Tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici. La rideterminazione tra autotutela e decadenza (Nota a Cons. Stato, Sez. II, 6 settembre 2024, n. 7461).
di Antonio PERSICO
pubblicato su giustiziainsieme.it.Si ringraziano Autore ed Editore
Sommario: 1. La vicenda sottoposta alla seconda Sezione del Consiglio di Stato – 2. La normativa astrattamente applicabile: l’art. 42 d.lgs. 28/2011 e l’art. 21- nonies l. 241/1990 – 3. Il dibattito sulla natura del potere di “decadenza” del GSE: gli orientamenti della dottrina, il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 e le sopravvenienze normative – 4. La posizione della seconda Sezione del Consiglio di Stato – 5. Considerazioni conclusive
1. La vicenda sottoposta alla seconda Sezione del Consiglio di Stato.
La pronuncia in commento interviene su una vicenda legata alla fruizione delle tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici previste dal c.d. II Conto Energia[1], prendendo una chiara posizione sul discrimen che intercorre tra l’annullamento di ufficio e la decadenza pubblicistica, nel tentativo di superare, definitivamente, un precedente contrasto giurisprudenziale.
Nel caso di specie, la Società titolare dell’impianto di produzione di energia rinnovabile, risultata poi vittoriosa (anche) in appello, aveva inteso valersi della “proroga” legislativa del II Conto Energia[2], per beneficiare delle tariffe ivi previste in luogo di quelle, meno vantaggiose, di cui al III Conto[3]. Il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. – GSE, a fronte dell’istanza a tal fine presentata, dopo aver contestato, mediante preavviso di rigetto ex art. 10-bisl. 241/1990, l’adeguatezza della documentazione fotografica tesa a comprovare la conclusione dei lavori entro il termine previsto dalla l. 129/2010 (31 dicembre 2010), ma poi, con provvedimento risalente al mese di novembre del 2011, richiamate le osservazioni e la documentazione trasmesse a riscontro del preavviso di rigetto, accoglieva la domanda della Società. Iniziava così l’erogazione delle tariffe incentivanti di cui al II Conto. Nell’ottobre del 2016, tuttavia, il GSE effettuava un sopralluogo presso l’impianto, avviando un procedimento di verifica, che sarebbe culminato, nel mese di gennaio dell’anno 2020, in un provvedimento ostativo alla fruizione delle suddette tariffe, sul rilievo dalla mancata ultimazione dei lavori impiantistici nel riferito termine di legge, riconoscendo all’impianto le meno vantaggiose tariffe di cui al III Conto. Faceva seguito la quantificazione della somma da recuperare, calcolata sulla base della parte “eccedentaria” delle tariffe erogate rispetto a quelle asseritamente spettanti.
La Società adiva quindi il TAR Lazio, che, con sentenza n. 6858/2022 accoglieva il ricorso (integrato da motivi aggiunti), annullando gli atti impugnati in quanto espressione di un potere di autotutela esercitato oltre ogni termine ragionevole (dopo oltre 8 anni dall’ammissione all’incentivazione). A giudizio del TAR, infatti, non v’era dubbio che la vicenda andasse inquadrata nell’ambito dell’autotutela caducatoria, sub specie di annullamento d’ufficio, e che l’agire provvedimentale del GSE andasse valutato in relazione all’art. 21- nonies l. 241/1990, dal momento che il Gestore, non avendo accertato elementi fattuali nuovi mediante il sopralluogo, era “tornato sui suoi passi”, rivalutando, con esito questa volta negativo, il tema già affrontato dell’idoneità delle fotografie a comprovare la fine dei lavori.
Il GSE appellava la sentenza, sostenendo che gli atti impugnati non erano espressione del potere di annullamento di ufficio di cui all’art. 21- nonies l. 241/1990, bensì del potere di verifica e controllo previsto dall’art. 42 d.lgs. 28/2011, posto che, in realtà, la Società non avrebbe allegato alcuna fotografia utile alle osservazioni trasmesse in riscontro al preavviso di rigetto.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha respinto l’appello e ha, per l’effetto, confermato la pronuncia impugnata, valorizzando il più recente orientamento giurisprudenziale, portato correttamente avanti dalla II Sezione, secondo cui «la titolarità del potere di verifica e controllo non consente l’indiscriminata rimessa in discussione dei presupposti iniziali, senza il rispetto delle necessarie garanzie e degli affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte, in quanto una volta che il procedimento si è concluso con il vaglio positivo degli elementi forniti dal privato, il riesame dei medesimi elementi deve seguire i canoni ed i presupposti del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista»[4].
2. La normativa astrattamente applicabile: l’art. 42 d.lgs. 28/2011 e l’art. 21- nonies l. 241/1990.
Come accennato, due sono i referenti normativi primari in rilievo nel caso di specie.
Da un lato vi è l’art.42 d.lgs. 28/2011, invocato dal GSE[5]. Quest’articolo, con riguardo agli incentivi nel settore elettrico e termico, positivizza il potere del Gestore di effettuare verifiche sui dati trasmessi degli istanti e controlli a campione sugli impianti, sancendo quindi, al comma, 3, che in caso di riscontrate violazioni rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, «il GSE dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate». In attuazione di questa disposizione, è stato emanato il d.m. 31 gennaio 2014, il quale, oltre a disciplinare le modalità di esercizio dei poteri di verifica e controllo del Gestore, reca, all’allegato 1, un’elencazione – non tassativa [6] – delle violazioni rilevanti ai sensi dell’art. 42, co. 3, d.lgs. 28/2011. Di tale elencazione colpisce, in particolare, l’ambigua formulazione delle ipotesi contemplate e, per quanto maggiormente interessa in questa sede, della fattispecie di «mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi» (lett. a). Invero, il dato normativo non è perspicuo in quanto non distingue a seconda che la verifica dell’ammissibilità agli incentivi sia svolta prima dell’accoglimento dell’istanza, e in tale sede il Gestore rilevi la mancanza della documentazione necessaria, ovvero che il Gestore, dopo aver ammesso l’impianto a incentivazione, rilevi la mancanza della ridetta documentazione nell’ambito di un procedimento di verifica e controllo postumo. In questo secondo caso, si pone il quesito se il Gestore possa disporre tout court la “decadenza” dagli incentivi e il recupero delle somme erogate, ai sensi del comma 3 dell’art. 42 cit., senza incorrere in alcun limite atto a preservare la stabilità del rapporto incentivante e l’affidamento del beneficiario[7]. Orbene, l’ambigua e generica formulazione letterale dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 e del d.m. 31 gennaio 2014 si presta anche a una simile interpretazione, la quale è stata difatti sostenuta, anche nel caso di specie, dal GSE.
