Cass. Sez. III n. 30424 del 2 agosto 2022 (UP 12 mag 2022)
Pres. Aceto Est. Di Stasi Ric. Renga
Urbanistica.Confisca per lottizzazione abusiva e persona giuridica

In tema di confisca per il reato di lottizzazione abusiva, il principio secondo cui non può essere disposta detta misura nei confronti di una persona giuridica che sia rimasta estranea al giudizio, espresso dall'art. 7 Convenzione EDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU del 28/06/2018 nella causa GIEM S.r.l. e altri contro Italia, è rispettato attraverso la partecipazione della persona giuridica al procedimento di esecuzione, nel quale la stessa può dedurre tutte le questioni, di fatto e di diritto, che avrebbe potuto far valere nel giudizio di merito

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 01/07/2021, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del 05/02/2016 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dichiarava prescritti i reati abuso di ufficio e lottizzazione abusiva contestati ai capi a) e b) ascritti a Baccaro Giuseppe e Natale Antonio, assolveva Renga Antonio dal reato di abuso di ufficio ascrittogli al capo a) perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena nei confronti del predetto in ordine al reato di lottizzazione abusiva cui al capo b) in mesi nove di arresto ed euro 15.000 di ammenda, concedendo la sospensione condizionale della pena; confermava nel resto e condannava gli imputati al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Renga Antonio, Natale Antonio e Baccaro Giuseppe, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.

Natale Antonio propone due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 531,587, 129 cod.pen. e vizio di motivazione in relazione all’art. 587 cod.proc.pen.
Argomenta che la Corte territoriale aveva dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato di cui al capo a) con motivazione giuridicamente non condivisibile perché illogica, argomentando che non emergeva dagli atti la prova evidente della innocenza del Natale Antonio, mentre, sulla base delle stesse evidenze probatorie, aveva assolto il coimputato Renga Antonio con la formula perché il fatto non sussiste.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 531 e 129 cod.proc.pen. in relazione all’art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 e difetto di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di cui all’art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001, senza tener conto che i locali interrati oggetto del reato contestato al capo b) non andavano computati come “volumetria lorda da assentire”, in considerazione dell’art. 2, comma 1 lett. d) della L.Reg. 19/2009, come da giurisprudenza consolidata del TAR Campania; tale rilievo avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale all’emissione di una più favorevole sentenza assolutoria.
Giuseppe Baccaro propone un unico motivo di ricorso, con il quale deduce violazione degli artt. 129 cod.proc.pen. 110 e 323 cod.pen. e contraddittorietà della motivazione.
Argomenta che la Corte territoriale, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di abuso di ufficio contestato al capo a), aveva ritenuto di non applicare la formula più favorevole dell’assoluzione perché il fatto non sussiste, nonostante avesse contestualmente assolto il coimputato Renga Antonio dall’imputazione in concorso del predetto reato; espone che il Tribunale, nel dichiarare Baccaro Giuseppe, progettista dell’intervento edilizio incriminato, responsabile del reato in questione aveva fondato tale affermazione di responsabilità non solo sulla artificiosa redazione della documentazione di cui all’imputazione ma anche sull’esistenza di un preventivo accordo tra questi ed il coimputato Renga Antonio; l’intervenuta assoluzione del Renga, quindi, escludeva ogni possibile ipotesi di accordo illecito tra il privato ed il pubblico ufficiale; inoltre, come ritenuto dal Tribunale, la documentazione incriminata non conteneva alcuna falsificazione circa lo stato dei luoghi, mentre la Core territoriale, con motivazione contradditoria fondava la propria decisione sulle anomalie che avrebbero costellato l’iter amministrativo della vicenda ed un pregresso accordo illecito tra Renga Antonio e Natale Antonio, enunciato incompatibile con l’assoluzione del Renga per non aver commesso il fatto.
Renga Antonio ha proposto quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione per mancato apprezzamento di prove favorevoli al ricorrente.
