Cass. Sez. III n. 22181 del 8 giugno 2022 (UP 7 apr 2022)
Pres. Andreazza Est. Pazienza Ric. Bibbiani
Urbanistica.Abusi edilizi e particolare tenuità del fatto

Per ciò che concerne le violazioni urbanistiche e paesaggistiche, ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis c.p. deve ritenersi che la consistenza dell'intervento abusivo (tipologia di intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive) costituisce solo uno dei parametri di valutazione. Riguardo agli aspetti urbanistici, in particolare, assumono rilievo anche altri elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente (ad es. l'ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell'intervento. Indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è, inoltre, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/01/2021, la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore, in data 17/01/2019, con la quale BIBBIANI Anna era stata condannata alla pena di giustizia in relazione ai delitti di cui agli artt. 44 lett. b (così diversamente qualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 44 lett. c), 64-71, 65-72 d.P.R. n. 380 del 2001, come rispettivamente meglio specificato ai capi 1, 2 e 3 della rubrica (la BIBBIANI era stata invece assolta dalle ulteriori imputazioni di cui ai capi 4, 5 e 6, che nell’ipotesi accusatoria – non confermata in dibattimento – presupponevano la collocazione dell’immobile in zona vincolata).
2. Ricorre per cassazione la BIBBIANI a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento all’applicazione della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 83, comma 4, d.l. n. 18 del 2020. Si evidenzia che, nel periodo in questione, non erano state celebrate udienze con conseguente inapplicabilità della predetta disposizione, come statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità. Si lamenta l’insufficiente risposta alle censure svolte in appello, rilevandosi che non era stato sufficientemente provato né chiarito se gli interventi realizzati potessero essere ritenuti opere in ampliamento del preesistente corpo di fabbrica o se fossero semplicemente destinati alla parziale demolizione dei solai preesistenti. Si censura il generico riferimento ai rilievi fotografici e alle dichiarazioni del teste, nonché il carattere apodittico della condotta asseritamente simulatoria posta in essere dalla BIBBIANI attraverso la presentazione della SCIA.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Si censura il carattere vago e incerto della motivazione. Si lamenta ancora l’assoluzione della BIBBIANI dal reato di cui al capo 4 pronunciata ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., anziché del primo, data l’assenza di vincoli nella zona.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla prescrizione del reato, deducibile in sede di legittimità.
3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, evidenziando l’irrilevanza della questione sollevata in ordine alla sospensione della prescrizione, e la correttezza della motivazione adottata dalla Corte d’Appello per respingere la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
2. Con il primo motivo di ricorso, la BIBBIANI, a mezzo del proprio difensore, rileva l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Salerno, la quale, nel calcolare i termini di prescrizione dei reati de quo, ha tenuto conto dei sessantaquattro giorni di sospensione di cui al comma 4 dell’art. 83 d.l. 17 marzo 2020 n. 18, nonostante nel periodo dal 09/03/2020 all’11/05/2020 non era stata fissata udienza, né era decorso alcun termine processuale.
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, infatti, «in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale» (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432 – 02, sentenza in cui la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all'art. 83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia).
Invero, il mancato rispetto da parte della Corte d’Appello di Salerno del principio espresso dalle Sezioni Unite sopra citate (delle quali, peraltro, al momento della pronuncia, era nota soltanto l’informazione provvisoria, essendo stata la motivazione depositata il 10/02/2021, e quindi in data successiva alla sentenza di secondo grado) non è tale da comportare l’annullamento della sentenza impugnata, in quanto tale discostamento non ha certamente avuto influenza decisiva sul dispositivo (v. art. 619 cod. proc. pen.).
Occorre, infatti, rilevare che, pur escludendo dal calcolo della prescrizione i suddetti sessantaquattro giorni di sospensione, il termine prescrizionale per i reati oggetto del presente procedimento sarebbe spirato l’11/08/2021 e quindi comunque dopo la sentenza della Corte d’Appello, la quale è pertanto tempestiva, poiché pronunciata in data 18/01/2021 e depositata il 7/04/2021.
3. A quanto detto si aggiunga che non può essere accolto neppure il quarto motivo, con il quale la ricorrente sollecita la declaratoria di estinzione dei reati in ragione dell’intervenuta prescrizione degli stessi, sottolineando la certa possibilità di far valere tale doglianza in sede di legittimità anche con unico motivo.
Invero, la giurisprudenza richiamata nel ricorso si riferisce all’ipotesi in cui la prescrizione sia maturata prima della sentenza di appello e non sia stata né dedotta dalle parti né rilevata dal giudice (in questo senso si veda Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819 – 01, sentenza alla luce della quale «è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen.»).