Dall’altro lato, vi è l’art. 21- nonies l. 241/1990, in tema di annullamento d’ufficio, nella versione risultante dalle modifiche introdotte dalla l. 124/2015[8]. In generale, l’annullamento d’ufficio configura un’ipotesi di autotutela decisoria di carattere caducatorio, in cui la p.A., a seguito di un riesame critico del proprio operato provvedimentale, può demolire, con efficacia retroattiva, in tutto o in parte, un proprio atto illegittimo, mediante un provvedimento di secondo grado. Si tratta di un potere (di regola) discrezionale, il cui esercizio è subordinato non solo alla presenza di un atto illegittimo (annullabile ai sensi dell’art. 21-octiesl. 241/1990), ma anche a una positiva valutazione concreta sulla rispondenza dell’annullamento all’interesse pubblico: in tal senso, la norma impone di effettuare un bilanciamento degli interessi pubblici e di quelli privati, del destinatario del provvedimento e degli eventuali controinteressati, sul presupposto implicito, ma chiaro, che il ripristino della legalità violata non sia l’unico valore ordinamentale meritevole di protezione, e che un’azione amministrativa rispondente al canone del buon andamento e della proporzionalità non possa trascurare le posizioni giuridiche degli amministrati medio tempore sorte e/o consolidatesi. In sostanza, la norma vuole scongiurare esiti in cui la presunta soluzione (l’annullamento) si riveli peggiore del male (la violazione della legalità). Nello stesso ordine di idee milita la rilevanza dell’elemento temporale, che la l. 124/2015 ha reso assolutamente centrale, specificando che il termine ragionevole entro il quale può avvenire l’annullamento, a fronte di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, non può eccedere i diciotto mesi dalla relativa adozione (poi ridotti a 12 dal d.l. 77/2021, convertito nella l. 108/2021). La novella del 2015, come evidenziato in dottrina [9] e in giurisprudenza[10], ha inteso quindi garantire la certezza del diritto e la stabilità dei rapporti giuridici, nonché l’affidamento legittimo riposto dal privato negli atti amministrativi, assistiti da una generale presunzione di legittimità[11]. In quest’ottica, risulta altresì chiara la ratio della deroga al suddetto limite temporale codificata dal comma 2- bis dell’ art. 21- nonies cit.: qualora il privato abbia indotto fraudolentemente in errore l’Amministrazione, mediante false rappresentazioni dei fatti o dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, avendo egli consapevolmente concorso all’adozione dell’atto illegittimo, non v’è ragione di tutelarne l’affidamento (invero insussistente o comunque non “legittimo”) attraverso la garanzia rappresentata dal limite temporale massimo per l’annullamento prescritto dal primo comma[12].
Peraltro, sono evidenti i risvolti economici della disciplina di cui all’art. 21-noniesl. 241/1990. Le istanze di certezza e di stabilità giuridica che il Legislatore (in particolare, del 2015) ha inteso perseguire, attengono a condizioni fondamentali del contesto economico nazionale: in qualunque settore economico, gli investimenti vengono scoraggiati dalla perpetua caducabilità degli atti amministrativi di carattere ampliativo in base ai quali le imprese abbiano acquisito titolo allo svolgimento dell’attività economica ovvero abbiano conseguito benefici economici diretti a incentivare l’attività stessa[13]. Tali esigenze sono, ovviamente, avvertite anche nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Concludendo sull’art. 21-nonies, merita richiamare i condivisibili rilievi svolti dal Consiglio di Stato nel parere n. 839/2016, con cui è stata opportunamente valorizzata la portata garantista della novella legislativa del 2015. Il parere afferma, in proposito, che la previsione di un «confine temporale introduca un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione: nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza, il legislatore del 2015 ha fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, al fine di consolidare le situazioni soggettive dei privati». Il parere prosegue evidenziando che la novella di cui alla l.124/2015 ha consacrato una nuova «regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l’affidamento»; regola della quale è sottolineata la portata generale, al punto che il Consiglio di Stato ritiene che essa debba essere applicata «anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti “di annullamento”», sul rilievo che « alcune disposizioni utilizzano infatti, impropriamente, i termini “revoca”, “risoluzione”, “decadenza” (dai benefici) o simili per indicare, oltre all’abusivo utilizzo del titolo, la reazione dell’ordinamento all’illegittimo conseguimento del titolo, utilizzando forme che sono state definite di “annullamento travestito”».
3. Il dibattito sulla natura del potere di “decadenza” del GSE: gli orientamenti della dottrina, il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 e le sopravvenienze normative.
Intorno alla previsione di cui all’art. 42 d.lgs. 28/2011, è sorto un dibattito dottrinario teso a individuare la natura del potere del GSE di disporre la decadenza dagli incentivi[14]. La dottrina, invero, ha negato trattarsi di un potere unitario, articolando il ragionamento sulla base delle diverse ipotesi di violazioni rilevanti che il Gestore potrebbe accertare. In tal senso, la ricostruzione di Travi[15], condotta in relazione al sistema di incentivazione degli interventi di efficientamento energetico (mediante i cd. certificati bianchi), ha evidenziato che, in caso di coerenza tra l’intervento descritto nella proposta progettuale approvata dal GSE e quello effettivamente realizzato, la decisione del Gestore di non approvare la richiesta di verifica e certificazione sul rilievo dell’inammissibilità dell’intervento e di disporre conseguentemente la decadenza dal regime incentivante sottende una valutazione critica da parte del Gestore del proprio operato provvedimentale culminato nell’approvazione della proposta, conseguendone che il GSE può procedere al ritiro di tale approvazione solo nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 21-noniesd.lgs. 28/2011; a contrario , non verrebbe in rilievo la normativa sull’annullamento di ufficio se il rifiuto del Gestore di riconoscere la certificazione si basi sulla difformità dell’intervento concretamente realizzato rispetto a quello progettato. Un’altra dottrina[16], a propria volta, ha predicato la necessità di distinguere i casi in cui il GSE accerti, nel corso dell’incentivazione, la mancanza dei requisiti oggettivi di ammissione al beneficio economico da quelli di violazione derivante da un comportamento del beneficiario: nei primi verrebbe in rilievo un potere di autotutela riconducibile all’art. 21- nonies l. 241/1990, nei secondi la “decadenza” si atteggerebbe quale sanzione volta a reprimere condotte illecite. Altra dottrina ancora [17] ha suggerito di distinguere quattro tipologie di provvedimenti adottabili exart. 42, co. 3, d.lgs. 28/2011, dal momento che, in ragione della violazione accertata, il potere esercitato dal Gestore può essere qualificato in termini di annullamento d’ufficio, di decadenza amministrativa, di autotutela obbligatoria ovvero di autotutela privatistica.
