Cass. Sez. III n. 18949 del 6 maggio 2016 (Cc 10 mar 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Scarcella Imputato: Contadini e altro
Urbanistica.Esclusione desumibilità di un diritto "assoluto" all'inviolabilità del domicilio ostativo alla demolizione

In tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto "assoluto" alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato. (In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche).

 RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 5/05/2015, depositata in data 6/05/2015, il tribunale di MASSA rigettava l'istanza di annullamento dell'ingiunzione a demolire emessa in data 14/10/2014 dal P.M. avente ad oggetto un immobile qualificato come abusivo nella sentenza di condanna emessa dal locale tribunale nei confronti di C.D., di cui gli istanti sono eredi, sentenza divenuta irrevocabile in data 9/04/2012, e con cui era stata disposta la demolizione dell'immobile abusivo; il giudice, nel respingere l'istanza, non accoglieva nemmeno la subordinata richiesta di sospensione dell'ingiunzione a demolire fino alla definizione del procedimento amministrativo di competenza del comune, e in ogni caso fino al passaggio in giudicato della sentenza relativa al procedimento instaurato davanti al TAR Toscana avente ad oggetto il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione.

2. Hanno proposto congiunto ricorso C.I., C. S., C.L. e R.R., impugnando la ordinanza predetta con cui deducono cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deducono con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 42 Cost., art. 666 c.p.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e art. 31, comma 3.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostengono i ricorrenti, il g.e. ha dichiarato infondato il primo motivo dell'incidente di esecuzione con cui si censurava l'illegittimità dell'ingiunzione di demolizione per difetto di legittimazione passiva del destinatario individuato dal P.M. nel de cuius C.D., non attuale proprietario del bene;

l'ordinanza sarebbe censurabile per violazione dell'art. 42 Cost., in quanto il destinatario sarebbe da individuarsi nel Comune, essendo questo il soggetto cui rivolgere l'ordine di provvedere alla demolizione, essendo naturalmente obbligato all'esecuzione di tale attività, non dovendo l'ingiunzione essere rivolta all'autore dell'illecito.

2.2. Deducono con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 7, comma 4 e correlato vizio di mancanza di motivazione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostengono i ricorrenti, non sarebbe stata accertata l'esistenza di un interesse pubblico alla demolizione nemmeno in via amministrativa; l'essere il predetto immobile ubicato in zona già densamente edificata, peraltro non soggetta a rischio geomorfologico e/o idrogeologico e, dunque, l'inesistenza di alcun pregiudizio per l'ambiente circostante nonchè il comportamento della P.A. che non ha adottato alcun provvedimento in ordine all'esecuzione della demolizione del manufatto abusivo, farebbero presupporre l'inesistenza di un attuale e concreto interesse pubblico alla demolizione dello stesso; di conseguenza, vi sarebbe la prevalenza dell'interesse del ricorrente ad utilizzare l'immobile come abitazione in assenza di contro interessi pubblici rilevanti; l'ordinanza sarebbe poi censurabile per aver omesso di considerare una perizia tecnica depositata nel corso del giudizio, emergendo dalla stessa che il lotto su cui insiste il fabbricato in questione è escluso dall'area a rischio idrogeologico; in ogni caso, la sussistenza del vincolo idrogeologico non potrebbe essere indiscriminatamente assimilata ad una pericolosità del manufatto ed alla necessità della sua demolizione; ai fini della conservazione o meno del fabbricato rileva l'effettiva lesione che l'immobile abusivo determina relativamente alla portata teleologica del suddetto vincolo, con la conseguenza che la mancata autorizzazione dell'attività edificatoria in zona sottoposta a vincolo idrogeologico non comporterebbe un'automatica pericolosità del manufatto abusivo; la demolizione di per sè non parrebbe idonea a soddisfare in alcun modo la ratio sottesa al vincolo idrogeologico previsto per la Zona (OMISSIS) di controllo ambientale, donde la carenza di motivazione dell'ordinanza che avrebbe omesso di valutare le predette circostanze in ordine alla pericolosità geomorfologica del manufatto e documentate nell'incidente di esecuzione depositato.

