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Sez. 3, Sentenza n. 15283 del 30/03/2004 (Ud. 24/02/2004 n.00357 ) Rv. 227962
Presidente: Rizzo AS. Estensore: Novarese F. Imputato: Soldà ed altro. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib.Vicenza, 13 marzo 2002).
538003 EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - In violazione delle disposizioni di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 - Direttore dei lavori - Responsabilità - Fondamento - Posizione di garanzia.

CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)

In tema di costruzioni edilizie abusive sul direttore dei lavori grava una posizione di garanzia circa la regolare esecuzione dei lavori, con la conseguente responsabilità per le ipotesi di reato configurate, e dalle quali questi può andare esente soltanto ottemperando agli obblighi di comunicazione e rinuncia all'incarico prima previsti dall'art. 6 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 ed ora dall'art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. RIZZO Aldo - Presidente - del 24/02/2004
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - N. 357
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere - N. 23543/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SOLDÀ BORTOLO e TOVO IMERIO n. a Valdagno rispettivamente in data 1^ aprile 1930 e 20 ottobre 1955;
avverso la sentenza del Tribunale di Vincenza sezione di Schio del 13 marzo 2002;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. F. Novarese;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. PASSACANTANDO G. che ha concluso per: qualificato il fatto come violazione dell'art. 20 lett. c) L. 47/85 chiede il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. PETRIN Enrico (Valdagno).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Soldà Bortolo, in qualità di legale rappresentante della ditta omonima, e Tovo Imerio, in qualità di direttore tecnico della Comunità montana, hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza sezione distaccata di Schio, emessa in data 13 marzo 2002, con la quale venivano condannati alla pena di 2.500 euro ciascuno per il reato di lavori di sistemazione di un sentiero di collegamento in difformità dall'autorizzazione paesaggistica, deducendo quali motivi la violazione dell'art. 152 del d. l.vo n. 490 del 1999, poiché le opere eseguite dovevano qualificarsi di manutenzione come tali realizzabili senza autorizzazione, e la manifesta illogicità della motivazione circa la pretesa difformità, in quanto non è stato depositato alcun elaborato grafico specificante ubicazione, dimensioni, andamento e caratteristiche del sentiero, in ordine al danno ambientale, affermato in maniera apodittica, ed alle attività da compiere quali la sospensione dei lavori per ogni minimo spostamento, neppure riscontrabile per assenza di specifiche prescrizioni e la violazione dell'art. 163 d. l.vo n. 490 del 1999, poiché il Tovo, in qualità di direttore tecnico della Comunità montana committente, non poteva dare indicazioni operative alla ditta appaltatrice. MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi addotti sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non appare, preliminarmente, applicabile il "nuovo" condono edilizio di cui al d. l. n. 269 del 2003, convertito in legge con
modificazioni n. 326 del 2003, poiché non si tratta di edilizia residenziale ne' di un ampliamento limitato al 30% della volumetria, supposto che di una strada possa considerarsi il volume e non l'estensione, non prevista nella recente normativa, oggetto di interpretazione restrittiva, poiché introduce una causa estintiva eccezionale.
Ciò premesso, occorre rilevare che erroneamente il giudice di merito, seguendo largamente minoritaria giurisprudenza di questa Corte, ha applicato solo la pena pecuniaria, giacché unica sanzione applicabile è quella contemplata dall'art. 44 lett. c) d. l.vo n. 380 del 2001 e s. m. (un tempo art. 20 lett. c) l. n. 47 del 1985), in quanto l'unica disposizione relativa ai beni paesaggistici contenuti nella normativa urbanistica richiamata è, quoad poenam, solo la lettera c) indicata, si tratta di ipotesi autonoma di reato, esiste una sostanziale differenza tra urbanistica e paesaggio, sicché non è possibile prevedere un regime graduato sulla base delle differenti tipologie di intervento edilizio per esecuzione di opere con diversità di scopi, di presupposti e di oggetto, mentre il d. l. vo n. 490 del 1999 per il suo carattere compilativo non è idoneo ad introdurre una nuova disciplina sanzionatoria in materia penale in mancanza di un'espressa norma ed in contrasto con l'uniforme giurisprudenza della Corte Costituzionale sulla valenza del vincolo paesaggistico (cfr. per evitare ridondanze di trattazione Cass. sez. 3^ 27 gennaio 1999 n. 1150, Galimberti rv. 212247; Cass. sez. 3^ 28 febbraio 2001 n. 8959, Giannone rv. 218034 e Cass. sez. 3^ 22 novembre 2002 dep. 30 gennaio 2003, Ferrari cui si rinvia per approfondimenti ed indicazioni di pronunce conformi). Ciò posto, secondo costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 5^ 26 novembre 1990 n. 15850, Bordoni e Cass. sez. 6^ 23 dicembre 1999 n. 14631, Possamai rv. 216323), non viene violato il divieto di "reformatio in pejus" qualora venga fornito al fatto una diversa qualificazione giuridica più grave o sia individuata una pena diversa in presenza di un'impugnazione del solo imputato, al solo fine di determinare il tempo in cui maturerà la prescrizione. Pertanto, attesa la data del commesso reato del 27 agosto 1999, la stessa maturerà il 27 febbraio 2004, sicché devono essere considerate le censure mosse.
