Consiglio di Stato, Sez. VI,l n. 4233, del 8 agosto 2014
Sviluppo sostenibile.La libertà d’iniziativa economica nella produzione e vendita di energia elettrica va armonizzata con l’utilità sociale

E’ insussistente l’avanzata violazione dell’art. 41 della Costituzione (e del Trattato CE o delle altre norme internazionali evocate) per indebita restrizione della libertà d’iniziativa economica nella produzione e vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili e in protestata contraddizione con gli obiettivi che gli Stati membri sono chiamati a conseguire a corretta applicazione dei principi contenuti nelle direttive 2001/77/CE e 29/2009/CE (su cui si è già delibato), dato che l'area della libera iniziativa economica va armonizzata e coordinata con i parametri dell'utilità sociale tutelati costituzionalmente dall'art. 41 della Costituzione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04233/2014REG.PROV.COLL.

N. 05308/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5308 del 2013, proposto da: 
Società Energetica s.r.l. in liquidazione, nella persona del liquidatore in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Salvatore Isgrò, con domicilio eletto presso lo studio legale Isgrò in Roma, via Pietro Cossa,13;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, nelle persone rispettivamente dei ministri e del presidente in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Gestore dei Servizi Energetici (Gse) s.p.a., nella persona del rappresentante legale in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Marzano, Filippo Pacciani, Antonio Pugliese, Alessandro Botto e Maria Antonietta Fadel, con domicilio eletto presso Filippo Pacciani in Roma, via XX Settembre, 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III TER n. 03274/2013, resa tra le parti, concernente i criteri della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici ed il correlativo risarcimento dei danni.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della difesa statale e di Gse s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2014 il Cons. Vito Carella e uditi per le parti gli avvocati Isgrò, Pacciani, e dello Stato Paolo Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

I.- Risulta dalla sentenza appellata che il Tribunale amministrativo per il Lazio-Roma ha respinto l’atto introduttivo e i due ordini di motivi aggiunti proposti dalla interessata società Energetica s.r.l. in liquidazione, titolare di progetti di impianti fotovoltaici non ancora entrati in esercizio, avverso il D.M. 5 maggio 2011 (Criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici - c.d. Quarto conto energia) e il D.M. 5 luglio 2012 (Attuazione dell’art. 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici - c.d. Quinto conto energia).

Contro tali atti è stata lamentata sotto vari profili l’indebita riduzione delle tariffe incentivanti, a modifica dei meccanismi di accesso alle medesime previste dal previgente regime di cui all’antecedente D.M. 6 agosto 2010 (c.d. Terzo conto energia), con denunzia di illegittimità costituzionale e comunitaria nonchè con richiesta di disapplicazione del D.M. 5 maggio 2011 e risarcimento dei danni patiti.

La sentenza impugnata ha escluso la sussistenza dei censurati aspetti di incompatibilità dei provvedimenti gravati con la normativa comunitaria, come pure della dedotta incostituzionalità delle disposizioni primarie in riferimento, negli assunti che l’assetto recato dal d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, non sia irragionevole e non in contrasto con i principi di cui agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.

II.- Con l’appello in esame la società ricorrente ha riproposto i motivi di primo grado (violazione dell’art. 25, comma 1 e 10, d.lgs. n. 28/2011; violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost. nonché dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e violazione dei principi di legittimo affidamento e di proporzionalità; violazione degli artt. 76 e 77 Cost. (eccesso di delega) e dell’art. 17, comma 1, lettera h, e comma 2, della legge n. 96/2010 (norma interposta); altri profili di violazione degli artt. 76 e 77 Cost.; danni ingiusti, risarcimento e quantificazione).

Inoltre la medesima deducente ha criticato la sentenza gravata, ritenuta ingiusta ed illegittima per gli stessi motivi sopra riproposti, oltre che per manifesta ingiustizia, travisamento dei fatti, errore nei presupposti, omessa pronuncia ed eccesso giurisdizionale, sotto i seguenti aspetti denunziati:

1° motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 6.08.2010 (in G.U. n. 197 del 24/08/2010), il D. Lgs n. 28/2011, la Direttiva Comunitaria 2009/28/CE, il Trattato CE, artt. 3, comma 1, e 88 c.p.a. Errore in iudicando e/o in procedendo. Errata declaratoria di infondatezza del primo motivo di ricorso. Motivazione contraddittoria e/o del tutto insufficiente;

2° motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi la L. n. 96/2010, la Direttiva comunitaria 2009/28/CE, il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 6.08.2010 (in G.U. n. 197 del 24/08/2010), artt. 3, comma 1, e 88 c.p.a. Errore in iudicando e/o in procedendo. Omessa pronuncia e/o motivazione e/o motivazione contraddittoria in ordine al terzo motivo di ricorso;

3° Motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi gli artt. 76 e 77 Costituzione, la L. n. 96/2010, la Direttiva comunitaria 2009/28/CE, il Trattato sulla Carta dell'Energia del 17/12/1994, il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 6.08.2010 (in G.U. n. 197 del 24/08/2010), gli artt. 3, comma 1, e 88 c.p.a. Errore in iudicando e/o in procedendo. Omessa pronuncia e/o motivazione e/o motivazione contraddittoria in ordine al quarto motivo di ricorso;

4° Motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi gli artt. 3, 41 e 97 Cost., la L. n. 96/2010, la Direttiva comunitaria 2009/28/CE, il Decreto del Ministro dello. Sviluppo Economico del 6.08.2010 (in G.U. n. 197 del 24/08/2010), principi in tema di liberalizzazione delle attività economiche inclusi la Carta di Nizza, il TFUE, la Direttiva 2006/123/CE, il D. Lgs n. 59/2010, la L. n. 27/2012, la L. n. 148/2011, gli artt. 3, comma 1, e 88 c.p.a. Errore in iudicando e/o in procedendo. Travisamento. Violazione e falsa applicazione del principio di certezza del diritto e del legittimo affidamento, così come enunciato, tra l'altro, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 10/09/2009, in causa C-201/8 (caso Plantamol). Motivazione illogica e/o contraddittoria;

5° Motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi gli artt. 3, comma 1, 64 e 88 c.p.a. Errore in iudicando e/o in procedendo. Travisamento. Utilizzazione di un documento non ritualmente acquisito. Contraddittorietà della motivazione;

6° Motivo.- Violazione e/o falsa e/o erronea interpretazione e/o applicazione di legge, inclusi gli artt. 30, 34 e da 63 a 67 c.p.a. Omessa pronunzia in ordine alla domanda di risarcimento dei danni. Errata declaratoria di irrilevanza delle richieste istruttorie. Riproposizione della domanda di risarcimento dei danni e delle conseguenti istanze istruttorie.

III.- Ha resistito in giudizio la difesa statale in rappresentanza delle amministrazioni intimate che, con la memoria del 14 febbraio 2014, ricostruita la vicenda normativa nel quadro del Piano di azione nazionale per le fonti rinnovabili, ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame, posto che l’intervento sull’ammontare delle tariffe incentivanti degli impianti non ancora in esercizio non costituisce uno stravolgimento della materia ma una semplice attività di regolazione che rientra nella piena discrezionalità del legislatore delegato.

Si è costituita in giudizio Gse s.p.a che, con la memoria del 28 agosto 2013, ha tracciato le linee difensive contro le tesi avversarie e in particolare opposto la carenza d’interesse; con la memoria unica depositata il 14 febbraio 2014 ha invece analiticamente confutato le doglianze esposte dalla ricorrente Energetica nonchè da Lotos, Tulip ed Agricola Marina, società costituite e poi dall’appellante cedute, che hanno promosso autonomi ricorsi chiamati in questa stessa Udienza (r.g. nn. 5309 e 5310 del 2013) e contraddistinti da identica impostazione (ad esclusione della domanda risarcitoria) avverso una diversa sentenza impugnata (Tar Lazio-Roma, sez. III ter, n. 3276 del 2013).

La società appellante ha ribadito la fondatezza del proprio ricorso con la memoria depositata il 14 febbraio 2014 e con la replica del successivo giorno 25 sulla replica di Gse depositata l’antecedente data del 24 febbraio dello stesso anno.

All’udienza del 18 marzo 2014 la causa è stata trattenuta a decisione sulle conclusioni delle parti.

DIRITTO

1.- Nel presente giudizio (r.g. n. 5308/2013), in estrema sintesi, è oggetto di contendere l’incentivazione normativamente accordata nella produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici, in particolare per quanto concerne il c.d. “Quarto conto energia” e relativamente a progetti di impianti fotovoltaici predisposti dalla società Energetica s.r.l., ora in liquidazione, ma non ancora entrati in esercizio.

Contemporaneamente, vengono all’attenzione in questa stessa Camera di Consiglio altri due appelli simili (r.g. nn. 5309 e 5310 del 2013) avverso diversa sentenza, proposti da imprese operanti nel settore (Lotos, Tulip ed Agricola Marina) che lamentano di avere effettuato spese e investimenti in questo ambito produttivo (secondo le difese della resistente Gse s.pa., di cui alla memoria unica depositata il 14 febbraio 2014, sono società costituite e poi dall’odierna appellante cedute).

E’ evidente come tra gli appelli sopra indicati non sussista alcuna condizione diretta per la loro riunione ai fini di un’unica decisione, essendo la connessione soggettiva ed oggettiva soltanto parziale (limitatamente alle parti resistenti e alla materia contesa con esclusione della domanda di risarcimento, oltre a profili di legittimazione distinti) e in quanto rivolti avverso diversa sentenza.

Ciò tuttavia non esclude che, per economia processuale, le statuizioni che verranno adottate in questa decisione possano essere utilizzate quale precedente conforme per risolvere in modo dirimente e in forma semplificata tali appelli non riuniti, fatte salve le loro specificità, ai sensi dell’art. 74 del Codice del processo amministrativo.

2.- La questione di principio posta dall’appello in esame ruota intorno all’anticipata cessazione del regime di sostegno al fotovoltaico previsto dal c.d. “Terzo conto energia” (d.m. 6 agosto 2010), rimasto in vigore per cinque mesi (1.1.2011-31.5.2011) invece dei trentasei originariamente previsti (2011-2013) per effetto del sopravvenuto art. 25 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, e del relativo d.m. di attuazione 5 maggio 2011 (c.d. Quarto conto energia), atti questi recanti una restrizione dell’esistente regime di agevolazione sotto i profili del contingentamento della potenza incentivabile, del divieto di installazione di impianti in aree agricole e del sensibile ridimensionamento dei livelli tariffari.

La società ricorrente Energetica è specializzata nella elaborazione e realizzazione di progetti per lo sviluppo di impianti fotovoltaici e nel compimento delle connesse attività rivolte ad ottenere i necessari provvedimenti amministrativi autorizzativi, coordinati in società veicolo come da contratto in essere da cedere per la costruzione ed esercizio dei relativi impianti a GSF (che lo ha poi ceduto alla Global Solar Fund Partners S.a.r.l., in acronimo GSP).

