Cass. Sez. III n. 47729 del 19 ottobre 2018 (CC 11 apr 2018)
Pres. Di Nicola Est. Aceto Ric. Pisu ed altri
Urbanistica.Confisca urbanistica e successione ereditaria
La confisca di cui all’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, comporta l’acquisizione di diritto del terreno al patrimonio comunale con effetto dalla data di irrevocabilità della sentenza. Ciò comporta che da tale data il condannato non può più disporre del bene confiscato in quanto irrevocabilmente uscito dal suo patrimonio. Ne consegue che tale bene non può nemmeno essere trasmesso agli eredi né può costituire oggetto di atti dispositivi a titolo oneroso. In caso di successione ereditaria, dunque, non rileva la buona fede dell’erede, bensì l’oggettiva inesistenza di una situazione soggettiva attiva in capo a quest’ultimo mai trasmessa dal “de cuius”.
RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri PISU ADELAIDE, ULLERI SALVATORE, ULLERI FEDERICO, MEIRANI GIOVANNI, ULLERI SILVANA, PIRAS GIUSEPPE, PORCU MARIA DOLORES e PATTA MARIA IGNAZIA ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 13/07/2017 del Tribunale di Cagliari che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca della confisca dei terreni di loro proprietà, disposta con sentenza del Pretore di Cagliari del 07/11/1997 (irrevocabile il 17/12/2017) pronunciata nei confronti di ORRU’ GIOVANNI, ORRU’ FRANCESCO, ORRU’ ANTONIO E ORRU’ GIUSEPPE per il reato di lottizzazione abusiva, e la richiesta di revoca (o, in subordine, sospensione) dell’ordine di demolizione degli immobili su di essi edificati disposta con sentenza del 13/02/2001.
1.1. Con il primo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, 27 e 117 Cost., 7 Convenzione EDU, sotto il duplice profilo della omessa valutazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato e della violazione del principio di non colpevolezza.
1.2. Con il secondo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il travisamento della prova relativa all’utilizzabilità dei terreni a scopo agricolo.
1.3. Con il terzo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 110 cod. pen., 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione al momento di consumazione del reato e alla sussistenza di una condotta a loro ascrivibile a titolo concorsuale.
1.4. Con il quarto motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., l’illogicità della motivazione in relazione al loro concorso nel reato di lottizzazione abusiva.
1.5. Con il quinto motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione e travisamento della prova in relazione al loro concorso nel reato di lottizzazione abusiva.
1.6. Con il sesto motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il travisamento della prova in relazione alla propria induzione in errore da parte dei danti causa.
1.7. Con il settimo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione in relazione ad altro provvedimento del Tribunale di Cagliari reso nel diverso procedimento RES n. 277/2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. I ricorsi sono inammissibili.
1. L’ordinanza impugnata spiega il rigetto delle domande nei seguenti termini:
1.1. con atto pubblico del 26/03/1992, Ulleri Fiorentino (alla cui morte erano succeduti i figli, Ulleri Salvatore e Ulleri Federico, odierni ricorrenti) e la moglie, Pisu Adelaide, Meirani Giovanni e la moglie, Ulleri Silvana, Valenzano Carla e numerosi altri soggetti avevano acquistato da Orrù Giovanni, Orrù Francesco, Orrù Antonio e Orrù Giuseppe, il diritto di proprietà indivisa su un vasto appezzamento di terreno destinato ad uso agricolo ubicato nel Comune di Maracalongis, distinto in Catasto al foglio 49, mapp. 352, ex 42/c;