2.3. Deducono con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 47 Cost. ed art. 8 CEDU, quale diritto costituzionale all'abitazione garantito dalla nostra Carta costituzionale e dalla Convenzione e.d.u. e correlato vizio di difetto di motivazione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostengono i ricorrenti, la stessa è criticabile laddove afferma che per il soddisfacimento dell'esigenza abitativa, i ricorrenti ben potrebbero acquistare o realizzare un manufatto non abusivo, ovvero utilizzare tramite locazione un immobile ad uso abitativo;

l'immobile, in questione, si osserva è adibito ad abitazione da C.L., figlio del destinatario dell'ingiunzione demolire, sicchè il predetto uso ben potrebbe essere considerato come prevalente stante l'inesistenza di prevalenti interessi pubblici alla demolizione; l'art. 47 Cost., peraltro, prevede che l'inviolabilità del domicilio costituisca principio fondante della convivenza democratica, essendo del resto divenuto il diritto all'abitazione un punto fermo della giurisprudenza costituzionale; a ciò andrebbe aggiunto anche che detta inviolabilità è tutelato anche dall'art. 8 CEDU sotto il profilo del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e del proprio domicilio, come desumibile dal noto Caso (OMISSIS) c. Italia del 2/11/2006, ditalchè quand'anche sussistesse l'interesse pubblico in ordine al ripristino di una situazione di legalità dei luoghi e, dunque, in ordine alla demolizione del manufatto abusivo di proprietà degli eredi del C.D., questo dovrebbe essere necessariamente bilanciato con il diritto del C.L. a continuare a dimorare nel predetto immobile, non potendo egli soddisfare altrimenti il diritto all'abitazione in considerazione delle sue precarie condizioni economiche.

2.4. Deducono con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'incompatibilità tra ingiunzione di demolizione e la pendenza del ricorso al T.A.R. avverso l'accertamento dell'inottemperanza alla demolizione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostengono i ricorrenti, l'ordinanza sulla questione dedotta in sede di incidente di esecuzione si risolverebbe in una mera trasposizione di massime giurisprudenziali, senza una specifica e concreta motivazione in ordine alla fondatezza o meno dell'assunto difensivo con cui si faceva rilevare l'esistenza di un'incompatibilità tra l'ordine e la pendenza del ricorso al T.A.R.; si sostiene in ricorso che nell'ipotesi di accoglimento dell'impugnazione davanti al giudice amministrativo, detta incompatibilità si concretizzerebbe, sicchè, tenuto conto delle doglianze esposte nel ricorso davanti al T.A.R., apparirebbe del tutto verosimile una pronuncia di accoglimento da parte del giudice amministrativo del ricorso avverso l'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione.