Tale deducente trae spunto dalla risoluzione di detto contratto da parte della suddetta committenza privata per rivendicare l’illegittimità del “Quarto conto energia” perché in asserito contrasto con la normativa primaria di settore e in quanto divergente sotto vari profili dai corretti canoni costituzionali e comunitari, con richiesta risarcitoria a titolo di danno emergente (€ 16.714.392,00) e di lucro cessante (€ 99.000.000,00).

GSP ha rivolto alla contraente Energetica comunicazione del 30 giugno 2011 dal seguente tenore: "Con riferimento al contratto inter partes sottoscritto in data 19 novembre 2009 (e successive modifiche e integrazioni), e in particolare agli articoli 1.7 e 9.1.1 dello stesso,...la formale risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto. Infatti, l'entrata in vigore del decreto legislativo 03/03/2011 n. 28 (e relativa normativa di attuazione), con le tempistiche ivi previste, non rende realizzabili i progetti in corso. Non ricorrono purtroppo neanche le condizioni per la sola riduzione del prezzo di cui all'articolo 9.8 dell'accordo integrativo sottoscritto in data 3 novembre 2010, in quanto la sopraccitata normativa sopravvenuta non riduce ma azzera la redditività dei progetti oggetto del contratto. Lo stesso dicasi per l'accordo commerciale relativo allo sviluppo di ulteriori 1000 MW e da noi fino ad oggi monitorato, al quale non verrà dato seguito... ".

L’impianto impugnatorio del ricorso di primo grado e dell’appello ruota intorno alla tesi di fondo secondo cui sarebbe sufficiente avere pianificato gli impianti prima dell'adozione del “Terzo conto energia” ed avere svolto le attività prodromiche al conseguimento dell’autorizzazione unica, per avere diritto a tale regime incentivante, o quanto meno perché possa essere riconosciuta alla propria aspettativa la consistenza di un interesse tutelabile a mezzo dell'annullamento del successivo regime normativo introdotto dal “Quarto conto energia”, che avrebbe reso incerto o inaffidabile il meccanismo di incentivazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile fotovoltaica e, pertanto, non bancabili o finanziabili i progetti, i quali non potrebbero essere nella sostanza più realizzati in violazione del legittimo affidamento.

Alla stregua di tali precisazioni, la causa è matura per la decisione e, di conseguenza, non sussistono valide ragioni per disporre le domandate acquisizioni in ordine a CTU e prova per testi, ai fini dell’accoglimento del presente gravame e per la quantificazione dei danni subiti e subendi dalla normativa di rango primario sulla quale si fonda il provvedimento impugnato (art. 25, comma 9 e 10, lettera a, d.lgs. n. 28/2011).

Si può anche prescindere dallo scrutinio dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse in capo alla società appellante (titolare solo di autorizzazione in corso alla costruzione e all’esercizio di impianti fotovoltaici), come riproposta in questa sede dall’appellata Gse s.p.a (gestore dei servizi energetici), nell’assunto che “l’ammissione al regime di sostegno sortisce... non già dal possesso del titolo amministrativo idoneo alla realizzazione dell'impianto (titolo che pure costituisce un requisito essenziale a questo fine), ma dall'entrata in esercizio dell'impianto medesimo, vale a dire dalla sua effettiva realizzazione e messa in opera".

Con riguardo a detta pregiudiziale, v’è infatti da rilevate che, se pur apprezzabile per quanto verrà detto nel seguito quale eccezione di merito, si reputa tuttavia nella disamina preferibile uno spaccato di trattazione che affronti i nodi sostanziali della intricata controversia, al fine di fare emergere con la necessaria completezza ed esaustività il reale contenuto della disputa.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso dalla società appellante, nel caso concreto, dalla trama complessiva della sentenza impugnata, emerge con evidenza la completa cognizione delle questioni dibattute e la loro trattazione in modo conciso e sufficiente a ricostruire il percorso motivazionale impresso, per nulla carente o criptico come invece denunziato.

D’altronde, il principio di sinteticità che deve permeare la redazione degli atti del giudice (art. 3 codice del processo amministrativo), al pari di quelli delle parti, non implica la necessità di una motivazione che, in modo meccanico e pedissequo, assuma partitamente a riferimento ogni singolo profilo argomentativo della parte.

Consegue nella specie, essendo state rispettate le regole del processo amministrativo sulla completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, che non è sostenibile alcun profilo di denegata giustizia oppure di violazione di regole processuali a causa della tecnica redazionale adottata nella stesura della sentenza in una vicenda nella quale i capisaldi della controversia sono di per sé chiari e definiti.

3.- Nell’intrico degli atti di primo grado (introduttivo e ulteriori due per motivi aggiunti con impugnazione prudenziale del “Quinto conto energia”) e d’appello (numerosi profili diversi di censure che si intersecano), il canone di sufficienza e della ragione più liquida consente di accorpare le critiche sollevate nelle questioni dirimenti da esaminare in ordine logico: violazione dei principi costituzionali e comunitari; utilizzazione da parte dei giudici di prima istanza di un documento non ritualmente acquisito in giudizio (Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni del 6/6/2012 – Com 2012-271 final); legittimo affidamento; risarcimento.

In linea preliminare, conviene illustrare la normativa di settore contestata, per il migliore inquadramento delle statuizioni che devono essere adottate.

