Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3670, del 10 luglio 2013
Urbanistica.Definizione di argine

Il termine “argine” comprende nel suo ambito tutti quei baluardi, anche naturali od occasionali, i quali esistono a difesa del corso delle acque e comunque servono ad impedire le alluvioni derivanti dalla formazione delle piene. Il divieto di costruzione nella fascia di m. 10 dall’argine tende, da un lato, ad evitare che la realizzazione di manufatti alteri lo stato attuale degli elementi e delle pertinenza idriche, sia per conservarne la sagoma effettiva, sia per permettere il necessario controllo dell’andamento del bacino, e ciò sia nel suo assetto, sia nel naturale deflusso delle acque e, dall’altro, a consentire una tempestiva e libera effettuazione dei lavori di manutenzione e di riparazione che possono occorrere sulle opere idrauliche esistenti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03670/2013REG.PROV.COLL.

N. 03727/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 3727 del 2006, proposto da
Istituto Oblati di Maria Vergine, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alessio Petretti, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni n. 268/A, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Chiavari, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione prima, n. 304 del giorno 1 marzo 2005.;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Diego Sabatino e udito per lae parte appellantei l’avvocato Alessio Petretti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso iscritto al n. 3727 del 2006, l’Istituto Oblati di Maria Vergine con sede in Roma propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione prima, n. 304 del giorno 1 marzo 2005, con la quale è stato respinto il recante reiezione del ricorso notificato il 2 febbraio 1994, proposto contro il Comune di Chiavari per l'annullamento del provvedimento emesso l’11.11.93 prot.n.36655 con il quale il commissario prefettizio ha disposto l’annullamento d’ufficio della concessione in sanatoria prot.n.87/17625 del 16.12.91, limitatamente alla porzione di immobile ricadente nella fascia di m. 10 dall’argine del torrente Rupinaro.

Dinanzi al giudice di prime cure, con ricorso notificato il 2 febbraio 1994, l’Istituto Oblati di Maria Vergine con sede in Roma impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento indicato in epigrafe con il quale il commissario prefettizio al comune di Chiavari aveva disposto l’annullamento d’ufficio della concessione in sanatoria prot.n.87/17625 del 16.12.91 rilasciata al predetto Istituto limitatamente alla porzione di immobile ricadente nella fascia di m. 10 dall’argine del torrente Rupinaro.

Venivano dedotti i seguenti motivi:

1.Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 L. 10/77. Sviamento di potere. L’atto impugnato si qualifica come annullamento d’ufficio, ma in realtà lo si deve configurare come una vera e propria revoca, in quanto esso deriva dall’apprezzamento diverso della situazione giuridica che aveva dato nuovo la sua emanazione.

2. Difetto di motivazione ed eccesso di potere per incongruità e contraddittorietà. Il provvedimento sembra essere stato assunto sulla base del parere rilasciato dal Consiglio di Stato sull’interpretazione dell’art.96 lett. f R.D. 25.7.04 n.523 riguardo all’assoluta inderogabilità del divieto di edificazione nella fascia di rispetto di m. 10 dagli argini dei corsi d’acqua pubblici; in realtà il provvedimento scaturisce dalla diversa configurazione del concetto di argine ai fini dell’applicazione della norma in questione. La motivazione è quindi del tutto contraddittoria, vista l’irrevocabilità delle concessioni edilizie.

3. Difetto di motivazione ed eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà. La realizzazione del manufatto in questione risale alla fine degli anni ’60 e, vista tale risalenza, la P.A. doveva indicare l’interesse pubblico attuale concreto alla rimozione dell’atto, dato che nello spazio di 10 m. dal torrente Rupinaro vi sono molte altre costruzioni.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art.96 lett. f R.D. 25.7.04 n.523. Eccesso di potere per carenza di motivazione. Il torrente Rupinaro è sprovvisto di argini, intesi questi quali ostacoli realizzati dall’uomo allo scopo di impedire le alluvioni derivanti dalla formazione delle piene. Perciò è errata l’interpretazione che fa decorrere la distanza in questione dal ciglio dell’acqua.

