Cass. Sez. III n. 46997 del 16 ottobre 2018 (CC 3 lug 2018)
Pres. Ramacci Est. Cerroni Ric. PM in proc. Cerutti
Urbanistica.Edificazione in area vincolata

Nel caso di interventi edilizi eseguiti in zona vincolata, l’esistenza dell’autorizzazione paesaggistica non può desumersi dall’intervenuto rilascio di concessione in sanatoria ex artt. 36 e 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non soltanto per l’autonomia strutturale dei due provvedimenti, ma anche perché l’interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 17 aprile 2018 il Tribunale di Novara, in funzione di Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha annullato l’ordinanza di sequestro preventivo del 26 marzo 2018 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Novara, avente ad oggetto l’impianto di trattamento Cave di Romagnano Sesia e le sue pertinenze, emessa nei confronti di Giuseppe Cerutti, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Cave di Romagnano Sesia, indagato per il reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
2. Avverso la predetta decisione il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione con un articolato motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, è stato osservato dal ricorrente che l’impianto produttivo era stato certamente realizzato nel 1973, in epoca priva di normativa specifica di tutela paesaggistica, mentre era stato successivamente fatto oggetto di interventi di potenziamento e di rimaneggiamento in difetto di autorizzazione, che avevano originato la richiesta di permessi di costruire in sanatoria.
In ogni caso, sebbene l’unità produttiva fosse collocata in zona a vincolo paesaggistico, all’iniziale attività di escavazione si era sostituita un’attività di frantoio per la produzione e commercializzazione di sabbia e ghiaie, ed ogni singolo intervento avrebbe dovuto avere preventivo bisogno di autorizzazione ambientale dell’impianto nella sua interezza. In specie, comunque, l’impianto non era compatibile col Piano Regolatore Generale Comunale, trovandosi all’interno di area riconosciuta a rischio alluvionale ed essendo stati ammessi solamente siti per le attività estrattive.
Vi era quindi piena consapevolezza della realizzazione di opera non lecita, e l’interruzione dell’operatività dell’impianto era necessaria per impedire la prosecuzione del reato ambientale. Emergeva quindi altresì l’illegittimità dei titoli autorizzativi rilasciati, da cui il carattere abusivo dell’impianto e la sussistenza del fumus commissi delicti, negato dall’ordinanza impugnata, fatte salve le eventuali ulteriori responsabilità.
3. L’indagato ha depositato memoria, eccependo l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, non sarebbe stata denunciata alcuna specifica violazione di legge da parte dell’ordinanza impugnata, né era stata evidenziata la fondatezza normativa del ragionamento del ricorrente, quanto all’estensione all’impianto di frantumazione (di per sé legittimato da pronunce del Tribunale amministrativo regionale e da una serie di provvedimenti amministrativi del Comune di Romagnano Sesia) degli effetti negativi della costruzione in difetto di autorizzazione di alcuni immobili pertinenziali. In ogni caso, al più, gli interventi in tesi realizzati non avevano alterato lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.
In ordine poi alla carenza dell’elemento psicologico, le autorizzazioni comunali ed una sentenza del Tribunale amministrativo lasciavano dubbi sulla stessa ravvisabilità di detto elemento, mentre le modifiche in tesi compiute erano avvenute allorché il Cerutti non era legale rappresentante della società.
4. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso non è fondato.
5.1. In relazione al complesso motivo d’impugnazione, ed in via del tutto generale, va ricordato – trattandosi di principio di intatta validità – che il paesaggio, quale bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, deve essere inteso come complesso di valori estetici e naturali considerati unitariamente in una determinata area, e la modificazione del territorio, oggetto del divieto penalmente sanzionato, può essere attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia (cfr. Sez. 3, n. 10484 del 12/11/2014, dep. 2015, Grue, Rv. 262697).
Del tutto coerentemente, quindi, era stato osservato, ancorché sotto il vigore di altra normativa di riferimento, che l’autorizzazione paesistica di cui all’art. 151 del d.lgs. n. 490 del 1999 è finalizzata alla salvaguardia del paesaggio - bene costituzionalmente protetto non soltanto sotto l’aspetto estetico-culturale, ma anche sotto il profilo di risorsa economica - ed è pertanto un provvedimento distinto ed autonomo rispetto alla concessione edilizia, la quale è invece volta ad assicurare la corretta gestione del territorio, sotto il profilo dell’uso e della trasformazione programmata di esso in una visione unitaria e complessiva (cfr. Sez. 3, n. 23230 del 22/04/2004, Verdelocco, Rv. 229437). Infatti la concessione rilasciata a seguito di accertamento di conformità (art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non i reati paesaggistici previsti dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che sono soggetti ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio (Sez. 3, n. 40375 del 09/09/2015, Casalanguida e altro, Rv. 264931; cfr. altresì Sez. 7, n. 11254 del 20/10/2017, dep. 2018, Franchino e altri, Rv. 272546, che ha appunto osservato come l’art. 45, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si riferisce ai soli reati contravvenzionali previsti dal medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, in cui sono contemplate le ipotesi suscettibili di sanatoria, quali gli interventi in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso).
