Pres. Lupo Est. Marini Ric. Licciardello
EDILIZIA - LOTTIZZAZIONE ABUSIVA - CONFISCA - GIUDICATO - SOPRAVVENUTO PIANO DI RECUPERO DELL'AREA - REVOCABILITA' - ESCLUSIONE
Con la decisione in questione la Corte ha affermato la impossibilità di revocare il provvedimento di confisca disposto dal giudice con la sentenza che accerta una lottizzazione abusiva, una volta avvenuto il passaggio in giudicato dalla pronuncia, anche in presenza di un piano di recupero dell’area interessata.
A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che, accertando una lottizzazione abusiva, abbia disposto la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite (ex art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), si realizza, infatti, l’immediata acquisizione delle aree e degli immobili al patrimonio disponibile comunale, con titolo per la trascrizione nei registri immobiliari. Conseguentemente, il trasferimento della proprietà dei beni al Comune mette quest’ultimo in condizione di dare ad essi la destinazione che riterrà opportuna, in quanto con il provvedimento di confisca l’intervento del giudice si esaurisce e il diritto dell’ente locale sul bene diviene pieno e incondizionato. Ove successivamente il Comune decida di rendere edificabili quelle aree, ciò non determina il ritrasferimento della proprietà in capo agli originari proprietari, ma soltanto la possibilità che l’ente locale decida di dare corso, in proprio, alle opere di lottizzazione, di cedere i terreni a terzi, di locare i terreni o gli immobili, così esercitando in pieno il proprio diritto di proprietà. P.U. del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE
composta dagli Signori:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
RILEVA
Con sentenza in data del 21 marzo 1994 la Corte di Appello di Catania,
in riforma di quella del Pretore di Mascalucia in data del 9 marzo
1993, ha condannato il Sig.Licciardello e altri per il reato di
lottizzazione abusiva, ed ha quindi disposto, ai sensi dell'art.19
della legge 28 febbraio 1985, n.47, la confisca dei terreni situati in
Via delle Sciare n.190/A del Comune di San Giovanni La Punta. A seguito
della decisione della Corte di Cassazione, che in data dell'8 novembre
1995 ha respinto l'impugnazione avverso la sentenza della Corte
territoriale, al provvedimento di confisca ha fatto seguito in data 18
settembre 1997 la trascrizione presso la competente Conservatoria.
Con ricorso per incidente di esecuzione presentato il 12 luglio 2005,
è stata richiesta alla Corte di Appello la revoca della
confisca per essere sopravvenuto un piano di recupero delle aree
interessate approvato dal Comune con delibera del 19 aprile 2005.
Nel ricorso si sostiene che la natura "sostanzialmente amministrativa"
della confisca disposta dall'autorità giudiziaria imporrebbe
di tenere conto delle "sopravvenienze amministrative successive alla
applicazione della sanzione", con la conseguenza che la
volontà espressa dal Comune di consentire
l'edificabilità dell'area attraverso lo strumento del piano
di recupero modificherebbe in radice la situazione giuridica e
imporrebbe la revoca della confisca, revoca alla quale il Comune stessa
avrebbe "subordinato" l'attuazione del piano ad opera dei ricorrenti.
Con l'ordinanza impugnata la Corte di Appello di Catania in data del 24
ottobre 2005 ha respinto il ricorso, osservando che già in
occasione di precedente ordinanza reiettiva di analoga istanza, in
allora motivata con le modifiche apportate dal nuovo piano regolatore
alla destinazione dell'area, la Corte aveva affermato il principio che
l'autorità giudiziaria non può, dopo che si
è formato il giudicato, intervenire sul provvedimento di
confisca: in tal modo, infatti, finirebbe per cancellare il contenuto
di parte della decisione, cosa che può fare solo in presenza
di espressa disposizione di legge (si vedano gli artt. 673 o 676 c.p.p.
in tema di abolizione del reato o di estinzione del reato o della
pena), come nel caso di specie non avviene. Ed infatti, mentre per il
reato di edificazione abusiva è possibile una estinzione
quando sopravvenga una concessione in sanatoria, ed è
possibile non perdere la proprietà dell'area nell'ipotesi
che si provveda a dare corso alla demolizione nel termine di novanta
giorni dall'ingiunzione (art.7 della citata legge n.47 del 1985), un
analogo risultato non è previsto per l'ipotesi di
lottizzazione abusiva.
Osserva ancora la Corte di Appello che la natura amministrativa della
confisca può assumere rilievo quando atti amministrativi
sopravvengono in corso di giudizio (come nel caso giudicato con la
sentenza Besana e altri della Terza Sezione Penale della Corte), ma non
quando la sentenza è passata in giudicato ed i beni sono
entrati a far parte del patrimonio dell'ente pubblico (art.19, comma 2
della legge citata).
In conclusione, successivamente al passaggio in giudicato della
sentenza che dispone la confisca, spetta all'ente pubblico adottare i
provvedimenti più opportuni concernenti l'area che
è stata trasferita nella sua proprietà.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i
ricorrenti ai sensi dell'art.606, comma 1 lett.b) c.p.p.
Il ricorso premette che con il nuovo PRG, adottato successivamente al
passaggio in giudicato della sentenza di condanna e dell'ordine di
confisca, l'area in questione è stata riqualificata come
"area residenziale di espansione", e che il Comune ha deciso di sanare
l'irregolarità esistente mediante la stipula con i
ricorrenti di una "convenzione di lottizzazione" nonché con
la loro partecipazione pro-quota ai costi di lottizzazione primaria e
secondaria. La stipula di tale convenzione, tuttavia, è
stata subordinata dal Comune alla revoca del provvedimento di confisca.