La giurisprudenza, a propria volta, si è divisa, dando luogo al contrasto giurisprudenziale che la pronuncia in commento ha ritenuto ormai definitivamente superato. Per un primo orientamento, la disciplina speciale di cui all’art. 42 cit. metterebbe interamente “fuori gioco” la normativa generale di cui all’art. 21- nonies cit., di talché l’attività di verifica del GSE e il susseguente provvedimento che disponga la decadenza dagli incentivi, non potrebbero essere affatto qualificati come esercizio di un potere di autotutela[18]. Per un secondo orientamento, invece, la rivalutazione, a distanza di tempo, da parte del GSE dell’effettiva spettanza dei benefici già erogati e in corso di erogazione comporta l’esercizio di un potere di autotutela, che deve rispettare i limiti imposti dall’art. 21- nonies cit.[19]. Il primo orientamento è stato a lungo portato avanti dalla Sezione III-Ter del TAR Lazio[20], mentre il secondo ha trovato conferma in recenti pronunce della II Sezione del Consiglio di Stato[21].
In argomento, nel frattempo, è intervenuta l’Adunanza Plenaria n. 18/2020 che, pur senza prendere espressamente posizione sul segnalato contrasto giurisprudenziale, ha affermato che la decadenza dagli incentivi contemplata dall’art. 42 d.lgs. 28/2011 è pienamente sussumibile nella categoria della “decadenza pubblicistica” quale vicenda estintiva con efficacia di regola ex tunc di una posizione giuridica di vantaggio (cd. beneficio). Tale categoria si differenzierebbe radicalmente dall’istituto della sanzione, stante l’irrilevanza dell’elemento soggettivo e il carattere non afflittivo dell’effetto ablatorio-restitutorio, ma sarebbe anche da distinguere rispetto al «più ampiogenusdell’autotutela», rispetto al quale presenterebbe degli elementi comuni, ma si caratterizzerebbe specificamente: «a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio,more solitoindividuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti». L’argomentare della Plenaria suscita per vero, a sua volta, una serie di interrogativi: innanzitutto, non è specificato quali siano i tratti comuni della decadenza in questione con l’autotutela (solo l’efficacia ex tunc degli effetti del provvedimento?), né si comprende se, a giudizio della Plenaria, essa faccia parte del più ampio genus dell’autotutela, e se tale espressione alluda all’autotutela decisoria o all’autotutela tout court . Ancora, il requisito sub lett. a), appare a chi scrive logicamente debole: infatti, non pare che la qualificazione della natura di un potere amministrativo possa essere basata sulla circostanza che esso sia previsto o meno da norme della legge 241/1990, specialmente se si tiene conto che l’autotutela caducatoria è stata positivizzata all’interno di quest’ultima legge soltanto a opera della l. 15/2005; l’argomento sub lett. b) allude a un “vizio”, così evocando una rivalutazione della legittimità di precedenti atti amministrativi, ma subito dopo vengono menzionate ipotesi non qualificabili come “vizi” attizi, quali la violazione delle prescrizioni amministrative da parte del beneficiario ovvero la sopravvenuta perdita dei requisiti soggettivi od oggettivi; appare poi arduo ravvisare gli elementi caratterizzanti di un istituto in ipotesi che ricorrono… more solito, e che dunque potrebbero anche non ricorrere ovvero costituire il presupposto applicativo di altri poteri: ad esempio, la falsità delle rappresentazione dei fatti o delle autodichiarazioni per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenze passate in giudicato, è anche il presupposto dell’annullamento di ufficio oltre il termine di legge ai sensi del comma 2- bis dell’art. 21- nonies l. 241/1990(. Insomma, il discorso dell’Adunanza Plenaria non appare del tutto perspicuo nel chiarire l’ubi consistamdella decadenza pubblicistica e i suoi rapporti con il genus dell’autotutela. L’unico chiaro elemento differenziale sembra risiedere nel carattere vincolato del potere, a fronte della discrezionalità che (di regola) connota l’autotutela caducatoria. A ogni modo, l’Adunanza Plenaria sembra muovere da una concezione unitaria del potere del GSE di cui all’art. 42, co. 3, cit., il cui esercizio sarebbe in ogni caso doveroso a prescindere dal fattore temporale e al possibile affidamento del privato; tuttavia, sotto un diverso angolo visuale, si potrebbe affermare che la sentenza n. 18/2020 non abbia escluso affatto che, qualora il “vizio” accertato dal Gestore attenga all’originaria mancanza dei requisiti oggettivi o soggettivi per l’ammissione all’incentivazione, erroneamente ritenuti sussistenti in sede di accoglimento della domanda, l’agire provvedimentale dell’ente di vigilanza che disponga la “decadenza” e il recupero degli incentivi ricada nel perimetro applicativo dell’art. 21- nonies l. 241/1990 e non già in quello dell’art. 42 d.lgs. 28/2011. Infatti, si farebbe questione, in questa ipotesi, di una “tipologia di vizio” tipicamente rientrante nei presupposti applicativi dell’annullamento d’ufficio.
Sul versante normativo, l’ art. 56 del d.l. 76/2020 avrebbe dovuto sancire il superamento del dibattito intorno alla natura del potere di “decadenza” del GSE. Invero, il suo comma 7 ha esplicitamente subordinato il potere del gestore di disporre la decadenza dagli incentivi e il recupero di quelli già erogati al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 21- nonies l. 241/1990. In tal modo, il Legislatore ha evidentemente inteso promuovere nell’ambito dei rapporti di incentivazione che vedono parte il GSE le stesse esigenze di certezza del diritto, di stabilità dei provvedimenti ampliativi e di tutela dell’affidamento sottese a quest’ultimo articolo, in particolare nella versione risultante dalle modifiche apportate dalla l. 124/2015. Nondimeno, la rilevanza del tema della natura del potere di “decadenza” del GSE non può considerarsi esaurita, dal momento che, secondo unanime giurisprudenza[22], la novella di cui al d.l. 76/2020 non avrebbe inciso sulla natura del potere di cui all’art. 42 d.lgs. 28/2011, il quale continua a dover essere applicato nella versione precedente, secondo la regola tempus regit actum, alle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore del d.l. 76/2020[23].
