Corte Costituzionale sent. 116 del 17 marzo 2006
giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e
4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni
urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura
transgenica, convenzionale e biologica), convertito,
con modificazioni, in legge 28 gennaio 2005, n. 5, promosso con ricorso della
Regione Marche notificato il 22 marzo 2005, depositato in cancelleria il 30
marzo 2005 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2005.
SENTENZA N. 116
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Franco GALLO “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3
e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni urgenti
per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica,
convenzionale e biologica), convertito, con modificazioni, in legge 28 gennaio
2005, n. 5, promosso con ricorso della Regione Marche notificato il 22 marzo
2005, depositato in cancelleria il 30 marzo 2005 ed iscritto al n. 41 del
registro ricorsi 2005.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri nonché l'atto di intervento della AS.SE.ME Associazione Sementieri
Mediterranei;
udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 2006 il Giudice relatore
Ugo De Siervo;
uditi l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche e l'avvocato
dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 22 marzo 2005 e depositato il 30 marzo 2005,
la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale,
ha promosso in via principale questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre
2004, n. 279 (Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di
agricoltura transgenica, convenzionale e biologica), nel testo convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, per violazione degli artt.
117, commi primo, secondo, lettera s), terzo, quarto, quinto e sesto, e 118
della Costituzione, anche in relazione agli artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77 della
Costituzione.
2. – La Regione ricorrente sostiene, in primo luogo, che il procedimento
legislativo di conversione del decreto-legge n. 279 del 2004 sarebbe viziato,
stante la «assenza palese dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza»
richiesti dall'art. 77 della Costituzione, ciò che ridonderebbe nella lesione
dell'autonomia legislativa regionale, in quanto essa verrebbe ad essere
compressa nella materia oggetto di decretazione d'urgenza.
Erroneamente il legislatore statale, infatti, avrebbe stimato di essere
obbligato a conferire attuazione alla raccomandazione della Commissione
2003/556/CE del 23 luglio 2003 (recante orientamenti per lo sviluppo di
strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture
transgeniche, convenzionali e biologiche), trattandosi di atto privo di
contenuto vincolante; al contrario, si sarebbe ricorsi alla decretazione
d'urgenza, nonostante il carattere «estremamente delicato e rischioso» della
materia, e nonostante «le regole relative alla coesistenza delle colture […]
«siano rinviate all'adozione di un provvedimento successivo, di livello
regolamentare» da adottarsi «per di più […] in termini ampi e inammissibili
(anche in violazione dell'art. 76 Cost.)».
Sarebbe stato invece necessario realizzare forme di «consultazione e di
dibattito ampio e condiviso», in sé incompatibili con la natura del
decreto-legge, anche in attuazione di quanto previsto dagli artt. 9 e 32 della
Costituzione, nonché dal decimo “considerando” della direttiva 2001/18/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'emissione deliberata
nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva
90/220/CEE del Consiglio), e dal protocollo di Cartagena, reso esecutivo con la
legge 15 gennaio 2004, n. 27 (Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Cartagena
sulla prevenzione dei rischi biotecnologici relativo alla Convenzione sulla
diversità biologica, con Allegati, fatto a Montreal il 29 gennaio 2000).
Da ciò la dedotta lesione dell'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione, con riferimento agli artt. 72, 76, 77 e 117, primo comma, della
Costituzione.
In secondo luogo, le norme impugnate violerebbero l'art. 117, commi secondo,
terzo, quarto e quinto della Costituzione, con riferimento all'art. 117, primo
comma, della Costituzione, poiché, fondandosi sull'«erroneo presupposto di
fatto», secondo cui gli organismi geneticamente modificati (OGM) non
comporterebbero irreversibili danni all'ambiente, all'agricoltura e alla salute
(in difetto di una preventiva «valutazione dell'impatto ambientale, economico e
agronomico»), verrebbero ad impedire alla legge regionale la tutela «della
salute umana, animale e vegetale» secondo «i principi della prevenzione e della
precauzione», tramite, in particolare, l'individuazione di «criteri di
esclusione delle colture transgeniche, in considerazione delle particolari
condizioni del territorio regionale».
La Regione sarebbe perciò legittimata a denunciare anche la violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in forza del
«diritto-dovere e, quindi, dell'interesse ad intervenire, nel caso di
inadempimento statale, a tutela della popolazione di cui la stessa è
espressione».
In terzo luogo, le norme impugnate verterebbero nella materia «agricoltura»
(come individuabile anche alla luce dell'art. 32 del Trattato CE e dell'art.
2135 del codice civile), oggetto di potestà legislativa residuale della Regione,
sicché lo Stato, legiferando, avrebbe violato l'art. 117, quarto comma, della
Costituzione; sarebbe, infatti, «evidente che solo le Regioni possono adottare
le misure necessarie ad assicurare la coesistenza tra forme di agricoltura
transgenica, convenzionale e biologica, stabilendo le aree “OGM free”, le quote
di colture OGM, il numero ed il tipo di varietà vegetali che devono coesistere,
le distanze tra le aree a coltivazione transgenica e quelle a coltivazione
convenzionale, le pratiche regionali di gestione delle imprese agricole».
In quarto luogo, quand'anche lo Stato avesse proceduto ad attuare la
normativa comunitaria, ciò dovrebbe ritenersi precluso al di fuori delle materie
attribuite in via esclusiva dall'art. 117, secondo comma, della Costituzione,
sicché la legge impugnata violerebbe anche l'art. 117, quinto comma, della
Costituzione.
In quinto luogo, gli artt. 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, e l'art. 8 del
decreto-legge n. 279 del 2004, nel testo risultante a seguito della conversione
in legge, avrebbero altresì carattere dettagliato, in violazione dell'art. 117,
terzo comma, della Costituzione, al pari dell'art. 7, che, nell'attribuire ad un
comitato in cui sarebbe privilegiata la rappresentanza di membri statali il
compito di proporre linee guida per la coesistenza, opererebbe una «palese
sottrazione alle Regioni (titolari della competenza legislativa esclusiva nella
materia “agricoltura” e di competenza legislativa concorrente
nell'“alimentazione”), del controllo del settore, riservando agli organi
regionali solo un ruolo esecutivo marginale nella regolazione degli OGM».
