Cass. Sez. III n. 19440 del 23 maggio 2012 (Ud. 27 gen. 2012)
Pres. Mannino Est. Fiale Ric. Alemanno
Urbanistica. Disciplina sanzionatoria

In materia edilizia - la disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento.

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 18.6.2009, ha confermato la sentenza 22.4.2008 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase, che aveva affermato la responsabilità penale di A.M.G. e O.G. in ordine ai reati di cui:

- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere - la prima quale proprietaria e committente ed il secondo quale direttore dei lavori - in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, senza la necessaria concessione edilizia, realizzato la demolizione e ricostruzione di un immobile effettuando scavi finalizzati all'edificazione di un manufatto con superficie e volumetria maggiorate, non corrispondente a quello demolito, nonchè per avere allargato una strada preesistente - acc. in Patù, il 15.2.2007); - al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato le opere anzidette senza la necessaria autorizzazione paesaggistica) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato ciascuno alla pena complessiva di mesi due di arresto ed Euro 23.000,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, nonchè concedendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione effettiva delle opere abusive ed all'effettivo ripristino entro due mesi dalla formazione del giudicato.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:

- la insussistenza dei reati, in quanto gli scavi riscontrati dai verbalizzanti non erano destinati all'ampliamento del fabbricato demolito (tenuto anche conto della loro distanza dalle fondazioni originarie e della loro "scarsa profondità"), bensì ad un livellamento dei terreno, e non era emersa alcuna prova certa circa il presunto allargamento della strada;

- la estinzione del reato paesaggistico, perchè la A., in pendenza del termine per il deposito della motivazione della sentenza di appello, aveva provveduto alla demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Da ciò la necessità di disporre anche la revoca degli ordini ormai ottemperati, che tra l'altro non avrebbero potuto essere eseguiti dal direttore dei lavori.

Il difensore ha depositato in udienza certificazione dell'ufficio dello stato civile del Comune di Mordano di Leuca attestante l'intervenuta morte dell' O. in data 25.10.2011.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tenuto conto della certificazione anagrafica acquisita, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di O.G., ai sensi degli artt. 69 e 129 cod. proc. pen., perchè i reati a lui ascritti sono estinti per morte dell'imputato.

2. Il ricorso della A., invece, deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

2.1 Netta fattispecie in esame la Corte territoriale ha dato atto dell'intervenuta presentazione:

- di una DIA (in data 19.4.2006) riferita esclusivamente alla demolizione e sostituzione dei solai della costruzione preesistente;

- di una successiva DIA "in variante" del 9.2.2007 (asseritamente resa necessaria dall'intervenuto collasso della struttura) ove si prevedeva la demolizione e la fedele ricostruzione dell'immobile, con l'aggiunta di un "vuoto sanitario", comportante ta realizzazione di un volume aggiuntivo inferiore al 20% di quello dell'edificio principale, nonchè (a sistemazione della strada di accesso. Tale DIA "in variante" è stata presentata soltanto in epoca successiva ad un accesso di personale della Guardia forestale (effettuato il 5.2.2007) che aveva rilevato l'esecuzione di lavori totalmente difformi rispetto alle previsioni della prima denunzia di inizio dell'attività: l'edificio preesistente, infatti, era stato completamente demolito ed in adiacenza all'area già da esso occupata era stato realizzato uno scavo di circa mq.190.

Entrambe le decisioni di merito hanno razionalmente illustrato le ragioni evidenzianti la pretestuosità della prospettata attività di livellamento del terreno mediante sbancamento ed hanno ricollegato, con argomentazioni logiche, i nuovi scavi effettuati ad una preordinata implementazione della superficie e dei volumi pregressi.

E' stato anche accertato l'intervenuto allargamento di una strada, con conseguente mutamento delle sue caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali.

te censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione dei fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

2.2 Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superna".

L'art. 22, comma 3, lett. a), dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede, comunque, che - a scelta dell'interessato - possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali e strutturali dell'edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume.

Le "modifiche del volume" previste dall'art. 10 possono consistere, però, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poichè, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell'edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra "ristrutturazione edilizia" e "nuova costruzione".

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, ha esteso, inoltre, la nozione di "ristrutturazione edilizia" rioomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi "consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica".

Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione.

Nella vicenda in esame, al contrario, il risultato finale dell'attività demolitorio-ricostruttiva non si prospetta coincidente, nella volumetria e nella sagoma, con il manufatto precedente, sicchè l'intervento eseguito è stato esattamente qualificato come "nuova costruzione", assoggettata esclusivamente al permesso di costruire (vedi Cass., Sez. 3, 18 marzo, 2004, Calzoni, Vedi pure, in tal senso, C. Stato: Sez. 5, 29 maggio 2006, n. 3229; Sez. 4, 22 maggio 2006, n. 3006; Sez. 2, 1 marzo 2006, n. 2687/04).

2-3 Non risulta esperito, inoltre, un procedimento di DIA puntualmente correlato, prima del loro inizio, all'esecuzione dei lavori in oggetto e, nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3 - in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire - la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integra il reato di cui al successivo art. 44 (vedi Cass.: Sez. 3, 9 marzo 2006, n. 8303; Sez. 3, 26 gennaio 2004, n. 2579, Tolion; Sez. 5, 26 aprile 2005, Giordano).

Tale principio è stato espressamente dichiarato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, attraverso l'introduzione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2-bis, secondo il quale "Le disposizioni dei presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa".

Va affermato, conseguentemente, che - in materia edilizia - la disciplina sanzionatoria penale non è correlata alfa tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento.

3. Manifestamente infondate sono pure le argomentazioni riferite in ricorso alla possibilità di applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-quinquies, che prevede una causa speciale di estinzione del reato paesaggistico di cui al comma 1, conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree e degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga condanna.

Nella specie la rimessione in pristino - anche qualora fosse stata correttamente e compiutamente realizzata (circostanza evidentemente non verificabile in questa sede di legittimità) - sarebbe intervenuta dopo fa pronunzia di condanna (e dopo la lettura del dispositivo di conferma della stessa in grado di appello), laddove il legislatore ha inteso invece premiare lo "spontaneo" ravvedimento operoso dell'agente con una disposizione normativa di favore che non contiene alcun riferimento alla necessità della formazione del giudicato.

4. In sede di esecuzione potrà essere accertato se si siano effettivamente verificate le condizioni alle quali i giudici del merito hanno correlato l'operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena.

5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la A. "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000/00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di O. G., perchè i reati a lui ascritti sono estinti per morte dell'Imputato. Dichiara inammissibile il ricorso di A.M. G. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2012