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, il provvedimento impugnato precedeva tale sopravvenienza normativae la sua legittimità andava di conseguenza scrutinata sulla base della versione dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 antecedente alle modifiche di cui all’art. 56 d.l. 76/2020, di talché il Consiglio di Stato non avrebbe potuto stigmatizzare il superamento del limite temporale previsto dal primo comma dell’art. 21-noniesl. 240/1990, senza aver prima ricondotto il potere in concreto esercitato dal GSE all’annullamento d’ufficio e dunque predicato la diretta applicabilità alla fattispecie dell’art. 21- nonies cit.
4. La posizione della seconda Sezione del Consiglio di Stato.
La seconda Sezione ha ritenuto difatti applicabile, al caso di specie, l’art. 21- nonies l. 241/1990, previa qualificazione del provvedimento impugnato come atto di autotutela (segnatamente, di annullamento di ufficio parziale). La sentenza in commento addiviene a tale soluzione in linea con l’orientamento giurisprudenziale recentemente portato avanti dalla stessa Sezione – cui si è fatto cenno in apertura e nel precedente paragrafo – in base al quale il GSE non può rimettere in discussione, sine die, l’esistenza dei requisiti per accesso all’incentivazione, dovendo a tal fine provvedere in autotutela nel rispetto dei presupposti di cui all’art. 21- nonies cit. Sul punto, la pronuncia in esame dà invero atto del contrario orientamento giurisprudenziale – al quale pure si è fatto cenno nel precedente paragrafo –, e tuttavia lo ritiene definitivamente superato alla luce del diverso orientamento portato avanti, anche nel caso di specie, dalla II Sezione, alla quale vengono attualmente assegnate le controversie concernenti il GSE. Ed è proprio sul rilievo dell’avvenuto consolidamento, nella giurisprudenza della Sezione, dell’orientamento volto ad ammettere l’applicabilità al GSE della normativa in tema di annullamento d’ufficio, che la pronuncia in commento giunge a escludere la necessità di rimettere il ricorso all’Adunanza Plenaria.
Dell’Adunanza Plenaria, invece, la seconda Sezione richiama la sentenza n. 18/2020, nell’intento di tracciare una chiara linea distintiva tra ipotesi di decadenza ex art. 42 d.lgs. 28/2011 e ipotesi di annullamento di ufficio. In particolare, la pronuncia in commento intende valorizzare gli approdi ermeneutici dell’organo di nomofilachia, nella parte in cui ha ravvisato un elemento distintivo tra autotutela e decadenza ne «la tipologia del vizio,more solitoindividuato[in caso di decadenza]nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporti». Tale indicazione viene utilizzata dalla seconda Sezione per distinguere con nettezza l’ambito applicativo dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 da quello dell’art. 21-noniesl. 241/1990, escludendo con decisione la possibilità di “sovrapposizioni”. In tal senso, la pronuncia precisa che, laddove sia stato riconosciuto al privato il bene della vita, ovvero il beneficio economico/l’incentivo, all’esito di uno specifico procedimento, la decadenza può riguardare, solamente, tre ipotesi: - conseguimento del beneficio sulla base di dichiarazioni o documenti non veri; - inadempimento alle condizioni e agli obblighi cui il beneficio è subordinato; - sopravvenuta carenza dei requisiti per il suo ottenimento. Di contro, si ricade nell’autoannullamento allorché «l’Amministrazione, dopo aver valutato e ritenuto sussistenti, esplicitamente o implicitamente, i presupposti per la concessione dell’incentivo, così ingenerando nel privato il ragionevole convincimento della sua spettanza, riesamini la situazione e pervenga a una conclusione opposta». Da tale argomentare, il Collegio trae la conclusione per cui, sotto un'altra prospettiva, l’elemento dirimente, che consentirebbe di distinguere la decadenza dall’autoannullamento, consisterebbe nell’affidamento legittimo del privato, incompatibile con la decadenza («questi non vanta alcun affidamento “legittimo”, laddove abbia presentato documenti o dichiarazioni false, e perché la violazione delle prescrizioni e la sopravvenuta carenza dei requisiti sono successivi alla concessione del beneficio»), configurabile (e tutelabile) invece in ipotesi di autoannullamento.
Applicando la regula iuris così individuata al caso di specie, rilevato che il tema della conclusione dei lavori era già stato affrontato e risolto positivamente in sede di ammissione alle tariffe incentivanti, il Collegio ha ricondotto il potere in concreto esercitato dal GSE al paradigma dell’annullamento d’ufficio, stigmatizzando la violazione, da parte del GSE, dell’art. 21- nonies l. 241/1990, realizzata attraverso una macroscopica inosservanza del termine ragionevole (il provvedimento del gennaio 2020 era di oltre otto anni successivo all’ammissione alle tariffe incentivanti), in spregio al legittimo affidamento del privato.
5. Considerazioni conclusive
In definitiva, la pronuncia in commento si pone nel solco di un orientamento garantista volto a riconoscere e tutelare l’affidamento del privato sulla stabilità dei rapporti di incentivazione con il GSE. In quest’ottica, sussumendo la vicenda nel paradigma dell’autotutela caducatoria sub specie di annullamento di ufficio, la seconda Sezione ha valorizzato le esigenze di certezza del diritto e di stabilità dei provvedimenti ampliativi, in linea con quanto auspicato dal parere n. 839/2016. Quest’ultimo, infatti, sottolineava il carattere generale della regola scolpita nell’art. 21- noneis l. 241/1990 e metteva in guardia dalle forme di “annullamento travestito”, in presenza delle quali dovrebbero trovare parimenti applicazione le garanzie previste dal ridetto art. 21-nonies. Nello stesso ordine di idee, appare condivisibile la netta presa di distanza dalle letture estensive e “totalizzanti” del potere del GSE ex art. 42 d.lgs. 28/2011, che pure hanno trovato cittadinanza nella giurisprudenza configurando in capo al Gestore un(o) (stra)potere inesauribile di riesame tale da rendere geneticamente instabili i rapporti d’incentivazione[24].