In definitiva, quindi, nel caso di interventi edilizi eseguiti in zona vincolata, l’esistenza dell’autorizzazione paesaggistica non può desumersi dall’intervenuto rilascio di concessione in sanatoria ex artt. 36 e 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non soltanto per l’autonomia strutturale dei due provvedimenti, ma anche perché l’interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico (Sez. 3, n. 47331 del 16/11/2007, Minaudo e altri, Rv. 238531). Allo stesso tempo, e per quanto possa rilevare, la realizzazione di una cava in difetto della preventiva autorizzazione paesaggistica è tuttora condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, disposizione nella quale è stata trasfusa la precedente fonte dell’incriminazione, costituita dall’abrogato art. 163 del d.lgs. n. 490 del 1999 (Sez. 4, n. 1781 del 02/12/2008, dep. 2009, Boscacci, Rv. 242497; Sez. 3, n. 20195 del 19/04/2006, Ciullo, Rv. 234331; cfr. anche Sez. 3, n. 34102 del 12/04/2005, Nardilli, Rv. 232107, nonché Sez. 3, n. 28080 del 22/03/2017, Dileo, Rv. 270336).
5.2. Alla stregua di quanto ricordato, e tenuto conto che la tutela del paesaggio non può essere limitata alla verifica della compatibilità del singolo bene ma come difesa del complessivo equilibrio estetico e culturale in un determinato ambito (v. supra), va altresì ricordato che la deroga al principio generale per il quale l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, fissata dall’art. 146, comma dodicesimo, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è limitata agli interventi minori individuati dall’art. 181, comma 1-ter, del medesimo d.lgs., per i quali soltanto non si applicano le sanzioni penali di cui al comma primo del medesimo art. 181, ferme restando quelle amministrative di cui all’art. 167 del predetto d.lgs. (Sez. 3, n. 35965 del 05/02/2015, Seratoni Gualdoni e altro, Rv. 264875).
5.3. Ciò posto, peraltro, e preso atto di quanto rilevato dall’ordinanza impugnata in relazione al rilascio di pareri favorevoli da parte del Comune di Romagnano Sesia al rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riferimento alle difformità urbanistiche rilevate, a seguito di verifica della compatibilità paesaggistica (cfr. pag. 5 del provvedimento del Tribunale di Novara), è stato sul punto affermato che, in tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, nonché il parere favorevole espresso in sede di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, non estinguono il reato previsto dall’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, ma inibiscono la demolizione o la remissione in pristino dello stato dei luoghi, atteso che tali provvedimenti comportano una qualificata ricognizione dell’assenza di conseguenze dannose o pericolose per l’ambiente (Sez. 3, n. 24410 del 09/02/2016, Pezzuto e altro, Rv. 267192).
In conseguente lettura, pertanto, è stato altresì sottolineato che, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l’effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l’ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l’incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Sez. 3, n. 2001 del 24/11/2017, dep. 2018, Dessi e altri, Rv. 272071; Sez. 3, n. 50336 del 05/07/2016, Del Gaizo, Rv. 268331).
5.4. Alla stregua dei principi che precedono, quindi, che la Corte intende pertanto ribadire, l’astratta ricorrenza del fumus (ferma restando l’evoluzione del procedimento ed impregiudicati gli esiti della vicenda) non si associa all’esistenza del periculum, trattandosi di strutture assai risalenti e nelle quali “da tempo” l’area è adibita all’attività di frantoio per la produzione e commercializzazione di sabbia e ghiaie, allorché l’originaria attività di escavazione era cessata ancora nel 1986. Sì che la verifica circa il concreto ulteriore deterioramento dell’ecosistema protetto è rimasta attività ineseguita e sostanzialmente comunque inutile, alla stregua altresì – quantomeno allo stato – dei provvedimenti amministrativi siccome assunti e delle conseguenze che dai medesimi si devono trarre (v. supra).
6. In esito alle correzioni e integrazioni motivazionali siccome rese, pertanto, il ricorso deve comunque essere rigettato.   

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.M.
Così deciso in Roma il 03/07/2018