1.2. con atto pubblico del 01/03/1993, Lai Salvatore ed altri numerosi soggetti avevano acquistato da Orrù Giovanni, Orrù Francesco, Orrù Antonio e Orrù Giuseppe, il diritto di proprietà indivisa su un appezzamento di terreno ubicato nel Comune di Maracalongis, distinto in Catasto al foglio 49, mapp. 360, ex 355/b;
1.3. con atto pubblico del 25/02/1994, il Lai e la moglie avevano venduto la loro quota a Piras Giuseppe;
1.4. con atto pubblico del 07/07/1994, Patta Maria Ignazia e Porcu Maria Dolores ed altri numerosi soggetti avevano acquistato da Orrù Giovanni, Orrù Francesco, Orrù Antonio e Orrù Giuseppe, il diritto di proprietà indivisa su un ulteriore appezzamento di terreno ubicato nel Comune di Maracalongis, distinto in Catasto al foglio 49, mapp. 179 ex 428/c;
1.5. nelle aree suddette, il Meirani, la Valenzano, la Pisu, la Porcu, la Patta ed il Piras avevano edificato una serie di costruzioni abusive, gravate da ordine di demolizione impartito con sentenza del Tribunale di Cagliari del 13/02/2001, irrevocabile;
1.6. con sentenza del Pretore di Cagliari del 07/11/1997, irrevocabile il 17/12/2017, Orrù Giovanni, Orrù Francesco, Orrù Antonio e Orrù Giuseppe erano stati condannati per il reato di lottizzazione abusiva ed era stata disposta la confisca del terreno, originariamente censito in catasto al foglio n. 49, mapp. 42/b, sottoposto a sequestro preventivo, mai trascritto, sin dal 01/02/1996;
1.7. gli odierni ricorrenti avevano presentato domande di concessione in sanatoria ai sensi della legge reg. 26 febbraio 2004 i cui procedimenti non erano stati definiti alla data della pronuncia impugnata, ostandovi la disposta confisca;
1.8. tutte le aree acquistate, infatti, facevano in origine parte dell’unico terreno censito in catasto al foglio n. 49, mapp. 42/b, peraltro espressamente menzionato nel contratto del 07/07/1994 stipulato da Patta Maria Ignazia e Porcu Maria Dolores;
1.9. non v’è dubbio che oggetto del provvedimento di sequestro e confisca fosse proprio il terreno nella sua consistenza originaria e non la parte residuata agli Orrù dopo le varie vendite, non interessata da ulteriori frazionamenti e cessioni;
1.10. i ricorrenti non erano in buona fede al momento degli acquisti apparendo dirimente la situazione di fatto: i terreni compravenduti avevano tutti destinazione agricola che sarebbe stata preclusa dal loro frazionamento in lotti di piccole dimensioni; tant’è che tali lotti sono stati interessati da interventi edilizi che nulla avevano a che fare con l’utilizzazione agricola dei fondi;
1.11. già dal 10/10/1995, il CFS annotava che l’area era interessata da opere di sbancamento e terrazzamento in misura tale da alterare lo stato dei luoghi; le opere erano finalizzate alla realizzazione di piazzole per l’edificazione di abitazioni;
1.12. non ha perciò pregio l’eccezione difensiva che le aree vendute dagli Orrù erano, complessivamente considerate, superiori all’unità minima colturale;
1.13. tale eccezione non considera che le aree erano state acquistate non per svolgere attività agricola in comune ma per realizzare seconde case in una delle più belle località di Maracalagonis, e che il trasferimento di terreni superiori alla minima unità colturale può integrare gli estremi del reato di lottizzazione abusiva se, come nel caso di specie, sussiste la predisposizione di una situazione che potrebbe produrre un’alterazione o una modifica della programmata destinazione della zona da parte dello strumento urbanistico;
1.14. i ricorrenti, dunque, devono essere considerati a tutti gli effetti concorrenti nel reato di lottizzazione abusiva;
1.15. la soluzione non può cambiare per il Piras (che ha concorso nel reato realizzando l’immobile abusivo per il quale ha riportato condanna) e per gli eredi di Ulleri Fiorentino.
