Cass. Sez. III n. 29963 del 9 luglio 2019 (UP  8 feb  2019)
Pres. Sarno  Est. Corbo Ric. La Barbera
Urbanistica.Muro perimetrale di recinzione

Per la realizzazione di un muro perimetrale di recinzione occorre il previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001



RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 29 maggio 2015, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Termini Imerese che aveva dichiarato la penale responsabilità di Salvatore La Barbera e Maria Ingrassia per il reato di violazioni edilizie di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, accertato in data 11 febbraio 2014, e li ha condannati alla pena di tre mesi di arresto e 12.000,00 euro di ammenda, con concessione della sospensione condizionale subordinata alla demolizione delle opere abusive.
Secondo i giudici di merito, gli imputati, in concorso tra loro, e in assenza di permesso di costruire, avevano realizzato: a) una piscina interrata scoperta con scala di accesso, per una superficie di 45,25 metri quadrati, e per una profondità di 1,55 metri; b) muri perimetrali di recinzione in parte in cemento armato e in parte in legno, con inferriata metallica, per una lunghezza complessiva pari a 113,59 metri; c) un piazzale esterno in battuto di cemento a stampo e spazi ricavati per le aiuole.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe entrambi gli imputati, mediante un unico atto, a firma dell'avvocato Maurizio Di Marco, quale difensore di fiducia degli stessi, articolando nove motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 129 e 531 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata declaratoria di prescrizione.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto ancora in corso l’attività di realizzazione dei muri perimetrali nel febbraio 2014, quando, in realtà, l’aerofotogrammetria del 18 luglio 2004 evidenziava già l’esistenza di muri perimetrali, anche se non era possibile distinguere esattamente di quali parti si trattasse.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento ai muri perimetrali.
Si contesta che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente l’esecuzione senza titolo abilitativo di costruzioni di recinzioni, e che la stessa sentenza, dopo aver ammesso la legittimità della realizzazione senza autorizzazione di muri di recinzione fino all’altezza di 1,70 metri, ritiene poi il reato a fronte di un muro di recinzione le cui altezze sono comprese tra 0,99 e 1,84 centimetri, senza specificare quali parti di muro superano l’altezza di 1,70 metri, nonostante questi potrebbero essere proprio quelli esistenti nel 2004 e rilevati nell’aerofotogrammetria. Si aggiunge che, come confermato dal responsabile dell’ufficio tecnico del Comune interessato, l’ente locale aveva sempre consentito la realizzazione di tutti i muri di recinzione, indipendentemente dall’altezza, sulla base di una sola autorizzazione.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento al battuto in cemento.
Si rileva che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente l’esecuzione senza titolo abilitativo di opere di pavimentazione e finitura di spazi esterni, e che la sentenza nulla dice in proposito alla violazione determinata dalla realizzazione della pavimentazione, salvo ad affermare che la stessa sussiste.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto comma, cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento alla piscina.
Si osserva che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente l’esecuzione senza titolo abilitativo di vasche di raccolta delle acque e di bacini, e che è apodittica l’affermazione della sentenza secondo cui la piscina non può essere qualificata come vasca interrata.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003, e all’art. 9 d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento alla condonabilità delle opere in contestazione.
Si assume che erroneamente la sentenza impugnata ritiene che le opere in contestazione possano essere condonate solo a condizione che vengano rispettate le prescrizioni della Sovrintendenza e del Genio Civile, così come indicato nella nota del Comune del 10 febbraio 2017, in quanto in primo grado è stato irrevocabilmente esclusa la configurabilità dei reati previsti a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio ovvero contro i rischi di eventi sismici. Si rappresenta che se la configurabilità dei reati previsti a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio ovvero contro i rischi di eventi sismici è stata esclusa deve ritenersi esclusa anche la necessità delle autorizzazioni del Genio Civile e della Sopraintendenza, che sono previste, rispettivamente, proprio per il caso di zone sismiche e di vincoli paesaggistici.