In chiave critico-costruttiva, si può infine provare ad aggiungere uno spunto di riflessione ulteriore. L’idea che in presenza di dichiarazioni o documenti falsi, presentati in sede di domanda di accesso all’incentivazione, verrebbe necessariamente in rilievo il potere vincolato di decadenza del GSE porta a concludere che in questi casi non vi sia mai un affidamento meritevole di tutela. Tuttavia, la prassi in tema di cd. artato frazionamento, dimostra che non di rado la falsità dichiarativa o documentale è stata a suo tempo realizzata dal soggetto che ha progettato e spacchettato artificiosamente l’impianto, cedendo poi ad altre imprese la titolarità di singoli progetti e dei rapporti incentivanti nel frattempo instaurati con il GSE. Orbene, negare qualsivoglia posizione di affidamento tutelabile in capo all’acquirente in buona fede che abbia acquistato un singolo progetto e per lungo tempo percepito gli incentivi, specialmente se l’artato frazionamento è stato posto in essere prima della positivizzazione normativa del relativo divieto, può apparire eccessivo e condurre a conseguenze ordinamentali non auspicabili, quali il fallimento di attività dirette alla produzione di energia da fonti rinnovabili e la liquidazione di imprese operanti nel settore, a fronte di provvedimenti che dispongano la restituzione di somme ingenti. In quest’ottica, ci si può interrogare se non sia preferibile ricondurre anche le ipotesi di falsità dichiarative e documentali al paradigma dell’annullamento d’ufficio, e segnatamente al comma 2- bis dell’art. 21- nonies l. 241/1990. Difatti, tale soluzione lascerebbe intatta la possibilità di procedere al recupero di incentivi non spettanti oltre il limite temporale previsto dal primo comma, epperò residuerebbe in capo all’Amministrazione un margine di discrezionalità per valutare l’eventuale affidamento del beneficiario, non facendosi questione di un provvedimento vincolato[25].
[2] Il riferimento è all’art. 2- sexies d.l. 3/2010, convertito con modificazioni in l. 41/ 2010, come sostituito dall’art. 1-septiesdel d.l. 105/ 2010, convertito con modificazioni in l. 129/2010.
[4] Vengono citate in tal senso le pronunce della seconda Sezione del Consiglio di Stato, n. 4983/2022 e n. 1007/2023.
[5] Per un’analisi più dettagliata del contenuto di tale articolo si rinvia a A. Coiante, I poteri del GSE nell’ambito dell’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile: stato dell’arte e persistenti complessità , in Federalismi.it, 17, 2022.
[6] Cfr. art. 11, co. 2, d.m. 31 dicembre 2014.
[7] Per una generale ricognizione giurisprudenziale in argomento vds. E. Traina, Incentivi alla produzione di energie rinnovabili, poteri amministrativi e legittimo affidamento nella giurisprudenza , in Federalismi.it, 5, 2023.
[8] Tra i contributi successivi alla cd. Riforma Madia, senza pretesa di esaustività, vds. M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria , in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa , Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023; M. Immordino, I provvedimenti di secondo grado , in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2021; C.P. Santacroce, Tempo e potere di riesame: l’insofferenza del giudice amministrativo alle “briglie” del legislatore , in Federalismi.it, 21, 2018; R. Caponigro, Il potere di annullamento di ufficio, in Federalismi.it, 23, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio , in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017; Id., Il potere amministrativo di riesame per vizi originari di legittimità , in Federalismi.it, 6, 2017; Id., Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo , in P.L. Portaluri (a cura di), L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambia mento: il codice dei contratti e la riforma Madia , Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, 125 ss.; M.A. Sandulli, Autotutela, in Treccani. Il Libro dell’anno del diritto, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Roma, 2016; Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela , in Federalismi.it, 17, 2015; F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità (nota a margine dell’art. 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124) , in Federalismi.it, 20, 2015.
[9] Cfr. in particolare M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale? , in Riv. Giur. Edilizia, 3, 2018, 687; Id., Autotutela, cit., nonché Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela , cit.
[10] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 2020, n. 6472.
[11] Cfr. M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria , cit.
[12] Sulla necessità del giudicato penale anche in ipotesi di “false rappresentazione dei fatti”, per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di cui all’art. 21-nonies, co.1, nonché sul contrario orientamento giurisprudenziale, si rinvia a M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio (art. 18, l. n. 241 del 1990 s.m.i. e d.P.R. n. 445 del 2000 s.m.i.) , in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa , op. cit., 253 ss.; Id., Edilizia(voce), in Enciclopedia del Diritto – I Tematici, III, 2022; Id., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio - assenso e autotutela , cit. La medesima Autrice, inoltre, evidenzia che le misure di semplificazione, in particolare in tema di autodichiarazioni, per come intese da una certa giurisprudenza, hanno dato luogo a un «graduale trasferimento di responsabilità dalle amministrazioni ai privati», con inevitabile incidenza sulla stabilità dei titoli e, soprattutto, dei “benefici”: cfr. M.A. Sandulli, Introduzione, inM.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, op. cit., 9.
[13] La stessa autorevole dottrina ha, peraltro, da tempo evidenziato lo stretto legame intercorrente tra la certezza del diritto e la stabilità dei provvedimenti ampliativi, e in particolare di quelli attributivi di vantaggi economici, da un lato, e la ripresa, il rilancio ovvero la crescita economica del Paese, dall’altro lato: cfr. M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale? , cit.; Id., I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica , in Federalismi.it, 22, 2018; Id., Conclusioni alle giornate di studio su “Principio di ragionevolezza delle decisioni giuridiche e diritto alla sicurezza giuridica”, in Federalismi.it, 14, 2018; Id., Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione , in Il Processo, 2018, 45 ss, nonché in www.giustizia-amministrativa.it ; Id., Princìpi e regole dell’azione amministrativa: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale , in Federalismi.it, 23, 2017; Id., Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo , in P.L. Portaluri (a cura di), L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambia mento: il codice dei contratti e la riforma Madia , cit.; Id. , Autotutela, cit.
[14] In argomento, vds. A. Coiante, I poteri del GSE nell’ambito dell’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile: stato dell’arte e persistenti complessità , cit.
[15] A. Travi, I poteri di revisione del G.S.E ., in P. Biandrino, M. De Focatiis (a cura di), Efficienza energetica ed efficienza del sistema dell’energia: un nuovo modello? , Milano, Wolters Kluwer, 2017.
[16] F. Scalia, Controlli e sanzioni in materia di incentivi alle fonti energetiche rinnovabili , in Federalismi.it, 9, 2018.
[17] G. La Rosa, La rideterminazione dei poteri del GSE nel d.l. Semplificazioni e la (apparente) stabilità degli incentivi per l’energia da fonte rinnovabile , in AmbienteDiritto.it, 1, 2021.
[18] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380.
[19] Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2019, n. 5324.
[20] Cfr. ad es, TAR Lazio, Sez. III-Ter, 18 gennaio 2019, n. 2165 e altra giurisprudenza ivi citata.
[21] Oltre alle sentenze menzionate nella pronuncia in commento, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 31 luglio 2023, n. 7404.
[22] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 4 giugno 2024, n. 4977.
[23] Cfr. M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio (art. 18, l. n. 241 del 1990 s.m.i. e d.P.R. n. 445 del 2000 s.m.i.) , cit.