Espone che la responsabilità del ricorrente per il reato di lottizzazione abusiva era stata affermata con riferimento all’intera sequela procedimentale, in essa includendo sia il permesso di costruire n. 47/2010 che la concessione in sanatoria n. 7/2010; era evidente la contraddittorietà della motivazione in quanto il Renga non solo era stato assolto per non aver commesso il fatto dal reato di abuso di ufficio in concorso con Natale Antonio ma alla data di rilascio della concessione in sanatoria-11 marzo 2010- non era titolare di alcun diritto sulle aree condonate essendone divenuto proprietario solo il 13 aprile 2010, tramite la EUROCASA s.r.l. dallo stesso amministrata.
La Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, aveva ritenuto che la lottizzazione abusiva attuata con la realizzazione degli edifici insistenti sui lotti di terreno acquistati dal Renga si basava sulla illegittimità sia del permesso di costruire n. 47/2010 che della concessione in sanatoria n. 7/2010.
Con riferimento alla concessione in sanatoria i Giudici di appello, rileva che al momento dell’adozione del provvedimento gli immobili oggetto del condono edilizio non erano più esistenti, mentre l’art. 36 d.P.R. 380/2001 richiedeva la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica sia al momento di realizzazione dello stesso che al momento di presentazione della domanda; inoltre, in merito alla impossibilità di determinare esattamente la volumetria esistente all’atto di presentazione della domanda di condono, i Giudici di appello non avevano valutato la cospicua documentazione fotografica e planimetrica prodotta su richiesta dell’ente comunale .
Con riferimento al permesso di costruire, evidenzia che la Corte di merito aveva erroneamente fondato la valutazione di illegittimità su quattro violazione di legge: omessa richiesta di parere favorevole alla Soprintendenza, senza, però, tenere conto che il parere favorevole veniva emesso il 16.3.2011 e che il lotto di terreno non era mai stato raggiunto dalla dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 d.lgs 42/2004; realizzazione dei manufatti in assenza o difformità dal titolo abilitativo perché illegittima la concessione in sanatoria, senza tener conto della giurisprudenza amministrativa che affermava la vocazione urbanistica anche di immobili in totale stato di abbandono; impossibilità di assentire ex art. 7, comma 5, della L. n. 12/2009 le opere descritte nel progetto presentato il 13.5.2010 per impossibilità di determinare la volumetria degli opifici esistenti perché privi della copertura, senza tener conto l’omesso esplicito riferimento nella normativa ad immobili diruti e ruderi non poteva interpretarsi in termini di esclusione; aver assentito la realizzazione di volumetria interrata, desinata a garage e box, perché eccedente quella già esistente, senza tener conto che le circolari del Ministero dei Lavori Pubblici del 23.7.1960 n. 1820 e del 29.1.1967 n. 425 esponevano un criterio di calcolo della volumetria a fini edilizi secondo cui i volumi interrati non contribuivano alla determinazione di tale volumetria, che la legge regionale non prevedeva una deroga al regolamento edilizio dei comuni e che la giurisprudenza amministrativa aveva fatto proprio il predetto criterio di calcolo.
Inoltre, la Corte di appello, in maniera contraddittoria, pur richiamando la giurisprudenza di legittimità che esclude la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in zone completamente urbanizzate, asseriva che la difesa non aveva fornito prova di tale circostanza, nonostante le rilevanze istruttorie comprovassero tale dato fattuale.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380/2001 e vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello erroneamente aveva ritenuto di addebitare al ricorrente un atteggiamento psicologico colposo, pur essendo stato assolto dal reato di abuso di ufficio in concorso con Natale e Baccaro ed emergendo che le condotte di costoro non erano in palese contrasto con il modello legale e men che mai con la prassi amministrativa.
Con il terzo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, lamentando che la confisca era stata disposta in danno della EUROCASA s.r.l. che non era stata parte nel procedimento penale a carico del ricorrente, in contrasto con quanto affermato dalla sentenza 28 giugno 2018 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, causa G.I.E.M. srl contro Italia; inoltre, la Corte di appello non aveva tenuto conto della concorde giurisprudenza di legittimità, secondo cui la disapplicazione di un atto illegittimo è configurabile solo in caso di macroscopica illegittimità dell’atto.
