione era stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico con il DPR 24 maggio 1988, n. 215 che fissava le prime restrizioni in materia di commercializzazione nel territorio nazionale dell’amianto. Sulla classificazione e la disciplina dell’imballaggio e dell’etichettatura delle sostanze pericolose, in attuazione delle direttive emanate dal Consiglio e dalla Commissione delle Comunità europee, si rinvia alle disposizioni del Decreto Legislativo 3 febbraio 1997, n. 52 “Attuazione della direttiva 92/32/CEE concernente classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose” (in S.O. alla G.U. 11.3.1997, n. 58) , del Decreto Legislativo 16 luglio 1998 n. 285 (in G.U. 18.8.1998 n. 191) e del Decreto del Ministero della Sanità 28 aprile 1997 (in S.O. alla G.U. 19.8.1997 n. 192).