Ritengono i ricorrenti che sia errata la posizione che vede il giudice
spogliato del potere di assumere provvedimenti relativi alla confisca
dopo che la sentenza è divenuta definitiva. Posto che la
confisca costituisce atto di natura amministrativa, resta nella
facoltà dell'ente comunale quello di adottare determinazioni
compatibili con l'evoluzione degli strumenti urbanistici,
così che, assumono i ricorrenti, l'ente pubblico
"può riconoscere ex post la
conformità degli interventi realizzati con gli strumenti
urbanistici vigenti. Pertanto, quando la pubblica amministrazione, nel
legittimo esercizio delle proprie attribuzioni, adotti deliberazioni
incompatibili con il provvedimento di confisca, autorizzando ex
post la lottizzazione abusiva, il giudice penale non
può rifiutarsi di revocare il provvedimento", secondo quanto
avrebbe espressamente affermato dalla Sezione Terza Penale con
decisioni del 15 Ottobre 1997 e del 20 marzo-7 maggio 1998. E che il
passaggio in giudicato della sentenza non impedisca la revoca della
confisca in sede esecutiva risulterebbe conclusione in linea con
plurime decisioni della Corte di Cassazione, citate nel ricorso, tra
cui, Sezione Terza Penale 16 novembre 1995, 2254, Besana e altri; 5
dicembre 2001, n.1966, Venuti e altro.
OSSERVA
1. Il ricorso deve essere respinto sulla base delle considerazioni che
seguono.
Ritiene la Corte che gli odierni ricorrenti non siano legittimati a
richiedere la revoca della confisca disposta con la sentenza della
Corte di Appello di Catania nel lontano 1993. La proprietà
dell'area e dei beni confiscati, infatti, è oggi del Comune
di San Giovanni La Punta, al cui patrimonio disponibile essi furono
trasferiti a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di
condanna nei confronti degli allora proprietari. Si tratta di
conclusione che la Corte ritiene di assoluta evidenza e che si colloca
in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato quale emerge
dalla decisione in sede giurisdizionale della Sezione Quarta,
depositata il 10 marzo 2004 nei ricorsi del Comune di Bari nei
confronti di Ma.Bar Srl, Sudfondi Srl e Iema Srl (ricorsi in appello
n.10330/03 e 10479/03) relativi alla lottizzazione denominata "Punta
Perotti".
Tuttavia, la presenza di altre decisioni di questa stessa Corte che
hanno adottato una diversa soluzione rende necessario affrontare in
modo organico i non semplici aspetti della normativa che impongono al
giudice penale di applicare la sanzione della confisca nei casi di
riconosciuta attività lottizzatoria abusiva.
2. Si sostiene da parte dei ricorrenti che plurime decisioni di
legittimità avrebbero fissato il principio secondo cui la
natura di sanzione amministrativa della confisca che il giudice penale
applica in caso di accertata lottizzazione abusiva impone, anche in
sede esecutiva, la revoca della confisca nei casi in cui l'ente
pubblico territoriale approvi un nuovo assetto urbanistico compatibile
con l'attività di edificazione che era stata posta in essere
illecitamente.
Ed in effetti, una prima lettura di alcune decisioni, e soprattutto
degli estratti della loro motivazione, potrebbe assecondare simile
prospettiva.
Ad esempio, la motivazione della sentenza della Terza Sezione Penale
del 16 novembre-20 dicembre 1995, n.12471, PG in proc. Besana, dopo
avere affermato che il giudice che accerti l'avvenuta lottizzazione
abusiva deve disporre la confisca dei terreni e dei manufatti,
prosegue: «...Sarebbe del tutto irrazionale, però,
l'applicazione della misura anche qualora l'autorità
amministrativa, cui compete istituzionalmente il governo del
territorio, nell'autonomo esercizio del potere ad essa devoluto dalla
legge, abbia ritenuto di dovere successivamente autorizzare
l'intervento lottizzatorio. Un provvedimento "sanante" di tal genere
non vale a estinguere il reato ma non può essere impedito
né vanificato da una sanzione amministrativa con esso
incompatibile irrogata dal giudice penale, poiché questi non
può sottrarre alla P.A. poteri legislativamente
attribuitegli. Con la conseguenza che la confisca eventualmente
disposta ai sensi dell'art.19 della legge n.47/1985 deve essere
revocata dallo stesso giudice che l'ha ordinata quando (o nei limiti in
cui) risulti incompatibile con un provvedimento adottato
dall'autorità amministrativa».
Alle medesime conclusioni, potrebbe giungersi - con argomento a
contrariis - dalla lettura della sentenza Licciardello e
altri (Terza Sezione Penale, sentenza n.1958 del 25 maggio-20 settembre
1999, Rv.214628), che conclude per l'assenza di interesse a impugnare
nell'ipotesi in cui, non essendo ancora definitivo l'iter
amministrativo del piano territoriale, non possa dirsi esistente un
atto della pubblica amministrazione "incompatibile" con il mantenimento
della confisca.
3. Lo stesso può dirsi anche per la sentenza di questa
Sezione del 9 novembre-14 dicembre 2000, n. 12999, Lanza (rv.218003), e
a conclusione simile sembra doversi giungere secondo altra successiva
decisione, sempre di questa Sezione, e cioè la sentenza
n.3388 del 5 dicembre 2000-21 gennaio 2001,Venuti e altri (rv 220851).
