Cass. Sez. III  n. 14284 del 14 aprile 2010 (Ud.12 gen. 2010)
Pres. Lupo Est. Franco Ric. Roveda.
Elettrosmog. Installazione impianti di radiodiffusione

Non integra il reato di installazione e/o esercizio senza autorizzazione di impianti di radiodiffusione sonora o televisiva in ambito locale (art. 98, comma terzo, Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259) la modifica "in riduzione" di un impianto già assentito, non essendo necessaria in tale ipotesi l'autorizzazione preventiva, ma una semplice comunicazione da parte del soggetto che ne è titolare. (In motivazione la Corte, in una fattispecie nella quale si era verificata la delocalizzazione e riduzione dell'area originariamente servita dall'impianto autorizzato, ha precisato che a tale ipotesi è applicabile il principio del silenzio assenso, da ritenersi formato una volta decorso il termine di sessanta giorni dalla comunicazione).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 12/01/2010
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 20
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - N. 28727/2009
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Roveda Enea, nato a Milano il 10.3.1982;
avverso la sentenza emessa il 21 gennaio 2009 dalla Corte d'appello di Milano;
udita nella pubblica udienza del 12 gennaio 2010 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale Dott. Salzano Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Colaiacono Graziella in sostituzione dell'avv. Sacco Piermario.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Milano dispose la conversione in pecuniaria della pena detentiva e confermò nel resto la sentenza 25.9.2007 del giudice del tribunale di Como, che aveva dichiarato Roveda Enea colpevole del reato di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 98, comma 3, seconda parte, per avere installato e messo in esercizio l'impianto di radiodiffusione in ambito locale a frequenza 105,100 MHz sito in località Monte Goy del comune di Como senza autorizzazione.
Osservò, tra l'altro, la Corte d'appello: - che non era possibile rinnovare l'istruttoria dibattimentale per acquisire una nota dell'Ispettorato territoriale in quanto irrilevante perché nella specie non vi era stata un semplice modifica dell'impianto, essendo stato il nuovo messo in funzione prima della dismissione del vecchio;
- che l'istanza presentata il 22.6.2005 mirava ad ottenere una autorizzazione e che l'impianto di Monte Goy era stato considerato dall'IT come autonomo e come tale necessitante di una autorizzazione;
- che sussisteva l'elemento soggettivo del reato perché non era applicabile l'istituto del silenzio assenso ma quello dell'assenso rifiuto.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
1) violazione dell'art. 603 c.p.p., in quanto doveva essere disposta la riapertura dell'istruttoria per acquisire il documento della amministrazione, che era indispensabile, perché, a prescindere dalla erronea motivazione della Corte d'appello, esso avrebbe comunque consentito di escludere quanto meno l'elemento soggettivo del reato. 2) violazione di legge ed erronea e manifestamente illogica motivazione:
a) con riferimento all'asserita contestuale trasmissione dei ripetitori di Monte Bissino e Monte Goy, il che era impossibile perché, trasmettendo i due sulla stessa frequenza e sulla stessa zona, se così fosse stato i segnali si sarebbero annientati. b) con riferimento alla insussistenza della ipotesi di silenzio assenso ex L. n. 241 del 1990, art. 20 come novellato dalla L. n. 80 della 2005, art. 3, comma 6 ter. Osserva che nella specie si era verificata una ipotesi di silenzio assenso. In ogni caso l'interpretazione fatta dal ricorrente in tal senso escludeva l'elemento soggettivo del reato.