Con specifico riguardo agli artt. 2, comma 2, 3, comma 2, 5, commi 3 e 4, 7,
comma 4, e all'art. 8, la Regione ricorrente ribadisce il carattere dettagliato
di tali previsioni, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, in relazione alla materia «tutela della salute».
Inoltre, l'art. 1 non terrebbe conto del «valore fondamentale della ricerca
scientifica» quale strumento preliminare di valutazione dell'impatto ambientale,
con ciò ledendo il valore costituzionalmente protetto dell'ambiente, alla cui
tutela non può ritenersi estranea la legislazione regionale.
Gli artt. 1, 2, comma 2, 3, comma 2, 5, commi 3 e 4, 7, comma 4, e l'art. 8
si porrebbero perciò in contrasto con l'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione «anche in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera s), e agli
artt. 9, 32 e 33» della Costituzione.
In sesto luogo, l'art. 3, comma 1 (che affida ad un decreto ministeriale
«non regolamentare», adottato a seguito di intesa con la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
Bolzano, la definizione delle «norme quadro per la coesistenza»), l'art. 4,
comma 3-bis, (che demanda al predetto decreto la determinazione delle modalità
di funzionamento del fondo di ripristino dei danni conseguenti all'inosservanza
del piano di coesistenza) e l'art. 7, comma 2, (che attribuisce ad un decreto
ministeriale, adottato anch'esso a seguito di intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di
Trento e Bolzano, l'organizzazione e le modalità di funzionamento del comitato
di cui alla stessa disposizione) e comma 4 (che prevede il ricorso alle modalità
di cui all'art. 3, comma 1, in ordine alle misure concernenti l'omogeneizzazione
delle modalità di controllo) violerebbero l'art. 117, sesto comma, della
Costituzione, «dovendosi escludere la possibilità per lo Stato di intervenire
nella materia oggetto di intervento (agricoltura) con atti normativi di rango
sublegislativo», cui le Regioni non soggiacciono nell'ambito della propria
competenza legislativa.
In particolare, premessa l'irrilevanza della qualificazione legislativa
dell'atto quale «non regolamentare», la Regione ricorrente evidenzia che esso
non si limita ad esprimere un mero «coordinamento tecnico», poiché pone in
essere «norme quadro» per la coesistenza, benché lo stesso art. 8, comma 6,
della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3), escluda il ricorso da parte dello Stato agli atti di indirizzo e
coordinamento, nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione.
Ove, invece, si ritenesse che il Governo intenda «autodelegare se stesso» in
deroga all'art. 15, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400
(Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri), sarebbe leso l'art. 76 della Costituzione, che impone
il ricorso alla legge in ordine all'atto di conferimento della delega
legislativa.
In settimo luogo, anche l'art. 5, commi 3 e 4, (in relazione all'obbligo di
conservare registri aziendali sulle modalità di gestione adottate da chi mette a
coltura OGM e di definire, da parte di Regioni e Province autonome, modalità e
procedure per la raccolta dei dati) e l'art. 7 (che istituisce il Comitato
consultivo presso il Ministero delle politiche agricole e forestali) sarebbero
illegittimi, per violazione dell'art. 117, sesto comma, e 118 della
Costituzione, poiché disciplinerebbero «funzioni amministrative relative ad una
materia di competenza legislativa regionale», senza che sussista alcuna ragione
giustificatrice per la sottrazione delle stesse al livello regionale.
In ottavo luogo, l'invocata competenza legislativa regionale in materia di
«agricoltura» imporrebbe, in forza del principio del parallelismo, che la
disciplina dell'illecito amministrativo spetti anch'essa alla Regione, sicché
sarebbe illegittimo l'art. 6 del decreto-legge impugnato, mediante il quale lo
Stato, al comma 1, ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, in caso di
violazione del piano di coesistenza.
Infine, la ricorrente, con riguardo all'art. 3 e all'art. 4 del decreto
legge impugnato, lamenta che l'adozione del piano di coesistenza da parte della
Regione stessa debba avvenire attraverso l'adozione di un «provvedimento», e non
tramite l' utilizzo della fonte ritenuta discrezionalmente più idonea nel
rispetto dei principi internazionali e comunitari, quali potrebbe essere anche
la legge regionale.
3. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, a
mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa erariale contesta, anzitutto, la riconducibilità delle norme
impugnate alla materia «agricoltura».
Esse, infatti, si inserirebbero «nell'ambito di una produzione normativa, a
livello europeo e nazionale, finalizzata, da un lato, a non vietare l'immissione
in commercio di organismi geneticamente modificati, in coerenza con il principio
di libertà di iniziativa economica, e dall'altro a circoscrivere tale facoltà
mediante l'adozione di precauzioni tecniche idonee a contenere il rischio di
impatto ambientale e di danno alla salute».
In particolare, l'Avvocatura dello Stato fa presente che nella direttiva
2001/18 CE e nel decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 (Attuazione della
direttiva 2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di
organismi geneticamente modificati), che le ha conferito attuazione, al
principio di libera circolazione degli OGM si accompagnano misure precauzionali
che, anche in relazione al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, impongono
«una valutazione preventiva del “rischio ambientale”, nell'ambito della quale
prevede vengano considerati anche i potenziali danni alla salute umana e
animale».
In tale contesto, e a fronte di iniziative legislative regionali intese a
vietare la produzione e la coltivazione di specie che contengano OGM sull'intero
territorio regionale – lo Stato rammenta in proposito proprio la legge della
Regione Marche 3 marzo 2004, n. 5 (Disposizioni in materia di salvaguardia delle
produzioni agricole, tipiche, di qualità e biologiche), impugnata innanzi a
questa Corte –, le norme impugnate avrebbero lo scopo precipuo di «tutelare
l'ambiente dai rischi di commistione delle diverse colture», come reso esplicito
in particolare dagli artt. 1, 2 e 3 del decreto-legge n. 279 del 2004.