Quest'ultima, infatti, premessa l'esistenza in capo alla sola
autorità amministrativa comunale del potere di governo del
territorio, afferma: «Sicché, quando questa
autorità, nell'esercizio legittimo del suo potere, deliberi
di autorizzare ex post la lottizzazione o comunque
di variare il piano territoriale con recupero urbanistico dell'area
abusivamente lottizzata, la confisca giudiziaria non può
essere disposta, o se disposta deve essere revocata, giacché
il potere giurisdizionale non può sottrarre alla P.A.
l'esercizio del potere legislativamente attribuitole, attraverso
provvedimenti incompatibili con il legittimo esercizio di quel potere.
Tuttavia, nel caso concreto, nessuna incompatibilità
sussiste, posto che la confisca riguardava l'area lottizzata di....,
mentre il piano di recupero urbanistico era stato pacificamente
deliberato solo per contigua zona denominata...».
4. In realtà, questa Corte non ritiene che la prospettazione
dei ricorrenti possa essere desunta in modo certo e coerente dalle
sentenze fin qui esaminate. E, infatti, la sentenza n.12471 del 1995
nel procedimento Besana ha come presupposto il fatto che nelle more del
giudizio il comune modificò la programmazione del
territorio, così intervenendo con un provvedimento che
rendeva edificabili i terreni lottizzati prima che giungesse la
sentenza definitiva. Solo in parte simile la situazione di fatto su cui
è intervenuta la sentenza n.3388 del 2001, Venuti, essendosi
in presenza di un piano di recupero urbanistico adottato dal comune in
corso di processo e anteriormente al giudizio di cassazione; tuttavia,
come si è visto, quel piano di recupero non concerneva il
terreno oggetto di lottizzazione. In entrambi i casi, dunque,
l'intervento del comune asseritamente "sanante" non si collega - e non
si può contrapporre - ad un giudicato formatosi nel processo
penale.
Nello stesso senso si esprimono altre recenti decisioni, come quelle
assunte da questa stessa Sezione il 1° luglio-13 ottobre 2004,
n.39916, La medica e altri (rv 230085) e il 18 maggio-5 luglio 2006,
n.23154, Scalici (rv 234476), sempre riferite ad ipotesi di
provvedimenti dell'ente comunale che intervengono nelle more del
giudizio.
Infine, va evidenziato che sia la sentenza n.1958 del 1999,
Licciardello, sia la sentenza n.12999 del 2000, Lanza, intervengono su
una situazione di fatto diversa da quella oggetto del presente ricorso,
risolvendosi in un non liquet perché la
domanda di revoca della confisca è giunta e dev'essere
decisa prima che l'atto amministrativo potenzialmente incompatibile sia
definitivo e operativo.
5. Esistono, peraltro, due precedenti decisioni della Terza Sezione
Penale che affrontano in modo specifico il tema della
revocabilità della confisca successivamente al passaggio in
giudicato della sentenza di condanna.
La più recente è la n. 47272 del 30 novembre-29
dicembre 2005, Iacopino e altri (rv 232998). Secondo tale decisione, la
revoca della confisca, come già affermato dalle sentenze
n.1966 del 2002 e 12999 del 2000, può essere disposta dal
giudice anche in sede esecutiva, con la conseguenza che avrebbe errato
la Corte di Appello ad omettere di statuire sul punto e di motivare in
ordine alla specifica richiesta dei ricorrenti, aventi causa degli
imputati condannati, che era fondata sulle nuove deliberazioni adottate
dall'ente comunale.
Premesso che non appare convincente il richiamo effettuato alle
sentenze Lanza del 2000 e Venuti e altri del 2002 che, come si
è vistò, non affrontano il tema della
revocabilità successiva al giudicato, deve ai nostri fini
osservarsi che la sintetica motivazione della sentenza Iacopino non
offre ulteriori argomenti a sostegno della affermazione per la quale il
giudicato ed i suoi effetti non costituirebbero un ostacolo alla revoca
della confisca.
Ad opposta conclusione giunge la più risalente sentenza in
data 8 febbraio-18 marzo 2002, n.11141, Montalto e altri (non
massimata). Secondo tale decisione, il passaggio in giudicato della
sentenza che contiene l'ordine di confisca comporta il trasferimento
della proprietà dei beni confiscati al comune,
così che i precedenti proprietari perdono con quei beni ogni
legame giuridico e non possono vantare su di essi alcun diritto in caso
di modifiche successivamente apportate dal comune all'assetto
territoriale.
6. La presenza di una divergenza di valutazioni in sede
giurisprudenziale impone di procedere ad un esame approfondito del tema
posto dai ricorrenti.
Punto di partenza è la considerazione che la c.d.
"sanatoria" degli illeciti urbanistici contenuta in un provvedimento
dell'ente territoriale non estingue e non può estinguere il
reato di lottizzazione abusiva.
Siamo in presenza di un elemento che differenzia profondamente la
disciplina della lottizzazione, quale reato urbanistico, dalla
violazione edilizia prevista e sanzionata da altra parte del medesimo
art.20 della legge 28 febbraio 1985, n.47, nonché, oggi,
dalla prima parte dell'art.44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380.
E' pacifico, infatti, in dottrina e giurisprudenza che il reato di
lottizzazione abusiva non può beneficiare delle mutate
disposizioni amministrative che dopo la commissione del reato rendano
possibile edificare sulla medesima area. In tal senso, oltre alla
citata sentenza Venuti, si vedano: Terza Sezione Penale sentenza del 19
settembre 1996, Urtis, non massimata; sentenza n.2408 del 12 gennaio-6
marzo 1996, Antonioli e altro (rv.204712); sentenza n.11436 del 15
ottobre-12 dicembre 1997, Giammanco (rv.209395).