Nel caso di specie, invece, la prescrizione dei reati, maturata dopo la sentenza di appello, non può essere dichiarata in questa sede a fronte di un ricorso che, essendo – come si vedrà – per il resto inammissibile, è inidoneo a radicare validamente il rapporto processuale (si veda in tal senso Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01, sentenza resa in un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso e alla luce della quale «l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.»).
4. Quanto al secondo motivo di ricorso, è da ritenersi inammissibile, poiché manifestamente infondato.
Occorre preliminarmente richiamare quella giurisprudenza di legittimità alla stregua della quale «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, a fronte di una doppia conforme di condanna – relativamente ai capi 1, 2 e 3 - il complesso motivazionale di entrambi i gradi di giudizio delinea una ricostruzione dei fatti pienamente coerente a livello logico, con la quale il ricorso non si confronta.
Nella specie, come affermato dal giudice di primo grado (v. pp. 3-4 della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore) e ribadito dal giudice d’appello (v. p. 4 della sentenza della Corte d’Appello di Salerno), a partire dai rilievi fotografici nonché dalle dichiarazioni dei vari testimoni, emerge chiaramente, ed in termini del tutto certi, la realizzazione delle opere edilizie di cui ai capi di imputazione in assenza del necessario titolo abilitativo (non essendo sufficiente la presentazione della SCIA – nella quale peraltro si dichiarava di voler realizzare lavori di frazionamento verticale - per realizzare invece l’accrescimento del volume dell’edificio). Il Tribunale di Nocera Inferiore aveva, inoltre, chiaramente precisato che la realizzazione di due solai in cemento armato, così come descritti dal teste PROTA, andasse necessariamente ricondotta al concetto di nuova costruzione, per realizzare la quale occorre un idoneo titolo abilitativo (v. p. 5 della sentenza di primo grado).
5. La ricorrente si duole, inoltre, della mancata applicazione nel caso di specie della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Occorre preliminarmente precisare che, con riguardo specifico all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. alle violazioni urbanistiche, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato che «in tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell'alveo del comportamento abituale che preclude l'applicazione di cui all'art. 131-bis cod. pen., anche se importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza» (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265448 – 01, fattispecie relativa a reati edilizi e paesaggistici).
In motivazione è stato chiarito che «per ciò che concerne, in particolare, le violazioni urbanistiche e paesaggistiche, che qui interessano, deve ritenersi che la consistenza dell'intervento abusivo (tipologia di intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive) costituisce solo uno dei parametri di valutazione. Riguardo agli aspetti urbanistici, in particolare, assumono rilievo anche altri elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente (ad es. l'ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell'intervento. Indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è, inoltre, come si è accennato in precedenza, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali)» (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, cit.).
In termini ancora più netti, la recente giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito che «in tema di violazioni urbanistiche, quando la consistenza dell'opera è tale da escludere in radice l'esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice nega l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.» (Sez. 3, n. 33414 del 04/03/2021, Riillo, Rv. 282328 – 01, sentenza pronunciata con riguardo ad una fattispecie relativa ad un fabbricato a due piani in cemento armato, in zona sismica e totalmente abusivo).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha motivato in modo esaustivo ed in termini logicamente coerenti, valorizzando la gravità dei fatti non solo sul piano oggettivo (posto che l’imputata aveva intrapreso i lavori per raddoppiare la volumetria del suo fabbricato), ma anche su quello soggettivo (trattandosi di condotta posta in essere con particolare scaltrezza, in quanto realizzata mediante la presentazione di una SCIA nella quale si segnalava l’inizio di un’attività volta soltanto a dividere il fabbricato, mentre in realtà lo si voleva accrescere: v. p. 4 della sentenza di appello).
6. La ricorrente si duole, altresì, dell’errore in cui sarebbe incorsa l’autorità giurisdizionale nell’assolvere la BIBBIANI dal reato di cui al capo 4 con la formula di cui al comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen., anziché con quella di cui all’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., come è invece avvenuto per i capi 5 e 6 dell’imputazione.
Rispetto a tale doglianza, assorbente è l’insussistenza d’interesse dell’odierna ricorrente, così come precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, alla luce della quale «non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione, pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. - per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova – al fine di ottenere una pronuncia ai sensi del primo comma dello stesso articolo, in quanto tale formula assolutoria non comporta una maggior pregnanza neanche in ordine agli effetti extrapenali» (Sez. 4, n. 41369 del 19/06/2018, R., Rv. 274033 – 01).
7. Per le ragioni sopra esposte si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 7 aprile 2022