Gli incentivi alla realizzazione di impianti fotovoltaici sono stati previsti originariamente dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), il cui art. 7 demandava a successivi decreti la definizione dei criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare, anche per quanto riguarda le modalità per la determinazione dell'entità della specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio: in attuazione di tale norma sono stati emanati i decreti ministeriali in data 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 (denominati, rispettivamente, primo, secondo, terzo conto energia), con i quali, in particolare, sono state determinate le condizioni di erogazione delle suddette tariffe ed è stato affidato a Gse il compito di controllare le dichiarazioni rese dai richiedenti e di provvedere all’assegnazione degli incentivi.

Nello specifico del più recente, il secondo conto energia ha previsto l’erogazione dei benefici per gli impianti entrati in esercizio in data successiva alla deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 90/2007 e fino al 31 dicembre 2010: in sostanziale coerenza, l’art. 2-sexies del decreto legge 25 gennaio 2010, n. 3, introdotto dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41, ha riconosciuto il beneficio a tutti i soggetti che avessero concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico ed avessero “inviato la richiesta di connessione dell'impianto di produzione entro l'ultima data utile affinché la connessione” potesse essere considerata realizzata entro la suddetta data.

Percorso non dissimile ha seguito il terzo conto energia (d.m. 6 agosto 2010), rimasto in vigore per cinque mesi (1.1.2011-31.5.2011) invece dei trentasei originariamente preventivati (2011-2013) per effetto del sopravvenuto art. 25 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), il cui articolo 25 ha previsto:

- al comma 9, che le disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 agosto 2010 (terzo conto energia) si applicano alla produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio entro il 31 maggio 2011;

- all'articolo 25, comma 10, ha previsto che, fatto salvo quanto contemplato dall'articolo 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n 41, l'incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio successivamente al termine di cui al comma 9 è disciplinata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il 30 aprile 2011, sulla base dei principi ivi indicati (a.- determinazione di un limite annuale di potenza elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le tariffe incentivanti; b.- determinazione delle tariffe incentivanti tenuto conto della riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi di impianto e degli incentivi applicati negli Stati membri dell'Unione europea;

c.- previsione di tariffe incentivanti e di quote differenziate sulla base della natura dell'area di sedime; d.- applicazione delle disposizioni dell'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, in quanto compatibili con il presente comma).

In attuazione del suddetto decreto legislativo, il d.m. interministeriale 5 maggio 2011 (relativo al quarto conto energia) ha conseguentemente recato una restrizione all’esistente regime di agevolazione sotto i profili del contingentamento della potenza incentivabile, del divieto di installazione di impianti in aree agricole e una sensibile riduzione decrescente dei livelli tariffari, prevedendo altresì un regime transitorio per i grandi impianti fino al 31 dicembre 2012, a tutela degli investimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto e per dare gradualità al processo di ridefinizione della disciplina vigente nonché per assicurare il controllo degli oneri conseguenti (se entrati in esercizio entro il 31 agosto 2011 a condizione che venisse comunicata a Gse tale circostanza entro 15 giorni solari dalla stessa; per gli altri grandi impianti degli anni 2011 e 2012, diversamente, a condizione che venissero iscritti nel registro informatico di cui all’articolo 8 curato da Gse, con registrazione relativamente all’anno 2011 dal 20 maggio al 30 giugno, se in posizione utile nella graduatoria compatibilmente con i limiti dell’insieme dei costi stabiliti per ciascun periodo di riferimento dall’art. 4 e subordinatamente alla trasmissione a Gse della certificazione di fine lavori dell’impianto, a seconda dei casi, entro sette o nove mesi dalla data di pubblicazione della citata graduatoria).

Nel concreto della fattispecie in esame, le tappe e le circostanze di causa sono state illustrate nella esposizione in fatto e, pertanto, alla luce delle relative scansioni temporali e funzionali, l’appello va respinto e la sentenza merita di essere confermata nelle sue statuizioni per le considerazioni in appresso spiegate.

4.- Sono da disattendere, in un primo spaccato, le doglianze relative alla dedotta violazione della normativa comunitaria e costituzionale per contrasto alla regolamentazione primaria di riferimento (primo motivo), all’eccesso di delega (secondo motivo), alla genericità della delega (terzo motivo).

La direttiva 23 aprile 2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2009/28/CE (sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), si colloca nel contesto delle finalità tracciate dal Protocollo di Kyoto (ratificato dalla legge n. 120 del 2002), come impegno alla riduzione delle emissioni di gas serra da perseguire anche attraverso l'aumento dell'energia prodotta dalle fonti rinnovabili e mediante specifici strumenti attuativi; essa, inoltre, s’inquadra nel coerente processo evolutivo di esecuzione di tale Protocollo a partire sin dalla prima direttiva 2001/77/CE (recepita dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387), assegnando ora all'Italia (Allegato I direttiva n. 2009/28/CE) l’obiettivo di raggiungere, per l'anno 2020, una quota di utilizzo di energie rinnovabili pari al 17% sul consumo finale di energia, con una eterogeneità e complessità di disposizioni ivi contenute che non possono essere affastellate e che vanno tenute distinte in relazione al rispettivo ambito progressivo di riferimento (ovvero limitato al solo settore del fotovoltaico).

Questa recente normativa comunitaria in materia (attuata con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28) ha pure affermato (art. 13) la necessità che le procedure amministrative siano “proporzionate e necessarie”, e che le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano, a loro volta, “oggettive, trasparenti, proporzionate, non contengano discriminazioni tra partecipanti e tengano pienamente conto delle specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili”.

