Cass. Sez. III sent. 37120 del 13 ottobre 2005 (c.c. 11 maggio 2005)
Pres. Savignano Est. Fiale Ric. Morelli
Urbanistica – Esecuzione ordine di demolizione emesso dal giudice penale –
Irrilevanza dell’avvenuta acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio
comunale.
L’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo in via amministrativa è finalizzata essenzialmente alla demolizione, per cui non sussiste alcun contrasto con l’ordine demolitorio imposto dal giudice penale che persegue lo stesso obiettivo. Il destinatario dell’ordine, a fronte dell’ingiunzione a demolire del P.M., non potrà ottemperarvi solo allorquando il consiglio comunale abbia già ravvisato (o sia sul punto di deliberare) l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive. Negli altri casi potrà richiedere al comune proprietario di procedere a proprie spese alla demolizione (alla quale, in difetto, provvederà l’autorità giudiziaria) con la conseguenza che l’area acquisita ed i materiali risultanti dall’attività demolitoria (infissi, impianti igienici etc.) spetteranno al comune.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 11/05/2005
Dott. DE MAIO Guido - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - N. 641
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - est. Consigliere - N. 25947/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MORELLI Franco, n. a Roma il 5.10.1957;
avverso l'ordinanza 12.5.2003 del Tribunale monocratica di Roma quale
giudice dell'esecuzione;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Guido De Maio;
lette le richieste del P.M. che ha concluso per l'annullamento senza
rinvio della ordinanza impugnata e del provvedimento di ingiunzione
emesso dal P.M.;
Essendo stato incaricato, per la relazione della sentenza, il
Consigliere Dr. Aldo Fiale;
FATTO E DIRITTO
Morelli Franco è stato condannato - con sentenza del
31.10.2001 del
Tribunale monocratico di Roma, divenuta irrevocabile il 29.3.2002 - per
reati edilizi e plurime violazioni dei sigilli apposti al cantiere
illecito, commessi in quella città.
Con la stessa sentenza è stata
ordinata la demolizione delle opere abusive, ai sensi dell'art. 7,
ultimo comma, della legge n. 47/1985. Nella fase esecutiva il P.M.,
competente - con provvedimento notificato il 15.10.2002 - ha ingiunto
al condannato la demolizione delle opere abusive, ma il Morelli non vi
ha ottemperato ed ha rivolto istanza al giudice dell'esecuzione,
prospettando che egli non poteva legittimamente dare ottemperanza
all'ingiunzione a demolire, essendosi già verificata
l'acquisizione
gratuita dell'immobile abusivo al patrimonio del Comune.
Il
Tribunale monocratico di Roma, quale giudice dell'esecuzione, all'esito
del procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 666, commi 3 e
4, c.p.p., con ordinanza del 12.5.2003, ha rigettato l'istanza sui
rilievi che nella fattispecie:
l'immobile abusivo in oggetto,
nonché la parte di terreno che costituisce l'area di sedime
su cui le
opere insistono e l'area ad essa circostante per mq. 1.010 (intero
lotto sito in Roma, alla via Rivoli, a 200, ricadente in zona H1 del
piano regolatore generale, iscritto nel NCT al foglio 107, particelle
357 e 502) sono stati effettivamente acquisiti al patrimonio del Comune;
in una situazione siffatta opera, tuttavia, il potere-dovere del
giudice penale di eseguire la demolizione dell'opera edilizia abusiva,
disposta ex art. 7 della legge n. 47/1985, che può
escludersi nei soli
casi "in cui sia intervenuta la deliberazione del Consiglio comunale
che abbia dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici",
ovvero, comunque, l'ordine di demolizione risulti "assolutamente
incompatibile con atti amministrativi dell'autorità
competente, che
abbiano conferito all'immobile altra destinazione o abbiano provveduto
alla sua sanatoria". Avverso tale ordinanza il difensore del Morelli ha
proposto ricorso ed ha lamentato che l'ingiunto non può
considerarsi
legittimato passivo nel procedimento di esecuzione, poiché
la
costruzione abusiva ed il terreno in cui sorge sono diventati di
proprietà comunale, a norma dell'art. 7, 3 comma, della
legge n.