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 163, 165 e 166 cod. pen., e all’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla subordinazione della concessione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Si deduce che la sospensione condizionale non si applica alle sanzioni amministrative, quale appunto l’ordine di demolizione, e che, quindi, l’ottemperanza alle sanzioni amministrative non può trasformarsi in un obbligo di fare la cui violazione determina il venir meno del beneficio. Si aggiunge che l’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato previsto dall’art. 165 cod. pen. non è in discussione, in quanto le opere in questione non hanno prodotto danno alla collettività, né possono integrarlo, non essendo necessaria l’autorizzazione del Genio Civile, o della Sopraintendenza, per l’assenza di rischio sismico e di vincoli paesaggistici.
2.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione del potere dell’autorità amministrativa da parte dell’autorità giudiziaria, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., avendo riguardo ancora alla subordinazione della concessione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Si contesta che l’ordine di demolizione non può essere disposto due volte, una volta come obbligo di fare per ottenere la sospensione condizionale e la seconda volta come sanzione amministrativa accessoria. Si aggiunge che l’ordine di demolizione impartito dal Comune è stato sospeso dal T.A.R. in attesa delle definizione della pratica di condono edilizio relativa al fabbricato principale, e che la decisione del giudice penale, quindi, contravviene quella del T.A.R.
2.8. Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 178, comma 1, lett. c), 179 e 180 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla conoscenza del decreto di citazione da parte dell’imputata Maria Ingrassia.
Si rileva che la dichiarazione di assenza di Maria Ingrassia deve ritenersi nulla per violazione del principio fissato dall’art. 6, par. 3, CEDU, in quanto non vi sono elementi per poter ritenere che l’imputata abbia avuto effettiva conoscenza della citazione a giudizio, essendo stata la notificazione dell’atto effettata nelle mani di altra persona.
2.9. Con il nono motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato ritenuto in sentenza.
Si deduce che le opere in contestazione o sono realizzabili senza titolo abilitativo, come la pavimentazione in battuto cementizio ed i muri alti fino a 1,70 metri, o sono realizzabili sulla base di semplice S.C.I.A., come la piscina, la quale non esprime una volumetria superiore al 20 % dell’edificio, o come i muri perimetrali più alti di 1,70 metri. Si aggiunge che tutte le opere in questione hanno natura pertinenziale, sono state realizzate in zona cd. “bianca”, cioè priva di destinazione urbanistica, a seguito della decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio, ed attengono ad un fabbricato principale per la cui condonabilità, da un lato, l’ufficio tecnico del Comune competente ha già rilasciato parere favorevole con nota del 10 febbraio 2017, e, dall’altro, non deve ritenersi necessaria alcuna autorizzazione del Genio Civile o della Sopraintendenza. Si segnala, ancora, che i muri perimetrali di altezza superiore a 1,70 metri erano quelli preesistenti, e documentati dall’aerofotogrammetria del 18 luglio 2004, che le piscine di modeste dimensioni asservite ad edifici a destinazione residenziale sono ritenute nella giurisprudenza amministrativa delle pertinenze, anche se insistano su area agricola, e che l’art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 definisce come interventi di nuova costruzione per i quali è necessario il permesso di costruire solo le pertinenze realizzate in zone di particolare pregio paesaggistico o implicanti un volume superiore del 20 % al volume dell’edificio principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate

2. Manifestamente infondate sono le censure proposte nel secondo, nel terzo, nel quarto e in parte del nono motivo, tra loro strettamente connesse e da esaminare congiuntamente, le quali contestano la configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo che le opere in questione potevano essere eseguite senza il preventivo rilascio di titolo autorizzativo, e, in particolare, che la piscina doveva essere qualificata come vasca interrata o, comunque, come pertinenza, e che la stessa, così come il muro perimetrale per parte superiore a metri 1,70, potevano essere realizzati sulla base di S.C.I.A.
2.1. Per una corretta valutazione delle censure occorre premettere quale risulta essere lo stato degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Per quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato, innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la realizzazione di un’opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261521-01, relativa a fattispecie concernente un muro in cemento armato avente spessore di cm. 25 ed un'altezza di circa metri 1,80, nonché Sez. 3, n. 5755 del 13/12/2007, dep. 2008, Romano, Rv. 238788-01). E’ utile aggiungere che si è anche precisato che, per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire, senza che la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far ritenere il muro pertinenza dell’edificio (così Sez. 3, n. 41518 del 22/10/2010, Bove, Rv. 248744-01).
Con riferimento alla piscina, poi, va segnalato che la giurisprudenza, sebbene riconosca la possibile natura pertinenziale di tale opera quando la stessa abbia un volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede, richiede che tale manufatto sia preordinato ad un'oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale, non abbia un autonomo valore di mercato, in modo da non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa (così Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni, Rv. 268552-01), non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064-01), ed inerisca ad un edificio preesistente legittimamente edificato (cfr. Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278-01).  
Anche relativamente alla realizzazione di un pavimento in cemento nel piazzale, è utile considerare che, in giurisprudenza, è consolidato un orientamento rigoroso. Secondo una decisione, in particolare, integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, la pavimentazione di una vasta area con tappeto bituminoso in assenza di permesso di costruire, in quanto tale attività edilizia rientra tra gli interventi di urbanizzazione secondaria ovvero infrastrutturali considerati come di "nuova costruzione" dall'art. 3, comma 1, lettere e.2) ed e.3), d.P.R. cit. (Sez. 3, n. 42896 del 24/10/2008, Carotenuto, Rv. 241545-01). Altra pronuncia ha affermato che il regime dell'attività edilizia libera, ovvero non soggetta ad alcun titolo abilitativo, di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, e che, quindi, è configurabile il reato di cui all’art. 44 d.P.R. cit. in ipotesi di realizzazione di piazzali da adibire a parcheggio in area classificata come zona agricola (Sez. 3, n. 19316 del 27/04/2011, Ferraro, Rv. 250018-01).    
Ancora, occorre evidenziare, in linea generale, che, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473-01, nonché Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, dep. 2012, Forte, Rv. 252125-01).
2.2. La sentenza impugnata ha ricostruito, anche sulla base delle dichiarazioni del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, l’esatta dimensione delle opere in contestazione.
Si premette che le opere in questione accedono ad un fabbricato già realizzato abusivamente e per il quale era stata avanzata istanza di condono. Si rappresenta, poi, che la recinzione, in parte in cemento armato, presenta tratti di altezza pari a 1,84 metri, mentre le legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente di realizzare senza preventivo titolo abilitativo recinzioni di altezza non superiore a 1,70 metri, e che la piscina non può essere qualificata come vasca interrata o cisterna, strutture per le quali la medesima legge regionale prevede l’edificabilità senza autorizzazione. Si conclude, quindi, che le opere realizzate «presentano una importante consistenza» e che la astratta condonabilità del fabbricato principale non esclude la illiceità dei lavori per i quali è stata pronunciata condanna. Si aggiunge, per completezza, che il condono, secondo quanto rappresentato dal responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, può essere concesso solo se vengono rispettate le prescrizioni della Sovrintendenza e del Genio Civile, non rilasciate.
La sentenza di primo grado, tra l’altro, segnala che: a) il muro perimetrale, di altezza compresa tra 0,99 metri e 1,84 metri, è di una lunghezza complessiva pari a 113,59 metri ed è inoltre sovrastato da una schermatura lignea avente a sua volta un’altezza di 2,00 metri; b) la richiesta di condono dell’edificio preesistente, costituito con due elevazioni fuori terra, non solo non è stata accolta, ma, in radice, non può essere accolta, perché l’edificio è in contrasto con la destinazione di zona prevista dal piano regolatore generale del Comune, in quanto edificato in zona territoriale omogenea F3, relativa ad infrastrutture di interesse pubblico ed escludente interventi di tipo residenziale; c) le diverse opere, e precisamente la piscina, il muro perimetrale di recinzione e il pavimento in cemento del piazzale debbono essere valutate unitariamente e non singolarmente ai fini della qualificazione del tipo di intervento edilizio effettuato.      
2.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi di fatto indicati dai giudici di merito, e sostanzialmente non contestati, le conclusioni della sentenza impugnata risultano correttamente motivate.
In effetti, già le singole opere per le quali è intervenuta condanna, per come descritte dai giudici di merito, hanno un rilievo significativo, tale da determinare una trasformazione dell’assetto del territorio, come evidente, in particolare, per il muro di recinzione. E’ poi legittima la decisione di procedere ad una valutazione unitaria delle stesse, con definitivo giudizio di illiceità dei lavori nel loro complesso, in quanto si tratta di interventi tutti relativi allo stesso immobile. Infine, non può essere trascurato che dette opere ineriscono ad un edificio a due elevazioni fuori terra non solo abusivamente realizzato, ma anche non condonato.