2.5. Deducono con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. d), sotto il profilo della mancata assunzione di prova decisiva, in particolare costituita dall'audizione degli attuali ricorrenti quali legittimati passivi dell'ingiunzione a demolire, e, segnatamente, del C.L. quale residente nell'immobile in questione, sostenendo che l'audizione di quest'ultimo avrebbe potuto essere decisiva per valutare la prevalenza dell'interesse privato a tale utilizzo stante l'inesistenza di prevalenti interessi pubblici alla demolizione.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data 17/07/2015, il P.G. presso la S.C. ha chiesto rigettarsi i ricorsi, condividendo il percorso argomentativo del tribunale nel senso che: a) quanto al difetto di legittimazione passiva degli eredi quali destinatari dell'ordine demolitorio, la decisione sarebbe conforme alla giurisprudenza di questa Corte; b) quanto all'inesistenza di un'incompatibilità tra possibile acquisizione del manufatto al patrimonio del Comune e compatibilità con l'ordine di demolizione, richiama la sentenza n. 1904 del 2006 di questa Corte, che evidenzia anche che l'incompatibilità tra l'ordine demolitorio e le situazioni giuridiche o di fatto sopravvenute deve avere carattere di assolutezza ed attualità, non assumendo rilevanza un'incompatibilità meramente eventuale o futura; c) il Comune di Massa, nel caso in esame, non solo ha escluso la necessità di procedere alla demolizione dell'immobile abusivo, nè ha rilevato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento, ma anzi, con ordinanza n. 204 del 14/09/2012 ha ordinato la demolizione dell'immobile; d) poichè il raccordo tra procedimento amministrativo ed esecuzione penale viene effettuato sulla base di un contemperamento tra interesse pubblico alla rapida riparazione del bene giuridico violato e l'interesse privato del condannato ad evitare l'irreparabilità del danno in presenza di una situazione giuridica suscettibile di esser modificata, il g.e. deve effettuare una valutazione di prognosi sui tempi di definizione e sui possibili esiti del procedimento amministrativo pendente, sicchè - nel caso di specie - correttamente il giudice ha rilevato come non vi fosse alcun provvedimento da parte della P.A. contrastante con l'ordine di demolizione, ma anzi, sussista un interesse analogo alla rimozione dell'abuso, essendo infatti intervenuto l'ordine di demolizione da parte della P.A..

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono manifestamente infondati.

5. Ed invero, quanto al primo motivo, il giudice dell'esecuzione motiva puntualmente alle pagg. 1 e 2 dell'ordinanza, richiamando correttamente la giurisprudenza di questa Corte. A tal proposito, è sufficiente in questa sede ricordare che nell'ipotesi di acquisto dell'immobile per successione a causa di morte, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo conserva la sua efficacia nei confronti dell'erede del condannato, stante la preminenza dell'interesse paesaggistico o urbanistico, alla cui tutela è preordinato il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell'avente causa del condannato, mentre passa in secondo piano l'aspetto afflittivo della sanzione e, quindi, il carattere personale della stessa (Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 -dep. 27/01/2000, Barbadoro G, Rv. 215601). A ciò va aggiunto che il richiamo all'art. 42 Cost. è privo di pregio, in quanto, proprio stante la funzione sociale della proprietà, nel contrasto tra l'interesse collettivo alla corretta pianificazione territoriale e quello del privato è ragionevole la prevalenza del primo. La censura dei ricorrenti è, quindi, in relazione al primo motivo inammissibile per manifesta infondatezza.

6. Quanto al secondo motivo, con cui si contesta l'esistenza di un concreto ed attuale interesse pubblico alla demolizione, il giudice dell'esecuzione motiva a pag. 3 dell'ordinanza impugnata, evidenziando come l'attualità e la concretezza emerga all'evidenza in atti essendo stata la stessa P.A. ad aver emesso autonomo ordine di demolizione del medesimo manufatto abusivo con ordinanza n. 204 prot. 13738 del 20/09/2007 (e conseguente accertamento dell'inottemperanza a detta ordinanza, con determinazione n. 13215 del 14/09/2012, impugnata dal C. D.).

Sul punto, va qui ribadito che al fine di disporre l'esecuzione dell'ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento, il giudice dell'esecuzione deve valutare la compatibilità dell'ordine adottato con i provvedimenti assunti dall'autorità amministrativa o dal giudice, e deve revocare o sospendere l'ordine di demolizione emesso con la sentenza di condanna o di patteggiamento soltanto se i nuovi atti amministrativi siano assolutamente incompatibili. A tal fine il giudice è chiamato a contemperare, seppure in via provvisoria, i due interessi potenzialmente confliggenti: quello pubblico, alla rapida definizione delle situazioni giuridiche ed alla riparazione del bene giuridico violato attraverso l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; quello (privato) del condannato ad evitare l'irreparabilità di un pregiudizio personale in pendenza di una situazione giuridica controversa (v.