47/1985, ed il giudice penale non può comunque compromettere
le
ulteriori scelte discrezionali dell'Amministrazione comunale
(demolizione di ufficio o utilizzazione a fini pubblici).
Il
ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. Il
Legislatore -
per le opere realizzate in assenza di concessione edilizia (oggi
permesso di costruire), in totale difformità o con
variazioni
essenziali - ha previsto un unico regime di sanzioni amministrative,
che, in assenza di vincoli di tutela (come nel caso in esame), si
articola secondo il seguente schema generale (art. 7 della legge n.
47/1985, attualmente trasfuso nell'art. 31 del T.U. n. 380/2001):
-
il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale,
rilevata la violazione, deve obbligatoriamente ingiungere al
proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione
dell'opera abusiva, che dovrà essere eseguita a spese dei
soggetti
responsabili dell'abuso;
- se il responsabile dell'abuso non
provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel
termine di 90 giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime,
nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni
urbanistiche,
alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti
di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune;
- l'opera
abusiva acquisita deve essere poi demolita, a spese dei responsabili
dell'abuso; Eccezionalmente, però, la demolizione
può essere evitata in
presenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione del
manufatto - riconosciuti e dichiarati con deliberazione del Consiglio
comunale - purché ciò non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici
o ambientali.
Dal sistema dianzi delineato può evincersi la
sussistenza di un criterio generale di preminenza dell'interesse al
ripristino dell'assetto territoriale violato, derogabile soltanto in
presenza di fondate ragioni, con riferimento alle quali la
deliberazione consiliare di mantenimento dell'opera abusiva deve essere
motivata. Mentre, infatti, l'art. 15 della legge n. 10/1977 prevedeva
il ricorso alla demolizione solo qualora l'opera non fosse idonea ad
essere utilizzata per fini pubblici, l'art. 7 della legge n. 47/1985 ha
disposto sempre la demolizione "salvo che con deliberazione consiliare
non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici":
2,
L'ordine di demolizione impartito dal giudice penale ai sensi dell'art.
7, ultimo comma, della legge n. 47/1985 (attualmente previsto dall'art.
31, ultimo comma, del T.U. n. 380/2001), assolvendo ad un'autonoma
funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, ha natura di
provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e
costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuate o
sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell'autorità
amministrativa,
attribuito dalla legge al giudice penale (vedi Cass., Sez. Unite,
24.7.1996, n. 15, ric. PM in proc. Monterisi).
Deve ritenersi
definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, "la visione
di un giudice supplente dell'Amministrazione pubblica e quindi di
garante del rispetto delle regole edilizie da parte dei privati: ruolo
che costituiva la premessa necessaria al temuto rischio di interferenze
nella sfera amministrativa". Lo stesso territorio costituisce l'oggetto
della tutela posta dalla normativa penale urbanistica ed a tale tutela
sostanziale si riconnette l'attribuzione al giudice del potere di
disporre provvedimenti ripristinatoli specifici qualora perduri la
situazione offensiva dell'interesse protetto dalla norma penale.
Se, dunque, il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice
penale, pur essendo di natura amministrativa, è rivolto al
ripristino
del bene tutelato in virtù di un interesse (anche di
prevenzione)
correlato all'esercizio della potestà di giustizia, il
provvedimento
conseguente compreso nella sentenza passata in giudicato, al pari delle
altre statuizioni della sentenza, è assoggettato
all'esecuzione nelle
forme previste dagli artt. 655 e seguenti del codice di procedura
penale. L'organo promotore dell'esecuzione va identificato, pertanto,
nel pubblico ministero, il quale - ove il condannato non ottemperi
all'ingiunzione a demolire - dovrà investire il giudice
dell'esecuzione
al fine della fissazione delle concrete modalità esecutive.
Nella
fase di esecuzione dovranno risolversi anche le questioni riguardanti i
rapporti con i provvedimenti concorrenti della pubblica Amministrazione
e potrà disporsi la revoca dell'ordine di demolizione
(statuizione
sanzionatoria giurisdizionale, che, avendo natura amministrativa non
è
suscettibile di passare in giudicato) che risulti non compatibile con
situazioni di fatto o giuridiche sopravvenute, quali atti
amministrativi della competente autorità, che abbia
conferito
all'immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria.