Tanto spiega, in esecuzione della predetta normativa comunitaria primaria, da un canto, le sopravvenute innovazioni introdotte dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e dal relativo d.m. di attuazione 5 maggio 2011 (per quanto ne occupa, articolazioni temporali, transitorie, registro, contingentamenti, livelli tariffari); dall’altro, rende palese come il settore delle energie rinnovabili in generale e del fotovoltaico in particolare non sia un mercato libero o liberalizzato, ma soggetto a programmazione, pianificazione, obiettivi compatibili con gli oneri a carico dell’utenza anzi da ridurre, redditività decrescente commisurata all’andamento dei reali costi di struttura e delle tecnologie applicate a livello internazionale.

Orbene, secondo l’interpretazione datane dalla Corte Costituzionale (cfr., da ultimo, sentenza 11 ottobre 2012, n. 224) le norme statali sopra indicate, di recepimento sin dall’inizio delle direttive comunitarie in materia, nel prevedere un sistema chiaramente orientato all'incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e nel delineare un nuovo quadro di politica energetica, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, che ovviamente si adattano nel tempo al mutare delle condizioni normative, operative e di funzionamento sia del mercato interno che esterno.

Quindi, gli atti applicativi recanti una restrizione dell’esistente regime di agevolazione sotto i profili del contingentamento della potenza incentivabile, del divieto di installazione di impianti in aree agricole o della sensibile riduzione dei livelli tariffari, non si traducono se non in via di fatto nel peggioramento delle circostanze iniziali dell’operazione economica intrapresa (tant’è che di solito, come nella specie, sono state previste norme di raccordo e transitorie), bensì in una nuova regolamentazione della materia aderente ai tempi e agli obiettivi da raggiungere secondo le modalità diverse prefissate.

Il tema diventa allora quello delle sopravvenienze normative, a ragione del quale la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio "tempus regit actum" (di ciò, si vedrà in appresso) per cui, da un lato, sono irrilevanti le eventuali sopravvenienze normative che determinino l'abrogazione della disciplina che aveva legittimato l'adozione del provvedimento stesso e, dall'altro reciprocamente, non può essere invocata, a supporto della legittimità di un atto emanando, una norma che al momento dell'emanazione dell'atto abbia perso la sua efficacia.

Non è perciò predicabile, né un contrasto interno alle fonti comunitarie primarie, né una divergenza della citata normativa nazionale rispetto alle anteriori direttive (abrogate) e neppure una sua discrepanza con riguardo alla più recente direttiva n. 2009/28/CE: questa direttiva ha imposto agli Stati membri di ridurre gli ostacoli all'aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, anche razionalizzando ed accelerando le procedure amministrative, ma non ha escluso che siano contemperati, dagli Stati membri, l'interesse alla promozione della produzione energetica, nelle forme indicate, con la salvaguardia di altri valori di evidente rilievo costituzionale interno (finalità del piano nazionale, economicità dell’azione senza violare l’art. 81 della Costituzione, rispetto delle quote tra le varie componenti energetiche, potenze installabili, dimensione dei flussi raggiunti, tutela del territorio, dell'ambiente e del paesaggio).

Del resto, le lamentate sopravvenienze normative nazionali in discorso erano già contenute nelle precedenti versioni dei conti energia succedutisi nel tempo e non hanno prodotto nessun effetto sostanziale sulla questione qui denunziata in quanto, a partire almeno dal secondo conto, il diritto alla tariffa incentivante è sempre stata posta in rapporto alla realizzazione dell’impianto ed alla connessione in rete dell’energia prodotta.

Non sussiste nemmeno, da parte del legislatore delegato all’attuazione della direttiva n. 2009/28/CE, il lamentato eccesso di delega in relazione ai criteri direttivi generali e specifici (rispettivamente artt. 2 e 17) contenuti nella legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2009), richiamata quale parametro interposto.

La disposizione del citato art. 17 ha previsto a princìpi e criteri direttivi i seguenti canoni:

“a) garantire il conseguimento degli obiettivi posti in capo allo Stato mediante la promozione congiunta di efficienza energetica e di utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione e il consumo di energia elettrica, calore e biocarburanti, tenuto conto di quanto previsto alla lettera c), anche attraverso la regolazione da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, sulla base di specifici indirizzi del Ministro dello sviluppo economico;

b) nel definire il Piano di azione nazionale, da adottare entro il 30 giugno 2010, che fissa gli obiettivi nazionali per la quota di energia da fonti rinnovabili consumata nel settore dei trasporti, dell’elettricità e del riscaldamento e raffreddamento nel 2020, avere riguardo all’esigenza di garantire uno sviluppo equilibrato dei vari settori che concorrono al raggiungimento di detti obiettivi in base a criteri che tengano conto del rapporto costi-benefìci;

c) favorire le iniziative di cooperazione per trasferimenti statistici e progetti comuni con Stati membri e Paesi terzi anche mediante il coinvolgimento delle regioni e di operatori privati, secondo criteri di efficienza e al fine del pieno raggiungimento degli obiettivi nazionali;

d) semplificare, anche con riguardo alle procedure di autorizzazione, di certificazione e di concessione di licenze, compresa la pianificazione del territorio, i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e alle necessarie infrastrutture di rete, anche sulla base delle specificità di ciascuna tipologia di impianto e dei siti di installazione, prevedendo l’assoggettamento alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, per gli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione non superiore ad un MW elettrico di cui all’ articolo 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, alimentati dalle fonti di cui alla lettera a), prevedendo inoltre che, in sede di pianificazione, progettazione, costruzione e ristrutturazione di aree residenziali industriali o commerciali e nella pianificazione delle infrastrutture urbane, siano inseriti, ove possibile, apparecchiature e sistemi di produzione di elettricità, calore e freddo da fonti energetiche rinnovabili e apparecchiature e sistemi di teleriscaldamento o di teleraffrescamento;

e) promuovere l’integrazione delle fonti rinnovabili nelle reti di trasporto e distribuzione dell’energia, anche mediante il sostegno, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, alla realizzazione di sistemi di accumulo dell’energia e di reti intelligenti, al fine di assicurare la dispacciabilità di tutta l’energia producibile dagli impianti alimentati da fonti rinnovabili e di ridurre gli oneri di gestione in sicurezza delle reti di trasporto e distribuzione dell’energia;

f) definire le certificazioni e le specifiche tecniche da rispettare affinché le apparecchiature e i sistemi per l’utilizzo delle fonti rinnovabili possano beneficiare dei regimi di sostegno;

g) introdurre misure volte a migliorare la cooperazione tra autorità locali, regionali e nazionali, provvedendo in particolare alla istituzione di un meccanismo di trasferimento statistico tra le regioni di quote di produzione di energia da fonti rinnovabili ai fini del rispetto della ripartizione di cui all’ articolo 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e dell’attuazione di quanto disposto all’ articolo 2, comma 170, della medesima legge 24 dicembre 2007, n. 244;

h) adeguare e potenziare il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e del risparmio energetico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia, l’armonizzazione e il riordino delle disposizioni di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, e alla legge 24 dicembre 2007, n. 244;

i) prevedere, senza incrementi delle tariffe a carico degli utenti, una revisione degli incentivi per la produzione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da biomasse e biogas al fine di promuovere, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, la realizzazione e l’utilizzazione di impianti in asservimento alle attività agricole da parte di imprenditori che svolgono le medesime attività;

l) completare, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili allo scopo, il sistema statistico in materia di energia, compresi i consumi, al fine di disporre di informazioni ed elaborazioni omogenee con i criteri adottati in sede comunitaria e funzionali al monitoraggio e all’attuazione di quanto previsto alla lettera g)”.

Non si può pertanto tacciare il suesteso articolato, certamente sintetico rispetto alle altrettanto composite e molteplici norme comunitarie, ma in loro linea, di consistere in una delega generica (non essendo funzione dei criteri direttivi fissare norme di dettaglio) oppure sostenere (ad una piana lettura in comparazione delle già riportate regole impartite) che il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, abbia ecceduto da tale delega ovvero prospettare che il d.m. di attuazione 5 maggio 2011 si ponga in loro distonia (a causa della diversa regolazione delle modalità di accesso e per l’entità degli incentivi riconoscibili).

Infatti, diversamente da quanto ventilato dalla società appellante, il solo criterio direttivo di cui alla citata lettera h) è in sé chiaro ed esaustivo nel disporre l’adeguamento e il potenziamento del sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e del risparmio energetico, ma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia, con l’armonizzazione e il riordino delle disposizioni di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, e alla legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Viceversa, per concludere sotto tali aspetti, la pretesa qui propugnata ad una continuità e stabilità del pregresso regime della materia, inevitabilmente, viene a vanificare la stessa nuova direttiva comunitaria e a porsi direttamente in contrasto al piano nazionale dell’energia nonché alle sopravvenute dinamiche di mercato, che non sono state stravolte ma solo disciplinate e governate nell’interesse pubblico e collettivo degli utenti, in pratica finanziatori delle iniziative e onerati degli incentivi tramite i prelievi imposti sui consumi energetici.

Di conseguenza, le critiche al riguardo sollevate dalla società ricorrente si palesano, per un verso, inaccettabili e, per altro verso, infondate.

5.- A mezzo di altra visuale alle prime tre censure la società appellante denunzia la violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, nell’enunciato che un investimento vada tutelato, non solo nella sua fase conclusiva (entrata in esercizio), ma anche in fase di programmazione e realizzazione progressiva dell’iniziativa (provvedimenti autorizzativi per l’accesso); la ricorrente fonda poi il proprio “diritto” agli incentivi del terzo conto energia sul completamento del procedimento presupposto volto all’ottenimento dell’autorizzazione unica all’installazione ed esercizio dell’impianto fotovoltaico, conseguito in data 9 maggio 2011 (assenso peraltro efficace solo dopo la sua pubblicazione per trenta giorni all’Albo).

Alla stregua della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tale consenso ha solo valenza urbanistica, edilizia, paesaggistica ed eventualmente espropriativa, riguardando la sola autorizzabilità e la fattibilità dell’impianto pianificato, che non include e assorbe la distinta fase finalizzata all’ottenimento della tariffa incentivata, collegata invece alla data di entrata in esercizio dell’impianto costruito e, soprattutto, alla richiesta inoltrata a Gse s.p.a. di concessione della pertinente tariffa incentivante (Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 175; Sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4662).

Nella specie, le suddette condizioni non si sono verificate perché nel frattempo è intervenuto il D.M. 5 maggio 2011, che ha introdotto il quarto conto energia in attuazione del d.lgs. n. 28 del 2011, il quale all’art. 25 ha fatto salvezza solo per gli impianti del terzo conto energia entrati in esercizio al 31 maggio 2011: non solo, quindi, il predetto decreto legislativo e il citato decreto sono anteriori all’autorizzazione unica ancora in formazione, ma difetta altresì in vicenda un concreto provvedimento applicativo impugnabile o accordo sostitutivo disatteso, su cui fondare la legittimazione e la pretesa vantata, se non la strumentale impugnazione dei DD.MM. 5 maggio 2011 e 5 luglio 2012, ma nella sostanza avverso il d.lgs. n. 28/2011.

