Cass. Sez. III n. 21894 del 6 giugno 2007 (Cc 22 mag. 2007)
Pres. Grassi Est. Sarno Ric. P.M. in proc. Sartori.
Urbanistica. Reati edilizi e/o paesaggistici - Ordine di demolizione e/o Ordine di rimessione in pristino - Applicabilità - Ragioni.

In tema di reati urbanistici, il giudice, in sede di emissione del decreto penale di condanna, deve applicare, anche d'ufficio, sia l'ordine di demolizione del manufatto abusivo che quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, attesa la loro natura di sanzioni amministrative, prive di contenuto discrezionale e consequenziali ad un provvedimento di condanna. (V., in senso conforme: Sez. III, 22 maggio 2007 n. 21895; Sez. III, 22 maggio 2007 n. 21896; Sez. III, 22 maggio 2007, n. 21897; Sez. III, 22 maggio 2007 n. 21898, non massimate).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 22/05/2007
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 502
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 036580/2006
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO G.I.P. TRIBUNALE di LATINA;
nei confronti di:
1) SARTORI LAVINIA, N. IL 06/02/1926;
avverso DECRETO del 09/04/2006 GIP TRIBUNALE di LATINA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SARNO GIULIO;
lette le conclusioni del P.G. che ha concluso: annullarsi senza rinvio il decreto impugnato, con restituzione atti al Tribunale competente per l'ulteriore corso della richiesta ex art. 459 c.p.p.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 9.3.2006 il GIP del Tribunale di Latina emetteva decreto penale di condanna nei confronti di SARTORI Lavinia per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) - D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 per l'ampliamento di un preesistente manufatto (accertato in San Felice Circeo il 15.12.2003).
Il decreto veniva comunicato al PM in data 13.4.2006. Con atto del 18 maggio 2006 il procuratore della Repubblica di Latina proponeva ricorso per cassazione eccependo la violazione di legge per l'inosservanza del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9 (già L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c.) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 2 (già D.L. n. 312 del 1985, art. 1 sexies) in quanto il GIP aveva omesso di ordinare con il decreto penale la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi. Il PG presso la Corte ha concluso chiedendo, in accoglimento del ricorso, di farsi luogo all'annullamento senza rinvio del decreto impugnato, con conseguente restituzione degli atti al tribunale competente per l'ulteriore corso della richiesta ex art. 459 c.p.p.. MOTIVI DELLA DECISIONE
L'esame del ricorso impone anzitutto l'analisi di alcune questioni preliminari.
1. Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, u.c., analogamente alla L. n. 47 del 1985, art. 7 prevede che con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44 venga ordinata la demolizione delle opere illecitamente realizzate se ancora non sia stata altrimenti eseguita. Si pone allora in primis la necessità di verificare la compatibilità dell'ordine di demolizione con il decreto penale di condanna.
Si osserva al riguardo, infatti, che per un verso l'art. 459 c.p.p., u.c. ne esclude a priori la possibilità di emissione quando risulta la necessità di applicare una misura di sicurezza personale e che il successivo art. 460 c.p.p., comma 5, sancisce che il decreto penale non comporta l'applicazione di pene accessorie; e che, per altro verso, l'art. 31 citato fa in effetti riferimento espresso solo alla sentenza di condanna.
Due sono, allora, le questioni su cui necessita focalizzare l'attenzione.
La prima concerne l'individuazione della natura dell'ordine di demolizione.
La seconda attiene, invece, alla individuazione della sfera di applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9. Ciò posto, avuto riguardo alla prima questione, si deve puntualizzare che, salvo sporadiche decisioni contrarie, l'orientamento oramai consolidato della Suprema Corte è nel senso di ritenere che l'ordine di demolizione rappresenta una sanzione amministrativa e non già una pena accessoria, una misura di sicurezza o, comunque, un effetto penale della condanna (ex plurimis Sez. 3, n. 991 del 11/06/1992 Rv. 190966; Sez. 3, n. 3107 del 02/10/1997 Rv. 208837; ecc).
La questione è stata già più volte affrontata specialmente con riferimento alla necessità di includere detta statuizione nella cd. sentenza di patteggiamento in quanto, come noto, l'art. 445 c.p.p. prevede che la predetta sentenza non comporta l'applicazione di pene accessorie ne' delle misure di sicurezza fatta eccezione per la confisca.
Ed al riguardo si è coerentemente concluso che l'ordine di demolizione deve essere disposto anche in sede di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. ancorché non sia stato oggetto dell'accordo. (Sez. 3, n. 3107 del 02/10/1997 Rv. 208837).