Con il quarto motivo deduce mancato accertamento del requisito di proporzionalità e adeguatezza in elusione del principio di legalità europea, lamentando che la Corte di appello non aveva tenuto conto dei criteri di valutazione enunciati nella sentenza 28 giugno 2018 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, causa G.I.E.M. srl contro Italia dalla e del principio affermato dalle SU Perroni., applicando in maniera automatica ed assoluto la misura ablativa.
Renga Antonio ha, poi, proposto motivi nuovi collegati a quelli già illustrati con i motivi terzo e quarto del ricorso principale, argomentando che la doverosa valutazione del requisito di proporzionalità della confisca da parte del Giudice non deve essere limitato ad un profilo oggettivo (corrispondenza tra aree e manufatti corrispondenti a quelli oggetto di lottizzazione abusiva ) ma deve coinvolgere anche sia un profilo oggettivo in capo a chi subisce anche indirettamente l’ablazione (grado della colpa o comunque nesso psicologico con il reato) che il bilanciamento dell’interesse generale, di stampo urbanistico, con quello particolare del privato; ove non interpretato in tal modo l’art. 44 lett c) dpr n. 380/2001, sarebbe inevitabile sollevare una questione di legittimità costituzionale nella parte in cui non prevede la possibilità di disporre la confisca nel rispetto del principio di proporzionalità, in coerenza con l’entità oggettiva del reato e la colpevolezza dell’agente; ribadisce, inoltre, che la misura ablativa in danno di persona giuridica che non era stata parte nel procedimento penale e che si impone, pertanto, un annullamento con rinvio che consenta al giudice del rinvio di disporre l’integrazione del contraddittorio leso; evidenzia che il diritto dell’Unione preclude l’ablazione dei beni del terzo che non abbia facoltà di intervenire nel giudizio ad essa preposto e che la giurisprudenza europea esclude la compatibilità del diritto interno con le previsioni dell’art. 47 della Carta di Nizza per il solo fatto che un terzo disponga di un rimedio alternativo e complementare ex post, quale un ricorso ad un giudice civile per rivendicare la proprietà.
3. La parte civile ha depositato memoria difensiva con allegata nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso proposti da Natale Antonio e Baccaro Giuseppe, che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono inammissibili.
Va osservato che secondo l'orientamento assolutamente prevalente di questa Corte, che questo Collegio condivide, nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili, dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe, comunque, per il giudice l'obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Tettamanti Rv. 244275; Sez.U, n.28954 del 27/04/2017, Rv.269810; Sez. 2, n.32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973; Sez.6, n.23594 del 19/03/2013, Rv.256625; Sez.5, n.588 del 04/10/2013, dep.09/01/2014, Rv.258670 Sez.F, n.50834 del 04/09/2014, Rv.261888).
Ribadito tale principio, va rilevato che i motivi dedotti propongono una serie di censure che però non sembrano tenere conto che la sentenza ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il proscioglimento nel merito può derivare solo dall'evidenza dell'innocenza dell'imputato, così come richiesto dall'art. 129 comma 2 cod.proc.pen., evidenza che i Giudici d'appello hanno escluso mentre i ricorrenti non propongono specifiche deduzioni sulla mancata applicazione dell'art. 129 comma 2 cod.proc.pen.
Le doglianze, infatti, hanno ad oggetto, in sostanza, vizi della motivazione, mentre, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l'obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento.
Per quanto concerne le critiche relative alla ritenuta insussistenza dei reati di cui agli artt. 323 e 44 d.P.R. n. 380/2001, si rileva che si tratta di motivi che, come si è già detto, non dimostrano affatto che la sentenza avrebbe dovuto prosciogliere nel merito l'imputato, ma si limitano a proporre censure che prescindono dalla prospettiva imposta dall'art. 129 comma 2 cod.proc.pen; neppure può ritenersi le doglianze riguardino i capi della sentenza sugli interessi civili, non contenendo alcun riferimento ad essi.
2. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da Natale Antonio e Baccaro Giuseppe.
3. Il primo motivo di ricorso di Renga Antonio è manifestamente infondato.
Va ricordato che la lottizzazione abusiva che costituisce reato, a norma dell'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, e che, in forza di quanto dispone il comma 2 dello stesso art. 44, impone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, si individua, quanto al suo contenuto, secondo quanto dispone l'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. cit., alla luce della previsione di cui all'art. 30, comma 1, del medesimo testo normativo. L'art. 30, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, recita: «Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabiliti dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.».