Più recentemente negli stessi termini si è
pronunciata la Terza Sezione Penale con la sentenza n.39916 del 2004,
La medica e altri (rv 230085), citata, nonché con la
sentenza 18 giugno-28 settembre 2004, n.38064, Semeraro, la cui massima
recita (rv 230039):
"La sanatoria delle violazioni edilizie che, ai sensi dell'art. 36 del Testo unico n. 380 del 2001 (che ha sostituito l'art. 13 della legge n. 47 del 1985), determina l'estinzione del reato, non è applicabile alla lottizzazione abusiva per la negatività dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità delle opere eseguite, le quali non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione. Pertanto la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, e delle opere abusivamente realizzate, è legittima - in quanto obbligatoria ai sensi dell'art. 19 della legge n. 47 del 1985 - anche quando risulti concessa una sanatoria delle opere edilizie ex art. 13 della stessa legge; quanto alla confisca dei manufatti abusivi, il giudice deve invece valutarne in concreto i presupposti, quando sia stato effettuato il condono edilizio ai sensi dell'art.37 comma settimo della citata legge n.47 per la presenza dei requisiti legittimanti, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt.29 e 35,comma tredicesimo della predetta legge.".
7. Questa differenza di trattamento trova radicamento e motivazione
nella maggiore gravità che il legislatore ha inteso
riconoscere alla lottizzazione. E che l'intervento abusivo e coordinato
su un'area non modesta assuma, rispetto al governo del territorio,
connotazioni oggettivamente, e spesso drammaticamente gravi
è dato di esperienza, così che pare del tutto
motivato e ragionevole che alle ipotesi di lottizzazione non si estenda
lo strumento del condono e della sanatoria previsto invece, a certe
condizioni, per l'edificazione senza concessione o in
difformità da essa. Sul punto si rinvia anche alle decisioni
di manifesta infondatezza della Corte costituzionale concernenti la
disciplina della lottizzazione (in particolare, si vedano le sentenze
n.107 del 1989 e n.148 del 1994 relative alla forma meno grave di
lottizzazione, la lottizzazione c.d. "negoziale").
La previsione normativa - contenuta nel sistema degli artt.18 e 19
della legge n.47 del 1985 ed ora negli artt.30 e 44, comma secondo del
d.P.R. n.380 del 2001 - della obbligatorietà e della
immediatezza della confisca giudiziale rispetto all'accertamento della
lottizzazione dev'essere considerata conseguenza coerente di quel
giudizio di estrema gravità.
Giova ricordare che la giurisprudenza maggioritaria (fra le altre,
Sezione Terza Penale, sentenza n.16483 del 12 novembre-18 dicembre
1990, Licastro, rv 186011; sentenza n.3900 del 18 novembre-23 dicembre
1997, Farano, rv 209201; sentenza n.12989 dell'8 novembre-14 dicembre
2000, Petracchi F, rv 218013) e la stessa dottrina convengono che la
confisca non presuppone necessariamente la condanna dei proprietari
dell'area lottizzata, ammettendosi che la sanzione venga disposta anche
in caso di estinzione del reato per prescrizione e nella ipotesi di
applicazione della pena ex art.444 cod. proc. pen. E non solo,
perché il ricorso allo strumento radicale della confisca
è stato dalla giurisprudenza ritenuta non evitabile neppure
a tutela dei terzi acquirenti in buona fede, come dimostrano plurime
decisioni della Sezione Terza Penale, tra cui la sentenza 7 luglio-4
ottobre 2004, n.38727, Bennici (rv 229607) e la sentenza 27 gennaio-15
marzo 2005, n.10037, Vitone e altri, la cui massima recita (rv 320979);
"E' manifestamente infondata la questione di incostituzionalita'
dell'art. 44, comma secondo, d.P.R. 6 giugno 2001 n.380, che prevede la
confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite
anche nei confronti dei terzi acquirenti in buona fede, sia per
violazione dell'art. 27 Cost., atteso che trattasi di principio che si
riferisce alla responsabilita' penale, mentre la confisca prevista dal
citato d.P.R. prescinde da una sentenza di condanna ed ha natura
amministrativa, sia per violazione dell'art.42 Cost. in quanto stante
la funzione sociale della proprieta' nel contrasto tra l'interesse
collettivo alla corretta pianificazione territoriale e quello del
privato e' ragionevole la prevalenza del primo.".
Né va dimenticato che la giurisprudenza ha tratto dalle
caratteristiche della lottizzazione un'ulteriore importante
conseguenza. Come stabilito con la sentenza n.17424 della Terza Sezione
Penale del 22 marzo-9 maggio 2005, Agenzia Demanio in proc. Matarrese e
altri (rv 231515), la confisca deve essere estesa "a tutta l'area
interessata dall'intervento lottizzatorio, compresi i lotti non ancora
edificati o anche non ancora alienati al momento dell'accertamento del
reato, atteso che anche tali parti hanno perso la loro originaria
vocazione e destinazione rientrando nel generale progetto
lottizzatorio."
8. La confisca giudiziale, quindi, va considerata uno strumento che
risponde in modo diretto alla gravità dell'offesa
all'interesse collettivo rappresentato dalla ordinata programmazione e
gestione degli interventi sul territorio. In tale prospettiva essa
costituisce un rafforzamento dell'analoga sanzione disposta dall'ente
locale e non deve mai costituire un potenziale momento di conflitto fra
le due procedure.
