Cass. Sez. III n. 51709 del 5 dicembre 2016 (CC 6 ott 2016)
Pres. Fiale Est. Mengoni Ric. Desiderio
Urbanistica.Inottemperanza ordine di demolizione e conseguenze
L'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza; ed invero, questa notifica - prevista dall'art. 31, comma 4, d.P.R. 380\01 - costituisce soltanto titolo necessario per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, e deve 4 esser disposta allorquando, pur dopo il trasferimento di proprietà, il responsabile dell'abuso non voglia spogliarsi del bene. L'effetto ablatorio, quindi, si verifica ope legis, alla scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione di demolire.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 15/2/2016, il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Torre Annunziata rigettava l'istanza proposta da D.L., con la quale si invocava la sospensione dell'ordine di demolizione emesso dal pubblico ministero in sede con riguardo alla sentenza emessa dal medesimo Ufficio il 30/6/2008, irrevocabile il 7/11/2008.
2. Propone ricorso per cassazione la D., personalmente, deducendo i seguenti motivi:
- inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Il Giudice dell'esecuzione non avrebbe verificato la sussistenza di una circostanza incompatibile con l'ordine di demolizione, ad esso successiva, quale la sentenza n. 13622/2014 del Tribunale amministrativo regionale della Campania, che aveva dichiarato la perdita di efficacia dell'ordine medesimo in forza della presentazione di un'istanza di condono; in esito alla quale pronuncia, peraltro, il Comune di Poggiomarino nulla aveva comunicato alla ricorrente, si da ingenerare una posizione di affidamento. Il Giudice medesimo, inoltre, si sarebbe limitato a prendere atto della presentazione di un'istanza di condono e di una richiesta di sanatoria, ritenendole insufficienti a sospendere l'ordine in esame, senza svolgere al riguardo alcuna istruttoria; in particolare, tra l'altro, non avrebbe verificato se tali domande avessero ad oggetto gli stessi abusi di cui alla sentenza di condanna, e se questi fossero effettivamente sanabili;
- estinzione dell'ordine in oggetto per intervenuta prescrizione. Come anche affermato dalla più recente giurisprudenza di merito, il provvedimento de quo si estinguerebbe nel termine di cinque anni, ai sensi dell'art. 173 c.p., comma 1, ad oggi interamente decorso.
3. Con requisitoria scritta del 5/5/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevandone l'infondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima doglianza, e come peraltro richiamato dalla stessa ricorrente, occorre ribadire il costante indirizzo di legittimità in forza del quale l'ordine di demolizione imposto con sentenza passata in giudicato può essere revocato in sede esecutiva allorquando - come invoca la D. - non sia più compatibile con situazioni di fatto o di diritto sopravvenute, quali ad esempio atti amministrativi che abbiano assegnato al bene una diversa destinazione, o l'abbiano sanato. Tale incompatibilità - per costante e condiviso indirizzo di questa Corte - deve peraltro essere effettiva ed attuale, non già futura e meramente eventuale, non essendo consentito paralizzare in modo indefinito il ripristino dell'assetto urbanistico violato (Sez. 3, n. 13746 del 29/1/2013, Falco, Rv. 254752; Sez. 3, n. 11419 del 29/1/2013, Bene, Rv. 254421); ne consegue che il Giudice dell'esecuzione - investito della richiesta di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna - è tenuto ad esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, n. 47263 del 25/9/2014, Russo, Rv. 261212; Sez. 3, n. 38997 del 26/9/2007, Di Somma, Rv. 237816).
5. Orbene, rileva questa Corte che il Giudice dell'esecuzione - con motivazione sintetica ma completa - ha invero compiuto tale accertamento, rilevando che "non emergono circostanze da cui si evinca la prevedibilità in concreto e la probabilità dell'emanazione, in termini brevi, di atti dell'autorità amministrativa incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione"; ciò, sul presupposto - ancora richiamato nel provvedimento medesimo - che la D. aveva allegato all'istanza soltanto la presentazione di una domanda di condono e di una richiesta di permesso di costruire, senza ulteriore documentazione.
