Sez. 3, Sentenzan. 19566 del 28/04/2004 (Ud. 25/03/2004 n.00566 ) Rv. 228888
Presidente: Vitalone C. Estensore: De Maio G. Imputato: D'Ascanio ed altri. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Avezzano, 12 giugno 2003).
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Eseguita in base a permesso di costruire illegittimo - Dirigente responsabile comunale titolare del diritto al rilascio - Reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 - Concorso - Fondamento.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
In materia edilizia, risponde del reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora sostituito dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il dirigente dell'area tecnica comunale che abbia rilasciato una concessione edilizia (ora permesso di costruire) illegittima, atteso che questi, in quanto incaricato in ragione del proprio ufficio del rilascio di quello specifico atto, è titolare in via diretta ed immediata della relativa posizione di garanzia che trova il proprio fondamento normativo nell'art. 40 cod. pen.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 25/03/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 00566
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 006004/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) D'ASCANIO ANTONIO N. IL 02/02/1948;
2) CASAVECCHIA MAURIZIO N. IL 09/07/1946;
3) RODORIGO LORENZO N. IL 19/07/1954;
avverso SENTENZA del 12/06/2003 TRIBUNALE di AVEZZANO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il P.M. nella persona del Dott. Passacantando G. che ha concluso: rigetto dei ricorsi.
Udito il difensore avv. DI CINTO MORENO (Avezzano).
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 12.6.2003 del Tribunale di Avezzano, Antonio D'Ascanio, Maurizio Casavecchia e Lorenzo Rodorigo furono assolti perché il fatto non costituisce reato da imputazione ex artt. 110- 323 c.p., relativa al rilascio al Casavecchia della concessione edilizia asseritamente illegittima 1487/97; furono invece condannati, con le attenuanti generiche, alla pena di euro cinquemila di ammenda ciascuno, oltre demolizione, perché riconosciuti colpevoli del reato di cui all'art. 20 lett. a) 147/85, così riqualificata l'originaria imputazione ex art. 20 lett. b) (perché, nelle rispettive qualità, il D'Ascanio di dirigente Area Tecnica del Comune e il Rodorigo di progettista-direttore dei lavori, avendo fatto in modo che il Casavecchia, committente, conseguisse illecitamente la concessione edilizia n. 1487/97..., realizzavano l'edificio di via S.Pietro sul lotto catastale F. 49, l'art. 44/B, senza concessione edilizia, in Capistrello, fino al marzo 2001).
Avverso tale sentenza i difensori di tutti gli imputati hanno proposto appello (poi convertito in ricorso ex art. 593 co. 3 e 568 co. 5 c.p.p.). Il Rodorigo denuncia, con unico motivo, il difetto dell'elemento psicologico del reato, in quanto l'imputato aveva richiesto al Comune il "certificato di destinazione urbanistica", dal quale risultava l'edificabilità dell'area e dal cui contenuto, quindi, non può prescindere la vantazione del comportamento professionale del tecnico.
Il D'Ascanio e il Casavecchia deducono, in sostanza, che nessun addebito di colpa può essere loro mosso in relazione, rispettivamente, al rilascio e al conseguimento della concessione edilizia, perché entrambi non avevano alcun elemento per rendersi conto che la nuova part. 44 era priva di capacità edificatoria, dal momento che: 1) il certificato di destinazione prodotto, rilasciato dal Sindaco e predisposto dall'istruttore di urbanistica, portava una capacità edificatoria; 2) l'istruttore della domanda di concessione non aveva fatto alcun rilievo in merito; 3)nessun provvedimento risultava adottato relativamente al frazionamento ex art. 18 l. 47/85.
Il ricorso -basato per tutti gli imputati sulla impossibilità di rendersi conto della sopravvenuta incapacità edificatoria del terreno e, quindi sulla insussistenza dello elemento psicologico del reato- va rigettato essendo ineccepibili le argomentazioni svolte al riguardo dai primi Giudici. Infatti, in riferimento alle posizioni del Casavecchia, titolare della concessione, e del Rodorigo, progettista e direttore dei lavori, è insuperabile l'argomento, posto a base dell'affermazione di responsabilità, che "ambedue gli imputati erano in grado di avvedersi o di accertare preventivamente che la realizzazione del manufatto si poneva in contrasto con l'art. 4 delle NTA del comune di Capistrello"; inoltre, gli imputati stessi -e, come si vedrà a maggior ragione anche il D'Ascanio- nelle rispettive qualità, non potevano (e non dovevano), come giustamente osservato in linea di fatto dalla sentenza impugnata, ignorare i precedenti che avevano condotto all'esaurimento della capacità edificatoria del terreno (sui quali tir. la sent alle pag. 1-3). Il rilievo di fatto (come tale insindacabile in sede di legittimità), del resto ha una sua intrinseca valenza radicata nelle ridotte dimensioni del comune in cui riferisce la vicenda in esame e trova, inoltre, decisiva corrispondenza nella considerazione di ordine giuridico (anch'essa già evidenziata nella sentenza impugnata) che su entrambi gli imputati "gravava l'onere di accertare l'esistenza di condizioni ostative alla realizzazione di nuovi volumi (tanto più che il Casavecchia, di professione vigile urbano del comune di Roma è soggetto che ha certamente dimestichezza con gli strumenti urbanistici locali)". Tutti i rilievi che precedono hanno a fortiori valore decisivo per il D'Ascanio, il funzionario del Comune che ha rilasciato la concessione illegittima ed ha consentito che sulla base di essa venisse intrapresa l'illecita attività edificatoria: Anche in relazione alla posizione del D'Ascanio è, in particolare, ineccepibile il rilievo del Tribunale secondo cui "la condotta concorsuale del pubblico amministratore deve individuarsi nell'avere consentito ed agevolato, mediante l'adozione dell'atto in violazione dello strumento urbanistico locale, la realizzazione della condotta illecita". È, invero, di tutta evidenza che il pubblico amministratore, più di ogni altro, non può addurre a propria discolpa le inadempienze o le insufficienze di altri funzionari la cui attività confluisca nell'adozione di un determinato atto, dal momento che egli, in quanto specificatamente incaricato in ragione del proprio Ufficio del rilascio di quello stesso atto, è in via diretta ed immediata titolare della relativa posizione di garanzia e, come tale, risponde dell'illecita attività posta in essere anche in base al fondamentale principio fissato nell'art. 40 c.p. ("non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo").
Infine, va rilevato: 1) che le argomentazioni dei giudici di merito sono allineate con il principio, pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui la mancata o erronea conoscenza della disciplina che regola la materia non può essere addotta da chi svolga professionalmente una determinata attività; 2) che la buona fede nelle contravvenzioni esclude la responsabilità solo quando l'agente provi di avere adempiuto a tutto quanto necessario per adeguarsi al precetto di legge (prova che nella specie i ricorrenti non hanno dato).
I ricorsi vanno pertanto rigettati con conseguente condanna in solido al pagamento delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2004