Consiglio di Stato Sez. VII n. 10139 del 17 dicembre 2024 
Urbanistica.Non è ammissibile la prosecuzione dei lavori abusivi ai fini del completamento delle opere

In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento alla medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35 l. n. 47 del 1985 , ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica

Pubblicato il 17/12/2024

N. 10139/2024REG.PROV.COLL.

N. 04562/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4562 del 2021, proposto da
Anna Esposito, rappresentata e difesa dall'avvocato Innocenzo Calabrese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Acerra, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Flora Pirozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 6462/2020


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Acerra;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 dicembre 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame l’odierna appellante impugnava la sentenza n. 6462 del 2020 del Tar Campania, recante di rigetto del suo ricorso per l’annullamento del provvedimento del Comune di Acerra n. 10, prot. n. 15669, del 3 aprile 2013, reso a definizione della sua istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 L. n. 724/1994, prot. 4712, pratica 849, con determinazione di rigetto. Il provvedimento era impugnato unitamente alla relazione tecnica allegata alla comunicazione di reato prot. II/4/90 del 17 giugno 2009, da esso richiamata.

2. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda si rileva che l’istanza di condono, presentata in data 31 marzo 1995, concerne un immobile composto da piano interrato, piano terra, primo e secondo rispettivamente adibiti a cantinola, garage, abitazione e tetto di copertura.

3. A sostegno del provvedimento di diniego l’amministrazione richiamava: i) il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento del 29 giugno 2009 con cui si rappresentava che l’area di sedime era classificata secondo il vigente P.R.G. come zona di rispetto “R” e, quindi, soggetta al vincolo di inedificabilità di cui agli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985; ii) la circostanza per la quale, in data 10 giugno 2009, nella relazione tecnica allegata alla comunicazione di reato n. 1318/4/90 del 17 giugno 2009, veniva accertata la realizzazione di ulteriori opere edilizie in epoca successiva alla presentazione della domanda di condono.

4. Nel giudizio di primo grado, la ricorrente contestava la legittimità del provvedimento, articolando la doglianza nei profili di illegittimità di seguito elencati.

In primo luogo, eccepiva la violazione e la falsa applicazione della L. n. 724/1994, l’eccesso di potere per presupposti erronei, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, dal momento che sussisterebbero i presupposti di legge per il condono (art. 39 L. n. 724/1994), trattandosi di opera realizzata prima del 1993, rientrante nella volumetria assentibile (750 mc), risultando completa la relativa documentazione e versata l’oblazione dovuta.

5. In secondo luogo, affermava che il provvedimento fosse viziato da eccesso di potere, da erroneità dei presupposti, da difetto di istruttoria e di motivazione, dal momento che le ragioni reiettive dell’istanza sarebbero prive di fondamento: le ulteriori opere realizzate risulterebbero in realtà già sussistenti al tempo della domanda di sanatoria, il vincolo ostativo riferito alla insistenza del manufatto in zona di rispetto “R” sarebbe venuto meno per effetto della delibera del Consiglio Comunale n. 19/2011 e di Giunta Comunale n. 38/2010, con cui è stata disposta la rimozione del vincolo limitatamente all’aspetto urbanistico - programmatorio e, ancora, nel 1999 sarebbe stata avanzata istanza di autorizzazione in deroga ex art. 49 del D.P.R. n. 753/1980 (secondo cui “Lungo i tracciati delle linee ferroviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia”) per mantenere l’immobile per civile abitazione ad una distanza minima di 7,50 metri dalle rotaie;

6. In terzo luogo, la ricorrente censurava il provvedimento per eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, lì dove l’amministrazione non avrebbe indicato l’iter logico - giuridico seguito per l’adozione dell’impugnato provvedimento.

7. Con sentenza n. 6462 del 29 dicembre 2020, il Tar Toscana ha rigettato il ricorso, osservando che, da un lato, l’esistenza del vincolo ed il conseguente obbligo di acquisire il parere dell’autorità preposta in sede di rilascio dell’autorizzazione in sanatoria vanno valutati al momento in cui deve essere valutata l’istanza del privato (e che, pertanto, la mera presentazione dell’istanza di condono non autorizza il completamento delle opere che, fino al momento dell’eventuale accoglimento della domanda, restano abusive); dall’altro lato, che in presenza di manufatti non ancora sanati, gli interventi ulteriori sono affetti dal medesimo carattere abusivo e rendono non più identificabile la consistenza dell’opera in essere al momento della presentazione dell’istanza medesima.

8. Il Collegio ha evidenziato, poi, che la mancata notifica diretta del verbale di sopralluogo del 10 giugno 2009 alla ricorrente non aveva in alcun modo inficiato la legittimità dell’azione amministrativa e, in particolare, non pregiudica il diritto di difesa, in ragione del fatto che si trattava di atto istruttorio espressamente richiamato per relationem nel provvedimento di diniego ed in relazione al quale l’istante avrebbe potuto attivare il rimedio di cui all’art. 116 c.p.a.

9. Infine, il giudice di prime cure ha rilevato che l’accertamento di ulteriori opere abusive lascia impregiudicato il potere-dovere dell’amministrazione comunale di adottare l’ordinanza di demolizione ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, specificando come il presente giudizio vertesse su un profilo distinto, costituito dal diniego di condono in ragione di manufatto realizzato su una zona sottoposta a vincolo ferroviario e autostradale.

10. Parte appellante, contestando le argomentazioni della sentenza di prime cure, ha formulato i motivi di appello come di seguito.