Nella specie, rileva la prima ipotesi, quella costituita dalla realizzazione di opere comportanti trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni, definita "lottizzazione materiale".
Va osservato che questa Corte ha precisato che la trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ossia la "lottizzazione materiale", si ha quando l'intervento è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (così Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani, Rv. 266811-01), presupponendo la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria (cfr., in proposito, Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Lorefice, Rv. 246340-01), o comunque quando si verifica un mutamento dell'assetto territoriale che implica la necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle esistenti (cfr.  Sez. 3, n. 2352 del 13/12/2018, dep. 2019, Evita s.a.s., Rv. 275475-01, e Sez. 3, n. 44946 del 25/01/2017 Giacobone, Rv. 271788-01).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto elemento decisivo, ai fini della sussistenza del reato, l’indebito aumento di volumetria delle opere realizzate in violazione delle prescrizioni della normativa regionale, di cui all’art. 7, comma 5, legge reg. Campania n. 19/2009, che consentiva nelle aree urbane degradat interventi di sostituzione edilizia solo a parità di volumetria esistente (cfr pag 47 e 48 della sentenza impugnata).
Tale norma, rubricata “Riqualificazione aree urbane degradate” così recitava all’epoca: «5. Nelle aree urbanizzate e degradate, per immobili dismessi, con dimensione di lotto non superiore a quindicimila metri quadrati alla data di entrata in vigore della presente legge, in deroga agli strumenti urbanistici generali, sono consentiti interventi di sostituzione edilizia a parità di volumetria esistente, anche con cambiamento di destinazione d'uso, che prevedano la realizzazione di una quota non inferiore al trenta per cento per le destinazioni di edilizia sociale di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale 22 aprile 2008 (Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dell'obbligo di notifica degli aiuti di stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea). La volumetria derivante dalla sostituzione edilizia può avere le seguenti destinazioni: edilizia abitativa, uffici in misura non superiore al dieci per cento, esercizi di vicinato, botteghe artigiane. Se l'intervento di sostituzione edilizia riguarda immobili già adibiti ad attività manifatturiere industriali, artigianali e di grande distribuzione commerciale, le attività di produzione o di distribuzione già svolte nell'immobile assoggettato a sostituzione edilizia devono essere cessate e quindi non produrre reddito da almeno tre anni antecedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.».
I Giudici di appello rilevano che la Eurocasa s.r.l. iniziava la realizzazione di opere che comportavano oggettivamente una rilevante trasformazione urbanistica del territorio in forza di un permesso di costruire reso in palese violazione delle prescrizioni della legge regionale n. 19/2009, specificamente degli art. 2 e 7 della stessa, con particolare riferimento al calcolo del volume assentibile ai sensi della citata normativa regionale, realizzando un notevole aumento di volumetria rispetto a quella che avrebbe potuto autorizzarsi facendo corretta applicazione delle norme tecniche e degli strumenti urbanistici vigenti del comune di Casapulla; rimarcavano che le opere realizzate e realizzande comportavano una trasformazione urbanistica dell’area a destinazione industriale su cui insistevano in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici e della legislazione regionale campana, pregiudicando in tal modo la riserva pubblica di programmazione territoriale.
Correttamente la Corte territoriale evidenziava la necessità di computare nella volumetria assentibile anche quella relativa ai locali interrati in cui insistevano 145 box auto.
Costituisce principio consolidato che, in materia edilizia tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno (T.A.R. Puglia - Bari, Sez. III, 6 dicembre 2017, n. 1248; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 07-01-2014, n. 1; T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 26-01-2012, n. 245). Inoltre, in assenza di una nozione giuridica di costruzione che, per la materia urbanistica, intenda espressamente far riferimento esclusivo alle sole opere realizzate sopra il livello stradale o il piano di campagna, contenuta in disposizioni di rango primario o secondario, ovvero nelle norme tecniche di attuazione degli strumenti regolatori, tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 05-02-2016, n. 71).