E con la precisazione che, anche nel presente gravame, la stessa non ha indicato alcun elemento - offerto al Giudice e non valutato - tale da porsi come situazione di fatto sopravvenuta, incompatibile con l'ordine medesimo; non può esser considerata in questi termini, infatti, la citata sentenza del TAR (peraltro, neppure allegata al ricorso), che - per come riportata dalla D. - non ha disposto alcuna sospensiva dell'ordine di demolizione, nè tantomeno accolto il gravame nel merito. E senza che, peraltro, possa considerarsi corretto il richiamo alla pronuncia di questa Sezione n. 47402 del 21/10/2014, operato dalla stessa ricorrente, riguardando tale decisione un caso in cui - diversamente da quello in esame - il Tribunale amministrativo aveva sospeso l'ordinanza in questione, ma il Giudice non ne aveva tenuto conto; cosi come l'ulteriore sentenza menzionata - Sez. 3, n. 36380 del 7/7/2015 - con la quale il ricorso dell'interessato era stato addirittura dichiarato inammissibile, non sussistendo alcuna condizione per la sospensione invocata.
6. Manifestamente infondato, di seguito, risulta anche il secondo motivo, in punto di prescrizione.
Rileva questa Corte che - come costantemente affermato in sede di legittimità - l'ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione di cui all'art. 173 cod. pen. in tema di arresto ed ammenda, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio del bene-interesse violato, imposta per ragioni di tutela del territorio e con carattere reale, come tale priva di finalità punitive. Con la conseguenza, peraltro, che i relativi effetti ricadono sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso, anche quando l'ordine medesimo sia emesso dall'autorità giudiziaria (tra le altre, Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540, cui si rinvia per l'ampia e diffusa trattazione dell'argomento, anche in relazione alle pronunce di merito indicate nel ricorso; negli stessi termini, Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio, Rv. 250336); e con l'ulteriore conseguenza che tale ordine può essere emesso anche nell'ipotesi dell'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. indipendentemente dall'accordo delle parti ed eseguibile a prescindere dal decorso del termine previsto dall'art. 445 c.p.p., comma 2, (Sez. 3, n. 18533 del 23/3/2011, Abbate, Rv. 250291), dovendosi escludere la sua natura di pena accessoria (Sez. 3, n. 24087 del 07/03/2008, Caccioppoli, Rv. 240539; Sez. 6, n. 2880 del 10/06/2002 (dep. 2003), Gobbi, Rv. 223716.
5. Quanto precede si ricava dalla disciplina stessa della materia.
Ed invero, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, prevede - con riguardo alle opere realizzate in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, ovvero con variazioni essenziali - un'articolata disciplina volta alla demolizione delle stesse; in particolare, l'autorità comunale ingiunge al proprietario ed al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione dell'intervento; viene quindi concesso un termine di 90 giorni per adempiere, decorso inutilmente il quale il bene e l'area di semine vengono acquisiti di diritto, e gratuitamente, al patrimonio del Comune; l'opera acquisita è infine demolita con apposita ordinanza, salvo che con deliberazione consiliare "non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali". Lo stesso art. 31, inoltre, stabilisce che per le opere abusive di cui al medesimo articolo, il Giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44, ordina la demolizione delle opere stesse se non sia stata altrimenti eseguita.
6. Questo complessivo dato normativo è prevalentemente interpretato nel senso che l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza (Sez. 3, n. 45705 del 26/10/2011, Perticaroli, Rv. 251321; Sez. 3, n. 22237 del 22/4/2010, Gotti, Rv. 247653; Sez. 3, n. 39075 del 21/5/2009, Bifulco, Rv. 244891; Sez. 3, n. 1819 del 2/1072008, dep. 19/1/2009, Ercoli, Rv. 242254); ed invero, questa notifica - prevista dall'art. 31, comma 4, cit. - costituisce soltanto titolo necessario per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, e deve esser disposta allorquando, pur dopo il trasferimento di proprietà, il responsabile dell'abuso non voglia spogliarsi del bene.