A questo si aggiunga una peculiarità della confisca ex
art.19 legge 28 febbraio 1985, n.47 ed ex art.44, comma secondo del
d.P.R. 6 giugno 2001, rispetto al provvedimento ablativo concernente
gli abusi edilizi: la confisca non solo è comunque
conseguenza obbligatoria dell'accertamento della lottizzazione, ma essa
consegue automaticamente e immediatamente alla definitività
dell'ordine dato dal giudice, senza che sussistano ulteriori condizioni
e che siano necessari successivi adempimenti. Si legge, infatti, nelle
disposizioni citate che il sindaco, verificata l'esistenza di
attività lottizzatoria senza autorizzazione deve notificare
un'ordinanza di sospensione, che viene trascritta nei registri
immobiliari cosi da inibire anche atti di cessione a terzi; trascorsi
novanta giorni senza che si provveda, per carenza dei presupposti
originari, alla revoca della confisca, "le aree lottizzate sono
acquisite di diritto al patrimonio indisponibile del comune" e il
sindaco deve procedere alla demolizione delle opere abusive.
Parallelamente a tale procedura, il giudice con la sentenza definitiva
deve disporre la confisca delle aree, e anche l'ordine giudiziale
comporta l'immediata acquisizione delle aree al patrimonio comunale e
costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari.
A questo proposito appare opportuno ricordare i principi affermati
dalla sentenza della Terza Sezione Penale del 2 aprile-22 maggio 2003,
n.22557, Matarrese e altro, la cui massima recita (rv 225308):
"Con il passaggio in giudicato della sentenza che, all'esito del
procedimento per lottizzazione abusiva, ha disposto, ex art. 19 della
legge 28 febbraio 1985 n. 47, la confisca dei terreni, questi
transitano "ipso iure" nel patrimonio del Comune
senza la necessità, a differenza di quanto avviene con il
provvedimento ex art. 7 stessa legge, di una fase esecutiva, atteso che
l'efficacia traslativa coattiva e' prodotta, per espresso dettato
normativo, dalla sentenza che la contiene."
9. In sostanza, la sentenza definitiva è titolo per il
trasferimento della proprietà, immediato e senza oneri, in
favore del patrimonio disponibile del comune (circostanza, questa,
indicativa della volontà di attribuire all'ente ampia
possibilità di gestione ed utilizzo dei beni). Spetta alle
cancellerie giudiziarie e agli organi amministrativi dare esecuzione
all'ordine di confisca, ma questa è comunque immediatamente
operante fra le parti interessate (espropriati e comune).
10. In tal senso si è espresso con chiarezza il Consiglio di
Stato in decisioni che, seppure riferite alla confisca che segue
l'inosservanza dell'ordine di demolizione, contengono principi generali
applicabili anche alla confisca ex art.19 legge n.47/1985. Ad esempio,
con la sentenza n.333 del 20 aprile 1994, la Sez.5 (RD. 941979) ha
stabilito che gli effetti della trascrizione sono collegati
direttamente dalla legge all'inosservanza del termine per la
demolizione (nel nostro caso alla definitività della
sentenza contenente l'ordine di confisca).
Interesse ancora maggiore riveste la ricordata decisione depositata il
10 marzo 2004 sui ricorsi riguardanti la lottizzazione di "Punta
Pedrotti", nella quale il Consiglio di Stato era chiamato a decidere
sul ricorso presentato in sede giurisdizionale dal Comune di Bari
avverso la decisione del Tribunale amministrativo che aveva
riconosciuto il diritto delle società ex proprietarie dei
beni a conoscere della conformità della vecchia
lottizzazione alla normativa edificativa vigente. Rilevato che alla
sentenza penale definitiva è conseguita la confisca dei beni
e il passaggio degli stessi alla proprietà del Comune di
Bari, il Consiglio di Stato ha affermato che "le società
appellate non possono vantare alcun interesse diretto, concreta e
attuale a conoscere della conformità edilizia di un
manufatto sul quale non hanno nessuna pretesa, neppure futura, non
potendo neppure sperare in un ritrasferimento ovvero in una revoca,
stante la intangibilità e irrevocabilità del
giudicato", ragione per cui "non si vede per quale motivo gli stessi
pretendano di conoscere l'effettiva situazione giuridica di un
complesso immobiliare sul quale non possono vantare alcun diritto. Da
ciò il difetto di legittimazione alla presentazione
dell'istanza e l'inconfigurabilità consequenziale di alcuna
formazione di silenzio significativo da parte della pubblica
amministrazione".
11. Principi analoghi sono affermati dalla giurisprudenza civile della
Corte di cassazione. Con sentenza n.7769 del 12 luglio 1991 (rv
473103), la Terza Sezione ha affermato che la confisca amministrativa
(nella specie quella prevista dall'art.15 della legge 28 ottobre 1977,
n.10) ha origine diretta dall'ordinanza del sindaco e trasferisce la
proprietà indipendentemente dalla trascrizione, che ha solo
efficacia dichiarativa, e legittima il comune al possesso del bene con
immediati effetti modificativi e estintivi del rapporto di locazione
che sia in corso. La Corte si è occupata anche delle
conseguenze della confisca prevista dall'art.240 c.p., affermando il
principio di ordine generale, che rileva anche ai fini della presente
decisione, secondo cui alla confisca giudiziale sono applicabili le
regole sulla evizione totale (art.1483 c.c.) giacché tale
misura comporta l'acquisto della proprietà da parte dello
Stato e lo spossessamento anche del compratore, che ha diritto a
rivalersi sul venditore degli oneri e (eventualmente) dei danni subiti
(Seconda Sezione Civile, sent.792 del 27 gennaio 1998, rv 511971).