tra le tante: Sez. 3, n. 43878 del 30/09/2004 - dep. 10/11/2004, Cacciatore, Rv. 230308). Orbene, nel caso di specie, è del tutto destituita di fondamento la tesi difensiva secondo cui non sussisterebbe un interesse concreto ed attuale alla demolizione, non soltanto per l'inesistenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con detto ordine demolitorio, ma soprattutto per l'esistenza, positiva, di un interesse della P.A. alla riparazione del bene giuridico violato attraverso l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, avendo la stessa Amministrazione emesso un autonomo ordine di demolizione, espressione di una volontà della P.A. del tutto incompatibile con l'interesse pubblico al mantenimento della costruzione abusiva.

Le restanti doglianze (omessa valutazione della perizia tecnica quanto all'inesistenza del rischio idrogeologico; erronea equiparazione tra realizzazione in zona sottoposta a vincolo idrogeologico e esistenza della pericolosità del manufatto e necessità della sua demolizione; consistenza asseritamente modesta dell'abuso) sono del tutto prive di pregio in quanto volte a sindacare la soluzione cui è pervenuto il giudice dell'esecuzione, manifestando il dissenso rispetto alla soluzione offerta, chiedendo a questa Corte di sostituire il giudizio, necessariamente di merito del g.e., con un altro giudizio - che si pretenderebbe altrettanto di merito - da parte di questa Corte di legittimità. Così facendo, tuttavia, i ricorrenti dimenticano che il compito della Corte di Cassazione non è di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella già compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se quest'ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi (dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti), e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (v., tra le tante: Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999 - dep. 15/04/1999, Capriati ed altro, Rv. 212997). Sindacato che, nel caso in esame, consente di ritenere del tutto immune da vizi l'impugnata ordinanza.

7. Quanto al terzo motivo, con cui si eccepisce la violazione del diritto costituzionale all'abitazione e quello dell'inviolabilità del domicilio, tutelato anche dalla giurisprudenza della Corte e.d.u., il giudice dell'esecuzione a pag. 5 affronta la questione rilevando come l'esigenza abitativa del C.L. non può essere soddisfatta al punto da impedire la demolizione del manufatto abusivo, prevista dalla legge e disposta legittimamente con provvedimento della P.A., ben potendo il predetto per il soddisfacimento di tale fondamentale esigenza acquistare o realizzare un manufatto non abusivo, ovvero utilizzare tramite contratto di locazione, un immobile ad uso abitativo.

Sul punto, le doglianze dei ricorrenti e, segnatamente, del C.L., sono del tutto prive di pregio, atteso che non è ravvisabile alcuna violazione del diritto all'abitazione nel caso di ingiunzione a demolire un immobile abusivamente realizzato, posto che il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente ed al corretto uso del territorio, trattandosi di una posizione giuridica soggettiva individuale destinata a cedere rispetto all'interesse pubblico alla demolizione dell'immobile abusivo.

Nè, del resto, rilevano le considerazioni espresse in ricorso quanto alla indisponibilità economica del C.L., trattandosi di mere deduzioni fattuali prive di rilievo in sede di legittimità.

Quanto, infine, alla pretesa tutela del diritto all'inviolabilità del domicilio garantita dall'art. 8 CEDU si rileva quanto segue.