La stessa ricorrente, aggiunge lo Stato, riconosce che sarebbe invocabile la
potestà legislativa esclusiva di cui all'art. 117, primo comma, lettere e) e s),
della Costituzione, sicché il decreto-legge n. 279 del 2004 non avrebbe affatto
invaso la sfera di competenza legislativa regionale.
Quand'anche fosse richiamabile la potestà legislativa concorrente in materia
di tutela della salute e degli alimenti, infatti, dovrebbe ritenersi che le
norme impugnate si limitino a determinare i principi fondamentali, «rinviando
alle Regioni la definizione dei piani per un'effettiva coesistenza»; quanto al
decreto ministeriale di cui all'art. 3 del decreto-legge n. 279 del 2004, esso
«dovrebbe avere natura di atto di coordinamento tecnico», in quanto «finalizzato
a raccordare le numerose e diverse normative di carattere tecnico che le Regioni
dovranno emanare con l'adozione dei piani di coesistenza».
Né si potrebbe contestare al legislatore statale di avere trascurato i
profili legati alla ricerca scientifica preliminare, che, estranei alle norme
impugnate, trovano tuttavia disciplina nel decreto ministeriale 19 gennaio 2005,
n. 72 (Prescrizioni per la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i
sistemi agrari e la filiera agroalimentare, relativamente alle attività di
rilascio deliberato nell'ambiente di OGM per qualsiasi fine diverso
dall'immissione sul mercato), in attuazione dell'art. 8, comma 6, del d.lgs. n.
224 del 2003 in punto di «valutazione del rischio per l'agrobiodiversità».
Vengono per tale via disciplinati, in particolare, i protocolli tecnici per la
gestione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera
agroalimentare in caso di emissione deliberata nell'ambiente di OGM, ed è
inoltre garantita la consultazione ed informazione pubblica di cui all'art. 12
del d.lgs. n. 224 del 2003. Le Regioni, cui sarebbe precluso inibire sull'intero
proprio territorio le coltivazioni di OGM in base alla decisione della
Commissione 2003/653/CE del 2 settembre 2003 (relativa alle disposizioni
nazionali sul divieto di impiego di organismi geneticamente modificati
nell'Austria superiore, notificate dalla Repubblica d'Austria a norma dell'art.
95, paragrafo 5, del trattato CE), potrebbero in ogni caso delimitare, sulla
base del piano di coesistenza, aree “OGM free”.
Infine, lo Stato reputa conforme a Costituzione il ricorso alla decretazione
d'urgenza. Per un verso, posto che le norme impugnate esulerebbero dalla sfera
di competenza legislativa regionale, la censura fondata sulla violazione
dell'art. 77 della Costituzione sarebbe inammissibile. Per altro verso, dovrebbe
escludersi la evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità ed
urgenza, alla luce della necessità di prevenire l'introduzione da parte di leggi
regionali di divieti all'utilizzo di OGM, in contrasto con la normativa
comunitaria (la Commissione CE, osserva la parte resistente, avrebbe già
autorizzato la commercializzazione e la coltivazione nel territorio comunitario
di 17 varietà geneticamente modificate), e nel contempo della necessità di
«evitare il rischio che l'assenza di alcuna regolamentazione al riguardo
consentisse liberamente l'utilizzo di colture transgeniche senza l'adozione
delle necessarie cautele».
Rileva, pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri, che il
decreto-legge in questione e la conseguente intesa in Conferenza Stato-Regioni
del 3 febbraio 2005 permetterebbero «di differire la coltivazione di colture OGM
fino al luglio 2006, in attesa dei piani di coesistenza regionali».
Inoltre, la decretazione d'urgenza poggerebbe sulla necessità di conferire
tempestiva attuazione alla raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003
(Raccomandazione della Commissione recante orientamenti per lo sviluppo di
strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture
transgeniche, convenzionali e biologiche), la quale, a propria volta, si sarebbe
«resa necessaria» in forza dell'art. 43 del regolamento CE n. 1829/2003 del 22
settembre 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli
alimenti e ai mangimi geneticamente modificati), che ha introdotto l'art. 26-bis
nella direttiva 2001/18/CE, il quale impegna gli Stati membri ad adottare tutte
le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri
prodotti.
Infine, l'invocato obbligo di consultazione del pubblico sarebbe già stato
assolto sulla base delle procedure previste dalla direttiva 2001/18/CE, posto
che la raccomandazione 2003/556/CE avrebbe ad oggetto i soli prodotti OGM già
autorizzati sulla base di tale normativa comunitaria.
4. – È intervenuta in giudizio l'Associazione Sementieri Mediterranei
(AS.SE.ME), «che rappresenta statutariamente gli interessi delle industrie
sementiere nazionali», concludendo per l'accoglimento del ricorso.
In via preliminare, l'Associazione ritiene di poter fondare l'ammissibilità
del proprio intervento sulla circostanza per cui il ricorso alla decretazione
d'urgenza avrebbe impedito lo svolgimento delle consultazioni con la
cittadinanza, imposte dal Protocollo di Cartagena, recepito dall'art. 23 della
direttiva 2001/18/CE, sicché l'intervento in giudizio costituirebbe «il solo
strumento offerto dall'ordinamento per reagire contro la lesione del proprio
diritto di partecipare al processo decisionale relativo agli organismi viventi
modificati».
Nel merito, l'interveniente sottolinea il carattere irreversibile dei danni
a salute ed ambiente che la coltivazione di OGM «a cielo aperto» potrebbe
comportare, invitando questa Corte a disporre istruttoria sul punto.