12. Sulla base di queste premesse la Corte ritiene che la confisca in
esame costituisca un provvedimento ablativo radicale, nelle forme e
nelle conseguenze. Tale caratteristica, lo si ripete, è
perfettamente in linea con il giudizio del legislatore circa l'estrema
gravità delle condotte di lottizzazione in relazione al bene
protetto, e si spiega anche con le correlate finalità che la
confisca viene così ad acquisire.
Il fatto che, senza discrezionalità alcuna, la
proprietà dei terreni e dei beni lottizzati venga trasferita
dai privati al patrimonio del comune assomma in sé, a ben
vedere, numerose conseguenze di grande interesse.
La prima è quella di prospettare ai privati un rischio
elevatissimo: la perdita della proprietà sui beni oggetto di
lottizzazione, e quindi dovrebbe costituire un forte elemento di
deterrenza.
La seconda è quella di evitare che la sanzione possa essere
in concreto non applicata e/o non eseguita a causa di incuria o
boicottaggio da parte degli amministratori locali.
La terza è quella di evitare che questi ultimi siano
sottoposti alle pressioni dei destinatari della confisca
affinché vengano assunti, ancorché ex
post, provvedimenti di sanatoria, con il pericolo di
forzature e distorsioni delle politiche di gestione del territorio e,
se si vuole, evitandosi in tal modo anche rischi di attentati alla
lealtà e correttezza dell'azione amministrativa.
La quarta conseguenza, non meno importante, è l'attribuzione
al comune della libertà di utilizzare l'area e gli eventuali
manufatti senza subire i condizionamenti di coloro che su quei beni
altrimenti conserverebbero aspettative e interessi diretti.
13. Se, dunque, l'ordine di confisca contenuto nella sentenza passata
in giudicato è fonte di acquisizione dei beni al patrimonio
disponibile del comune, ciò significa che il comune di quel
bene può pienamente disporre uti dominus
al pari di qualsiasi soggetto privato; può dunque
locarlo, cederlo, utilizzarlo senza che il dante causa abbia sul bene
alcuna ulteriore legittimazione. Sono queste, infatti, le conseguenze
tipiche del provvedimento ablativo.
Questa situazione non si pone in contrasto né con il
carattere non definitivo delle sanzioni amministrative, né
con il potere del comune di autonomamente determinarsi in ordine alle
politiche del territorio.
Appare opportuno muovere da questo secondo aspetto.
14. Si è sostenuto che la confisca dei terreni lottizzati
può porsi in conflitto con la potestà dell'ente
locale di liberamente determinarsi per la gestione del territorio. Non
vi sono dubbi che - in via di principio - una limitazione della
potestà del comune può derivare da un ordine
giudiziale che imponga dei limiti rispetto ad alcune delle
possibilità di azione dell'ente o che, addirittura, le
impedisca del tutto. Esempi in tal senso possono essere un (meramente
teorico) divieto di edificare oppure l'ordine di demolizione. In
entrambi i casi il comune si troverebbe nella impossibilità
di prevedere la conservazione o l'ampliamento del numero o
dell'estensione dei manufatti, dovendo addirittura, nel caso
dell'ordine di demolizione, distruggere un manufatto che esiste. E'
evidente, cioè, che l'obbligo di ottemperare a tali
imperativi giudiziali (postivi o negativi non fa differenza)
costituisce per il comune un limite tanto legittimo quanto
significativo, così che eventuali piani di espansione su
quelle aree verrebbero a porsi in contrasto con il provvedimento del
giudice. Del tutto diverso il caso che ci occupa. L'accertamento
dell'avvenuta lottizzazione non comporta altro che una presa d'atto da
parte del giudice che vi è stato un frazionamento non
autorizzato, seguito o meno da attività edificatorie, e
operato in contrasto con la vigente programmazione del territorio (sul
punto si rinvia alla decisione delle Sezioni Unite Penali, n.5115 del
28 novembre 2001-8 febbraio 2002, Salvini, rv 220708).
La densità e la vastità dell'intervento
lottizzatorio costituiscono un forte elemento di offesa al bene
protetto - costituito proprio dalla gestione consapevole e libera del
territorio da parte dell'ente esponenziale - e tale offesa, se non
rimossa, produrrebbe inevitabili ulteriori effetti dannosi atteso il
carattere permanente della violazione. In altri termini, è
la lottizzazione abusiva che si pone insanabilmente in contrasto con la
libertà del comune di governare il territorio,
così come sono le caratteristiche radicali di questo
contrasto che giustificano sia l'esclusione di sanatorie per il reato
sia automaticità della confisca.