Tale incompatibilità, però, oltre che assoluta,
deve essere già
esistente ed insanabile e non invece futura e meramente eventuale (vedi
Cass., Sez. 3^: 17.12.2001, Musumeci ed altra; 30.3.2000, Ciconte;
14.2.2000, Cucinella; 4.2.2000, Le Grottaglie; 7.3.1994, Iannelli e
7.3.1994, Acquafredda).
Quanto alle modalità di esecuzione delle
sentenze di condanna recanti ordine di demolizione di opere abusive, si
distinguono due fasi: la prima, necessaria, prende avvio dalla diffida
rivolta dal P.M. al condannato di demolire l'opera abusiva; se il
condannato non adempie all'ingiunzione o non vi ottempera
completamente, si apre una seconda fase, eventuale, che vede il P.M.
rivolgersi al giudice dell'esecuzione per la fissazione delle
modalità
e delle prescrizioni, previa instaurazione del contraddittorio ai sensi
degli artt. 665 e 666 c.p..
In ogni caso, comunque, l'art 7, ultimo
comma, della legge n. 47/1985 (ed attualmente l'art. 31, ultimo comma,
del TU. n. 380/2001) "non pone alcuna regola di condizionamento o di
residualità del potere attribuito al giudice, ne' uno
stretto
coordinamento Ira istanza amministrativa ed istanza giurisdizionale
sotto il profilo procedimentale, ma soltanto prevede, per motivi di
economicità processuale e di razionalità" che la
demolizione dell'opera
abusiva, comunque avvenuta, anche per iniziativa del privato, renda non
utile l'adozione della misura ripristinatoria" (così Sez.
Unite, a
15/1996, Monterisi).
3. L'acquisizione gratuita dell'opera abusiva
al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi dell'art. 7, 3 comma,
della legge n. 47/1985, non è incompatibile con l'ordine di
demolizione
emesso dal giudice penale ed eseguito dal pubblico ministero;
infetti, nella prima parte del comma 5 dello stesso articolo, si
stabilisce che l'opera acquisita al patrimonio comunale deve essere
demolita con ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio
tecnico comunale, a spese del responsabile dell'abuso. Si avrebbe
incompatibilità soltanto se, con deliberazione consiliare, a
norma
della seconda parte dello stesso comma 5, si fosse statuito di non
dovere demolire l'opera acquisita. Le medesime considerazioni vanno
riferite, per l'identità delle disposizioni normative, alle
attuali
previsioni dei commi 3 e 5 dell'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (vedi
Cass., Sez. 3^: 20.5.2004, n. 23647, Moscato ed altro, 30.9.2003, n.
37120, Bommarito ed altro; 20.1.2003, n. 2406, Gugliandolo;
7.11.2002, n. 37222, Clemente; 17.12.2001, Musumeci ed altra;
29.12.2000, n. 3489, P.M. in proc. Mosca).
Si è già rilevato che l'acquisizione gratuita, in
via amministrativa, è
finalizzata essenzialmente afta demolizione, per cui non si ravvisa
alcun contrasto con l'ordine demolitorio impartito dal giudice penale,
che persegue lo stesso obiettivo: il destinatario di tale ordine, a
fronte dell'ingiunzione del P.M., allorquando sia intervenuta
l'acquisizione amministrativa a suo danno, non potrà
ottemperare
all'ingiunzione medesima allorquando il Consiglio Comunale abbia
già
ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l'esistenza di
prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.
Ove il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento
dell'opera, il procedimento sanzionatorie amministrativo (per le opere
realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale
difformità o
con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la
demolizione a spese del responsabile dell'abuso. Non si comprende,
dunque, perché il condannato non possa chiedere al Comune
(divenuto
frattanto proprietario) l'autorizzazione a procedere ad una ineludibile
demolizione a proprie cura e spese ovvero perché,
indipendentemente
dalla proposizione o dalla sorte di una richiesta siffatta,
l'autorità
giudiziaria non possa provvedere a quella demolizione che autonomamente
ha disposto, a spese del condannato, restando comunque costui spogliato
della proprietà dell'area già acquisita al
patrimonio disponibile
comunale e con l'ulteriore conseguenza che i materiali risultanti
dall'attività demolitoria (es. porte, impianti igienici,
infissi,
serrande etc) spetteranno al Comune.