In ragione di tali premesse, l'interveniente sottolinea come la Regione
Marche abbia vietato, con la citata legge regionale n. 5 del 2004, la
coltivazione di OGM sul proprio territorio; posto che il ricorso dello Stato
avverso tale legge è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con la
sentenza n. 150 del 2005, «dovrebbe concludersi nel senso della radicale
inapplicabilità della disciplina statale introdotta dal decreto legge
impugnato», poiché la Regione avrebbe già esercitato la propria potestà
legislativa nella materia «agricoltura».
5. – Nell'imminenza dell'udienza, la Regione Marche ha depositato memoria,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Dopo avere replicato alle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, la
ricorrente ribadisce che «la immissione nella specificità territoriale della
coltura e delle tecniche di produzione transgeniche» non potrebbe «non essere
classificata all'interno della materia “agricoltura”», oggetto di potestà
legislativa residuale della Regione, tenendo conto della «specificità
territoriale» e corrispondendo ai «differenti bisogni delle agricolture
nazionali».
Viene altresì sostenuto nuovamente che l'intervento legislativo statale
porrebbe norme di dettaglio in materia oggetto di competenza concorrente (tutela
della salute), precludendo alla Regione la individuazione di uno standard di
tutela più rigoroso, anche a presidio dell'ambiente.
Tale potestà regionale sarebbe inoltre conseguente al principio comunitario
di precauzione, il quale comporterebbe «l'illegittimità di una normativa
comunitaria che imponga ai singoli Stati il divieto di misure precauzionali più
rigide» e la garanzia che «le finalità ambientali possono essere realizzate
dalla normativa regionale in materia di competenza propria o concorrente proprio
al fine di una maggiore protezione dell'ambiente».
In attuazione di tale principio, prosegue la Regione Marche, sono
intervenute numerose leggi regionali, non impugnate dallo Stato.
La ricorrente insiste anche sulla già denunciata violazione dell'art. 117,
sesto comma, della Costituzione, poiché lo Stato, tramite gli artt. 3, comma 1,
4, comma 3-bis, 7, comma 2, 7, comma 4, dell'impugnato decreto-legge n. 279 del
2004, avrebbe inteso disciplinare materia di competenza regionale, mediante un
atto normativo «di rango sublegislativo», seppure artatamente qualificato quale
«non regolamentare», allo scopo di eludere la previsione costituzionale.
In conclusione, la Regione Marche insiste nelle censure già svolte e
conclude nuovamente affinché le norme impugnate siano dichiarate
costituzionalmente illegittime.
Considerato in diritto
1. – La Regione Marche ha impugnato gli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4,
6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni urgenti per
assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale
e biologica), nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio
2005, n. 5, per violazione degli artt. 117, commi primo, secondo, lettera s),
terzo, quarto, quinto e sesto, e 118 della Costituzione, anche in relazione agli
artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77 della Costituzione.
La ricorrente afferma, anzitutto, la «assenza palese dei presupposti
di straordinaria necessità ed urgenza» richiesti dall'art. 77 della
Costituzione, posto il carattere non vincolante della raccomandazione
2003/556/CE e la necessità, invece, sulla base della normativa comunitaria ed
internazionale, di realizzare in materia forme di «consultazione e di dibattito
ampio e condiviso»: da ciò la violazione degli articoli 117, terzo e quarto
comma, della Costituzione, con riferimento agli artt. 72, 76, 77 e 117, primo
comma, della Costituzione.
Tutte le norme impugnate sarebbero altresì in contrasto con l'art.
117, commi secondo, lettera s), terzo, quarto e quinto della Costituzione, con
riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, poiché
pregiudicherebbero interventi regionali a tutela dell'ambiente e della salute
umana, animale e vegetale, secondo i principi di prevenzione e precauzione.
Inoltre, tutte le norme censurate violerebbero l'art. 117, quarto
comma, della Costituzione, giacché recherebbero una disciplina vertente nella
materia “agricoltura”, oggetto di potestà legislativa residuale: la minuziosa
disciplina contenuta, in particolare, negli articoli 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 7
e 8 del decreto-legge impugnato, sottrarrebbe in modo palese alle Regioni il
controllo del settore agricolo relativo agli OGM.
La natura dettagliata di tali norme le renderebbe anche illegittime
con riferimento alle materie oggetto di potestà legislativa concorrente dell'
“alimentazione” e della “tutela della salute”.
Né lo Stato potrebbe appellarsi ad obblighi di attuazione della
normativa comunitaria al di fuori delle materie indicate dall'art. 117, secondo
comma, della Costituzione, se non violando anche l'art. 117, quinto comma,
della Costituzione.
Inoltre, premesso che la tutela dell'ambiente non potrebbe essere
prerogativa esclusiva dello Stato, laddove incida su interessi di competenza
regionale, le disposizioni impugnate lederebbero l'articolo 117, terzo e quarto
comma, della Costituzione “anche in relazione all'art. 117, secondo comma,
lettera s), e agli artt. 9, 32 e 33 della Costituzione”.
Gli articoli 3, comma 1, 4, comma 3-bis, e 7, commi 2 e 4, del
decreto-legge impugnato violerebbero anche il sesto comma dell'art. 117 della
Costituzione, poiché tali disposizioni disciplinerebbero l'adozione di “atti
normativi di rango sublegislativo” in una materia che è oggetto di potestà
legislativa residuale della Regione. Qualora, invece, si ritenesse che tali atti
abbiano carattere primario, sarebbe leso l'art. 76 della Costituzione.
Gli artt. 5, commi 3 e 4, e 7 del decreto-legge impugnato
violerebbero anche gli articoli 117, sesto comma, e 118 della Costituzione,
poiché disciplinerebbero funzioni amministrative di spettanza regionale, in
difetto dei presupposti per allocare tali competenze a livello centrale.
L'art. 6 del decreto-legge impugnato, a sua volta, violerebbe il
principio del parallelismo tra competenza a disciplinare una determinata materia
ed introduzione di sanzioni amministrative pecuniarie vertenti sulla medesima.