2. Così sinteticamente illustrato il contenuto del provvedimento impugnato, è necessario ribadire che il “fatto” oggetto di cognizione in sede di legittimità (dovendosi intendere per tale quello che, ai sensi dell’art. 187, comma 1, cod. proc. pen., si riferisce all’imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena o della misura di sicurezza e, più in generale, quello dal quale dipende l’applicazione di norme diverse da quelle processuali) è esclusivamente quello descritto nel provvedimento impugnato, non quello che potrebbe essere eventualmente ricostruito in modo diverso in base alle prove (dichiarative e/o documentali) acquisite nella fase di merito (di cognizione o esecutiva che sia). Eventuali scollamenti tra il fatto che «risulta dal testo del provvedimento impugnato» (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) e quello che risulta in base alle prove a disposizione del giudice possono essere dedotti negli angusti limiti nei (e alle condizioni alle) quali, come si vedrà, è possibile eccepire il travisamento della prova (non del fatto), senza dimenticare, però, che nemmeno l’eccezione di travisamento trasforma il giudizio della Corte di cassazione in un giudizio di merito sul fatto, poiché il travisamento è pur sempre vizio della motivazione che deve risultare dal contrasto del testo del provvedimento con specifici atti del procedimento. Al di fuori di questi casi, oggetto di cognizione della Corte di cassazione, sul quale si misurano i vizi deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., resta il fatto così come risulta dal testo della motivazione.
2.1. L’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, quale vizio deducibile (e nella specie dedotto) ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., presuppone sempre e comunque, sopratutto sul piano logico, l’identità del fatto così come descritto nel provvedimento impugnato con quello posto dal ricorrente a fondamento delle proprie deduzioni e allegazioni, non potendosi dedurre il malgoverno di una norma che presuppone un fatto diverso da quello descritto. Se, dato A, la norma da applicare è Y, non è logico dedurre il fatto B a sostegno dell’erronea applicazione o inosservanza della norma Y; a risentirne non è la logica del provvedimento impugnato, bensì quella dell’atto difensivo.
2.2. E’ esattamente questo l’errore nel quale incorrono i ricorrenti i quali, con il primo motivo, deducono la mancanza di valutazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico e la violazione del principio di non colpevolezza, da un lato proponendo un classico vizio di motivazione (tale è l’omessa valutazione di un dato necessario ai fini della decisione), dall’altro attingendo a piene mani al materiale probatorio per sovvertire il fatto che il Giudice descrive a sostegno proprio dell’applicazione dei principi di diritto la cui violazione viene dedotta con il primo motivo.
2.3. Il punto controverso, nel caso in esame, non è l’applicazione della confisca in assenza di una pronuncia di condanna, bensì la possibilità del terzo di opporsi agli effetti pregiudizievoli per il suo patrimonio di una sentenza di condanna “inter alios acta” che impone, come conseguenza inevitabile, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati (art. 44, comma 2, cod. proc. pen.).
2.4. E’ noto anche ai ricorrenti il principio di diritto secondo il quale in tema di confisca conseguente a lottizzazione abusiva disposta al di fuori dei casi di condanna, il giudice dell'esecuzione, investito della opposizione del terzo rimasto estraneo al procedimento, è tenuto ad accertare, dal punto di vista oggettivo, l'effettiva esistenza della lottizzazione e, dal punto di vista soggettivo, l'insussistenza della buona fede nella condotta del terzo acquirente dell'immobile, sulla base di quanto provato dalla pubblica accusa (Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Mantione, Rv. 270443; nello stesso senso, Sez. 3, n. 51429 del 15/09/2016, Brandi, Rv. 269289, secondo cui la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici; Sez. 3, n. 45833 del 18/10/2012, Rv. 253853).
2.5. Il Tribunale spiega le ragioni per le quali ha ritenuto che i ricorrenti Adelaide Pisu, Giovanni Meirani, Silvana Ulleri, Giuseppe Piras, Maria Dolores Porcu e Maria Ignazia Patta non versassero in buona fede al momento dell’acquisto del terreni confiscati o che comunque avessero concorso nel reato di lottizzazione abusiva, seguendo un ragionamento che non può affatto definirsi manifestamente illogico.
2.6. I ricorrenti deducono il mancato esame dei cd. «indici sintomatici» della loro piena consapevolezza della lottizzazione abusiva, come delineati dalla giurisprudenza di questa Corte con le pronunce sopra indicate (competenze intellettuali, grado di istruzione, capacità di percepire l’eventuale illiceità della condotta del venditore, che potrebbe, in ipotesi, aver occultato l’illegittimità della lottizzazione, la professione e l’inserimento lavorativo dell’acquirente, i suoi rapporti con il venditore, l’unicità dell’acquisto, il momento di realizzazione dei lavori).