L'effetto ablatorio, quindi, si verifica ope legis, alla scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione di demolire.
7. Quanto, poi, all'ordine emesso dal Giudice (come nel caso di specie), trattasi di un provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell'autorità amministrativa, attribuito dalla legge al Giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 1976/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l'ordine di demolizione adottato dal Giudice ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorchè applicativo di sanzione amministrativa. Di seguito, tra le altre, Sez. 3, n. 81 dell'11/11/2009, Dalia, Rv. 245892). E con la precisazione - decisiva nell'ottica della terza doglianza, nonchè delle considerazioni svolte dal Procuratore generale - per cui l'ordine emesso dal Giudice non costituisce giammai bis in idem rispetto a quello eventualmente disposto dall'autorità amministrativa, operando i due su distinti livelli e necessitando di un doveroso coordinamento, all'evidenza, soltanto in sede esecutiva; quel che, pertanto, non obbligava il Giudice di Napoli a pronunciarsi sul punto, attesa la manifesta infondatezza della questione.
8. La disciplina in esame, peraltro, non si pone in contrasto con la normativa convenzionale richiamata nel ricorso.
Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, cit.; Sez. 3, n. 41498 del 7/6/2016, Moascato + altri, non massimata) la compatibilità dell'ordine di demolizione e del sequestro eseguiti dopo la cessione a terzi del manufatto abusivo con le norme CEDU, come interpretate dalla Corte Europea con sentenza 20 gennaio 2009, nel caso Sud Fondi c/ Italia (Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918. Nello stesso senso, Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403). "Si è in quell'occasione precisato che proprio considerando le argomentazioni sviluppate dalla Corte di Strasburgo poteva ricavarsi che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una "pena" nemmeno ai sensi dell'art. 7 della CEDU, perchè "essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge". Si osservava, inoltre, che la sentenza "nel mentre ha ritenuto ingiustificata rispetto allo scopo perseguito dalla norma, ossia mettere i terreni interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, la confisca (anche di terreni non edificati) in assenza di qualsiasi risarcimento, ha invece espressamente ritenuto giustificato e conforme anche alle norme CEDU un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi. Sembra quindi confermato che la invocata sentenza della Corte di Strasburgo non solo non ha escluso un sequestro o un ordine di demolizione dell'opera contrastante con le norme urbanistiche nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche qualora si tratti di terzo acquirente estraneo al reato, ma ha addirittura implicitamente ritenuto che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme CEDU richiamate dai ricorrenti". Tali considerazioni vanno qui ribadite, ricordando anche come autorevole dottrina abbia recentemente ricordato, nel commentare la "sentenza Varvara" (Corte EDU Varvara c. Italia, del 29/10/2013) e la lettura datane dalla Corte 9 Costituzionale (sent. 49/2015), che le sentenze della Corte europea non vanno interpretate ricorrendo all'apparato concettuale e linguistico proprio del diritto interno, in quanto la Corte, quando non utilizza termini che richiamano espressamente il significato che essi hanno nel diritto nazionale, utilizza nozioni definite "autonome", rilevando anche come un diverso approccio potrebbe portare a incomprensioni o distorsioni foriere di gravi conseguenze. Alla luce delle considerazioni sopra svolte deve dunque pervenirsi alla conclusione che l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, diversamente da quanto sostenuto nell'impugnato provvedimento, non ha affatto natura di sanzione penale nel senso individuato dalla normativa CEDU, ostandovi non soltanto la qualificazione giuridica attribuitagli attraverso l'analisi giurisprudenziale, dianzi ricordata, ma anche il fatto che la demolizione imposta dal giudice, come si è più volte rilevato in precedenza, non ha finalità punitive. L'intervento del giudice penale si colloca, come pure si è detto, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni. L'intervento del giudice penale, inoltre, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l'ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita".
9. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.