Appare opportuno riassumere i fatti, quali risultano dalla sentenza impugnata, giacché è inibito al giudice di legittimità consultare gli atti, salvo che sia stata dedotta una violazione processuale. Tovo Imerio "è il progettista e direttore dei lavori", Soldà Bortolo "è l'esecutore dei lavori".
Si è accertato che " a fronte di un sentiero largo circa un metro e di un intervento autorizzato che prevedeva il ripristino di una carreggiata larga m. 2,50, si stava realizzando una strada larga anche tre, e, in qualche tratto quattro metri... Un tale intervento .. comportava una notevole quantità di materiale smosso, che, di fatto, veniva abbandonato lungo la scarpata distruggendo la vegetazione esistenza e, di conseguenza, rendendo instabile e soggetta a frane l'area".
Risulta pure la presenza di una relazione e di un progetto da parte del Tovo, dai quali appare che si è effettuato "uno stravolgimento dell'ambiente con ricavo di una sede stradale larga tre volte il preesistente sentiero e, comunque, più larga di quanto nel progetto era indicato", mentre dalle fotografie si rileva che "a fine agosto 1999 l'ambiente montano in loco era stato pesantemente alterato, in contrasto con la "filosofia" dell'intervento autorizzato e con la lettera del progetto".
Pertanto stupisce come il giudice di merito, mal interpretando persino l'indirizzo minoritario (Cass. 4 ottobre 1995, Romano), abbia potuto irrogare una mite pena pecuniaria, mentre la dimostrata alterazione esclude l'applicabilità dell'art. 152 d. l.vo n. 490 del 1999, che ammette le opere di manutenzione, già difficilmente inquadragli in quelle eseguite, che non alterino lo stato dei luoghi. Peraltro, l'alterazione dello stato dei luoghi è prescritta solo per la contravvenzione di danno di cui all'art. 734 c.p. e non per quella di cui all'art. 163 d. l.vo n. 490 del 1999, per la quale è sufficiente un vulnus apprezzabile (cfr. fra tante Cass. sez. 3^ 27 gennaio 1999 n. 1150, Galimberti cit. e per un excursus giurisprudenziale ed una valutazione del principio di offensività Cass. sez. 3^ ud. 11 aprile 2002, Migliore non massimata ma in Riv. giur. ed. 2003 e Urb. ed appal. 2002).
Infatti, bisogna considerare che la nozione di alterazione ricavabile dall'arti quarto ed ottavo comma l. n. 431 del 1985 deve essere valutata in coerenza con il bene finale protetto in via indiretta dal reato di pericolo presunto ed occorre ricavare da tutto il sistema attraverso la distinzione fra pregiudizio (art. 7 l. n. 1497 del 1939 ora art. 151 T.U. n. 490 del 1999) ed alterazione un contenuto limitato di detto termine, riferentesi alle modificazioni, anche minime, ma apprezzabili del paesaggio, tanto più che i casi eccettuati attengono ad interventi edilizi penalmente irrilevanti, per i quali, però, in materia paesaggistica è richiesta la non alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici, ed ad attività considerate con particolare favore dalla legislazione paesistica qual è quella agro-silvo pastorale, per il cui legittimo svolgimento, tuttavia, sono richieste alcune rigorose condizioni (vedi Cass. sez. 3^ 17 novembre 1995 n. 11252, Camilli rv. 203546 e Cass. sez. 3^ 10 febbraio 1999, Fava in cui si evidenzia che "ai commi quarto ed ottavo ha stabilito, oltre ad una disciplina di favore per le attività agro - silvo - pastorali, la possibilità di eseguire senza autorizzazione paesaggistica in tutte le zone del territorio una serie di interventi edilizi minimali, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. Da questa espressione normativa balza evidente la differenza tra pregiudizio .. ed alterazione").