Del resto, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, sono lavori di costruzione edilizia per i quali occorre la concessione non soltanto quelli di realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del suolo ma anche quelli in tutto o in parte interrati che comunque trasformano durevolmente l'area impegnata (cfr. Sez.3, n.26197 del 29/04/2003, Rv. 225388 – 01; Sez. 3,n. 12288 del 27/09/2000, Rv. 218006 – 01; Sez. 3 n. 10709 del 25.11.1997, Mirabile).
Nè rileva la giurisprudenza amministrativa richiamata dal ricorrente, relativa a fattispecie diversa da quella in esame e, cioè, all’art. 4 della L.R. n. 19/2009 (interventi straordinari di ampliamento di fabbricati per uso abitativo anche in deroga agli strumenti urbanistici nei limiti del venti per cento della volumetria esistente, ritenuta derogatoria alla disciplina generale sul calcolo e sulla rilevanza della volumetria lorda (cfr TAR Campania 13.12. 2017 n. 588, secondo cui “la legge regionale detta una disciplina sul calcolo e sulla rilevanza della volumetria lorda derogatoria rispetto quella generale. In sostanza, la stessa disciplina regionale che detta una eccezionale norma di favore, consentendo la realizzazione di ulteriore volumetria, limita, seppure indirettamente, la volumetria lorda esistente alla sola volumetria non interrata alle condizioni indicate”).
Con riferimento, poi, al fatto che l'area oggetto dell’intervento di lottizzazione sarebbe stata in parte già urbanizzata - circostanza che peraltro la sentenza impugnata esclude  - , deve ribadirsi il consolidato principio secondo cui il reato di lottizzazione abusiva è configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), sicché deve escludersi con riferimento a zone completamente urbanizzate, laddove è invece configurabile sia con riferimento a zone assolutamente inedificate, sia con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e a., Rv. 241097); ed è stato più di recente precisato che è configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone già urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purché di consistenza e complessità tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez.3, n. 36616 del 07/06/2019,Rv.277614 – 02).
Nè, infine, osta alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva la presenza di titolo abilitante (nella specie il permesso di costruire emesso in violazione della normativa regionale), in quanto è pacifica la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti allorchè questi siano contrari alle norme di legge statale, regionale, agli strumenti urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione dei medesimi.
Va ricordato che, secondo l'orientamento che può dirsi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della concessione edilizia non esclude l'affermazione della responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformità dell'opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una "disapplicazione" dell'atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all'accertamento dell'abusiva realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull'atto amministrativo (cfr. Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359, nonché, più recente, Sez. 3, n. 55003 del 16/0672016, Sottillaro, Rv 269288; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012, Lo Vullo, Rv. 253426)
E si è precisato che la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e sui costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez.3, n.33051 del 10/05/2017, Rv.270645 – 01).
4. Il secondo motivo di ricorso di Renga Antonio è manifestamente infondato.
Va osservato che è stato ripetutamente affermato che il reato di lottizzazione abusiva, sia nella forma negoziale che materiale, è configurabile a mero titolo di colpa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici (cfr. Sez. 3, n. 36940 dell'11/05/2005, Rv. 232189; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Rv. 243750; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, Rv. 264718); risulta, infatti, da tempo superato il contrario e non condivisibile principio affermato in un risalente precedente delle Sezioni unite (Sez. U, n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183493), che non teneva conto della regola generale codificata nell'art. 42, quarto comma, cod. pen.
La Corte territoriale, nel fare buon governo del suesposto principio, ha evidenziato, con apprezzamento di fatto sorretto da argomentazioni congrue e logiche, che le plurime ed evidenti anomalie che avevano caratterizzato l’iter amministrativo dell'intervento edilizio oggetto di processo e le accertate violazioni di legge, costituivano elementi dimostrativi che l'imputato versasse quantomeno in colpa, generica e specifica, rispetto all'attività illecita da lui compiuta ed alla incompatibilità della stessa con la pianificazione urbanistica.
Rispetto a tale percorso argomentativo, il ricorrente si è limitato in termini manifestamente eccentrici a contestare in fatto le argomentazioni dei Giudici di appello e a sostenere, in maniera generica, la propria buona fede.