[24] Cfr. sul punto M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale? , cit., la quale rilevava che «l’operatività del suddetto termine di 18 mesi […] viene così tendenzialmente esclusa in riferimento ai provvedimenti che, seppure diretti a rimuovereex tunc(con ripristino dellostatus quo anteo recupero delle somme eventualmente concesse) il titolo o il vantaggio economico conseguito per difetto originario dei relativi presupposti e dunque rientranti a pieno titolo nel modello che i richiamati pareri del Consiglio di Stato hanno definito “annullamento travestito”, non sono formalmente qualificati come “annullamento”: è consolidata in tal senso la giurisprudenza della sezione III-ter del TAR Lazio sui provvedimenti di decadenza dagli incentivi per le energie rinnovabili assunti dal GSE a distanza di anni dal relativo rilascio».
[25] Cfr. C. Deodato, L’annullamento d’ufficio , cit.
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Pubblicato il 06/09/2024
N. 07461/2024REG.PROV.COLL.
N. 06329/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6329 del 2022, proposto da
Gestore dei Servizi Energetici – GSE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Frontoni, Gianluca Luzi e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Guido d’Arezzo, n. 2;
contro
Solar Power S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Battista Conte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via E.Q. Visconti, n. 99;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, n. 6858/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Solar Power S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2024 il Cons. Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Gianluca Luzi e Giovanni Battista Conte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Gestore Servizi Energetici s.p.a. (d’ora in avanti, solo GSE o il Gestore) appella la sentenza che ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti presentati dalla Solar Power S.r.l. contro la determinazione, resa all’esito di un procedimento di verifica, che ha stabilito che l’impianto da questa gestito non poteva fruire delle tariffe incentivanti, cui in origine era stato ammesso, in quanto carente dei requisiti previsti dalla normativa.
2. A tal proposito, è opportuno premettere che l’art. 2-sexies del decreto legge n. 3 del 2010, convertito con modificazioni in legge n. 41 del 2010, come sostituito dall’art. 1-septies del decreto legge n. 105 del 2010, convertito con modificazioni in legge n. 129 del 2010, ha riconosciuto le tariffe incentivanti di cui all’art. 6 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 19 febbraio 2007, che stabilisce criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, «a tutti i soggetti che […] abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, abbiano comunicato all’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione, al gestore di rete e al Gestore dei servizi elettrici-GSE S.p.a., entro la medesima data, la fine lavori ed entrino in servizio entro il 30 giugno 2011».
3. In punto di fatto si rileva che il 17 dicembre 2010 la Solar Power S.r.l. ha chiesto al GSE l’ammissione ai benefici di cui alla legge n. 129 del 2010 per l’impianto fotovoltaico di sua proprietà.
4. Con nota del 9 luglio 2011, il GSE ha comunicato l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento della domanda, consistenti nel fatto che le fotografie a questa allegate «non forniscono una visione completa dell’impianto e dei suoi principali componenti (moduli, inverter e trasformatori) non consentendo di verificare l’effettiva conclusione dei lavori dell’impianto. In particolare (dalle foto inviate si evince che il trasformatore non è collegato)» (doc. 5 del fascicolo della ricorrente in primo grado).
5. Il 13 luglio 2011 la Solar Power ha confermato la fine dei lavori di realizzazione e installazione dell’impianto entro il 15 dicembre 2010, producendo ulteriore documentazione, precisando che la foto del trasformatore allegata alla domanda era stata scattata durante i lavori ed era stata inviata per errore, quindi allegando – meglio, dichiarando di allegare – «una foto del trasformatore, regolarmente collegato, scattata in data 14/12/2010 alle ore 14:23 in sede di verifica finale dei lavori da parte del direttore dei lavori, propedeutica alla dichiarazione di fine lavori asseverata» (doc. 6 del fascicolo della ricorrente in primo grado).
6. Con provvedimento prot. GSE/P20110076616 del 16 novembre 2011 il Gestore ha definito il procedimento accogliendo la domanda, in quanto ha considerato che «la documentazione inviata in data 13/07/2011, allegata alle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10 bis della Legge 241/90, consente l’ammissione ai benefici di cui alla legge 13 agosto 2010, n. 129» (doc. 6 del fascicolo della ricorrente in primo grado).
7. In seguito, il 6 ottobre 2016 il Gestore ha svolto un sopralluogo presso l’impianto e con nota del 14 ottobre 2016 ha comunicato l’avvio di un procedimento di verifica.
8. La procedura veniva sospesa con nota del 25 maggio 2018, mediante la quale il GSE chiedeva alla Solar Power di presentare osservazioni, eventualmente corredate da documenti, su una serie di questioni, tra cui il fatto che «dal confronto tra le fotografie inviate ai fini della richiesta di ammissione ai benefici della Legge 129/10 e lo stato dei luoghi è emerso che, alla data di conclusione dei lavori […] i moduli fotovoltaici risultavano disconnessi; i cavi di collegamento del trasformatore risultavano assenti; la Società era tenuta a caricare sul portale del GSE un dossier fotografico atto a dimostrare l’effettiva conclusione dei lavori entro il 31 dicembre 2010, come previsto nella Procedura; il caricamento di fotografie, all’atto di presentazione dell’istanza di riconoscimento degli incentivi, errate e comunque non attestanti il completamento dei lavori, non ha posto in condizione il GSE di valutare in modo inequivocabile la sussistenza di tutte le condizioni per l’ammissione ai benefici di cui alla Legge 129/2010».
9. Con provvedimento definitivo prot. GSE/P20200004029 del 27 gennaio 2020 il Gestore ha comunicato «che l’impianto non può fruire dei benefici di cui alla Legge 129/2010 in quanto è carente dei requisiti cui è subordinato l’accesso» (ammettendolo tuttavia agli incentivi di cui al d.m. 6 agosto 2010), in quanto ha ritenuto che la società non avesse fornito elementi per nuove e diverse valutazioni in ordine alle difformità riscontrate tra le fotografie inviate ai fini della richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti e quelle scattate nel corso del sopralluogo, «che evidenziano, in particolare, il mancato collegamento elettrico del trasformatore MT/bt», nonché per il fatto che non sia stato fornito alcun documento di trasporto attestante la presenza del trasformatore presso il sito d’installazione dell’impianto entro il 31 dicembre 2010, con la conseguenza che non si poteva ritenere dimostrato il completamento dei lavori entro quella data.
10. La società ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR per il Lazio.
11. In seguito, con nota del 10 settembre 2020, il GSE ha quantificato l’importo da recuperare in 207.646,05 euro (calcolato sottraendo al totale della somma dovuta dalla società, pari a 216.297,97 euro, quella a essa dovuta e oggetto di compensazione, pari a 7.203,67 euro).
