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Sez. 3, Sentenzan. 28397 del 24/06/2004 (Ud. 16/04/2004 n.00697 ) Rv. 229060
Presidente: Zumbo A. Estensore: Squassoni C. Imputato: P.G. in proc. Giordano. P.M. Albano A. (Parz. Diff.)
(Annulla in parte senza rinvio, App.Bari, 10 ottobre 2002).
FONTI DEL DIRITTO - LEGGI - LEGGE PENALE - IGNORANZA - Errore di interpretazione - Oscillazioni giurisprudenziali interpretative - Sufficienza per la scusabilità - Esclusione - Fondamento.
CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)
La esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell'agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione normativa; ma in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che in caso di dubbio si determina l'obbligo di astensione dall'intervento e dell'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia. (Fattispecie relativa al regime vincolistico successivo alla scadenza temporale di validità dei programmi pluriennali di attuazione per le edificazioni in zone oggetto di pianificazione al momento di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985 n. 431)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 16/04/2004
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 697
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere - N. 7709/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ministero dell'Ambiente e dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari (imp. Giordano Giuseppe, Saffiotti Michele, Baiardi Cesare, Sylos Labili Domingo);
avverso la sentenza 10.10.2002 della Corte di Appello di Bari;
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Squassoni.
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. ALBANO Antonio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori Avv. Vellani Massimo e prof. Coppi Franco Carlo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il processo riguarda la costruzione di un ipermercato a Bari nell'ambito di una zona quasi tutta ricompresa nel piano per gli insediamenti produttivi ed inclusa in piani pluriennali di attuazione scaduti nel dicembre 1990; i fatti posti alla base del processo sono analiticamente descritti nelle sentenze dei Giudici di merito, alle quali il Collegio rimanda, puntualizzando solo alcune circostanze necessarie per la comprensione dei ricorsi all'esame. Il Pubblico Ministero ha contestato a carico degli imputati la violazione dello art. 1 sexies L. 431/1985 in quanto l'aera era interessata dal vincolo di inedificabilità assoluta previsto dall'art. 1 ter L. 431/1985 e dall'art. 1 c. 1 LG Puglia 30/1990 e, comunque, perché l'intervento non era preceduto dall'autorizzazione ambientale necessaria in relazione al vincolo di inedificabilità relativo di cui all'art. 1 c. 1 lett. c L. 431/1985; ciò in quanto i lavori erano stati realizzati nei pressi di un corso d'acqua (Lama Lamasinata) sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi della L. 1497/1939 con DM 1.8.1985. Il Pubblico Ministero ha, pure, contestato la violazione dell'art. 734 c.p. e dell'art. 20 c. 1 lett. c L. 47/1985 dal momento che gli imputati edificavano con concessione edilizia illegittima ed inefficace ed in difformità dalla stessa. In esito al dibattimento di primo grado, il Tribunale ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di cui all'art. 1 sexies L. 431/1985 e li ha condannati alla pena di giustizia ed alla rifusione di danni nei confronti della parte civile; relativamente alla violazione edilizia, il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Giordano, Baiardi e Sylos Labili perché il reato era estinto per concessione edilizia in sanatoria mentre ha dichiarato lo stesso illecito estinto per prescrizione con confronti del Saffiotti;
la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. è stato dichiarata estinta per prescrizione.
La sentenza del primo Giudice è stata impugnata dal Pubblico Ministero, dalla parte civile e dagli imputati.
In parziale riforma della decisione del Tribunale, la Corte di Appello di Bari ha assolto gli imputati dalle contravvenzioni di cui all'art. 734 c.p. e all'art. 1 sexies L. 431/1985 con la formula perché il fatto non costituisce reato (questa ultima declatatoria è stata giustificata per la non chiarezza della normativa ed per il comportamento della Pubblica Amministrazione); la Corte ha dichiarato estinto per concessione edilizia in sanatoria il reato di cui alla L. 47/1985 nei confronti di tutti gli appellanti.
Per l'annullamento della sentenza, ricorrono in Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica e la costituita parte civile (Ministero dell'ambiente).