2.7. Sennonché, osserva il Collegio, tale obiezione, oltre a fondarsi su mere congetture prive di riferimenti alla fattispecie concreta (come il possibile occultamento, da parte del venditore, della illegittimità della lottizzazione), prescinde completamente dal fatto che gli odierni ricorrenti avevano acquistato (o comunque utilizzato) i terreni per realizzarvi, come si legge nell’ordinanza impugnata, «seconde case in una delle più belle località della marina di Maracalagonis» e «non per svolgere in comune attività agricola». Tale affermazione, sostanzialmente non contestata (quanto meno nella parte relativa all’utilizzo non agricolo dei terreni e alla conseguente condanna per il reato di abuso edilizio con conseguente ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate), rende insostenibile la tesi della buona fede dei ricorrenti al momento dell’acquisto se si considera che essi, quali committenti dei lavori, rispondevano della conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di piano (art. 29, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001) e sono stati appunto condannati per la loro realizzazione. Nè tale buona fede può essere esclusa dai comportamenti volti a consolidare gli effetti della condotta (come la dedotta presentazione di domanda di condono ed il conseguente pagamento degli oneri concessori). Sicché colui il quale acquisti un terreno per realizzarvi un’opera che contrasta con la destinazione di piano non può invocare l’ignoranza incolpevole del reato di lottizzazione abusiva se con la propria condotta ha contributo alla consumazione del reato senza il quale non avrebbe mai potuto utilizzare i terreni a scopo edificatorio. Non si tratta di congetture, come affermano i ricorrenti, ma di applicazione della logica al caso concreto non potendosi ritenere un caso che tutti gli odierni ricorrenti siano stati condannati per le abusive edificazioni poste in essere successivamente all’acquisto. La mancata utilizzazione dei terreni a scopo agricolo costituisce il presupposto fattuale (mai contestato) dal quale non è manifestamente illogico trarre il convincimento dell’iniziale intenzione di sfruttare i terreni a scopi edificatori in contrasto con la loro vocazione agricola.
2.8. Si sostiene, nel ricorso, che la destinazione agricola di un terreno si può spiegare anche con la necessità di salvaguardare l’integrità del paesaggio e dell’ambiente, limitando l’attività edificatoria, pur consentita a scopo edificatorio, non essendo necessario lo svolgimento effettivo di attività agricole. Si sostiene, inoltre, che sul mappale 352 furono realizzate solamente tre costruzioni modeste, laddove i restanti comproprietari nulla edificarono, con conseguente asservimento dell’intero terreno ad essi. Sennonché, tali deduzioni, oltre ad essere di natura meramente fattuale (e francamente poco comprensibili, sopratutto nella parte in cui allegano un non chiaro asservimento tra lotti appartenenti a proprietari diversi), sono smentite dalla condanna per i reati edilizi conseguenti alle realizzazione di tali interventi e al conseguente ordine di demolizione. Peraltro la sentenza prodotta dai ricorrenti è priva della motivazione con conseguente impossibilità, da parte del Collegio, di apprezzare il dedotto vizio di travisamento della prova sul punto.
2.9. Nel richiamare quanto già affermato nei §§ 4 e 4.1 che precedono, giova richiamare l’insegnamento costante della Corte secondo il quale: a) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); c) il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
