Cass. Sez. III n. 44596 del 24 ottobre 2016 (Cc 20 mag 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Aceto Imputato: Boccia
Urbanistica.Condono edilizio e singole domande riferite a parti di unico edificio

In materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un'unica concessione in sanatoria, onde evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l'immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto).

 RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. B.G. ricorre per l'annullamento dell'ordinanza in epigrafe indicata con cui il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, sul rilievo del superamento dei limiti volumetrici dell'opera abusivamente realizzata, ha respinto l'istanza di revoca/sospensione dell'ordine di demolizione dell'immobile sito in (OMISSIS), ingiunto dal PM in esecuzione della sentenza di condanna del 30/01/1997 del Pretore di Napoli.

1.1.Con il primo motivo eccepisce l'inosservanza o comunque l'erronea applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c., nonchè vizio di mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, e violazione del contraddittorio.

Deduce, al riguardo, che il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione la deliberazione consiliare n. 612 del 13/08/2014 del Comune di Napoli con la quale sono state definite le procedure in "autocertificazione" e per l'integrazione della documentazione a corredo delle domande di condono. Si tratta, spiega, di documentazione decisiva ai fini dell'ammissibilità delle domande di condono e della loro suscettibilità ad essere integrate, documentazione prodotta all'udienza camerale ma del tutto ignorata dal Giudice dell'esecuzione, con grave violazione del diritto al contraddittorio.

1.2.Con il secondo motivo eccepisce l'inosservanza o comunque l'erronea applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 39, nonchè vizio di mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione rispetto agli elementi di fatto indicati nell'istanza di revoca dell'ordine di demolizione. Eccepisce, altresì, l'inosservanza o comunque l'erronea applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 31, richiamato dalla L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, in ordine alla individuazione dei soggetti legittimati a presentare la domanda di concessione in sanatoria.

Deduce, al riguardo, che il rigetto dell'istanza è fondato sull'erronea interpretazione dei limiti dimensionali dell'immobile che la L. n. 724, art. 39, comma 1, cit., come autenticamente interpretato anche dalla Circolare Min. Lav. Pubblici del 17/06/1995, n. 2241, ricollega alla singola richiesta di concessione in sanatoria e alla singola unità immobiliare, con esclusione dell'opera nel suo complesso. Erra, inoltre, il Giudice a ritenere non legittimati i figli del proprietario, in quanto detentori delle singole unità immobiliari, a conseguire il titolo abilitativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

3. Premesso che il Giudice dell'esecuzione non ha mai espressamente negato la legittimazione dei figli del ricorrente a chiedere la concessione in sanatoria (trattandosi di questione estranea al giudizio) e che non è chiara la rilevanza, ai fini del decidere, della documentazione di cui il ricorrente lamenta l'omesso esame, il Tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda di sospensione dell'ordine di demolizione sul decisivo (ed unico) rilievo che l'immobile del quale si chiede la sanatoria ha complessivamente un volume pari a 2640 mc., che eccede il limite previsto dalla citata L. n. 724, art. 39, trattandosi di un edificio unico realizzato esclusivamente dal B.G..

3.1. La L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 1, prevede la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria cd. speciale per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonchè per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia.

3.2.Questa Corte ha sempre interpretato la norma in questione nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la "ratio" della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio (Sez. 3, n. 1454 del 25/11/1998 - dep. il 04/02/1999, Valio, Rv. 212382; Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280; Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592; Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, Rv. 223861; Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Cantiello, Rv. 259292).

3.3.Occorre peraltro dar conto anche dell'autorevole interpretazione fornita dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 724, cit., art. 39, comma 1, sulla premessa che "il limite di "750 metri cubi" trova un temperamento nelle nuove costruzioni (e solo per queste), anche perchè per i nuovi edifici non è possibile un raffronto con una costruzione originaria", ha spiegato che la possibilità (definita "derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione") di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, presuppone ipotesi di legittima ed ammissibile scissione della domanda di sanatoria per effetto della suddivisione della costruzione o limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria. "I casi - afferma la Corte - possono essere molteplici: proprietà di parte della costruzione a seguito di alienazione o di singole opere da sanare (L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31, comma 1) o titolarità di diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile), titolarità di diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere (L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 3, in relazione alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4) o ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria (L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 3), come l'istituto di credito mutuario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile. Ciascuno dei soggetti, come sopra specificati, può presentare la domanda di sanatoria per le porzioni di immobile per le quali è legittimato, ed è questa l'unica possibilità, cui logicamente può riferirsi la deroga, in quanto la concessione edilizia deve essere necessariamente unica per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, quando si riferisce a nuova costruzione, e solo eccezionalmente può operarsi una scissione quando esiste una norma che legittima in maniera differenziata soggetti diversi dal costruttore.

Di conseguenza uno stesso soggetto legittimato non può utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il limite di volumetria previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, dovendosi, in tal caso, necessariamente unificare le richieste quando si tratti della medesima nuova costruzione da considerarsi in senso unitario.

Potranno, invece, (ed è questa la previsione mirata dal legislatore) aversi una serie di istanze quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, relative per ciascun richiedente alle porzioni di appartenenza anche se comprese in una unica costruzione unitaria: la volumetria dovrà essere calcolata rispetto a ciascuna separata domanda di sanatoria, riunificando, tuttavia, le porzioni dello stesso titolare" (Sentenza n. 302 del 1996).

3.4. Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella di sanare abusi modesti (così, in motivazione, Sez. 3, n. 12353 del 2014, cit. che, peraltro, pronunciandosi in un caso in cui i sei figli dell'unico costruttore dell'immobile abusivo avevano chiesto sei diverse concessioni in sanatoria in relazione alle sei singole unità abitative di cui esso si componeva, ha affermato esser ben possibile la sanabilità di singole porzioni di immobile consistenti in autonome entità abitative, ma la loro cubatura va considerata rispetto al limite massimo consentito dalla legge per l'intero edificio di qui quella singola unità faccia parte. Non basta quindi che la singola unità non ecceda i 750 mc., ma occorre che, globalmente considerato, l'intero edificio che ospita quelle singole unità non superi quei limiti massimi).

3.5.Non hanno quindi rilevanza e non sono decisive le questioni poste dal ricorrente circa la legittimazione dei figli a chiedere ed ottenere la concessione in sanatoria, a maggior ragione se, del resto, egli risulta ancora proprietario unico dell'intero immobile da lui costruito.

4.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.