12. La Solar Power ha censurato la nota con motivi aggiunti.
13. Quindi, con istanza del 7 ottobre 2020, la società ha chiesto la revoca del provvedimento del 27 gennaio 2020.
14. La domanda è stata respinta con determinazione prot. GSE/P20210001494 del 21 gennaio 2021.
15. Anche questo provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti.
16. Il TAR ha accolto il ricorso e il primo atto di motivi aggiunti, dichiarando improcedibile il secondo atto di motivi aggiunti, condannando il Gestore alla restituzione di quanto trattenuto o compensato, con gli interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese di lite.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che «il tema delle fotografie era stato affrontato e risolto espressamente con il provvedimento del 16 novembre 2011, espressivo, all’epoca sì, del sopra citato potere di verifica e controllo doverosi e non riconducibile all’autotutela. Ma quando il GSE, tornando a valutare gli stessi aspetti materiali valutati con il primo provvedimento, torna sui suoi passi, non sta più esercitando un potere di primo grado, bensì sta procedendo secondo i dettami dell’autotutela “classica” disciplinata direttamente dall’art. 21 nonies L. 241/1990, senza che vengano in rilievo le modifiche apportate dall’art. 56 del D.L. 76/2020 all’art. 42 D.lgs 28/2011 e l’applicazione, per così dire, in via mediata, dell’art. 21 nonies L. 241/1990. Dettami violati nel caso di specie, essendo del tutto mancato nel provvedimento del 27 gennaio 2020 il bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato nel caso di specie. Non vi è, infatti, stata nessuna valutazione dell’affidamento del privato, maturato in oltre otto anni successivi a un provvedimento espresso di accoglimento dei rilievi effettuati a seguito di specifica interlocuzione qualificata ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/1990 da parte dello stesso Gestore. Non c’è stato, inoltre, il rispetto di quel “termine ragionevole” per l’esercizio dell’autotutela imposto dal legislatore sin dal 2005».
17. Il Gestore ha proposto appello contro la sentenza, chiedendo che ne venisse sospesa l’esecutività.
18. La Solar Power si è costituita nel giudizio di secondo grado, domandando il rigetto del gravame.
19. Alla camera di consiglio del 30 agosto 2022 il GSE ha rinunciato all’istanza cautelare.
20. Nel prosieguo del giudizio le parti hanno depositato documenti e scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi. In particolare, la Solar Power ha prodotto foto e altri documenti che dimostrerebbero che il trasformatore era regolarmente collegato prima del 31 dicembre 2010; il GSE ne ha contestato l’ammissibilità in grado di appello e comunque la rilevanza.
21. All’udienza pubblica del 2 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
22. L’appello si fonda su tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto trattano questioni analoghe o connesse.
23. Con il primo motivo di appello si deduce: «Violazione di legge con riferimento all’art. 11, comma 3, del medesimo D.M. 31 gennaio 2014 e Allegato 1 nonchè al D.M. 6 agosto 2010 ed all’art. 21 nonies L. n. 241/1990- Travisamento/errata valutazione dei presupposti di fatto e diritto - Contraddittorietà ed illogicità della motivazione». In particolare, il GSE sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, il provvedimento del 27 gennaio 2020 non rappresenterebbe una decadenza dai benefici di un determinato “conto energia” a cui avrebbe fatto seguito l’accesso a quelli di un diverso conto, ma si tratterebbe della determinazione dell’unico incentivo spettante, come dovuto alla luce degli esiti del controllo; di conseguenza, non troverebbe applicazione la disciplina dettata dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 in materia di autotutela.
24. Con il secondo motivo si deduce: «Violazione e falsa applicazione art. 21-nonies Legge n. 241/1990, nonché DM 29 febbraio 2007 e legge 129/2010. Travisamento/errata valutazione dei presupposti di fatto e diritto - Contraddittorietà ed illogicità della motivazione». In particolare, il GSE critica la sentenza in quanto fondata sul presupposto che nella specie sia stato esercitato il potere di autotutela, discrezionale e soggetto alla disciplina dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, invece del potere di verifica e controllo di cui all’art. 42 del decreto legislativo n. 28 del 2011.
A tal fine sarebbe rilevante il fatto che la Solar Power non aveva effettivamente allegato alcuna foto alle osservazioni trasmesse il 13 luglio 2011 nel procedimento di riconoscimento dell’incentivo, per cui non si potrebbe ritenere che il GSE abbia valutato due volte la medesima documentazione, avendo piuttosto accertato l’effettiva mancata dimostrazione della conclusione dei lavori entro il 31.12.2010.
25. Con il terzo motivo, articolato in via subordinata, si deduce: «Violazione falsa applicazione dell’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 sotto ulteriore profilo - Travisamento/errata valutazione dei presupposti di fatto e diritto - Contraddittorietà ed illogicità della motivazione».
In particolare, il GSE sostiene che, anche se si considerasse l’atto impugnato quale esercizio del potere di autotutela, comunque vi sarebbero i presupposti di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, sussistendo le ragioni d’interesse pubblico.
26. L’appello è infondato.
27. Sulla qualificazione dell’atto con cui il GSE, dopo aver ammesso un privato alle tariffe incentivanti, accerti il difetto dei requisiti previsti per l’accesso al beneficio, disponendone il recupero, si sono susseguiti due diversi orientamenti giurisprudenziali. Secondo una prima posizione, si tratterebbe di una pronuncia di decadenza, emessa nell’esercizio del potere di verifica attribuito e regolato dall’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 (Cons. St., sez. IV, sent. n. 2380 del 2019, citata anche dal GSE nel proprio gravame). Per un diverso e più recente orientamento, «la titolarità del potere di verifica e controllo, tuttavia, non consente l’indiscriminata rimessa in discussione dei presupposti iniziali, senza il rispetto delle necessarie garanzie e degli affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte, in quanto una volta che il procedimento si è concluso con il vaglio positivo degli elementi forniti dal privato, il riesame dei medesimi elementi deve seguire i canoni ed i presupposti del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista» (Cons. St., sez. II, sent. n. 4983 del 2022; negli stessi termini, si v. anche Cons. St., sez. II, sent. n. 10007 del 2023, che ha confermato come «il gestore, come ogni amministrazione, possa riesaminare in sede di autotutela una propria precedente determinazione, ma siffatto potere non va confuso con quello di decadenza che si fonda sul controllo per la prima volta di elementi, dati e informazioni non oggetto di una precedente verifica già conclusa positivamente»).