Venendo ora all'altro aspetto del problema non si ravvisano ragioni per escludere sul piano logico la necessità che l'ordine di demolizione consegua anche alla emissione del decreto penale. Sembrano condivisibili sul punto le osservazioni del Procuratore Generale il quale ha per un verso rilevato che l'estensione della statuizione sulla demolizione anche alle sentenze equiparate a quelle di condanna - come accade per il patteggiamento - rende a fortiori necessario procedere nello stesso senso nel caso del decreto penale che, a prescindere dalle peculiarità che pure lo contraddistinguono, rappresenta comunque una pronuncia di condanna; e dall'altro che, diversamente opinando, la condanna per decreto si convertirebbe in un anomalo meccanismo processuale elusivo dell'applicazione della sanzione amministrativa in questione. Va peraltro aggiunto, che già il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 98, analogamente a quanto stabiliva la L. n. 64 del 1974, attualmente prevede che la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità alle norme del capo di riferimento - costruzioni in zone sismiche - o ai decreti interministeriali indicati dalla norma sia ordinata indifferentemente con il decreto o con la sentenza di condanna ed, inoltre, che, venuto meno il divieto di sostituzione delle pene detentive brevi, posto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, u.c. (secondo cui la sostituzione non operava in materia edilizia ed urbanistica, quando la pena detentiva non era alternativa a quella pecuniaria) per effetto dell'abrogazione di tale disposizione ad opera della L. 10 giugno 2003, n. 133, art. 4, comma 1, lett. c), non sembra residuare alcuna valida ragione sul piano logico per continuare ad operare distinzioni legate - a ben vedere - alla sola tipologia dello strumento di condanna.
È attualmente senz'altro possibile, infatti, come dimostra lo stesso provvedimento in esame, applicare - per effetto della L. n. 133/2003 - anche per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c) la sola pena pecuniaria.
La natura di provvedimento dovuto, privo di contenuto discrezionale e necessariamente consequenziale alla sentenza di condanna o ad altra alla stessa equiparata, che ha già indotto questa Corte ad affermare che l'ordine di demolizione va disposto anche se mancante nella richiesta di patteggiamento (Sez. 3, n. 3123 del 28/09/1995; Rv. 202794; Sez. 3, n. 64 del 14/01/1998 Rv. 210128), induce coerentemente a ritenere che, nel caso di decreto penale, l'ordine debba essere necessariamente impartito dal GIP, anche d'ufficio, e, quindi, a prescindere dalla esistenza di una specifica istanza del PM nella richiesta di decreto penale.
1 bis. Le argomentazioni svolte per l'ordine di demolizione valgono evidentemente anche per l'ordine di riduzione in pristino dapprima previsto dalla L. 8 agosto 1985, n. 431 ed ora dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 2.
Anche a proposito di quest'ultimo è costante, infatti, l'orientamento della Corte nell'affermare che si tratta di atto dovuto da parte del giudice (Sez. 3, n. 3968 del 01/03/1995 Rv. 201984) avente natura di sanzione amministrativa e che non essendo, quindi, ne' una pena accessoria ne' una misura di sicurezza va necessariamente disposto anche con la sentenza di patteggiamento indipendentemente dal fatto di avere formato oggetto dell'accordo intercorso fra le parti (ex plurimis Sez. 3, n. 1918 del 15/06/1994 Rv. 198835).
2. Si pone ora la questione del rimedio esperibile nel caso in cui l'ordine di demolizione o quello di riduzione in pristino non siano stati impartiti con il decreto penale.
All'orientamento affermato da questa Corte in alcune decisioni secondo cui la Corte, senza violare il divieto di "reformatio in pejus" e il principio devolutivo, può, utilizzare la normativa sul procedimento di correzione degli errori materiali (Sez. 3, n. 768 del 24/02/1999 Rv. 213669), se ne contrappone altro e più recente - cui anche questo Collegio ritiene di dovere aderire condividendone le motivazioni - secondo il quale, in fase di cognizione, alla mancata inclusione nella sentenza dell'ordine di demolizione delle opere abusive e dell'obbligo di rimessione in pristino dello stato dei luoghi non può essere dato rimedio tramite la procedura di correzione dell'errore materiale, ma si rende necessaria l'impugnazione del pubblico ministero (Sez. 3, n. 21022 del 24/02/2004 Rv. 229039). Nel caso, invece, in cui la sentenza sia divenuta definitiva l'ordine di demolizione potrà ugualmente essere disposto dal giudice dell'esecuzione su richiesta dello stesso pubblico ministero (sulla applicabilità delle sanzioni amministrative obbligatorie in sede di esecuzione sì richiamano le argomentazioni già svolte da Sez. 3, n. 1880 del 18/05/1999 Rv. 213851).
3. Avendo nella specie il procuratore della Repubblica optato per il ricorso in cassazione, occorre vagliare anzitutto la possibilità per il ricorrente di accedere a tale mezzo di impugnazione con riferimento al decreto penale. E ciò in relazione alla mancanza di una disposizione specifica al riguardo ed alla necessità di non arrecare vulnus al principio di tassatività enunciato all'art. 568 c.p.p.. Va subito detto che, nel vigore del precedente codice, tale eventualità veniva generalmente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità.