15. Una volta chiarito questo essenziale aspetto delle vicende legate
alla lottizzazione abusiva, è agevole trarre due
conclusioni. La prima: la confisca disposta dal giudice è
provvedimento che non può porsi in contrasto con la
libertà del comune di determinare le proprie politiche
perché, al contrario, essa costituisce lo strumento
fondamentale con cui l'ordinamento rimuove un ostacolo e restituisce al
comune quella libertà che è stata violata e
condizionata dalla condotta illecita dei privati. Sono gli autori della
lottizzazione abusiva che hanno posto il comune di fronte al fatto
compiuto e che potrebbero - e in genere, come è facilmente
comprensibile, possono - ancora condizionare le scelte successive degli
amministratori. La seconda: il trasferimento della proprietà
dei beni al comune mette quest'ultimo in condizione di dare ad essi la
destinazione che ritiene opportuna, senza che tale destinazione subisca
alcuna influenza dall'ordine del giudice. In altri termini, il comune
è libero di dare alle aree confiscate la destinazione che
ritiene più opportuna, senza che il processo penale, che si
è ormai concluso, possa comportare ulteriori
condizionamenti. Con l'ordine di trasferimento della
proprietà al patrimonio comunale l'intervento del giudice si
esaurisce e il diritto dell'ente comunale sul bene è pieno e
non condizionato.
Ciò consente di concludere che la confisca giudiziale non
è (non può essere) incompatibile con i successivi
provvedimenti dell'ente territoriale. Se incompatibilità
sussiste, questa si indirizza, piuttosto, nei confronti del permanere
del diritto di proprietà e delle relative aspettative in
capo ai privati che hanno subito l'ablazione. Ma proprio tale
incompatibilità si pone a fondamento dell'istituto della
confisca e ne è la ragione di essere: separare
giuridicamente l'autore della lottizzazione dal diritto sulla cosa, che
viene trasferito all'ente pubblico.
16. Solo avendo presenti questi principi è possibile passare
all'esame del primo aspetto poco sopra accennato: la
compatibilità della confisca con il carattere non definitivo
delle sanzioni amministrative.
Si potrebbe obiettare, infatti, che la confisca così intesa
e così applicata assume carattere di
definitività, per cui i privati spogliati del bene non
potrebbero mai chiederne la revoca. Non è necessariamente
così, ma occorre premettere una notazione.
La confisca, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, comporta
l'inevitabile trasferimento della proprietà sulla cosa dal
privato al nuovo destinatario del bene, sia esso lo Stato (art.240
c.p.) o, nel nostro caso, il comune. Ora sappiamo che la
proprietà è diritto pieno, che non consente
limitazioni incompatibili con il proprio fondamento, quanto meno nel
senso che va escluso che il comune possa divenire proprietario avendo a
tempo indeterminato un obbligo, seppure condizionato, di retrocedere il
bene.
Se questo è vero, dalla circostanza che il comune dopo il
passaggio in giudicato della sentenza decida di rendere edificabili
proprio i terreni oggetto di lottizzazione non può in alcun
modo farsi derivare un obbligo, non previsto da alcuna disposizione, di
ritrasferire la proprietà ai privati che subirono
l'ablazione. Essendo divenuto pieno proprietario (con trasferimento a
titolo originario, caratteristica che rafforza la cesura irreversibile
nella titolarità dei beni rispetto ai precedenti
proprietari), il comune può scegliere quale utilizzo dare
agli immobili pervenutigli per ordine del giudice. Può
decidere di dare corso in proprio alle opere di lottizzazione, in tutto
o in parte; può decidere di cedere i terreni a persone
interessate a dare corso all'edificazione; può decidere di
locare i terreni, di darli in comodato, e così via. Se
così non fosse, porremmo a carico della proprietà
un limite che non risulta presente nell'ordinamento e che non trova
fondamento in alcuna disposizione di legge.
17. I principi fin qui affermati consentono, si è visto, di
giungere alla conclusione che il comune conserva la piena e
incondizionata potestà di programmazione e gestione del
territorio, e che va escluso che dall'adozione di nuovi strumenti
urbanistici derivi una fonte di retro-trasferimento della
proprietà in favore dei privati destinatari dell'ordine di
confisca.
Ciò non significa, tuttavia, che proprio nell'ambito di
quella potestà di gestione del territorio il comune non
possa adottare strumenti che tengono conto della realtà
preesistente rispetto alla sentenza che ha ordinata la confisca.
Qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino
di destinare l'area lottizzata alla edificazione da parte di privati,
il comune può decidere di non esercitare in proprio le
iniziative di edificazione e di non conservare la proprietà
sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono.
Nel caso che a tali scelte seguano da parte del comune atti dispositivi
volontari ed a titolo oneroso che trasferiscono la proprietà
a tutti o parte dei precedenti proprietari, si sarà in
presenza di atti aventi natura contrattuale al pari di qualsiasi altro
trasferimento di proprietà dal titolare del diritto
all'acquirente.
18. La Corte ritiene che le conclusioni cui è giunta non
possano essere messe in discussione muovendo dalla
contrarietà della soluzione delineata con il carattere
(asseritamente) non definitivo della sanzione amministrativa.
Va osservato a tale proposito che assai ampio e variegato si presenta
ancora oggi il dibattito sulle caratteristiche della sanzione
amministrativa e sugli stessi presupposti di tale categoria giuridica.
Se può dirsi che dopo l'introduzione della legge 24 novembre
1981, 689 appare superata la nozione "ampia" della categoria sanzione
amministrativa (comprensiva, cioè, di tutte le forme di
risposta dell'ordinamento alle violazioni di un precetto,
così distinguendosi in dottrina fra sanzioni "punitive",
"ripristinatorie", "risarcitorie") in favore di una concezione
ristretta del concetto di sanzione, non sembra, tuttavia, che di tale
concetto in dottrina e in giurisprudenza siano univocamente individuati
gli elementi essenziali. La molteplicità delle fonti e delle
fattispecie non risulta, infatti, superata e ricondotta ad
unità concettuale dai principi che informano la legge del
1981, anche perché rimane forte la tendenza degli interpreti
ad identificare i caratteri della sanzione amministrativa guardando -
come termine essenziale di paragone - ai caratteri tipici della
sanzione penale.