Il gravame, cioè, impinge sulla discrezionalità legislativa circa gli opportuni incentivi a stimolazione della produzione di energia da fonti alternative in rapporto al fabbisogno pianificato e agli obiettivi raggiunti, con una disciplina regolamentare che non può essere ritenuta irragionevole o sproporzionata, una volta che, come da insegnamenti della Corte Costituzionale, sono state salvaguardate le situazioni pendenti maturate al momento della sopravvenienza legislativa.

Ne deriva l’inconferenza alla fattispecie del sollevato contrasto rispetto all’art. 3 della Costituzione, non essendo configurabile alcuna discriminazione tra situazioni non identiche diversamente regolate e non essendo tra esse comparabili le posizioni in itinere con quelle esaurite o in corso di allacciamento.

Insussistente è anche l’avanzata violazione dell’art. 41 della Costituzione (e del Trattato CE o delle altre norme internazionali evocate) per indebita restrizione della libertà di iniziativa economica nella produzione e vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili e in protestata contraddizione con gli obiettivi che gli Stati membri sono chiamati a conseguire a corretta applicazione dei principi contenuti nelle direttive 2001/77/CE e 29/2009/CE (su cui si è già delibato), dato che l'area della libera iniziativa economica va armonizzata e coordinata con i parametri dell'utilità sociale tutelati costituzionalmente dall'art. 41 Costituzione; del resto, le norme comunitarie inerenti il mercato in considerazione non precludono alla normativa nazionale di determinare le condizioni di accesso e la definizione degli incentivi di riferimento.

In relazione alla dedotta violazione dell'art. 97 della Costituzione, è appena il caso di dover precisare che le nuove condizioni incentivanti fissate, lungi dal dispiegarsi sui margini di autonomia negoziale in siffatto mercato, hanno al limite inciso sulla convenienza economica, liberamente apprezzabile da parte dei singoli imprenditori, a realizzare impianti per la produzione di energia alternativa secondo i meccanismi agevolativi rimodulati dal legislatore nella sua discrezionalità di valutazione dell’andamento del mercato di settore, senza ingiustificati margini di extraprofitto che si sarebbero realizzati nell’assenza di interventi regolatori; quindi, la nuova disciplina è intervenuta a prevenzione di indebiti trattamenti (questi sì discriminatori) a favore di taluni imprenditori sovracompensati e a tutela del buon andamento dello specifico interesse pubblico nazionale (che si sarebbe invece concretizzato in danno nel caso di omessa correzione dei diversi fattori constatati e implicanti una modifica delle condizioni di mercato e delle previsioni stimate, per lo stato delle innovazioni tecnologiche, per l’accelerazione nella produzione, per l’anticipato raggiungimento delle quote).

Quindi, tutti i profili delle tre censure in esame sono nel loro complesso improponibili e da respingere perché manifestamente infondate.

6.- Con il quinto motivo la ricorrente iniziale deduce, a concreta lesione del suo interesse alla lamentela, l’utilizzazione di un documento non ritualmente acquisito in giudizio (Com 2012-271 final), posto dai primi giudici a semplice riprova dell’infondatezza degli argomenti addotti e consistente nella “Comunicazione” del 6 giugno 2012 della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, in ordine alle risultanze del monitoraggio svolto sulla direttiva 2009/28/CE.

La Commissione, con la comunicazione in questione, nel ribadire il ruolo strategico delle energie rinnovabili, ha fatto presente che il settore si è sviluppato molto più rapidamente di quanto fosse pronosticabile alla data della direttiva 2009/28/CE, determinando un rilevantissimo calo dei costi di realizzazione degli impianti e preoccupanti fenomeni di sovracompensazione, incompatibili col regime di aiuti (cfr. par. 9), concludendo con la raccomandazione agli Stati Membri di adottare correttivi capaci di non "compromettere la fiducia degli investitori nel settore" e nel contempo di non “esporre il mercato unico a un simile rischio".

In senso contrario a quanto esposto dalla società ricorrente, detta raccomandazione, nel consigliare gli appropriati adattamenti, segnala solo che le citate sovracompensazioni rischiano di rendere instabile il mercato unico dell’energia e, contemporaneamente, di incrinare la serenità degli investitori nell’efficienza allocativa della produzione energetica; non reca affatto una attestazione impropria (che sarebbe in contraddizione e incongrua) di immutabilità della disciplina del mercato fissata dalla pregressa normativa comunitaria in materia (e a livello nazionale).

Ebbene, sul punto è sufficiente richiamare, in disparte dalla rilevanza secondaria di detta Comunicazione nella complessiva impostazione argomentativa della sentenza gravata nonchè a prescindere dal fatto che questo documento non ha portata regolamentare e non fissa regole di diritto, il principio “iura novit curia”, che è preordinato a rassicurare le parti sulla corretta applicazione da parte del giudice delle disposizioni normative vigenti anche in difetto di un loro espresso richiamo.

Il Tar, lungi dall’operare travisamenti e senza prestare la sua opera ad una delle parti, si è solo limitato ad interpretare la normativa di settore alla luce di un documento comunitario, significativo ma non dirimente in vicenda, circa le ragioni giustificatrici che hanno indotto alle modifiche intervenute in merito al regime previgente di sostegno alle energie rinnovabili e quanto alle conseguenti modalità di accesso agli incentivi nonché al decremento di valore degli stessi secondo il quarto conto energia.

Il biasimo contestato in ricorso è dunque privo di fondamento alcuno.

7.- Il quarto e il sesto motivo di appello possono essere trattati congiuntamente, stante la loro interconnessione.