Infine, illegittimamente gli articoli 3 e 4 del decreto-legge
impugnato imporrebbero l'adozione dei piani di coesistenza mediante
“provvedimento”, anziché mediante legge regionale.
2. – Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità
dell'intervento dell'Associazione Sementieri Mediterranei (AS.SE.ME), dal
momento che il giudizio in via principale si svolge di norma esclusivamente fra
i titolari delle competenze legislative in contestazione, secondo quanto questa
Corte ha già più volte affermato (fra le molte, le sentenze n. 51 del 2006, n.
383, n. 336 e n. 150 del 2005, n. 196 del 2004).
3. – Inammissibile è la censura sollevata dalla Regione ricorrente
in riferimento alla mancata consultazione delle popolazioni interessate prima
di adottare le norme impugnate, secondo quanto prescriverebbe la normativa
comunitaria ed internazionale: anche volendosi prescindere dalla dubbia
riferibilità delle disposizioni comunitarie e internazionali richiamate ai
procedimenti legislativi, le Regioni non sono legittimate a far valere nei
ricorsi in via principale gli ipotetici vizi nella formazione di una fonte
primaria statale, se non «quando essi si risolvano in violazioni o menomazioni
delle competenze» regionali (in particolare le sentenze n. 398 del 1998; fra le
molte analoghe anche le sentenze n. 383 e n. 50 del 2005).
Del pari inammissibili sono le censure che la ricorrente svolge,
evocando a parametro l'art. 117, secondo comma, lettera s), anche in relazione
agli artt. 9, 32 e 33 della Costituzione.
I suddetti parametri, secondo la ricorrente, sarebbero invocabili in
forza del “diritto-dovere” della Regione «ad intervenire nel caso di
inadempimento statale, a tutela della popolazione di cui la stessa è espressione
in ordine a materie e valori costituzionalmente garantiti». Al riguardo,
tuttavia, va osservato che il perimetro, entro il quale assumono rilievo gli
interessi al cui perseguimento è tesa l'attività legislativa, risulta
rigorosamente conformato dalle norme costituzionali attributive di competenza,
sicché non è concesso alla Regione di dedurre, a fondamento di un proprio
ipotetico titolo di intervento, una competenza primaria riservata in via
esclusiva allo Stato, neppure quando essa si intreccia con distinte competenze
di sicura appartenenza regionale: saranno, semmai, queste ultime a poter essere
dedotte a fondamento di un ricorso di legittimità costituzionale in via
principale promosso da una Regione.
Quanto agli artt. 9, 32 e 33 della Costituzione, fermo quanto appena
precisato circa l'ambito entro cui interessi, principi e valori costituzionali
assumono rilievo ai fini del giudizio in via principale delle leggi promosso
dalle Regioni, non può che ribadirsi che queste possono far valere il contrasto
con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza legislativa
soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri
regionali, senza che possano avere rilievo denunce di illogicità o di violazione
di principi costituzionali che non ridondino in lesione delle sfere di
competenza regionale (tra le molte, sentenze n. 383 e n. 50 del 2005; n. 287 del
2004).
4. – L'esame nel merito delle questioni di costituzionalità poste
alla Corte esige un previo chiarimento del quadro normativo comunitario e
nazionale in tema di organismi geneticamente modificati (OGM).
4.1. – La direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi
geneticamente modificati, che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio)
costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia di “immissione in
commercio” di OGM (tale essendo, ai sensi dell'art. 2, comma 1, numero 2, di
detta direttiva «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale
genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con
l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale»), sia di “emissione
deliberata” di OGM nell'ambiente.
Tali nozioni, benché distinte e fondate su separate previsioni
normative (sentenza n. 150 del 2005), sono nel loro insieme sufficientemente
ampie per ricomprendervi ogni fase dell'impiego di OGM in agricoltura, una volta
superate le complesse fasi di autorizzazione previste dalla medesima direttiva:
tali procedure comportano una penetrante valutazione, caso per caso, degli
eventuali rischi per l'ambiente e la salute umana, connessi all'immissione in
commercio, ovvero anche all'emissione di ciascun OGM ai fini dell'uso agricolo.
Le originarie disposizioni in tema di coltivazione degli OGM sono
state specificate dalla decisione della Commissione n. 2002/623/CE del 24 luglio
2002 (recante note orientative ad integrazione dell'Allegato II della direttiva
2001/18/CE) che ha ulteriormente arricchito i criteri cui attenersi per la
valutazione del rischio ambientale, anche con particolare ed espresso
riferimento alle “pratiche agricole”.
Sulla base di tali presupposti, il regolamento n. 1829/2003 del 22
settembre 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli
alimenti ed ai mangimi geneticamente modificati), disciplinando con analoghe
forme di tutela il regime degli alimenti geneticamente modificati, ha chiarito
(art. 7, comma 5) che «l'autorizzazione concessa secondo la procedura […] è
valida in tutta la Comunità», ed ha introdotto nel corpo della direttiva
2001/18/CE l'art. 26 bis, secondo il quale «gli Stati membri possono adottare
tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri
prodotti». Questa stessa disposizione si riferisc espressamente anche alla
«coesistenza tra culture transgeniche, convenzionali ed organiche».
Con ciò si viene a completare il quadro di tutela approntato dalla
normativa comunitaria in tema di OGM a presidio dell'ambiente e della salute.
Su un piano connesso, ma distinto, la raccomandazione 2003/556/CE
del 23 luglio 2003 (Raccomandazione della Commissione recante orientamenti per
lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la
coesistenza tra culture transgeniche, convenzionali e biologiche) disciplina in
modo espresso ed analitico la coesistenza tra culture transgeniche,
convenzionali e biologiche nell'ambito della produzione agricola, ponendo
inoltre come sua esplicita premessa il principio che «nell'Unione europea non
deve essere esclusa alcuna forma di agricoltura, convenzionale, biologica e che
si avvale di OGM» (primo “considerando”).