3) violazione dell'art. 163 c.p. e L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, perché nel concedere la conversione della pena detentiva la Corte d'appello avrebbe anche dovuto revocare la sospensione condizionale della pena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Deve preliminarmente osservarsi che la sentenza impugnata riporta l'opinione dell'Ispettorato Territoriale (espressa nella nota 8.10.2004) secondo cui "la modifica in riduzione dell'impianto non presuppone alcuna preventiva autorizzazione da parte dell'amministrazione, essendo sufficiente una semplice comunicazione". La Corte d'appello ha tuttavia ritenuto che nella specie non vi sarebbe stata una mera riduzione o modificazione, ma una vera e propria duplicazione di impianti e di trasmissioni, in quanto il nuovo impianto era stato installato o messo in funzione in una diversa località "prima della dismissione del precedente impianto (Monte Bissino), che rimaneva, tuttavia, in funzione". Trattasi però di affermazione apodittica ed erronea perché, come esattamente eccepisce la difesa, non era possibile che i due impianti trasmettessero simultaneamente. È infatti pacifico che durante la prova l'impianto di Monte Goy trasmetteva sulla stessa lunghezza d'onda e sulla stessa area dell'impianto di Monte Bisbino, ma per una estensione più ridotta. Perciò, se i due impianti fossero stati attivati contemporaneamente, vi sarebbe stata una reciproca interferenza tra i due segnali, che si sarebbero annientati reciprocamente, rendendo l'emittente inascoltabile. Gli ispettori invece captarono in chiaro il segnale di Monte Goy sulla medesima frequenza, il che dimostra che l'impianto di Monte Bisbino non era attivo mentre si facevano le prove di trasmissione dall'impianto di Monte Goy. Ne deriva che non vi era stata alcuna trasmissione simultanea e duplicazione di impianti bensì - per il solo tempo delle prove - una delocalizzazione e riduzione dell'area originariamente servita. Si trattava quindi di una situazione per la quale, sulla base della normativa in vigore, per come interpretata dallo stesso Ispettorato territoriale regionale, non occorreva una nuova autorizzazione, ma era sufficiente la semplice comunicazione. D'altra parte, tale orientamento interpretativo ed applicativo della amministrazione competente, espresso in note ufficiali, giustificava un errore incolpevole in capo al prevenuto, secondo le indicazioni contenute nella fondamentale sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale.
In ogni modo, deve dichiararsi che il fatto non sussiste anche per un'altra ed assorbente ragione.
Il prevenuto ha invero eccepito che l'autorizzazione gli era stata rilasciata in virtù del silenzio assenso che si era formato sulla sua richiesta di autorizzazione a trasferire le trasmissioni da Monte Bisbino a Monte Goy, con la medesima frequenza e con la stessa zona di destinazione ma in una area più ristretta, richiesta contenuta, insieme ad altre, nell'istanza di compatibilizzazione e razio-nalizzazione presentata il 22 giugno 2005.
La Corte d'appello ha ritenuto che nella specie non fosse applicabile l'istituto del silenzio assenso e ricorresse invece la figura del silenzio rigetto, senza però indicare le ragioni di tale ritenuta inapplicabilità.
Va quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza, l'istituto del silenzio assenso sulle istanze di rilascio di un atto autorizzativo cui sia subordinato lo svolgimento di una attività privata ha assunto carattere generale, e con estensione a tutti i provvedimenti amministrativi relativi a procedimenti ad istanza di parte, salvo le eccezioni previste, sulla base delle disposizioni della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 20, modificata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 (Cons. Stato, Sez. 5, 9 giugno 2008, n. 2829, punto 5.1; v. anche Cons. Stato, Sez. 6, 11 novembre 2008, n. 5628).
E difatti, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 20, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 6 ter, convertito con L. n. 80 del 2005, "nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide" se la medesima amministrazione non comunica all'interessato il provvedimento di diniego nel termine di novanta giorni (secondo la norma vigente all'epoca dei fatti) ovvero non procede ad indire una conferenza di servizi. Questa regola generale non si applica solo ai casi indicati nel comma 4, ossia "agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti". Fra queste ipotesi di esclusione dal detto principio generale non rientra quindi quella della semplice delocalizzazione di un impianto radiotrasmittente che, pertanto, a parere del Collegio, deve ritenersi annoverabile fra le ipotesi per le quali il silenzio assenso è applicabile, a condizione che la domanda di modificazione e delocalizzazione sia conforme al dettato normativo.