Come da quarta doglianza, l’appello è in pratica radicato sull’affermata lesione del legittimo affidamento ingenerato per le attività di sistemica e progettazione intraprese nonché in dipendenza della risoluzione contrattuale intimata da GSP, cessionaria dei conseguenti pacchetti di impianti predisposti ai fini della loro successiva realizzazione (che è poi l’unico vero atto a contenuto non normativo introdotto in causa); in collegamento si pone il sesto motivo, concernente la pretesa risarcitoria per dichiarata ingiustizia e illegittimità degli atti gravati in primo grado.

E’ pacifico che la tutela del legittimo affidamento è principio connaturato allo Stato di diritto sicché, regolamentando contro di esso, il legislatore statale viola i limiti della discrezionalità legislativa (Corte Cost., sentenze 9 luglio 2009, n. 206, e 8 maggio 2007, n. 156).

Qui, però, non è in discussione tale principio, bensì l’esistenza stessa di un legittimo affidamento tutelabile, atteso che, non si controverte su provvedimenti e diritti già legittimamente acquisiti sulla base della normativa anteriore (come visto, i presupposti dell’autorizzazione unica si sono realizzati successivamente ai decreti, legislativo e ministeriale, in commento); non è neppure sostenibile che l’amministrazione pubblica abbia orientato la società ricorrente verso comportamenti negoziali che altrimenti non avrebbe tenuto (committenti sono stati GSF e GSP); non risulta inoltre causata da parte pubblica alcuna diretta lesione alla posizione giuridica azionata (la disciplina di settore è posta in riferimento al soggetto responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto, e che ha diritto a richiedere e ottenere le tariffe incentivanti, nonché al soggetto che richiede l’iscrizione ai registri di cui all’articolo 8 del D.M., non già all’intermediario logistico).

Se poi GSF e GSP potessero risolvere o meno il contratto al sopravvenire del d.lgs. n. 28 del 2011 per la ritenuta scarsa redditività del quarto o quinto conto energia (a seconda dell’entrata in esercizio dell’impianto) è questione che fuoriesce dall’ambito della giurisdizione amministrativa e semmai comprova la carenza di convincente e legittima titolarità in capo alla società ricorrente, dimostrando come la scelta di non coltivare più l’autorizzazione unica sia stata una libera e indipendente iniziativa della parte committente (la quale si è ben guardata dal pretendere in sede processuale l’inclusione nel terzo conto energia per effetto del solo impulso dato con la progettazione).

Neppure sussiste nella specie un investimento meritevole di essere salvaguardato perché la rimodulazione legislativa non è stata affatto incerta o improvvisa ma conosciuta dagli operatori del settore come in itinere (la nuova direttiva comunitaria è infatti del 2009), anzi prevista e disciplinata contrattualmente dalla società appellante con la committenza (cfr. contratto, comma 6, allegato 4 e punto 1.7) in un quadro di “tecnica consensuale” sensibile ai futuri mutamenti normativi e nel contesto di un “ragionevole rischio” imprenditoriale accettato secondo i patti raggiunti.

Non può perciò la società appellante venire ora contro il fatto proprio e pretendere utilità ultronee che non trovano valido titolo negli interessi protetti dalla disciplina comunitaria e nazionale della materia, oppure andare surrettiziamente ad eccedentare lo sviluppo coordinato delle fonti da energie rinnovabili ovvero porsi in sovracompensazione in modo non conforme al superiore interesse energetico a disequilibrio del piano nazionale.

Nella fattispecie, dunque, seppure all’apparenza dell’abile difesa la vicenda sembri radicare un interesse differenziato in capo alla società ricorrente, essa tuttavia non assurge a lesione giuridicamente rilevante, in quanto trattasi di situazione di fatto che non pregiudica i diritti nei confronti della committenza nei limiti delle pattuizioni al proposito concordate; né la medesima istante può farsi mediatamente portatrice di interessi altrui.

In altri termini, non sussistendo in capo alla società interessata un particolare interesse qualificato a sostegno dell’azione nell’assenza di una personale ed esclusiva relazione con il bene energetico regolamentato (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell'interesse legittimo), la generica lesione lamentata (pretesa alla stabilità del pregresso regime degli incentivi previsto inizialmente fino al 2013) si pone nel concreto in diretta antinomia nonché incompatibilità alle tutele positivamente valutate e apprestate dalla disciplina comunitaria e nazionale del settore, che non ha esorbitato dalle finalità proprie e dagli obiettivi del mercato unico dell’energia e delle fonti rinnovabili.

Per le considerazioni sopra svolte, di conseguenza e relativamente alla domanda risarcitoria, nel caso di specie vengono a mancare appunto i fondamentali causali di una lesione risarcibile e di un danno giuridicamente valutabile, non essendo infatti intervenuta nessuna inosservanza da parte della pubblica amministrazione statale della disciplina comunitaria e nazionale ovvero alcuna condotta, omissiva o commissiva, in violazione di una specifica norma dalla materia di settore posta, oppure trasgressione ai principi generali di prudenza e diligenza nel concretizzare in modo conforme la volontà di legge.

Le rimostranze al riguardo insinuate sono dunque nel loro complesso tutte implausibili e, di conseguenza, la inesistente pretesa risarcitoria non poteva e non può che essere rigettata.

8.- Conclusivamente, l’appello va respinto e la sentenza deve essere confermata come da suesposte argomentazioni.

Per la particolarità e novità delle questioni, le spesse di lite relative all’odierno grado possono essere tuttavia integralmente compensate tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso numero: 5308 del 2013), respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata come da motivazione.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Vito Carella, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/08/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)