Al riguardo, deve essere evidenziato che tale raccomandazione,
muovendo dalla premessa secondo cui “gli aspetti ambientali e sanitari” connessi
alla coltivazione di OGM sono affrontati e risolti esaustivamente alla luce del
regime autorizzatorio disciplinato dalla direttiva 2001/18/CE, circoscrive
espressamente il proprio campo applicativo ai soli “aspetti economici connessi
alla commistione tra culture transgeniche e non transgeniche”, in relazione alle
“implicazioni” che l'impiego di OGM può comportare sulla “organizzazione della
produzione agricola” (introduzione, paragrafo 1.1).
Si tratta di «orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non
vincolanti rivolte agli Stati membri», il cui campo di applicazione si estende
dalla produzione agricola a livello dell'azienda al primo punto di vendita,
ossia “dal seme al silo” (punto 1.5).
Il fatto che l'impiego di OGM autorizzati in agricoltura sia
garantito dalla normativa comunitaria ha trovato ulteriore conferma nella
decisione 2003/653/CE della Commissione europea del 2 settembre 2003 (relativa
alle disposizioni nazionali sul divieto di impiego di organismi geneticamente
modificati nell'Austria superiore, notificate dalla Repubblica d'Austria a norma
dell'art. 95, par. 5, del Trattato CE), con cui, ai sensi dell'art. 95 del
Trattato, è stato respinto un progetto di legge del Land dell'Austria superiore,
inteso a vietare in via generale sul proprio territorio l'utilizzo di OGM, al
fine di proteggere i sistemi di produzione agricola tradizionali. In questa
decisione si è affermato che, in presenza delle disposizioni comunitarie in
materia miranti a “ravvicinare la legislazione degli Stati membri”, questi
ultimi non possono impedire la coltivazione delle sementi OGM autorizzate, ma
semmai eventualmente utilizzare la apposita “clausola di salvaguardia” di cui
all'art. 23 della medesima direttiva, peraltro sempre in riferimento all'impiego
di singoli OGM.
4.2. – Per ciò che riguarda la normativa italiana in questa materia,
il decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 224 (Attuazione della direttiva
2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi
geneticamente modificati), recependo la direttiva 2001/18/CE, pone un'analitica
e complessa disciplina di tutela allo specifico fine di «proteggere la salute
umana, animale e l'ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi
geneticamente modificati» (art. 1, comma 1).
Con specifico riguardo all'impiego di OGM in agricoltura, l'art. 8,
comma 2, lettera c), del medesimo d.lgs. n. 224 del 2003 impone che la notifica
preliminare all'emissione nell'ambiente di OGM, necessaria ai fini
dell'autorizzazione da parte dell'autorità nazionale competente, contenga la
«valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera
agroalimentare, in conformità alle prescrizioni stabilite dal decreto» di cui al
successivo comma 6.
E' palese la strumentalità della disciplina così approntata rispetto
a finalità di tutela dell'ambiente e della salute: il Ministro dell'ambiente è
individuato come “autorità nazionale competente” (art. 2); presso il Ministero
dell'ambiente viene costituita una “Commissione interministeriale di
valutazione” (con una presenza solo minoritaria di rappresentanti regionali)
(art. 6); si regolano analiticamente procedure di autorizzazione, controllo,
vigilanza, sanzionate anche penalmente, e si introduce l'obbligo di risarcimento
per chi provochi, in violazione delle disposizioni del decreto legislativo
stesso, danni “alle acque, al suolo, al sottosuolo e ad altre risorse
ambientali” che non siano eliminabili “con la bonifica ed il ripristino
ambientale” (art. 36).
Il decreto interministeriale previsto dall'art. 8, comma 6, del
d.lgs. n. 224 del 2003 è stato adottato in data 19 gennaio 2005 (Prescrizioni
per la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la
filiera agroalimentare relativamente alle attività di rilascio deliberato
nell'ambiente di OGM per qualsiasi fine diverso dall'immissione sul mercato):
questo testo normativo reca dettagliate previsioni concernenti il “rischio per
l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare”, attribuendo
ad un decreto interministeriale il potere di definire “i protocolli tecnici
operativi per la gestione del rischio delle singole specie GM” (art. 1, comma
2). Al tempo stesso, alcune funzioni vengono attribuite alle Regioni e queste
compongono in maggioranza il Comitato tecnico di coordinamento, che opera presso
il Ministero delle politiche agricole e forestali.
In particolare, si prevede che la emissione degli OGM nell'ambiente,
per qualsiasi fine diverso dalla immissione sul mercato, debba avvenire in
appositi “siti” - e cioè terreni di proprietà o gestiti “da istituti di ricerca
pubblici, università, enti di sviluppo agricolo, sistema delle agenzie per la
protezione dell'ambiente (APAT/ARPA), regioni e province autonome, enti locali”
- individuati dalle Regioni interessate (art. 3).
4.3 – In tale contesto è stato approvato il testo normativo oggetto
del presente giudizio e cioè il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279
(Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura
transgenica, convenzionale e biologica), successivamente convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5: testo normativo che
esplicitamente si dichiara attuativo della raccomandazione 2003/556/CE, al fine
di disciplinare il «quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture
transgeniche, e quelle convenzionali e biologiche» ed esclude, invece, dalla
propria area di competenza le colture per fini di ricerca e sperimentazione
autorizzate ai sensi del d.m. 19 gennaio 2005.
Gli artt. 1 e 2 del decreto-legge impugnato muovono dalla
sussistenza del principio, di derivazione comunitaria, di coesistenza tra le
colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche, per poi articolarlo in
alcune regole generali.