Trattasi di modalità
esecutive, che si affiancano alle procedure di cui all'art. 41 del T.U.
n, 380/2001, ed escludono qualsiasi interferenza
dell'autorità
giudiziaria nella sfera della discrezionalità amministrativa.
Qualora si argomentasse in senso contrario si perverrebbe all'illogica
conclusione che il giudice penale non potrebbe ordinare, in caso di
condanna, la demolizione delle opere abusive tutte le volte in cui
l'amministrazione comunale abbia ingiunto la demolizione e questa non
sia stata eseguita dal responsabile dell'abuso nel termine di 90 giorni
dalla notifica, tenuto conto che l'acquisizione avviene a titolo
originario ed "ope legis", per il solo decorso del tempo, con il
conseguente carattere meramente dichiarativo del successivo
provvedimento amministrativo, che è atto dovuto, privo di
qualsiasi
contenuto discrezionale.
È ben difficile, del resto, ipotizzare si
possa pervenire alla conclusione anche del primo grado di un
procedimento penale in un periodo più breve o pari a quello
la cui
decorrenza comporta l'acquisizione automatica del bene.
Non possono
condividersi, pertanto, le contrarie pronunzie di questa Corte Suprema
(vedi Cass., Sez. 3^; 12.5.2004, n. 22743, Maffongelli;
25.2.2004,
n. 8153, Bonanno; 11.1.1997, n. 141, Vitantomo); mentre
l'interpretazione prospettata da questo Collegio ben può
conciliarsi
con l'orientamento del Consiglio di Stato (vedi Sez. 5^: 18.12.2002, n.
7030) secondo il quale la demolizione eseguita dall'autore dell'abuso
edilizio successivamente al decorso del termine di 90 giorni per
ottemperare alla demolizione stessa, deve considerarsi illegittima
allorquando impedisca all'amministrazione, che è il nuovo
titolare del
bene, di utilizzarlo in modo conforme ai suoi fini I provvedimenti
repressivi amministrativi a tutela del territorio, infatti, hanno
natura strettamente vincolante e devono essere tempestivamente adottati
(con iniziativa del tutto autonoma ed indipendente da quella
dell'autorità giudiziaria penale), avendo funzione di
immediato
presidio dell'assetto del territorio violato. Questa Corte Suprema, del
resto, ha pure affermato che l'esecuzione dell'ordine di demolizione,
impartito ai sensi dell'art. 7 della legge n. 47/1985, non è
esclusa
dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile
abusivamente
edificato. L'eventuale acquirente dell'immobile abusivo
subirà le
conseguenze della demolizione - allo stesso modo in cui subisce gli
effetti della acquisizione gratuita del manufatto al patrimonio
indisponibile del Comune - e potrà rivalersi, nette sedi
competenti,
nei confronti del venditore (vedi Cass., Sez. 3^, 18.12.1998, n. 2882,
Frati). La sanzione demolitoria, in sostanza, appare caratterizzata in
senso essenzialmente riparatorio, ha carattere reale e ricade
direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene,
senza che
rilevi il fatto che esso sia o non l'autore dell'abuso.
4. Nella
fattispecie in esame, non risulta presentata alcuna domanda di
sanatoria ed il Consiglio comunale di Roma non ha escluso (ex art 7, 5
comma, della legge n. 47/1985, oggi art. 31, 5 comma, del TU. n.
380/2001) la necessità di procedere alla demolizione
dell'immobile
abusivo in oggetto, ne' ha ravvisato resistenza di prevalenti interessi
pubblici al suo mantenimento previo accertamento di una situazione di
inesistente contrasto con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali.
Non risulta, infine, l'assunzione di provvedimenti ostativi dalla
giurisdizione amministrativa.
5. Al rigetto del ricorso segue l'onere del pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 611 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 maggio
2005. Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2005