Va ricordato che secondo il consolidato principio di diritto affermato da questa Suprema Corte, la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo, non può essere determinata dalla mera non conoscenza della legge ma da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell'interesse protetto dalla norma, idoneo a   condotta (Sez.1, n.47712 del 15/07/2015, Rv.265424; Sez.3, n.42021 del 18/07/2014, Rv.260657;Sez.3, n.49910 del 04/11/2009, Rv.245863; Sez.3, n.172 del 06/11/2007, dep.07/01/2008, Rv.238600; Sez.3, n.4951 del 17/12/1999, dep.21/04/2000, Rv.216561); e si è ha escluso che l'invocata buona fede dell’imputato possa derivare da un fatto negativo, quale la mancata rilevazione, da parte degli organi di vigilanza e controllo, di irregolarità da sanare da ultimo, Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014 - dep. 09/10/2014, Paris, Rv. 260657).
5.Il terzo ed il quarto motivo di ricorso di Renga Antonio sono inammissibili per carenza di interesse.
Questa Corte ha già affermato, principio che va qui ribadito, che, in tema di lottizzazione abusiva, in difetto dell'allegazione di uno specifico interesse concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'imputato prosciolto per intervenuta prescrizione con il quale è dedotta l'illegittimità della confisca disposta ai sensi dell'art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite appartenenti a terzi (Cfr Sez. 3, n. 372 del 09/10/2019, dep.09/01/2020, Rv. 278274 – 01; Sez. 3 n. 16580/2022, non mass.; Sez. 3, n. 11295/2022, non mass., Sez. 3 n. 33419/2021, non mass.).
Si è osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la regola generale di cui all'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., va interpretata nel senso che per proporre ricorso il soggetto legittimato deve essere portatore di un interesse concreto ed attuale, che deve persistere fino al momento della decisione e che va apprezzato con riferimento all'idoneità dell'esito finale del giudizio ad eliminare la situazione giuridica denunciata come illegittima o pregiudizievole per la parte (Sez. 2, n. 4974 del 17/01/2017, D'Aversa, Rv. 268990; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta e a., Rv. 208165).
Il ricorrente non allega quale sia il suo interesse, concreto ed attuale, a dolersi rispetto ad una sanzione che ricade in danno della società, che, in ipotesi, dovrebbe essere terzo di buona fede.
Va, inoltre, rimarcato che questa Corte ha affermato che, in tema di confisca per il reato di lottizzazione abusiva, il principio secondo cui non può essere disposta detta misura nei confronti di una persona giuridica che sia rimasta estranea al giudizio, espresso dall'art. 7 Convenzione EDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU del 28/06/2018 nella causa GIEM S.r.l. e altri contro Italia, è rispettato attraverso la partecipazione della persona giuridica al procedimento di esecuzione, nel quale la stessa può dedurre tutte le questioni, di fatto e di diritto, che avrebbe potuto far valere nel giudizio di merito ( Cfr Sez.U, n. 13539 del 30/01/2020, Rv. 278870 – 04, che ha precisato che nell’incidente di esecuzione il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen. e che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa; nonchè Sez.3, n. 17399 del 20/03/2019, Rv.278763 – 01; Sez.U, n. 48126 del 20/07/2017, Rv. 270938 - 01).
5. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, conseguentemente, dei motivi nuovi, atteso che l’inammissibilità del gravame per manifesta infondatezza o genericità dei motivi proposti, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod.proc.pen., si estende anche ai motivi nuovi, e ciò in applicazione della disposizione, di carattere generale in tema di impugnazioni, dell'art. 585, quarto comma, ultima parte, dello stesso codice, in base alla quale l'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi (cfr per casi analoghi, Sez.2, n.34216 del 29/04/2014, Rv.260851; Sez.1, n.33272 del 27/06/2013, Rv.256998; Sez.6 n.47414 del 30/10/2008, Rv.242129; Sez.1, n.38293 del 16/09/2004, Rv.229737; Sez.6, n.8596 del 21/12/2000, dep.01/03/2001, Rv.219087).
6. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
7. I ricorrenti vanno, inoltre, condannati, in base al disposto dell’art. 541 cod.proc.pen. alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che, avuto riguardo ai parametri di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014, come aggiornate sulla base del DM n. 37/2018, all'impegno profuso, all'oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.510,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 12/05/2022