L'adozione delle “misure di coesistenza” necessarie per dare
ulteriore attuazione a tale principio è, peraltro, affidata dall'art. 3 del
decreto-legge n. 279 del 2004 ad un decreto “di natura non regolamentare” del
Ministro per le politiche agricole e forestali, “adottato d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano, emanato previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari”. A questo atto è attribuito il potere di definire “le
norme quadro per la coesistenza”, in coerenza con le quali le Regioni
approveranno i propri piani di coesistenza, adottando appositi “provvedimenti”
(artt. 3 e 4); questo stesso atto statale individua “le diverse tipologie di
risarcimento dei danni” per inosservanza delle misure del piano di coesistenza e
definisce “le modalità di accesso del conduttore agricolo danneggiato al Fondo
di solidarietà nazionale”; esso disciplina inoltre le forme di utilizzo “di
specifici strumenti assicurativi da parte dei conduttori agricoli” (art. 5,
comma 1-ter) e definisce “le modalità di accesso del conduttore agricolo
danneggiato al Fondo di solidarietà” (art. 4, comma 3-bis); infine, con un atto
analogo si deliberano le norme sulle “modalità di controllo” (art. 7, comma 4).
In questo contesto, il piano di coesistenza è adottato con
“provvedimento” di ciascuna Regione e Provincia autonoma e «contiene le regole
tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti che garantiscono la
collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza» (art. 4.1).
Fino all'adozione dei singoli piani di coesistenza, «le colture
transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di
sperimentazione, non sono consentite» (art. 8).
Infine l'art. 7 prevede un altro organo consultivo nazionale, il
“Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche,
convenzionali e biologiche”, a composizione mista e con una presenza
minoritaria di esperti designati dalla Conferenza permanente Stato-Regioni.
5 – Alla luce del quadro normativo appena indicato è possibile
affrontare il merito delle questioni poste dalla Regione ricorrente.
Infondata è anzitutto la censura relativa alla lesione dell'art. 77
della Costituzione sulla base della asserita palese carenza dei presupposti di
straordinaria necessità ed urgenza, anche a volerla considerare ammissibile in
quanto intesa a far valere in via indiretta una lesione delle competenze
regionali.
Premesso che, rispetto alla sussistenza dei presupposti di cui
all'art. 77 della Costituzione, il sindacato di questa Corte è circoscritto a
verificare l'eventuale carattere “evidente” della loro supposta carenza (tra le
molte, le sentenze n. 272 del 2005 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2003), vi è da
considerare nel caso in questione la necessità di superare con immediatezza la
situazione prodotta dalla vigenza di diverse leggi regionali che prescrivevano,
in termini più o meno rigorosi, il divieto di impiego, ovvero l'obbligo di
attenersi a particolari limitazioni di impiego, degli OGM autorizzati dalla
Comunità europea, mentre la raccomandazione 2003/556/CE muove dal presupposto
che sia lecito nel diritto comunitario l'impiego nella produzione agricola di
OGM, purché autorizzati. Specie dopo la decisione 2003/653/CE della Commissione
europea, può essere pacificamente escluso l'asserito manifesto difetto di una
situazione di straordinaria necessità ed urgenza ai fini dell'adozione di un
testo normativo che eliminasse o riducesse una situazione di evidente contrasto
con il diritto comunitario, e consentisse di avviare, pur nel doveroso rispetto
delle competenze regionali, un procedimento di attuazione del principio di
coesistenza tra colture, con la celerità imposta dall' “imminente
approvvigionamento delle sementi per la prossima campagna di semina”.
6 – Per risolvere le ulteriori questioni poste dal ricorso della
Regione ricorrente, occorre confrontare il complesso quadro normativo in tema di
organismi geneticamente modificati con la ripartizione delle competenze che è
contenuta nel Titolo V della Costituzione.
Non vi sono dubbi che il d.lgs. 8 luglio 2003 n. 224, di ricezione
della direttiva 2001/18/CE, ed il d.m. 19 gennaio 2005, che ad esso ha dato
attuazione, operano in un'area normativa riconducibile in via primaria alla
tutela dell'ambiente, e solo in via secondaria alla tutela della salute e della
ricerca scientifica. D'altronde appare significativo del condiviso primato in
materia dello Stato, pur in presenza di alcune competenze regionali, sia il
riconoscimento in esse di un ruolo sostanzialmente secondario delle Regioni, sia
la stessa mancata impugnativa di questi atti normativi statali da parte delle
Regioni.
Diverso è l'esito del processo di individuazione della materia entro
cui ricondurre la coltivazione degli organismi geneticamente modificati a fini
produttivi. Il decreto-legge n. 279 del 2004, oggetto di ricorso, è
stato espressamente adottato «in attuazione della raccomandazione della
Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003» (art. 1), atto comunitario che
disciplina l' “organizzazione della produzione agricola” per gli aspetti
“economici” conseguenti all'utilizzo in agricoltura di OGM ed, invece, estraneo
a profili “ambientali e sanitari”. Si tratta di un atto comunitario che si
inserisce in un preesistente quadro normativo vincolante, relativo alla
prevenzione di potenziali pregiudizi per l'ambiente e la salute umana legati
all'impiego di OGM. Inoltre, nel formulare tale raccomandazione, la Commissione
europea muove dal presupposto, ormai non più controverso nel diritto
comunitario, costituito dalla facoltà di impiego di OGM in agricoltura, purché
autorizzati.
Per la parte, quindi, che si riferisce al principio di coesistenza e che
implicitamente ribadisce la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM
autorizzati a livello comunitario, il legislatore statale con l'adozione del
decreto-legge n. 279 del 2004 ha esercitato la competenza legislativa esclusiva
dello Stato in tema di tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s,
della Costituzione), nonché quella concorrente in tema di tutela della salute
(art. 117, terzo comma, della Costituzione), con ciò anche determinando
l'abrogazione per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni in tema di
coltivazione di OGM che erano contenuti in alcune legislazioni regionali.
Infatti, la formulazione e specificazione del principio di
coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il
punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale,
costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa economica dell'imprenditore
agricolo e dall'altro lato dall' esigenza che tale libertà non sia esercitata in
contrasto con l'utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati
all'ambiente e alla salute.