Il primo sostiene la illegittimità delle statuizioni adottate dalla Conferenza dei servizi con conseguente illegittimità del provvedimento conclusivo della stessa, concessione edilizia in sanatoria, perché emanata per opere in fieri e per eccesso di volumetria.
Entrambi i ricorrenti sostengono la esistenza di tutti i vincoli originariamente contestati nel capo di imputazione e la loro facile riconoscibilità per tutti gli imputati persone qualificate e addette al settore; la parte civile deduce la sussistenza del reato di cui all'art. 734 c.p..
Tanto premesso, il Collegio rileva come le censure del Procuratore Generale inerenti alla illegittimità delle statuizioni della Conferenza dei servizi non sono state sottoposte all'esame ad al vaglio della Corte di appello ed, incorrendo nel divieto di nuove deduzioni in Cassazione, esulano dai limiti cognitivi del presente processo; analoga conclusione deve prendersi per le censure sulla illegittimità della concessione edilizia in sanatoria che sono formulate per motivi diversi da quelli contenuti nell'atto di appello.
Relativamente al reato previsto dall'art. 734 c.p., la Corte territoriale ha avuto come referente la conclusione della Conferenza dei servizi circa il mancato pregiudizio alla conservazione dei residui valori paesistici delle aree di riferimento. Da tale accertamento fattuale, i Giudici hanno correttamente evidenziato la esistenza di una prova favorevole agli imputati che permetteva la priorità del proscioglimento nel merito.
Per quanto concerne il reato ambientale, deve rilevarsi che sulla zona gravava il vincolo paesaggistico di carattere generale previsto dall'art. 1 c. 1 lett. c L. 431/1985; il vincolo, a sensi del successivo c. 2, non si applica alle zone urbanizzate, quindi già compromesse, ed a quelle oggetto di una pianificazione (piano regolatore generale e programma pluriennale di attuazione) vigente all'epoca dell'entrata in vigore della legge.
Una volta scaduto il limite temporale di validità del programma pluriennale (completati, o meno, che siano i processi di urbanizzazione ivi previsti), il vincolo si riespande in quando l'operatività della deroga presuppone l'attualità dei piani. La funzione specifica dei piani pluriennali di attuazione si identifica nella programmazione temporale dello sviluppo edilizio con obbligo di realizzare, entro il termine di efficacia dello stesso, la destinazione edificatoria stabilita nello strumento urbanistico generale. Scaduto il programma pluriennale vigente alla entrata in vigore della L. 431/1985, non si configura più una edificazione "doverosa" e ciò comporta il venire meno del titolo di esenzione del vincolo (conf. Cass. Sez. 3 21.1.1997, Volpe; 9.3.1997, Vavara;
24.3.1998, Lucifero; 21.1.2001 Matarrese).
Relativamente alla efficacia del DM 1.8.1985, si deve precisare come, dopo l'entrata in vigore della L. 431/1985, non possono essere individuati dallo Stato altri beni o aree a sensi del DM 21.9.1984 per le quali è vietata ogni modificazione, ex art. 1 quinques stessa legge, fino all'adozione dei piani paesaggistici e urbanistici territoriali. Il recupero dei vincoli di immodificabilità imposti con i decreti ministeriali (ed Galassini) emanati in attuazione del DM 21.9.1984, operato dall'art. 1 quinques L. 431/1985, riguarda esclusivamente gli effetti prodottisi mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima; dopo tale epoca, il Ministro competente conserva la facoltà di integrare gli elenchi delle bellezze naturali, a sensi dell'art. 82 c. 2 lett. a D.P.R. 616/1977.
In base a tale normativa, deve concludersi che il vincolo imposto con il DM 1.8.1985, pubblicato dopo l'entrata in vigore della L. 431/1985, è di inedificabilità relativo con conseguente possibilità di eseguire interventi edilizi previo rilascio della necessaria autorizzazione; in tale senso si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n. 153/1986.