2.10. Il travisamento della prova, è necessario ribadirlo, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
2.11. Sul punto si rendono necessarie le seguenti ulteriori precisazioni.
2.12. Il “travisamento del fatto” (e non della prova) era tradizionalmente inteso quale vizio logico che aveva ad oggetto la ricostruzione dei fatti insanabilmente in contrasto con la realtà indiscussa od almeno manifesta nel processo (Sez. 2, n. 1195 del 01/07/1965, dep. 1967, Wobbe), quando cioè la pronuncia fosse emanata sul presupposto dell'esistenza o inesistenza di fatti, che invece dagli atti risultino, di certo, inesistenti o esistenti, con esclusione del momento valutativo della prova (Sez. 1, n. 86 del 25/01/1966, Spucches). Il nuovo codice di rito ha voluto mantenere <<il sindacato sul piano della legittimità, evitando gli eccessi (…) che hanno talvolta dato luogo a invasioni da parte del giudice di legittimità dell’area in giudizio riservata al giudice di merito>> (Relazione al progetto del codice di procedura penale). L’iniziale formulazione dell’art. 606, lett. e), era perciò chiaramente finalizzata a evitare che il giudizio di legittimità si trasformasse, di fatto, in un’ulteriore grado di giudizio di merito, vietando qualsiasi incursione nel materiale raccolto nelle precedenti fasi di merito ed imponendo come oggetto di valutazione della logicità, congruità e coerenza della sentenza esclusivamente il testo della motivazione. Coerentemente, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato il principio per il quale il travisamento del fatto intanto poteva essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimità, in quanto risultasse inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'art. 606, lett. e), cod. proc. pen.; l'accertamento di esso richiedeva, pertanto, la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione, al giudice della precedente fase di impugnazione, degli elementi dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicché la Corte di cassazione potesse, a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi fossero stati valutati (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimo; nello stesso senso, Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002). L’art. 8, comma 1, legge n. 46 del 2006, ha esteso l’ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”. Il legislatore ha così introdotto il “travisamento della prova” (e non del fatto) quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione ma ciò non muta, alla luce delle considerazioni che precedono, la natura dell’indagine di legittimità il cui oggetto resta la motivazione del provvedimento impugnato, l’esame della cui illogicità non può mai trasmodare in un inammissibile e rinnovato esame dell’intero compendio probatorio già utilizzato dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni. Il travisamento, insomma, deve riguardate uno o più specifici atti del processo, non il fatto nella sua interezza.
2.13. Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame può avere ad oggetto direttamente la prova solo quando se ne denunci il travisamento, purché l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli.
2.14. Non è dunque consentito, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
2.15. E’ agevole allora notare, dal confronto tra i motivi di ricorso e la motivazione dell’ordinanza impugnata, che i ricorrenti eccepiscono il travisamento del fatto perché attingono a piene mani all’intero compendio probatorio al fine di dimostrare, in base ad una sua diversa valutazione, sollecitata mediante l’eccepito vizio di motivazione, l’insussistenza del fatto descritto nel provvedimento impugnato. La necessità di sostenere l’eccezione di manifesta illogicità della motivazione offrendo alla Corte di cassazione un fatto diverso da quello descritto denota la debolezza dell’argomentazione difensiva che implicitamente riconosce che il fatto posto dal giudice a fondamento della impugnata decisione esclude la natura manifestamente illogica delle conclusioni alle quali è pervenuto. Si aggiunga, a chiusura della illustrazione delle ragioni della inammissibilità del ricorso, che non sono stati nemmeno allegati, per intero, gli atti in tesi travisati.
2.16. Quando si lamenta la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente, in virtù del principio di “autosufficienza del ricorso” suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302).
2.17. Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative o documentali, estrapolandoli dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.).
2.18. E’ necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
2.19. I ricorrenti non hanno assolto a nessuno di questi oneri, in particolare a quello della allegazione integrale delle prove asseritamente travisate e a quello della prova della loro effettiva produzione in giudizio.
2.20. Le considerazioni che precedono sono applicabili anche al Piras Giuseppe che acquistò il terreno non direttamente dagli Orrù, ma dai coniugi Lai, aventi causa da questi ultimi. L’acquisto “mediato”, effettuato, cioè, non da coloro i quali sono stati condannati per il reato di lottizzazione abusiva, ma dai loro aventi causa, non modifica i termini concettuali della questione se anche l’ultimo acquirente ha contributo con la sua condotta a trasformare il territorio in modo colpevolmente contrastante con la destinazione di piano (come irrevocabilmente accertato a danno anche a danno del Piras).
2.21. Quanto a Salvatore Ulleri e Federico Ulleri, figli di Fiorentino Ulleri e Adelaide Pisu, soccorrono le diverse considerazioni che seguono.
2.22. Costoro in parte acquistarono, nel 2008, i terreni dalla madre, dalla sorella di quest’ultima e dai sigg.ri Vittorio Spanu e Cesarina Pisu nel 2008, in parte li ereditarono dal padre, Fiorentino Ulleri.
