Cass. Sez. III n. 405 del 8 gennaio 2021 (CC 11 nov 2020)
Pres. Sarno Est. Corbetta Ric. Esposito
Urbanistica.Demolizione immobile abusivo e diritto all’inviolabilità del domicilio
In tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto "assoluto" all’inviolabilità del domicilio tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato. L'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, la Corte di appello di Salerno, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata nell’interesse di Ferdinando Esposito ad oggetto la revoca dell’ordine di demolizione dell’immobile di sua proprietà, sito in Scafati in via della Resistenza n. 144, ordine contenuto nella sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di appello di Salerno il 6 aprile 2001, con la quale Rossa Scutiero, madre del ricorrente, era stata condannata alla pena di giustizia per reati edilizi.
2. Avverso l’indicata ordinanza Ferdinando Esposito, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, con cui lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento all’inosservanza del principio di proporzionalità della sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione. Deduce il ricorrente che l’ordine di demolizione sarebbe del tutto sproporzionato alla luce dei criteri affermati dalla giurisprudenza sia della Corte EDU, da ultimo ribaditi con la sentenza G.I.E.M. e altri c. Italia del 28 giugno 2018, sia della Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 112 del 2019, ha rimarcato l’illegittimità delle pene e delle sanzioni amministrative manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità dell’illecito. Ad avviso del ricorrente, pertanto, una ponderata valutazione degli interessi in gioco avrebbe dovuto condurre alla revoca dell’ordine di demolizione, anche considerando che l’immobile rientra nei parametri urbanistici previsti dall’art. 32 della l. n. 326 del 2003.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per genericità, oltre che per manifesta infondatezza.
2. Va evidenziato, come emerge dalle ampie premesse del provvedimento impugnato, in cui si dà conto delle precedenti istanze avanzate dal ricorrente sin dal 29 luglio 2014 e tutte rigettate, che l’immobile oggetto di demolizione, edificato dalla madre del ricorrente senza permesso di costruire, ha una volumetria complessiva di 1.233,60 mc., superiore a quella massima condonabile, pari a 750 mc.; per questo motivo, sono stati dichiarati illegittimi i due provvedimenti di condono, ad oggetto un seminterrato adibito a garage e il piano terra adibito ad abitazione, emessi dal Comune di Scafati il 22 luglio 2013 ai sensi dell’art. 36 l. n. 323 del 2003.
3. Ciò premesso, per affrontare la questione posta dal ricorrente, incentrata sulla asserita non proporzionalità dell’ordine di demolizione rispetto all’illecito commesso, va rammentato che le posizioni giuridiche soggettive costituite dal diritto del singolo alla casa, ad una vita sana, alla vita privata e familiare, pur trovando esplicita tutela nell'art. 8 CEDU e negli artt. 14 e 15 Cost., non possono avere carattere così ampio ed assorbente da superare sempre e comunque - vanificandola del tutto - ogni prescrizione amministrativa o penale in punto di edificabilità dei suoli e tutela del territorio. Anzi, il diritto del singolo deve essere posto in bilanciamento con quello generale, espressamente previsto dalla legge, al corretto assetto del territorio e alla conseguente repressione degli abusi edilizi.
4. Questa Corte, difatti, ha costantemente predicato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto "assoluto" all’inviolabilità del domicilio tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato (Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 - dep. 06/05/2016, Contadini e altro, Rv. 267024).
Si è perciò coerentemente ritenuto che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 - dep. 04/06/2018, Ferrante, Rv. 273368).
5. Nell’ordinamento italiano, infatti, l'ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene tutelato. La ratio della previsione, dunque, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena principale inflitta) l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando l'equilibrio urbanistico-edilizio violato dalla commissione dell’illecito penale.
6. Si tratta di un’interpretazione che non è smentita, ma è confermata dalla giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU, da cui emerge chiaramente il principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.
6. Nella sentenza Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, sottolineando come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, "demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti", anziché procedere alla confisca dei medesimi. Tale inciso è assai eloquente, perché dimostra come la stessa Corte EDU consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato.
7. Più che la sentenza del 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia, indicata dal ricorrente, la quale è stata resa in una fattispecie affatto differente, relativa alla compatibilità della confisca c.d. urbanistica con gli artt. 7, 6.2 e 1 Prot. Add. Cedu., rileva la sentenza della Corte EDU del 21 aprile 2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, correttamente evocata dalla Corte territoriale, secondo cui il diritto all'abitazione, di cui all’art. 8 CEDU, richiede, appunto, una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l'interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.
Nella decisione in esame, la Corte EDU ha ribadito la legittimità "convenzionale" della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l'effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell'interessato.
Tenuto conto, in particolare, del fatto che il problema dell’edilizia abusiva è diffuso in Bulgaria, al fine di garantire l'efficace attuazione della regola per cui gli edifici non possono essere costruiti senza permesso, la Corte EDU ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”, ai sensi dell’art. 8. Tuttavia, per quanto riguarda la necessità di tale interferenza, la Corte EDU ha ritenuto che i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione - anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile - dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente.
Di conseguenza, il rispetto del principio di proporzionalità impone che l'autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'art. 8 CEDU (o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva) e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà "reale" sia "proporzionato" rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire.
In altri termini, il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell’autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo. Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione.
8. Infine, va evidenziata l’affermazione della Corte EDU laddove esclude che l’ordine di demolizione contrasti con l’art. 1 del protocollo n.1 (protezione della proprietà). Sul punto, la Corte EDU (§ 75) afferma, da un lato, che l'ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l'ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell'8 novembre 2005), ciò che non deve essere trascurato in vista della diffusività del problema delle costruzione abusive in Bulgaria.
9. La valutazione di proporzionalità tra la demolizione e l'interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio presuppone perciò la prospettazione da parte del ricorrente della situazione di fatto esistente al momento della proposizione del ricorso e la rappresentazione del concreto pregiudizio che lo stesso subirebbe dall'esecuzione dell'ordine di demolizione.
Nel caso di specie, invece, il ricorrente si limita a sostenere il carattere sproporzionato della misura senza prospettare alcun concreto e specifico pregiudizio, diverso dalla perdita dell’abitazione abusivamente edificata.
10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/11/2020.