5. Violazione e falsa applicazione dell’art.96 lett. f R.D. 25.7.04 n.523. La norma in rubrica impone alle costruzioni una distanza non inferiore a dieci metri dal piede degli argini in assenza di disciplina locale; il provvedimento impugnato non contiene alcun riferimento all’eventuale carenza di tale disciplina.

6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 L. 47/85 e carenza di motivazione. Il provvedimento impugnato pone un termine al ricorrente per ottenere il parere necessario atto a rimuovere il vizio della concessione edilizia, facendo ricadere così l’inerzia dell’ufficio tenuto a rilasciare il parere sull’Istituto medesimo.

Il ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

In assenza di costituzione dell’intimato Comune di Chiavari, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla nozione di argine utilizzata e alla sua applicabilità alla fattispecie in esame.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie doglianze.

Alla pubblica udienza del 14 maggio 2013, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - Con il primo motivo di diritto, viene dedotta l’errata interpretazione del provvedimento in esame, erroneamente ricondotto alla fattispecie dell’annullamento, dove invece si tratterebbea di una revoca del precedente titolo abilitativo, e quindi di una tipologia di provvedimento di secondo grado non applicabile all’edilizia.

2.1. - La doglianza non ha pregio.

Premesso che la natura del provvedimento deve essere ponderata in relazione ai suoi elementi essenziali e, soprattutto, in rapporto al potere concretamente esercitato, appare del tutto corretta la valutazione operata dal primo giudice, che ha qualificato l’atto gravato come atto di autoannullamento. Infatti, ilIl provvedimento impugnato consiste, infatti, nella valutazione dell’inesistenza dei presupposti per il rilascio del titolo, visto che l’amministrazione evidenzia, da un lato, invoca la violazione del limite della distanza delle costruzioni dagli argini dei corsi d’acqua e, dall’altro, lamenta l’assenza del nulla osta idraulico da parte dell’autorità competente.

Pertanto, se è vero che la revoca non è applicabile ai provvedimenti in tema di edilizia, stante la particolare connotazione che tale istituto assume in questo contesto (e come implicitamente previsto dall’art. 15 comma 4 del d.P.R. n. 380 del 2001), è altresì vero che in questo caso il permesso rilasciato veniva sindacato non già per fatti sopravvenuti, ma per fatti coevi al suo rilascio, e che avrebbero dovuto impedirne la sua immissione nel circuito giuridico.

Si tratta quindi in definitiva di un atto di autoannullamento, e quindi del tutto “predicabile”, dunque, in relazione al titolo edilizio rilasciato.

3. - Con il secondo motivo, meglio precisato nel quarto in relazione ai suoi contenuti, viene lamentato il difetto di motivazione del provvedimento, atteso che le vere ragioni non sarebbero quelle espresse, ossia l’inderogabilità della fascia di rispetto prevista dalla legge, ma l’erronea applicazione dell’art. 96 lett. f) R.D. 25.7.04 n.523, poiché nella specie il torrente Rupinaro, appunto interessato dalla costruzione, sarebbe privo di argini.

3.1. - Le ragioni considerazioni non hanno pregio.

In merito al contenuto della motivazione, va ricordato come il tema sia oramai improntato, a livello giurisprudenziale e dottrinale, ad una valutazione funzionale degli obblighi spettanti alla pubblica amministrazione. Superando l’e impostazionie delle teorie formali, la giurisprudenza afferma che la motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico e giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento, controllando, quindi, il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, le proprie ragioni. Pertanto, la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non viene meno per il fatto che nel provvedimento amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le ragioni sottese alla scelta fatta dalla pubblica amministrazione, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento, e ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall'art. 97 cost. (da ultimo Consiglio di Stato IV, 30 maggio 2005, n. 2770; conformemente id., 14 febbraio 2005 , n. 435; id. V, 20 ottobre 2004, n. 6814).