28. Non sussistono tuttavia i presupposti per rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, dato che il primo orientamento, più risalente nel tempo, è stato superato da quello, più recente, formatosi presso la Seconda Sezione cui sono ora assegnate le controversie relative al GSE.
29. Il Collegio ritiene quindi di confermare la posizione secondo cui, una volta disposta l’ammissione agli incentivi, il GSE non può più contestare l’eventuale carenza dei requisiti previsti dalla normativa applicabile, dovendo in tali casi provvedere in autotutela, nel rispetto dei presupposti di legge. A sostegno di questa tesi, milita anche la considerazione che la decadenza si differenzia dall’autotutela, tra l’altro, «per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporti» (in questi termini, Cons. St., Ad. Plen., sent. n. 18 del 2020): pertanto, quando al privato è stato attribuito un “bene della vita” all’esito di uno specifico procedimento, la decadenza può riguardare tre ipotesi, quella in cui il beneficio sia stato conseguito sulla base di dichiarazioni o documenti non veri (come nel caso che aveva dato origine alla rimessione all’Adunanza Plenaria, nel quale, con riferimento all’attestazione dell’origine dei pannelli fotovoltaici, era stato presentato un documento non conforme a quello che l’Ente di controllo aveva originariamente emesso), quella dell’inadempimento alle condizioni e agli obblighi cui il beneficio è subordinato e quella della sopravvenuta carenza dei requisiti per il suo ottenimento; esorbita invece dall’ambito di applicazione dell’istituto, per ricadere in quello dell’autotutela, la fattispecie in cui l’Amministrazione, dopo aver valutato e ritenuto sussistenti, esplicitamente o implicitamente, i presupposti per la concessione dell’incentivo, così ingenerando nel privato il ragionevole convincimento della sua spettanza, riesamini la situazione e pervenga a una conclusione opposta.
L’elemento che consente di distinguere tra decadenza e autotutela, riconducendo la fattispecie concreta all’una o all’altra, è dunque l’affidamento del privato, che non c’è – o comunque non è tutelabile – nella prima (perché questi non vanta alcun affidamento “legittimo”, laddove abbia presentato documenti o dichiarazioni false, e perché la violazione delle prescrizioni e la sopravvenuta carenza dei requisiti sono successivi alla concessione del beneficio), mentre può esserci nella seconda.
30. Nel caso di specie, dai documenti di causa risulta che la questione dell’effettiva conclusione dei lavori entro il 31 dicembre 2010 e l’idoneità a dimostrarlo della documentazione, anche fotografica, trasmessa era stata già affrontata esplicitamente nel corso del procedimento di ammissione alla tariffa incentivante, quando era stata sollevata nel “preavviso di rigetto” di cui alla nota del 9 luglio 2011 (doc. 5 del fascicolo della ricorrente in primo grado) e si era risolta positivamente per il privato con il provvedimento definitivo prot. GSE/P20110076616 del 16 novembre 2011, in cui il Gestore ha affermato che «la documentazione inviata in data 13/07/2011, allegata alle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10 bis della Legge 241/90 consente l’ammissione ai benefici di cui alla legge 13 agosto 2010, n. 129» (doc. 6 del fascicolo della ricorrente in primo grado).
31. Nel procedimento di controllo avviato nel 2016 il GSE ha risollevato la stessa questione, ponendo in dubbio l’efficacia probatoria delle «fotografie inviate ai fini della richiesta di ammissione ai benefici della Legge 129/10», le quali sarebbero state «errate e comunque non attestanti il completamento dei lavori» (così la nota del 25 maggio 2018): non viene quindi in rilievo né un’ipotesi di falsità delle dichiarazioni e dei documenti presentati, né un inadempimento, né una carenza sopravvenuta dei requisiti per l’ammissione al beneficio, quanto piuttosto un riesame delle condizioni originarie per la sua concessione, sulla cui sussistenza la Solar Power poteva ragionevolmente confidare, dato l’esito positivo della procedura del 2011 nella quale il Gestore si era esplicitamente e specificamente soffermato su tale questione.
32. A tal proposito, è opportuna una precisazione, dato che nel giudizio d’appello le parti hanno dibattuto sulla circostanza di fatto che la fotografia che avrebbe dovuto dimostrare l’installazione e il collegamento del trasformatore fosse effettivamente allegata alle osservazioni della Solar Power del 13 luglio 2011 (il GSE lo contesta, osservando che essa manca anche nella copia della nota depositata in primo grado dalla società; quest’ultima lo ribadisce, producendo in appello copia digitale dell’immagine, anche con le informazioni del file che attesterebbero la data di creazione, documentazione di cui l’appellante eccepisce l’inammissibilità): tale circostanza è invero irrilevante, perché se la documentazione fosse stata carente il Gestore avrebbe dovuto rilevarlo nel 2011; avendo questo affermato, alla luce dell’esame di quanto trasmesso, la sussistenza dei presupposti per l’accesso alla tariffa, una nuova verifica della stessa documentazione rappresenterebbe comunque un’ipotesi di riesame delle condizioni originarie, esorbitando dall’ambito della decadenza.
33. Il provvedimento prot. GSE/P20200004029 del 27 gennaio 2020 non è dunque qualificabile quale mero atto di rideterminazione dell’incentivo spettante – in quanto incide sul contenuto e sull’efficacia del provvedimento del 2011 – né quale atto di decadenza – in quanto emesso all’esito di un riesame delle condizioni originarie già vagliate nel 2011 – ed è piuttosto un atto di autotutela (si tratta, in particolare, di un annullamento d’ufficio parziale), come condivisibilmente affermato dal TAR. Di conseguenza, per la sua adozione doveva essere rispettata la disciplina di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
34. A tal proposito, è palese la violazione del termine ragionevole, essendo trascorsi circa 5 anni (dal 2011 al 2016) dall’ammissione all’incentivo all’avvio del procedimento di controllo e un lasso di tempo ancora maggiore rispetto a quando, con la nota del 25 maggio 2018, è stata (ri)sollevata la questione dell’idoneità delle fotografie trasmesse all’epoca a dimostrare la conclusione dell’installazione dell’impianto entro il 31 ottobre 2010.
35. Tale mancanza rende superfluo l’accertamento dell’esistenza del distinto e concorrente presupposto dell’interesse pubblico all’annullamento del primo atto.
36. L’appello è quindi meritevole di rigetto.
37. La sussistenza di diversi orientamenti sulla questione risultata dirimente ai fini della decisione giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge; compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Antonella Manzione, Presidente FF
Francesco Guarracino, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Consigliere