2.23. Fermo restando quanto già sin qui affermato circa la buona fede negli acquisti “mediati” e alla non manifesta illogicità del ragionamento del Giudice, occorre aggiungere che: a) l’acquisto a titolo oneroso è di oltre dieci anni successivo alla data di irrevocabilità della sentenza di condanna che aveva disposto la confisca dei terreni senza che i ricorrenti deducano alcunché sulla mancata trascrizione di tale sentenza (non essendo sufficiente la mera garanzia della mancanza di trascrizioni pregiudizievoli verbalmente fornita dal venditore in sede di stipula dell’atto); b) la buona fede non costituisce argomento che può essere invocata in caso di acquisizione, a titolo ereditario, dell’immobile abusivamente lottizzato.
2.24. Non si tratta, come sostengono i ricorrenti, della trasmissione, agli eredi, della mala fede del “de cuius”. Il punto è un altro.
2.25. La confisca di cui all’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, comporta l’acquisizione di diritto del terreno al patrimonio comunale con effetto dalla data di irrevocabilità della sentenza. Ciò comporta che da tale data il condannato non può più disporre del bene confiscato in quanto irrevocabilmente uscito dal suo patrimonio. Ne consegue che tale bene non può nemmeno essere trasmesso agli eredi né può costituire oggetto di atti dispositivi a titolo oneroso. In caso di successione ereditaria, dunque, non rileva la buona fede dell’erede, bensì l’oggettiva inesistenza di una situazione soggettiva attiva in capo a quest’ultimo mai trasmessa dal “de cuius”.
2.26. I primi due motivi sono perciò inammissibili perché manifestamente infondati e proposti al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
3. A non diversi rilievi si espongono il terzo ed il quarto motivo, la cui manifesta infondatezza si basa sulle medesime argomentazioni già svolte.
3.1. Peraltro, come già detto in sede di esame dei primi due motivi, non è necessario che l’acquirente del terreno confiscato concorra nel reato di lottizzazione abusiva, essendo sufficiente la mancanza di buona fede al momento dell’acquisto stesso, che ben può essere desunto dalla realizzazione delle opere che, anche a distanza di tempo, concretizzano la finalità dell’acquisto (e rendono manifesta la consapevolezza dell’abusiva lottizzazione).
3.2. Nè è dirimente il fatto che il pubblico ministero non abbia esercitato l’azione penale per il reato di lottizzazione abusiva nei confronti degli acquirenti (successivamente accusati e condannati per la sola realizzazione delle opere abusive), non potendosi desumere da ciò la loro estraneità, ai fini esecutivi, dal reato di lottizzazione abusiva.
4. Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili perché proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
4.1. Le relative deduzioni (volte a dimostrare: a) che le opere di modificazione della destinazione dei terreni erano state autorizzate ed erano dunque lecite; b) la eventuale sussistenza dell’induzione in errore degli acquirenti), oltre a contrastare con le argomentazioni ampiamente svolte in sede di esame dei primi due motivi, si fondano su allegazioni fattuali ed ipotetiche (l’eventuale induzione in errore) che sollecitano una diversa valutazione degli elementi di prova asseritamente travisati. Sicchè lo scrutinio sollecitato a questa Corte non riguarda il momento percettivo delle prove, bensì quello valutativo, e ciò senza considerare che per la realizzazione degli interventi urbanistico-edilizi, compresi i soli scavi e gli sbancamenti, i ricorrenti sono stati condannati (con conseguente insostenibilità logica della mancanza di consapevolezza della natura abusiva si tali opere).
4.2. Il fatto che i ricorrenti siano stati vittime dei raggiri e della mala fede dei venditori iniziali (gli Orrù) costituisce un mero postulato non adeguatamente supportato nemmeno dalla mancata trascrizione (o comunicazione) del sequestro dei terreni abusivamente lottizzati, visto che la natura abusiva della lottizzazione è derivata dalla oggettiva frantumazione di ampi appezzamenti di terreno non edificabili.
5. La contraddittorietà della motivazione può essere sindacata in sede di legittimità nei soli casi previsti dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. che non contempla il contrasto con decisioni prese nell’ambito di un diverso procedimento, non essendo l’ordinanza emessa in sede esecutiva suscettibile nemmeno di revisione ai sensi dell’art. 629 cod. proc. pen.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, l’11/04/2018.