Nella specie non è stato contestato che l'istanza di
delocalizzazione dell'interessato fosse conforme alle condizioni di legge, ed anzi ciò risulta indirettamente dalla circostanza che successivamente l'autorizzazione è stata confermata anche dalla autorità giudiziaria.
Va altresì ricordato che ai sensi del precedente L. n. 241 del 1990, art. 19, nel testo modificato dalla D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 1, convertito con L. n. 80 del 2005, "ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi", con la sola esclusione degli atti ivi espressamente previsti (tra i quali non rientra la autorizzazione in questione) "è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste", mentre "l'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni"; e "l'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente", la quale peraltro può sempre assumere determinazioni in via di autotutela, disponendo la revoca o l'annullamento d'ufficio del provvedimento.
L'art. 20 cit., nel testo vigente all'epoca dei fatti, prevedeva per la formazione del silenzio assenso in via generale il termine di 90 giorni, sempre che per lo specifico provvedimento non fosse previsto un termine diverso. Nel caso in esame, quindi, doveva applicarsi il diverso termine di 60 giorni previsto dal D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, art. 28, comma 4, (Testo unico della radiotelevisione), il quale stabilisce appunto che "gli organi periferici del Ministero provvedono in ordine alle richieste di autorizzazione di cui ai commi 2 e 3 entro sessanta giorni dalla richiesta". Nella specie la richiesta della LifeGate Radio spa era stata inoltrata il 22 giugno 2005, mentre la prova di trasmissione dal Monte Goy era stata effettuata il 24 agosto 2005, e cioè quando il silenzio assenso si era già formato per decorso del termine di 60 giorni.
Non è poi esatto quanto sembra essere sostenuto dalla sentenza impugnata nel senso che la nota della amministrazione del 25 agosto 2005 (recapitata il 30 agosto 2005) avrebbe costituito un "rifiuto- rigetto" tardivo, che avrebbe impedito la formazione del silenzio assenso. Ed infatti, in primo luogo, tale nota (che peraltro disponeva solo "l'accantonamento" dell'istanza) non riguardava la richiesta di trasferimento da Monte Bisbino a Monte Goy ma l'istanza di ottimizzazione e razionalizzazione del complesso degli impianti, ed in particolare il trasferimento da Roncola a Valcava. In ogni caso, essendo tale provvedimento intervenuto dopo il termine di 60 giorni, si sarebbe trattato semmai di una revoca del provvedimento emanato in forza del silenzio assenso, revoca che poteva avere efficacia dalla data di comunicazione all'interessato del 30 agosto 2005 (trattandosi di atto ricettizio) e comunque certamente non prima della data di emissione del 25 agosto 2005. Nella specie, invece, il fatto contestato è stato commesso il 24 agosto 2005.
Deve anche ricordarsi che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il silenzio assenso non si verifica ove l'istanza di parte non sia idonea a consentirne il compiuto esame per carenze documentali in ordine ad un presupposto o requisito essenziale (Cons. Stato, Sez. 5, 19 giugno 2009, n. 4053; Id, Sez. 5, 29 dicembre 2009, n. 8831). Nella specie però si trattava di una richiesta di sola delocalizzazione da un impianto all'altro già esistenti ed autorizzati da parte di soggetto già munito di autorizzazione generale ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 98.
Inoltre non è contestato che l'istanza di delocalizzazione fosse conforme alle condizioni di legge, come del resto emerge anche dal fatto che la delocalizzazione non fu revocata dalla autorità amministrativa e fu poi anche confermata dalla autorità giudiziaria. Non risulta quindi (nè è stato dedotto dall'accusa) che vi fosse bisogno di particolare documentazione che non si trovasse già in possesso della amministrazione o necessità di particolari valutazioni tecnico discrezionali.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010