Per concludere, si rileva che nella zona non sussisteva il vincolo di inedificabilità assoluto di cui all'art. 1 LR 30/1991 stabilito, tra l'altro, per i tenitori compresi nella fascia di metri duecento dai corsi d'acqua (perché il decreto del Presidente della Regione, che doveva individuarli, non era emanato all'epoca dell'intervento);
l'edificazione era possibile, a sensi dell'art. 2 c. 1 LR 30/1991, che esclude il vincolo di inedificabilità assoluta e non l'obbligo nel preventivo rilascio del nulla osta paesaggistico come espressamente imposto dallo ultimo comma del citato articolo. In tale conteso normativo, i Giudici hanno ritenuto scusabile la ignoranza degli imputati sulla esistenza e sulla esegesi della disciplina per oscurità della stessa, per la non omogenea interpretazione giurisprudenziale e per l'atteggiamento della Pubblica Amministrazione conclusosi con il rilascio della concessione edilizia e conseguente affidamento degli interessati sulla legittimità del provvedimento concessorio.
Tale conclusione non pare al Collegio condivisibile in quanto non sono riscontrabili i presupposti che giustificano l'ignoranza inevitabile del precetto penale così come individuati dalla sentenza della Corte Costituzionale 364/1988.
La deduzione dei ricorrenti inerente alla difficoltà di esegesi del testo normativo ed alla non conformità della giurisprudenza, che avrebbe precluso la comprensione della disciplina, potrebbe essere sostenibile solo relativamente alla interpretazione dell'art. 1 c. 2 L. 431/1985 relativa alla riespansione del vincolo una volta decaduto il piano pluriennale ai attuazione. Tuttavia, mentre un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale può indurre nello agente la ragionevole conclusione della correttezza della sua interpretazione normativa, la giurisprudenza non conforme o l'oscurità della legge può avere suscitato negli imputati soltanto un dubbio sulla sussistenza del vincolo e, quindi, sulla regola di condotta da seguire. L'incertezza non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale in quanto al dubbio avrebbe dovuto conseguire l'astensione dall'intervento e l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia. Questa indagine non è stata fatta e, pertanto, gli imputati con il loro comportamento passivo sono venuti meno al dovere di informazione e di conoscenza che grava, quale esplicazione dell'ampio dovere di solidarietà sociale, sui privati in vista dell'osservanza dei precetti penali.
L'oscillazione giurisprudenziale non è invocabile per il vincolo imposto con il DM 1.8.1985 in quanto la Corte Costituzionale con sentenza n. 153/1986 ed il Consiglio di Stato con sentenza 1220/1993 hanno chiarito la portata di tale vincolo. Sul punto, comunque, la difficoltà interpretativa - superata in epoca ampiamente antecedente ai fatti in esame - concerneva sola la natura del vincolo e non la sua esistenza.
Pertanto, per gli imputati era conoscibile la situazione di inedificabilità relativa della zona con conseguente necessità di autorizzazione paesaggistica.
Comunque, anche in questo caso, i ricorrenti non hanno usato la diligenza, esigibile per il loro grado di socializzazione e per la loro qualifica professionale, che imponeva di assumere le necessarie informazioni presso le competenti autorità sulla legge disciplinante il settore, prima di intraprendere una trasformazione del territorio di notevoli proporzioni.
Nessun connotato di equivocità della normativa e nessuna oscillazione della giurisprudenza è sostenibile, poi, per la ignoranza del precetto dell'art. 2 uc LR 30/1990 che imponeva il nulla osta paesaggistico per la realizzazione delle opere per cui è processo. Il mero atteggiamento silente degli organi preposti alla tutela del vincolo non è significativo per avvallare la ignoranza scusabile della legge perché, a tale fine, rilevano solo positivi ed espliciti comportamenti della Pubblica Amministrazione dai quali l'agente abbia tratto la convinzione della liceità del proprio operato. Ciò posto, il Collegio rileva che per i reati in esame si è maturato il periodo prescrizionale che si estende, tenuto conto dell'interruzione, a quattro anni e mezzo cui devono aggiungersi giorni ventuno per rinvio del processo (dal 18.9.2002 al 10.10 2002) per adesione dei difensori alla astensione dalle udienze. Di conseguenza, il Collegio annulla senza rinvio la impugnata sentenza per essere i reati di cui all'art. 1 sexies L. 431/1985 estinti per prescrizione; a sensi dell'art. 578 c.p.p. conferma le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente ai reati di cui all'art. 1 sexies L. 431/1985 perché estinti per prescrizione; rigetta, nel resto, i ricorsi; conferma le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2002.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2004