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Sez. 3, Sentenza n. 3307 del 09/12/2004 Ud. (dep. 01/02/2005 ) Rv. 230666
Presidente: Zumbo A. Estensore: Onorato P. Relatore: Onorato P. Imputato: Iacoponelli. P.M. Salzano F. (Conf.)
(Rigetta, App. Palermo, 18 Novembre 2002)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Opere eseguite in difformità del permesso di costruire - Applicabilità delle disposizioni relative alla DIA alternativa al permesso - Esclusione - Reato di cui all'art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001 - Configurabilità.

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Massima (Fonte CED Cassazione)

Alle opere edilizie eseguite in difformità dal progetto assentito con permesso di costruire non si applicano le disposizioni di cui all'art. 4, comma settimo, della legge 4 dicembre 1993 n. 493 e all'art. 1, comma sesto lett. a), della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (che prevedono la semplice denuncia di inizio attività in alternativa al permesso di costruire), atteso che tali disposizioni si riferiscono a interventi autonomi e non alle difformità, in relazione alle quali viene integrato il reato di cui all'art. 44, comma primo lett. a), inosservanza delle modalità esecutive previste dal permesso di costruire.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 09/12/2004
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - N. 2252
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 4217/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IACOPONELLI Giuseppa, nata ad Agrigento il 19.3.1950;
avverso la sentenza resa il 18.11.2002 dalla corte d'appello di Palermo.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza del 18.11.2002 la corte d'appello di Palermo ha confermato quella resa il 6.11.2001 dal tribunale di Agrigento, che aveva dichiarato Giuseppa Iacoponelli colpevole del reato di cui all'art. 20 lett. c) legge 47/1985, per aver costruito in zona soggetta a vincolo archeologico un fabbricalo, composto di piano interrato e primo piano, in difformità dalla concessione edilizia e dall'autorizzazione della competente Soprintendenza (accertato in Agrigento il 21.7.2000), e per l'effetto, concesse le attenuanti generiche, l'aveva condannata alla pena di dieci giorni di arresto e lire 20.000.000 di ammenda, con i doppi benefici di legge. 2 - L'imputata ha proposto ricorso per Cassazione, col ministero del difensore, deducendo erronea interpretazione degli artt. 13, 15 e 22 legge 47/1985 e per conseguenza esercizio di un potere riservato all'autorità amministrativa (ari. 606 lett. a) c.p.p.). In sostanze sostiene che, a fronte di una postuma concessione edilizia con autorizzazione della Soprintendenza (esattamente "concessione edilizia n. 29 bis del 27.3.2001, variante e sanatoria in corso d'opera della originaria concessione edilizia n. 48 del 28.5.1999") i giudici di merito hanno errato nell'escludere che fosse intervenuta una approvazione di variante in corso d'opera o una sanatoria con effetti estintivi del reato. Inoltre sono incorsi in palese contraddizione laddove da una parte non hanno ordinato la demolizione delle opere abusive in considerazione della concessione postuma in sanatoria e dall'altra hanno escluso che questa potesse estinguere il reato.
Aggiunge il ricorso che tutte le difformità contestate nel capo di imputazione non avevano rilievo penale o comunque sono state depenalizzate per effetto dell'art. 1, comma 6, legge 21.12.2001 n. 443 in quanto interventi edilizi minori.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3 - Va anzitutto precisato che le difformità contestate alla Iacoponelli erano le seguenti:
- maggior altezza del piano terra (m. 5,05 anziché m. 4,50);
- scala d'accesso esterna per l'accesso al piano interrato, al posto della prevista rampa carrabile;
- mutamento di destinazione d'uso del piano interrato da garage a uso abitativo, con costruzione di un vano-bagno e abolizione di tramezzature;
- solaio di copertura a falde spioventi invece che a terrazzo;
- muri di recinzione più lunghi di quelli previsti, con conseguente invasione della sede stradale (a quanto sembra di capire). Al riguardo, le confutazioni articolate nel ricorso sono giuridicamente infondate, giacché l'altezza dal piano terra riguarda anche i c.d. volumi tecnici, il mutamento di destinazione d'uso è stato realizzato non tanto dall'abolizione delle tramezzature quanto dalla costruzione del vano-bagno, e infine i muri di recinzione, pur non essendo più soggetti a regime concessorio, possono ugualmente configurare una difformità dal progetto assentito con concessione (tanto più quando, come nel caso, comportano l'invasione di suolo pubblico).
Tanto premesso, si deve escludere che siffatti interventi siano assentigli con semplice denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 4, comma 7, legge 4.12.1993 n. 493 e dell'art. 1, comma 6 lett. a) legge 21.12.2001 n. 443, atteso che tali norme si riferiscono a interventi autonomi e non alle semplici difformità da progetti assentiti con concessione. Opinando diversamente si arriverebbe alla inaccettabile conclusione di abolire il reato di costruzione abusiva in difformità dal titolo, previsto dall'art. 20 lett. a) legge 47/1985 (ora art. 44 comma 1 lett. a) D.P.R. 380/2001).
4 - La sentenza impugnata ammette in ipotesi che la concessione postuma rilasciata in data /J 22.3.2001 riguardasse tutte le predette difformità (eccetto il mutamento di destinazione d'uso), ma esclude in sostanza che potesse configurarsi come una legittima approvazione in variante o come una sanatoria adatta a estinguere il reato (v. pag. 5 e 6). La conclusione è corretta, considerato che le suddette difformità sono tali da alterare la sagoma o da modificare la destinazione d'uso dell'immobile. Questo dato fattuale comporta una duplice conseguenza: a) che ai sensi dell'art. 15 legge 47/1985 non era possibile l'approvazione delle varianti richieste prima della ultimazione dei lavori; b) che ai sensi dell'art. 22 del nuovo t.u. in materia urbanistica, approvato con D.P.R. 380/2001 (che ha sostituito la disciplina precedente) gli interventi difformi non erano neppure legittimabili con eventuale denunzia di inizio attività presentata prima dell'inizio dei lavori stessi. Peraltro, l'autorità amministrativa ha indubbiamente configurato il succitato provvedimento del 22.3.2001 non solo come variante ma anche come concessione in sanatoria, la quale avrebbe effetto estintivo del reato ove sussistesse la c.d. doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della costruzione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (artt. 13 e 22 legge 47/1985, ora sostituiti dagli artt. 36 e 45 D.P.R. 380/2001). Tale conformità però è stata esclusa dalla sentenza impugnata, laddove, con valutazione incensurabile in questa sede, ha stabilito che il piano particolareggiato di zona non consentiva fabbricati con altezza superiore a m. 4,50 (pag. 6).
Correttamente, quindi, anche se con motivazione non sempre perspicua, i giudici di merito hanno ritenuto che la sanatoria non potesse avere effetto estintivo del reato. E non è affatto illogico che abbiano omesso di disporre la demolizione delle opere abusive, giacché - come insegna la giurisprudenza costante di questa corte - la sanzione amministrativa che è obbligatoria per i reati urbanistici non deve essere più disposta dal giudice penale quando contrasta con una autonoma deliberazione intervenuta nel frattempo da parte dell'autorità amministrativa competente, che regolarizzi l'abuso sul piano urbanistico anche senza estinguere la fattispecie penale (quale appunto la sanatoria postuma priva della c.d. doppia conformità agli strumenti urbanistici, o la delibera del consiglio comunale che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici). 5 - Il ricorso va quindi respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di comminare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2005