La decisione citata dai ricorrenti (caso (OMISSIS) c. Italia) riguarda una situazione del tutto diversa da quella oggetto di esame; la vicenda riguardava infatti la valutazione di impatto ambientale con riferimento ad attività di trattamento di rifiuti, avendo constatato la Corte e.d.u. la violazione dell'art. 8 CEDU in relazione al diritto al domicilio, stabilendo i giudici di Strasburgo a tal fine che l'art. 8 CEDU tutela il diritto della persona al rispetto della propria vita privata e familiare, non solo da aggressioni fisiche ma anche da rumori, emissioni, odori o altre forme di interferenze, allorchè queste gli impediscano di godere le amenità della sua residenza. La questione, quindi, riguardava un caso nemmeno lontanamente equiparabile a quello esaminato nella vicenda sottoposta all'esame di questa Corte di legittimità, riferendosi ad una fattispecie in cui un impianto di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi, sito a 30 metri dall'abitazione del ricorrente, era stato autorizzato ad operare dalla Regione Lombardia per molti anni prima che venisse espletata una procedura di valutazione di impatto ambientale, cui avevano fatto seguito prima due dichiarazioni di incompatibilità e solo dopo altri 8 anni un parere positivo quanto alla continuazione dell'esercizio dell'impianto purchè fossero rispettate certe prescrizioni. La Corte e.d.u. ritenne che, anche a supporre che in questa ultima occasione le misure necessarie per proteggere il diritto del ricorrente fossero state prese, restava il fatto che per molti anni questo diritto aveva subito pregiudizio, e l'Italia non aveva saputo trovare un giusto equilibrio fra l'interesse della collettività a disporre dell'impianto e il godimento effettivo da parte del ricorrente del suo diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata e familiare.

E' evidente la diversità della questione rispetto a quella qui esaminata: non è chiaramente desumibile dalla decisione della Corte e.d.u. (nè tantomeno ciò è stato mai affermato in altre decisioni della Corte) l'esistenza di un diritto "assoluto" all'inviolabilità del domicilio al punto tale da renderlo intangibile anche a "interferenze" legittime finalizzate a ristabilire l'ordine giuridico violato, qual è la esecuzione di un ordine di demolizione di un immobile abusivo. Anzi, dalla giurisprudenza della Corte e.d.u., si ricava proprio il principio opposto, avendo infatti la Corte di Strasburgo - nel noto caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 riguardante la confisca dei terreni e immobili frutto di illecita attività lottizzatoria in (OMISSIS) - affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati "demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti", anzichè procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato.

8. Manifestamente infondato è il quarto motivo, con cui si censura la incompatibilità tra ordine demolitorio e pendenza di un ricorso al TAR contro l'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione impartito dalla P.A. Sul punto, il giudice dell'esecuzione motiva puntualmente evidenziando l'inesistenza del connotato dell'attualità, posto che l'adozione del provvedimento conservativo è legata a situazioni assolutamente future ed incerte, in particolare dall'accoglimento del ricorso al TAR ed alla successiva adozione di un provvedimento conservativo da parte della P.A. del manufatto illegalmente realizzato. Sul punto, il giudice dell'esecuzione mostra di fare buongoverno del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non può essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio, avendo questa Corte precisato che non rileva la possibilità dell'eventuale emanazione di atti favorevoli al condannato in tempi lontani o non prevedibili (v., ex multis: Sez. 3, n. 16686 del 05/03/2009 - dep. 20/04/2009, Marano, Rv. 243463;Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007 - dep. 21/11/2007, Parisi, Rv. 238145), non rilevando certo una situazione, ipotetica, di "verosimiglianza", non essendo sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile (nel senso, ad es., che non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al TAR contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare l'invocata sospensione della demolizione: Sez. 3, n. 1388 del 30/03/2000 - dep. 04/05/2000, Ciconte e altri, Rv. 216071).

9. Infine, sull'ultimo motivo, relativo alla presunta mancata assunzione di prova decisiva, è sufficiente a rilevarne la manifesta infondatezza il costante principio affermato da questa Corte secondo cui nel procedimento di esecuzione non è deducibile il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) previsto soltanto per il giudizio dibattimentale e non anche per i procedimenti che si svolgono con il rito della camera di consiglio (v., tra le tante:Sez. 1, n. 38947 del 01/10/2008 - dep. 16/10/2008, Greco, Rv.241309).

10. I ricorsi devono, conclusivamente, essere dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 10 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2016