Ciò sul rilievo che per il decreto penale di condanna pronunciato fuori dei casi consentiti dalla legge era possibile l'azione revocatoria prevista dall'art. 506 c.p.p., comma 4 (ex plurimis Sez. 2, n. 3684 del 10/11/1989 Rv. 183708) e che, al di fuori di essa, non era previsto alcun rimedio specifico (in questo senso, ad esempio, Sez. 3, n. 2046 del 06/04/1962 Rv. 098842, secondo cui deve ritenersi inammissibile il ricorso con cui il PM lamenti la erronea applicazione della pena dell'ammenda per un delitto punito con la multa in quanto nessun mezzo è dato in questo caso al PM per ottenere la riparazione dell'errore commesso dal pretore; Sez. 5, n. 298 del 16/12/1966 Rv. 103293 secondo cui l'azione revocatoria non è esperibile in qualunque ipotesi di nullità del decreto, bensì solamente in quella in cui il decreto stesso sia stato pronunciato al di fuori dei casi consentiti dalla legge). L'orientamento esposto non sembra al Collegio che possa continuare a trovare applicazione nella vigenza del codice attuale.
Va anzitutto rilevato al riguardo che non è più contemplata dalle disposizioni in vigore la possibilità per il pubblico ministero di esercitare l'azione revocatoria. Negando all'ufficio requirente anche la possibilità di ricorrere in cassazione, quest'ultimo si troverebbe dunque nell'impossibilità di far valere le proprie ragioni pure in presenza di sostanziali anomalie del decreto. Inoltre non può dubitarsi del carattere decisorio del provvedimento in questione. Nella logica cui è improntato il codice del 1988, il procedimento penale è suscettibile di varie possibilità di definizione una delle quali è appunto quella del decreto penale. Ed evidenti sono le analogie tra il decreto penale e la sentenza di condanna.
Ed, invero:
a) analogamente a quanto avviene per la sentenza di condanna l'art. 460 c.p.p., comma 2 attribuisce al giudice il potere di decidere non solo sulla pena principale, ma anche sulla sospensione condizionale e sulla non menzione, nonché sulla confisca o sulla restituzione delle cose sequestrate e sulla condanna del responsabile civile;
b) l'art. 648 c.p.p. e ss., a differenza dell'art. 575 c.p.p. e ss., espressamente menzionano l'irrevocabilità non solo delle sentenze ma anche del decreto penale di condanna;
c) l'art. 629 c.p.p. e ss. che, anch'essi in maniera innovativa rispetto al passato, estendono le disposizioni sulla revisione anche al decreto penale.
E proprio l'assimilazione dei due istituti ha comportato la pronuncia di questa Corte secondo cui il decreto penale di condanna il cui dispositivo non indichi la specie e la durata della pena detentiva sostituita da quella pecuniaria è affetto da nullità per incompletezza nei suoi elementi essenziali alla luce dell'art. 546 c.p.p., comma 3 (Sez. 4, n. 13335 del 26/02/2003 Rv. 226434). Nè vale obiettare, ad avviso del Collegio, che, a differenza della sentenza di condanna, il decreto penale, quand'anche sia divenuto esecutivo, non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo.
Si osserva al riguardo, infatti, che anche nell'art. 445 c.p.p. è inserita una analoga previsione ma ciò non ha impedito al legislatore di affermare l'equiparazione nella medesima disposizione della sentenza di applicazione della pena su richiesta a quella di condanna.
Appare dunque legittimo concludere che il decreto di cui all'art. 459 c.p.p. e ss., ha sostanzialmente natura di sentenza condividendone il contenuto decisorio del merito del processo.
Se ne deve pertanto dedurre, a parere del Collegio, che, pure in assenza di una disposizione codicistica specifica, sia comunque consentito al pubblico ministero di esperire il ricorso per cassazione - evidentemente per la sola violazione di legge - e ciò in base all'art. 111 Cost..
La previsione del comma 7 (e, prima delle modifiche introdotte dalla L. Cost. n. 2/99, del comma 2), infatti, suole essere collocata nell'esegesi giurisprudenziale e dottrinale nel sistema delle impugnazioni come norma di chiusura per i provvedimenti definitivi a contenuto decisorio.
4. Affermata la ricorribilità astratta del provvedimento occorre verificare ora quali siano i termini per l'impugnazione. L'equiparazione del decreto penale alla sentenza comporta sul piano logico la conseguenza che il termine per proporre impugnazione debba essere necessariamente quello di trenta giorni (art. 585 c.p.p., comma 1, lett. b)) e, poiché l'art. 460 c.p.p., comma 3 stabilisce che il decreto penale deve essere comunicato al PM, ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 2 tale termine decorre evidentemente dalla data della comunicazione stessa.
5. L'intervento della Corte rimane ovviamente precluso nel caso in cui vi sia stata revoca espressa o tacita del decreto penale e, naturalmente, la situazione emerga dagli atti in possesso della Corte.
In questo caso non può che competere al giudice dell'opposizione disporre l'ordine di demolizione e/o di riduzione in pristino dei luoghi in quanto, essendo stato revocato, il decreto penale non è più esistente.
6. Ciò posto, rilevato che dagli atti non risulta proposta opposizione al decreto impugnato, va anzitutto verificata la tempestività del ricorso.
Orbene, poiché il decreto penale risulta comunicato al PM in data 13 aprile 2006 ed impugnato in data 18 maggio 2006, il ricorso appare comunque tardivo.
Di conseguenza esso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2007