Pertanto, anche nella decisione, che in maniera più diffusa ha trattato l'argomento (Cass. sez. 3^ ud. 11 aprile 2002, Migliore non massimata, ma pubblicata in varie riviste), si evidenzia che, in generale, si deve trattare di opere interne, ad esempio ad un cortile, o costituenti un vulnus transeunte oppure molto modesto e che l'accertamento del giudice di merito non è modificabile, ove sia non manifestamente infondato.
Peraltro, nella fattispecie in esame, non solo si tratta di opere esterne di non modesto impatto, ma lo stesso giudice di merito afferma esserci stata una pesante alterazione dell'ambiente montano. Del tutto non consentite in sede di legittimità e, perciò, inammissibili sono le censure relative ad una differente valutazione delle risultanze processuali ed al riferimento ad atti, anche se rappresentate come manifesta illogicità della motivazione del tutto insussistente a riguardo.
Per quel che concerne la responsabilità del Tovo, questi è indicato nell'impugnata sentenza come direttore dei lavori e delegato dall'organo politico - amministrativo della Comunità montana per tutti gli aspetti tecnici, sicché su di lui grava una posizione di garanzia circa la regolare esecuzione dell'opera, onde, solo seguendo la procedura di cui all'art. 6 l. n. 47 del 1985, che impone un obbligo di comunicazione e di rinuncia all'incarico, qualora si tratti di totale difformità o di variazioni essenziali, può andare esente da responsabilità, tanto più che si è in presenza di un reato permanente (cfr. Cass. sez. 3^ 3 marzo 2003 n. 9538, Pedranzini ed altri rv. 223818), anche se la disciplina su richiamata si riferisce in particolare ai reati urbanistici (cfr. Cass. sez. 3^ ud. 28 novembre 2002 dep. 23 gennaio 2003, Gentili e Moretti). Del resto, la posizione di garanzia assunta da questo professionista e le speciali cause di esonero da responsabilità, stabilite dall'art. 6 l. n. 47 del 1985 con riferimento alla disciplina urbanistica, ampiamente giustificano una simile analisi esegetica (cfr. Cass. sez. 3^ ud. 22 gennaio 2003 dep. 20 marzo 2003, Lencini Lorenzo ed altri), anche con riferimento ad un concorso di persone. Peraltro, ove erroneamente il giudice di merito abbia attribuito la qualifica di direttore dei lavori al Tovo, giacché appare tale solo per controllare la regolare esecuzione del contratto di appalto, la responsabilità discenderebbe dalla delega attribuita anche dalla legge per la nota distinzione tra organi politico - amministrativi e tecnici dell'ente pubblico, giacché, nella fattispecie, esisteva un obbligo di vigilanza e non erano necessarie impegnative di spesa ed autonomia finanziaria.
Inoltre, poiché si è in presenza di un reato comune e non a soggettività ristretta (Cass. sez. 3^ 26 agosto 1994 n. 9229, Silvestri rv. 198794), l'essere stato il Tovo il progettista, il funzionario tecnico delegato al controllo dell'esecuzione delle opere da parte dell'appaltatore, chi conosceva lo stato dei luoghi ed era presente in loco, ed il redattore della relazione e della variante dell'agosto 1999 sulle opere già eseguite in quella data e su altre da effettuare (cfr. interrogatorio riferito in sentenza) appaiono tutta una serie di indizi gravi precisi e concordanti per ritenere sussistente un suo concorso nel reato ed, al limite, una sua cooperazione colposa.
Infine, lo stesso difensore, in sede di discussione, non ha contestato la qualità di direttore dei lavori di detto ricorrente, sebbene sia sempre possibile il permanere dell'equivoco derivante da una stessa dizione lessicale per due differenti funzioni: quella di organo tecnico cui incombe il controllo e la vigilanza sulla conformità dell'opera a quanto assentito e quella di rappresentante dell'ente appaltante con lo specifico compito di tutelare l'esecuzione a regola d'arte in conformità al capitolato di appalto. P.Q.M.
Qualificato il fatto come reato di cui all'art. 163 d. l.vo n. 490 del 1999 in relazione all'art. 20 lett. c) l. n. 47 del 1985, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2004. Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2004