10. Innanzitutto censura la sentenza del Tar nella parte in cui si respingono le doglianze articolate con il motivo sub I del ricorso e, pertanto, risultando viziata da errores in iudicando in relazione alla violazione e falsa applicazione della l. n. 724/1994, per carenza di motivazione, per eccesso di potere, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e illogicità: il collegio, difatti, avrebbe erroneamente statuito che all’accoglimento della domanda di condono osterebbe la realizzazione di ulteriori lavori di completamento del manufatto, comprovata da idonea documentazione depositata in esecuzione dell’ordinanza collegiale. Diversamente, rileva parte appellante, dalla documentazione depositata in atti si desumerebbe che le opere in oggetto risultano esser di molto inferiori rispetto alla volumetria massima consentita per il condono di cui alla l. 724/1994; di talché, l’intervento previsto sarebbe tale da non incidere sul preesistente tessuto urbanistico.

11. Quanto al vincolo di inedificabilità, nel ricorso si afferma che la sentenza sarebbe erronea perché viziata da errores in iudicando in relazione alla violazione e falsa applicazione della l. 47/1985, da motivazione carente ed erronea, da eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed illogicità, in ragione del fatto che con delibera del consiglio comunale del Comune di Acerra dell’11 marzo 2010, si era preso atto della delibera della giunta comunale n. 38 del 25 marzo 2010, così disponendo la rimozione del vincolo, per quanto concerne l’aspetto urbanistico-programmatico per i manufatti ricadenti in zona R (qual è quello in esame). Secondo parte appellante non vi sarebbero ulteriori vincoli apposti sull’area e il riferimento al vincolo ferroviario sarebbe connotato da genericità, in quanto tutt’al più potrebbe venire in rilievo un vincolo di inedificabilità relativa, superabile con giudizio a posteriori di compatibilità.

12. In relazione alla mancata notifica diretta del verbale di sopralluogo, parte appellante censura la sentenza in quanto viziata da travisamento ed erronea valutazione dei fatti, dal momento che l’omessa comunicazione dello stesso avrebbe inficiato il diritto di difesa della ricorrente.

13. Infine, vengono riproposte tutte le doglianze già proposte nel corso del primo grado di giudizio, in precedenza non esaminate dalla sentenza.

14. L’amministrazione comunale appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 4 dicembre 2024 la causa passava in decisione.

15. L’appello è infondato.

16. In relazione al primo motivo di appello, secondo cui gli ulteriori eventuali interventi, richiamati dall’amministrazione e dalla sentenza di prime cure, possono qualificarsi solo ed esclusivamente come mere opere di completamento funzionale del fabbricato, assume rilievo preminente il principio per cui, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento alla medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35 l. n. 47 del 1985 , ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 6/2/2024 , n. 1201). Nel caso di specie nessuna procedura risulta avviata nei termini indicati come necessari, pertanto le opere ulteriori ripetono l’abusività e la conseguente sanzione.

17. In relazione al secondo motivo di appello, concernente la presunta assenza di vincoli, in generale è emersa la sussistenza dei vincoli ferroviario ed autostradale, rilevanti – per principio consolidato – nel senso che la compatibilità dell'opera da condonare, rispetto al regime di salvaguardia garantito da un vincolo paesaggistico al fine di verificare l’effettiva tutela del bene protetto, deve essere valutata alla data dell'esame della domanda di sanatoria. Pertanto, l’esistenza del vincolo va valutata al momento dell'esame della domanda di condono, con il risultato che, se non sussistono le condizioni di rispetto della normativa vincolistica in quel momento, il titolo in sanatoria non può essere assentito, anche se in ipotesi l'edificazione rispettava tale normativa al momento della sua realizzazione senza autorizzazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 2/12/2019, n. 8246).

In particolare, in relazione al vincolo ferroviario, se è pur vero che nel 1999 è stata inoltrata richiesta di autorizzazione in deroga all’art. 49 del D.P.R. n. 753/1980, trattasi di procedimento autonomo e indipendente da quello eccezionale di condono; ebbene, nelle more resta fermo che nella zona di rispetto di cui all’art. 39 del D.P.R. 753/1980 vige un vincolo di inedificabilità relativa, come tale, quindi, rientrante nella previsione dell’art. 32 della L. n. 47/1985 e, per l’effetto, l’assentibilità dell’opera è subordinata al parere favorevole dell’amministrazione preposta al vincolo che, nella fattispecie, non è stato rilasciato e senza che la pendenza del predetto iter (per il cui esito neppure risulta provata adeguata sollecitazione da parte del privato) assuma alcun rilievo sanante.

18. In relazione al terzo ordine di motivi, se per un verso il diniego appare adeguatamente motivato, nei termini correttamente valutati dal Tar, per un altro verso il mero decorso del tempo non implica un affidamento legittimo da parte dei proprietari dell'abuso, poiché la tutela del legittimo affidamento si riferisce a provvedimenti amministrativi che generano aspettative stabilite e rapporti giuridici certi, cosa che non si verifica nel caso in cui le opere abusive non abbiano i titoli prescritti.

19. In relazione al quarto motivo, la natura di procedimento ad istanza di parte esclude la necessità di specifiche comunicazioni di avvio per ogni attività istruttoria, pienamente conoscibili dal privato istante che, nell’esercizio della propria doverosa attiva partecipazione, ben può accedere in ogni momento all’iter da lui stesso avviato. Peraltro nel caso di specie nessun elemento sostanziale risulta indicato, in merito agli elementi ulteriori che si sarebbero fatti valere in sede procedimentale, risultando piuttosto confermati l’ostatività dei vincoli predetti.

20. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.

Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2024, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Raffaello Sestini, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Sergio Zeuli, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere