Cass. Sez. III n. 47639 del 31 dicembre 2024 (CC 28 nov 2024)
Pres. Ramacci Rel. Corbetta Ric. Fasano
Urbanistica.Condono edilizio e artificioso frazionamento della domanda

In tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di Mario Fasano e di Rosa Barbato avente ad aggetto la sospensione e/o la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in relazione alla sentenza resa ex art. 444 cod. proc. pen. dal Pretore di Napoli il 7 ottobre 1997, con cui è stata applicata, agli odierni istanti, la pena concordata per i reati di violazione dei sigilli e di abuso edilizio, con il conseguente ordine di demolizione delle opere abusive.

2. Avverso l’indicata ordinanza, Mario Fasano e Rosa Barbato, per il ministero del comune difensore di fiducia, con un unico atto hanno proposto ricorso per cassazione, che deduce, con un unico motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 39 e 43 l. n. 724 del 1994 e travisamento della prova. 
Espone il difensore che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, i permessi rilasciati agli istanti sono legittimi, non essendo riscontrabile, nella specie, l’elusione del limite volumetrico, in quanto le domande di sanatoria sono state presentate da soggetti diversi e in riferimento a unità immobiliari preesistenti sin dall’origine quali corpi di fabbrica distinti con specifici subalterni. Sotto altro profilo, l’ordina impugnata è viziata da illogicità manifesta laddove esclude la possibilità di conformare le opere al limite volumetrico, in quanto non tiene conto della circolare del Ministero delle infrastrutture n. 2699 del 7 dicembre 2005, la quale, tra l’altro, dispone che “il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è condizionato dall'effettiva esecuzione delle demolizioni, che deve avvenire con le modalità indicate dalle norme relative al completamento delle opere abusive (art. 35, comma 14, della legge n. 47/1985). Qualora, invece, non risulti oggettivamente possibile la demolizione delle opere eccedenti il suddetto limite, la sanatoria sarà preclusa”; nel caso in esame, rappresenta il difensore che i ricorrenti hanno completamente eliminato il volume, ritenuto eccedente, relativo al piano seminterrato.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili, essendo riproduttivi di censure che il giudice dell’esecuzione ha rigettato con una motivazione pienamente conforme ai consolidati principi elaborati da questa Sezione in subiecta materia e immune da criticità logiche, con la quale i ricorrenti omettono di confrontarsi criticamente.

2. Si rammenta che l’applicazione del condono previsto dall’art. 32, comma 25, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. da l. 24 novembre 2003, n. 326 esige, tra l’altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura: 750 mc. in relazione a ciascuna unità abitativa, e 3.000 mc. in relazione all’intera costruzione.
A tal proposito, questa Corte ha costantemente interpretato l’art. 39, comma 1, l. n. 724 del 1994 nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio (ex multis, cfr. Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292; Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643; Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, Rv. 223861; Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592).
Dalle considerazioni che precedono, ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015, Esposito, Rv. 263639). Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, perché, diversamente, si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella di sanare abusi modesti.
In altri termini, nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall'art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria (Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019, Caputo, Rv. 276084).
Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280: fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l'immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto).
Di conseguenza, va riaffermato il principio giusto il quale, in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto (da ultimo, Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022,  Vicale, Rv. 282887: fattispecie relativa a nuova costruzione avente volumetria complessiva di circa 2.200 mc., composta da quattro unità immobiliari, rispetto alla quale risultavano presentate, da soggetti diversi dall'autore dell'edificazione, due istanze di condono per unità di volumetria inferiore a 750 mc.; Sez. 4, n. 10017 del 03/03/2021, P.G., Rv. 280700; Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019, Caputo, Rv. 276084).

3. Nel caso in esame, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi ora evocati, evidenziando che la presentazione di quattro istanze di condono, relative a distinte unità immobiliari, da parte di  Giuseppina Forina, Maria Maddalena De Nitto, Paolo Fasano e Mario Fasano, costituiva un artificioso frazionamento della domanda, posto che l’ordine di demolizione si riferiva, come risulta dalla sentenza irrevocabile di condanna, al “corpo di fabbrica in c.a. di circa mq. 330 articolato su tre livelli con ricavo al piano rialzato e al primo piano di due unità immobiliari per piano. Il tutto munito di cassa scala”.
Il Tribunale ha perciò correttamente escluso rilevanza al fatto che il Comune di Napoli abbia rilasciato i provvedimenti di condono, i quali, compiendo una valutazione parcellizzata dell’unico manufatto complessivamente considerato, sono stati evidentemente emessi al di fuori dei presupposti di legge, in quanto, in considerazione delle volumetrie indicate dai ricorrenti nelle domande di condono (analiticamente riportate a p. 2 dell’ordinanza impugnata), il limite di 750 mc. risulta ampiamente superato.

4. Ad abundantiam, il Tribunale ha ravvisato un ulteriore e concorrente profilo di illegittimità del condono. 
Dalle dichiarazioni rese dall’arch. Limoncelli, dell’ufficio tecnico del Comune di Napoli, è emerso, infatti, che in due delle unità immobiliari è stata riscontrata l’esistenza di due piccole verandine, oltre che lo spostamento di due bucature rispetto a quanto oggetto di condono, che erano state successivamente ripristinate dagli imputati su richiesta del Comune.
Orbene, come esattamente ritenuto dal Tribunale, tali opere o erano già esistenti al momento della presentazione del condono, oppure sono state realizzare in epoca successiva al 31 dicembre 1993, termine ultimo per la presentazione dell’istanza di condono, aggiungendo altri volumi illegittimamente edificati a quelli, parimenti illegittimi, indicati nelle istanze di condono.
In entrambi i casi, l’ulteriore realizzazione di tali manufatti avrebbe imposto all’autorità preposta al rilascio del condono il rigetto della domanda, a nulla rilevando, in senso contrario che i ricorrente abbiano in seguito ripristinato l’immobile onde renderlo conforme allo stato dei luoghi indicato nelle richieste di condono.
A tal proposito, va ribadito il principio, costantemente affermato da questa Sezione e correttamente richiamato dal Tribunale, secondo cui la volumetria eccedente i limiti previsti dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge (Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, Rv. 282163).
Invero, il chiaro tenore dell'art. 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, consente la sanatoria delle sole opere ultimate che possedessero, alla data indicata del 31 dicembre 1993, i requisiti da essa previsti, non essendo ovviamente consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in parola. Le uniche possibilità di successivo intervento sugli stessi, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle previste dall'art. 35, comma 14, I. 28 febbraio 1985, n. 47 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive) e dall'art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (per analoghi rilievi cfr., nella giurisprudenza amministrativa (Sez. 3, n. 11413 del 29/02/2024, non massimata, e Cons. St., sent. n. 665 del 01/02/2018), situazioni che certamente non ricorrono nel caso di specie.

5. Una conclusione del genere non è affatto smentita dalla circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005, evocata dai ricorrenti, con la quale è stata riconosciuta la condonabilità delle nuove costruzioni a destinazione non residenziale, esclusa invece dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003.
Richiamando, infatti, quanto già evidenziato dalle Sezioni Unite civili - secondo cui la circolare con la quale l'Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell'amministrazione non vincolante per il contribuente, oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l'ha emanata e per il giudice (Sez. U, n. 23031 del 02/11/2007, Rv. 599750) -, questa Sezione ha affermato il principio, qui da confermare, secondo cui la circolare in esame, rappresentando un atto interno alla P.A., si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, e, quindi, non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo (Sez. 3, n. 6619 del 07/02/2012, Zampano, Rv. 252541; in senso conforme, Sez. 3, n. 19330, 17/05/2011).

6. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/11/2024.