Ove quindi la decisione amministrativa risulti motivata, nel senso giuridico e nella decisione tecnica, dalla lettura non del solo provvedimento, ma degli atti del procedimento comunque noti o conoscibili dal privato, le doglianze sul difetto di motivazione dell’atto conclusivo non possono essere accolte.

Nel caso in specie, appare del tutto palmare che la decisione di autoannullare il provvedimento sia dovuta all’effettiva costruzione in una fascia di rispetto, e che quindi l’esatta individuazione dei limiti della fascia di rispetto era elemento pregiudiziale, dal punto di vista giuridico, per l’emissione dell’atto, atteso che, una volta assodata l’esistenza di tale costruzione, l’attivazione dei poteri di secondo grado dell’amministrazione era dovuta.

Pertanto, correttamente, il provvedimento si è fondato su tale nuova valutazione del concetto di argine che, sebbene gravata dalla parte con il quarto motivo di ricorso, appare del tutto condivisibile.

Infatti, come già il giudice di prime cure, anche la Sezione ritiene fondatao l’argomentazione contenuta nel parere rilasciato dal Consiglio di Stato in sede consultiva e richiamato nelle premesse del provvedimento impugnato.

La lettura dell’articolato evidenzia, infatti, come la Sezione consultiva non si sia solamente soffermata suad una lettura problematica del testo normativo, dove i termini di “argine”, “ripa” e “sponda” appaiono in contesti diversi, ma si è addentrata nelle ragioni di tali suddivisioni, giungendo alla condivisibile conclusione per cui il termine “argine” comprende nel suo ambito tutti quei baluardi, anche naturali od occasionali, i quali esistono a difesa del corso delle acque e comunque servono ad impedire le alluvioni derivanti dalla formazione delle piene. Ciò in un’ottica funzionalistica, in quanto il divieto di costruzione tende, da un lato, ad evitare che la realizzazione di manufatti alteri lo stato attuale degli elementi e delle pertinenza idriche, sia per conservarne la sagoma effettiva, sia per permettere il necessario controllo dell’andamento del bacino, e ciò vuoisia nel suo assetto, vuoi sia nel naturale deflusso delle acque e, dall’altro, a consentire una tempestiva e libera effettuazione dei lavori di manutenzione e di riparazione che possono occorrere sulle opere idrauliche esistenti.

Le censure vanno quindi respinte.

4. - Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la mancata giustificazione dell’interesse pubblico che ha giustificato il provvedimento di ritiro, anche in relazione alla circostanza che l’area de qua era comunque stata oggetto di altre costruzioni.

4.1. - La doglianza va respinta.

In relazione all’ipotesi giustificativa dell’esistenza di altri fabbricati costruiti all’interno della zona di salvaguardia, va evidenziato come tale elemento si palesi del tutto in conferente, non potendosi giustificare una situazione di illegittimità sulla scorta della presenza di altre illegittimità parimenti sanzionabili.

Del pari, non appare è necessaria una particolare valutazione dell’esistenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’opera abusiva, sia in rapporto alla sua permanenza e quindi all’attualità della lesione all’interesse alla corretta esplicazione del governo del territorio, sia in rapporto alle esigenze di tutela degli argini, evidenziate nel motivo che precede.

5. - Con il quinto motivo, l’appellante reitera la doglianza sull’inapplicabilità della normativa statale in questione, che vige solamente in assenza di disciplina locale.

5.1. - La doglianza non ha pregio

Come ben evidenziato dal giudice di prime cure, il commissario prefettizio presso il Comune di Chiavari ha applicato la normativa statale vigente, ma il mancato richiamo alla disciplina locale non è elemento in sé idoneo a dimostrare una lacuna nel provvedimento. E, infatti, la controparte non allega (né tanto meno prova) l’esistenza del fatto in esame, ossia l’esistenza di tale disciplina, per cui l’illegittimità dell’atto viene collegata ad un elemento ipotetico, ossia alla vigenza di altre disposizioni che non sono per nulla emerse, né in fase procedimentale, né in fase processuale.

6. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Nulla per le spese processuali, stante la mancata costituzione della controparte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 3727 del 2006;

2. Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)