Ad esempio, nella costruzione teorica del concetto di sanzione
amministrativa vi è chi muove dalla distinzione con le
"misure amministrative di esecuzione", miranti a "ripristinare una
situazione di legalità materiale, restaurando direttamente
un bene o interesse leso e eliminando le conseguenze materiali della
lesione"; in tale prospettiva, ad esempio, la demolizione a seguito di
violazioni edilizie apparterrebbe alla seconda categoria e non a quella
delle sanzioni amministrative, così come, si potrebbe
aggiungere, l'ordine di confisca e distruzione delle cose pericolose o
non 'sanabili' appartiene alla categoria delle misure di sicurezza e
non a quella della sanzione penale.
Si afferma, dunque, che la natura non sanzionatoria della demolizione
può ricavarsi dal fatto che in tal caso l'azione
amministrativa "non ha come obiettivo l'accertamento della
responsabilità o l'identificazione e la punizione degli
autori dell'abuso, ma ha come obiettivo la restaurazione di una
situazione materiale di legalità; di conseguenza, la
demolizione è disposta anche nei confronti del titolare del
diritto sull'opera abusiva, anche se questi non ha avuto alcun ruolo
nella commissione della violazione (si pensi, per esempio, al caso del
terzo che abbia acquistato l'opera abusiva)". In questa prospettiva
meriterebbero censura le soluzioni della giurisprudenza, amministrativa
e ordinaria, che ancora assimilano le misure "ripristinatorie"
(nonché le misure pecuniarie cd "alternative", che seguono
la logica delle misure di esecuzione) alle sanzioni in senso stretto.
19. Quanto alla confisca, si osserva che Part.20 della citata legge
n.689 del 1981 ha introdotto in via generale (sotto la rubrica
"sanzioni amministrative accessorie") l'istituto della confisca
amministrativa, che sembra ricalcare quello previsto dall'art.240 c.p.;
in favore di tale assimilazione depone, ad esempio, la circostanza che
il regime introdotto dalla legge del 1981 si caratterizza per la prima
volta in senso personalistico, collegato cioè alla
responsabilità del titolare, con esclusione della
confiscabilità dei beni di terzi.
Tuttavia, accanto a quella disciplinata dalla legge del 1981 permangono
altre ipotesi di confisca amministrativa: da quella prevista in campo
edilizio dall'art.7 della legge n.47 del 1985, alla confisca introdotta
per i beni delle associazioni fasciste o segrete (leggi n.645 del 1952
e n.17 del 1982) per giungere alle ipotesi previste in materia
alimentare, valutaria, di caccia e pesca, di armi, di circolazione
stradale, e così via.
Siamo, dunque, in presenza di provvedimenti eterogenei che rendono
difficile la riconduzione ad istituto unitario, tanto che in dottrina
si è proposto di tornare alla individuazione di due modelli
distinti: la confisca come misura di sicurezza amministrativa
(costituita da ipotesi fra loro diverse, e in qualche modo speciali) e
la confisca come sanzione in senso tecnico (quest'ultima riconducibile
al sistema introdotto dalla legge n.689 del 1981, che prevede la
confisca come misura facoltativa all'interno di un procedimento
sanzionatorio; si vedano gli artt.11 e 20 della legge).
20. La Corte ha ritenuto necessario dare conto della
complessità del tema concernente la natura sanzionatoria
della confisca per evidenziare come quella prevista specificamente per
le condotte di lottizzazione abusiva, attese le peculiarità
della sua disciplina, sia riconducibile alla categoria amministrativa
della sanzione in senso lato e non a quella della sanzione disciplinata
dalla legge n.689 del 1981. Quest'ultima legge, invero, si applica alle
"violazioni per le quali è prevista la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di denaro" (art.12),
così che la stessa legge, fatti salvi i casi di confisca
necessaria, configura la "confisca amministrativa" (art.20) come
sanzione accessoria a quella pecuniaria. Appare perciò non
pertinente il richiamo ai principi dettati dalla legge n.689 del 1981
rispetto ad una fattispecie di illecito punito con sanzione penale,
anche se comportante, in via accessoria, l'applicazione di una sanzione
amministrativa.
21. Merita, infine, ricordare che alcune delle sanzioni amministrative
- come la distruzione, la demolizione e la confisca - presentano un
inevitabile carattere di definitività, quanto meno
potenziale, come riconosciuto dalla giurisprudenza (si veda Cons.
Stato, sent. n.1080 del 25 ottobre 1993, PD 932903, con riferimento
all'ordine di demolizione).
Ciò esclude che il criterio della revocabilità
delle sanzioni amministrative possa costituire elemento utile in ordine
all'interpretazione delle disposizioni in tema di lottizzazione e
confisca e alla ricostruzione della disciplina applicabile
successivamente alla sentenza penale definitiva che irroga (anche in
assenza di un giudicato sulla responsabilità penale) la
misura della confisca.
22. Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che
solo l'ente comunale interessato sia titolare dei beni acquisiti a
seguito della confisca disposta con la sentenza che in data del 9 marzo
1993 accertò la sussistenza di una lottizzazione abusiva; ne
consegue che gli odierni ricorrenti non hanno titolo per richiedere la
revoca della confisca e che il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 Aprile 2007.
DEPOSITATA CANCELLERIA il 29/05/2007