Va aggiunto che l'imposizione di limiti all'esercizio della libertà
di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione
nell'interesse dell'ambiente e della salute umana, può essere giustificata
costituzionalmente solo sulla base di «indirizzi fondati sulla verifica dello
stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite,
tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò
deputati, dato l'essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi
tecnico scientifici» (sentenza n. 282 del 2002).
Inoltre, l'elaborazione di tali indirizzi non può che spettare alla
legge dello Stato, chiamata ad individuare il «punto di equilibrio fra esigenze
contrapposte» (sentenza n. 307 del 2003), che si imponga, in termini non
derogabili da parte della legislazione regionale, uniformemente sull'intero
territorio nazionale (sentenza n. 338 del 2003).
Sulla base di tali premesse, sono da ritenersi non fondate le
censure rivolte avverso gli artt. 1 e 2 del decreto-legge n. 279 del 2004,
giacché tali disposizioni, nel fornire una definizione di colture transgeniche,
biologiche e convenzionali (art. 1), e nell'affermare il principio di
coesistenza di tali colture, in forme tali da “tutelarne le peculiarità e le
specificità produttive”, sono espressive della competenza esclusiva dello Stato
nella materia “tutela dell'ambiente”, e della competenza concorrente nella
materia “tutela della salute”.
7. – Venendo all'esame delle questioni poste sulle ulteriori
disposizioni impugnate, la Corte osserva che, mentre il rispetto del principio
di coesistenza delle colture transgeniche con le forme di agricoltura
convenzionale e biologica inerisce ai principi di tutela ambientale elaborati
dalla normativa comunitaria e dalla legislazione statale, invece la coltivazione
a fini produttivi riguarda chiaramente il «nocciolo duro della materia
agricoltura, che ha a che fare con la produzione di vegetali ed animali
destinati all'alimentazione» (come si esprime la sentenza di questa Corte n. 12
del 2004). Infatti, il decreto-legge n. 279 del 2004, mentre esclude in modo
espresso dalla sua area di efficacia proprio le colture transgeniche realizzate
sulla base del d.m. 19 gennaio 2005, atto di attuazione del d.lgs. 8 luglio 2003
n. 224 (che, a sua volta, recepisce la direttiva 2001/18/CE), mira palesemente a
disciplinare la produzione agricola in presenza anche di colture transgeniche.
Ciò non toglie che questa disciplina, pur essenzialmente riferita
alla materia agricoltura, di competenza delle Regioni ai sensi del quarto comma
dell'art. 117 Cost. (sentenze n. 282 e n. 12 del 2004), debba o possa essere
accompagnata dal parallelo esercizio della legislazione statale in ambiti di
esclusiva competenza dello Stato (come, ad esempio, per quanto attiene alla
disciplina dei profili della responsabilità dei produttori agricoli) o in ambiti
di determinazione dei principi fondamentali, ove vengano in gioco materie
legislative di tipo concorrente.
Tale non è tuttavia il caso degli artt. 3, 4 e 7 del decreto-legge
n. 279 del 2004, quali convertiti dalla legge n. 5 del 2005.
In queste norme anzitutto si stabiliscono le modalità per adottare
le “norme quadro per la coesistenza” (art. 3), prevedendo un atto statale dalla
indefinibile natura giuridica (cui peraltro si attribuisce la disciplina di
materie che necessiterebbero di una regolamentazione tramite fonti primarie). In
secondo luogo, si prevede lo sviluppo ulteriore di queste “norme quadro” tramite
piani regionali di natura amministrativa (art. 4). Scelte del genere sono
peraltro lesive della competenza legislativa delle Regioni nella materia
agricoltura, dal momento che non può essere negato, in tale ambito, l'esercizio
del potere legislativo da parte delle Regioni per disciplinare le modalità di
applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali,
notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo.
Infine, neppure appare giustificabile la creazione di un nuovo organo consultivo
statale, strettamente strumentale all'esercizio dei poteri ministeriali di cui
all'art. 3 (art. 7).
Tali disposizioni devono pertanto essere dichiarate
costituzionalmente illegittime.
Del pari, va dichiarata la illegittimità costituzionale del primo
comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 279 del 2004, quale convertito dalla
legge n. 5 del 2005, dal momento che la regolamentazione delle sanzioni
amministrative spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la
disciplina della materia la cui inosservanza è in tal modo sanzionata (fra le
molte, le sentenze n. 63 del 2006; n. 384 e n. 50 del 2005).
Quanto agli artt. 5, commi 3 e 4, ed 8, prescindendosi in questa
sede dalle censure avanzate dalla ricorrente, appare sufficiente per la loro
dichiarazione di illegittimità costituzionale la constatazione che le loro
discipline si pongono in nesso inscindibile con le norme che questa Corte ha
appena ritenuto illegittime, con particolare riferimento alle “norme quadro”
statali di cui all'art. 3 del decreto-legge n. 279 del 2004 ed ai piani di
coesistenza regionali di cui all' art. 4 del medesimo testo normativo.
Del pari va dichiarato illegittimo l'art. 6, comma 2, recante
sanzioni penali in caso di inosservanza del divieto posto dall'art. 8, a causa
del suo stretto rapporto con quanto disciplinato in tale ultima disposizione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento in giudizio dell'Associazione Sementieri
Mediterranei;
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, 4, 6, comma 1, e 7
del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni urgenti per assicurare
la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e
biologica), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005,
n. 5 ;
dichiara la conseguente illegittimità costituzionale degli articoli 5, commi
3 e 4, 6, comma 2, e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito in
legge, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli
artt. 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004,
n. 279, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n.
5, sollevata dalla Regione Marche in relazione agli articoli 9, 32, 33 e 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 279 del 2004, convertito in legge con
modificazioni dalla legge n. 5 del 2005, sollevate dalla Regione Marche in
relazione agli articoli 72, 76, 77, 117, commi primo, terzo, quarto e quinto
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, l'8 marzo 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.