3. Prive della specificità normativamente richiesta, o comunque manifestamente infondate sono le censure esposte nel quinto e in parte del nono motivo, riguardanti la condonabilità delle opere in contestazione.
Invero, non solo può rilevarsi che, ai fini dell’estinzione del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario sia stato effettivamente rilasciato il permesso in sanatoria, secondo quanto prevede l’art. 45 d.P.R. cit.
Deve aggiungersi, infatti, così come già segnalato in precedenza, che le opere sono collegate ad un edificio non condonabile, perché realizzato in contrasto con la destinazione di zona prevista dal piano regolatore generale del Comune, che quanto meno il parere del Genio Civile è senz’altro necessario, poiché il condono deve avere ad oggetto anche l’immobile principale, e che meramente assertive sono le indicazioni del ricorrente, secondo cui la zona interessata deve ritenersi “bianca”, ossia priva di destinazione urbanistica.    

4. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel primo motivo, e riguardanti la mancata dichiarazione di prescrizione.
La sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni testimoniali del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, il quale ha detto che le opere per cui è stata pronunciata condanna erano di recente realizzazione o addirittura ancora in corso all’atto dei sopralluoghi, effettuati tra il febbraio ed il marzo 2014. La sentenza di primo grado ha anche rappresentato che le riferite dichiarazioni trovano riscontro nella documentazione fotografica in atti, ivi compresa quella prodotta dalla difesa, da cui si evince che il colore del cemento è «fresco», che, anzi, l’intera area, nelle immagini depositate dalla difesa, risulta ancora sottoposta ai lavori, e che l’aerofotogrammetria del 2003 non consente di rilevare la presenza né della piscina, né dei muri di recinzione, né del piazzale con pavimentazione in cemento.
Sulla base di questi elementi, con i quali il ricorrente non si è puntualmente confrontato, limitandosi solo ad affermare che l’aerofotogrammetria documenterebbe l’esistenza, nel 2004, di una parte del muro, risulta sicuramente corretta la conclusione della sentenza impugnata secondo cui la condotta di realizzazione delle opere per le quali è stata pronunciata condanna era in corso alla data dei sopralluoghi.
Di conseguenza, la prescrizione non è maturata alla data della presente sentenza, e, comunque, non era maturata alla data della sentenza di appello, pronunciata in data 11 luglio 2018.

5. Manifestamente infondate sono anche le censure di cui al sesto ed al settimo motivo, che attengono alla subordinazione della concessione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive, deducendo che il beneficio non è applicabile all’ordine di demolizione, che questo non può essere emesso due volte, una dalla Pubblica Amministrazione, ed una dal giudice penale, e che i manufatti in contestazione non hanno prodotto danno o pericolo per la collettività.
Secondo la ormai consolidatissima giurisprudenza di legittimità, infatti, è fuori discussione che il giudice possa subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena per i reati di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 alla demolizione delle opere; l’unico profilo controverso attiene alla necessità o meno di una specifica motivazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018, Ferrante, Rv. 272820-01, e Sez. 3, n. 51014 del 15/06/2018, P., in attesa di amssimazione). E’ inoltre principio consolidato quello secondo cui l’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa costituente espressione di un potere autonomo e non residuale o sostitutivo di quello spettante all’autorità amministrativa, in quanto assolve ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (cfr., ancora, Sez. 3, n. 23189 del 2018, cit., non massimata sul punto, nonché Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232172-01).
La sentenza impugnata, poi, ha espressamente indicato le ragioni poste a base della scelta di subordinare la concessione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive. Ha infatti precisato che non solo non è emerso alcun elemento favorevole all’imputato, ma che è evidente «la reiterata azione di violazione di norme poste a tutela del territorio, considerato che non solo le opere abusive, ma anche l’immobile principale, risultano essere state realizzate in assenza di tutte le prescrizioni in materia».   

6. Manifestamente infondate, ancora, sono le censure esposte nell’ottavo motivo, aventi ad oggetto la validità della dichiarazione di assenza dell’imputata Maria Ingrassia, sul rilievo della effettuazione del decreto di citazione a giudizio non a mani proprie, ma di altra persona.
La sentenza impugnata, come già quella di primo grado, dà atto che la notificazione del decreto di citazione a giudizio alla ricorrente è stata effettuata presso il domicilio dichiarato dalla stessa, e precisamente presso la sua abitazione, a mani del figlio Francesco La Barbera, indicato come capace e convivente nell’attestazione dell’ufficiale giudiziario.
La notificazione effettuata è del tutto conforme a quanto previsto dall’art. 157 cod. proc. pen. per la prima notificazione all’imputato non detenuto. Né, nella specie, può sollevarsi seriamente questione di mancata conoscenza dell’atto: l’imputata aveva dichiarato il domicilio in data precedente alla notificazione, ed è stata assistita da un difensore di fiducia nel corso di tutto il processo, sin dal giudizio primo grado.    

7. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché di ciascuno di essi singolarmente – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro duemila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.  
Così deciso in data 8 febbraio 2019