Cass. Sez. III n. 26804 del 21 giugno 2023 (UP 16 mar 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Pitta
Urbanistica.Ambito di applicazione articolo 22 TUED
Il secondo comma dell’art. 22, TU Ed., postula, trattandosi di “varianti”, la realizzazione in atto di lavori autorizzati in base a un permesso di costruire del quale la SCIA costituisce parte integrante e che deve essere presentata prima della fine dei lavori. Ne consegue che l’art. 22, comma 2, non si applica in caso di interventi su immobili già ultimati in base a precedenti permessi di costruire che hanno già esaurito il loro effetto. Sicché, una volta che l’opera sia stata ultimata, potranno essere eseguiti in base a SCIA solo gli interventi elencati dal comma primo dell’art. 22, cit., a condizione che siano conformi non solo agli strumenti urbanistici ma anche alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti al momento della realizzazione dell’intervento stesso. Sicché gli interventi di ristrutturazione edilizia diversi da quelli di cui all’art. 10, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere realizzati in base a SCIA purché conformi agli strumenti urbanistici e alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti, dovendosi intendere per “disciplina urbanistica-edilizia” il complesso delle norme del Testo Unico dell’Edilizia che disciplinano (appunto) l’attività edilizia in ogni suo aspetto, comprese quelle relative alle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica e quelle che riguardano le costruzioni in zone sismiche.
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra Teresa Rita Pitta ricorre per l’annullamento della sentenza del 09/05/2022 della Corte di appello di Caltanissetta che ha confermato la condanna alla pena di due mesi di arresto e 6.000,00 euro di ammenda irrogata con sentenza del 22/07/2021 del Tribunale di Enna per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 44, lett. b), 71, 72 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001, a lei ascritto perché, in assenza di permesso di costruire, dell’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sismico e della denunzia al competente ufficio del genio civile, aveva demolito un precedente fabbricato in adiacenza e in sua prosecuzione aveva realizzato un immobile e dei muri di contenimento in muratura e cemento, senza la direzione di un tecnico abilitato e in assenza di un progetto esecutivo da questi realizzato. Il fatto è contestato come commesso in Enna il 23/01/2018.
1.1. Con il primo motivo deduce la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 192, 546, 603 cod. proc. pen., nonché degli artt. 37, 44, lett. b), 64, 65, 71, 72, 95 (quest’ultimo in relazione agli artt. 93 e 94), d.P.R. n. 380 del 2001, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta, in particolare, l’erroneità, in punto di fatto e di diritto, delle conclusioni della Corte di appello siccome ancorate a motivazione sicuramente assertiva che si è limitata a richiamare il contenuto della nota prot. 17673 del 04/05/2018 del dirigente dell’Area II del Comune di Enna, omettendo di confrontarsi con le ulteriori prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, atte a comprovare l’applicabilità al caso di specie dell’art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001.
La sentenza omette di confutare, in particolare, la deduzione difensiva che si trattasse di interventi edilizi di demolizione di un immobile preesistente che non aveva determinato alcun aumento di volumetria o modifica di sagoma rispetto al preesistente legittimamente edificato. L’art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001, rimanda ai commi 1 e 2 dell’art. 22, stesso d.P.R., non al solo comma 1. Apodittico e inconferente è pertanto il richiamo al comma 1 e non al comma 2 dell’art. 22, d.P.R. n. 380 del 2001. Il Comune ha opposto il proprio diniego in considerazione degli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’accertamento (“verde di rispetto”), ritenendo imprescindibile la conformità dell’immobile al regime autorizzativo contemporaneo all’accertamento stesso. In realtà, afferma, si sarebbe dovuto valorizzare il principio per il quale un immobile regolarmente assentito e dotato di tutti i titoli non può essere ritenuto irregolare in base a un quadro normativo sopravvenuto alla già ottenuta sanatoria. Altrimenti si priva il proprietario dell’immobile del diritto di effettuare interventi di manutenzione aventi quale unico obiettivo la tutela dell’integrità della costruzione e la conservazione della sua finalità, anche quando non viene alterato l’aspetto esteriore del manufatto.
1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Osserva il Collegio:
3.1. dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che il 23/01/2018 era stata accertata, in zona sismica, la abusiva realizzazione di un immobile in costruzione e, in sua adiacenza e prosecuzione, dei muri di contenimento;
3.2. le opere erano state sequestrate dalla polizia giudiziaria;
3.3. in appello, l’imputata aveva negato trattarsi di nuova costruzione perché i fabbricati in contestazione erano stati oggetto di precedente concessione in sanatoria sicché, in assenza di variazioni significative della volumetria regolarizzata, gli interventi dovevano considerarsi legittimi e non sanzionabili penalmente; la variazione di sagoma, proseguiva, non era stata provata, così come non provate erano le ulteriori volumetrie, con conseguente applicabilità dell’art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001; trattandosi di interventi manutentivi effettuati su immobile regolarmente autorizzato, alcuna rilevanza avevano le sopravvenute modifiche del PRG;
3.4. nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello ha richiamato il contenuto della nota del 04/05/2018 del dirigente dell’Area 2 del Comune di Enna che aveva escluso che l’intervento in questione potesse essere qualificato come di mera ristrutturazione edilizia siccome non conforme alle nuove previsioni di piano che avevano sottoposto l’area a vincolo urbanistico di “verde di rispetto”, oltre al vincolo catasto incendi e a quello idrogelogico; la stessa nota aveva evidenziato che la realizzazione dei muri di contenimento aveva comportato un potenziale aggravio della stabilità delle pendici;
3.5. di qui la critica della Corte di appello all’invocazione dell’art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001, che postula il riferimento all’art. 27, d.P.R. n. 380, cit., che assoggetta a SCIA soltanto gli interventi conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell’opera.
4. Tanto premesso, il richiamo al comma 2 dell’art. 22, d.P.R. n. 380 del 2001, è del tutto errato.
4.1. L’art. 22 elenca gli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA). Il primo comma, nella versione vigente all’epoca del fatto, così recitava: «Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c.».
4.2. Il secondo comma così recitava (e recita): «2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell'agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori».
4.3. La ricorrente lamenta, come detto, l’omessa applicazione del secondo comma dell’art. 22, cit., il quale postula, però, trattandosi di “varianti”, la realizzazione in atto di lavori autorizzati in base a un permesso di costruire del quale la SCIA costituisce parte integrante e che deve essere presentata prima della fine dei lavori. Ne consegue che l’art. 22, comma 2, non si applica in caso di interventi su immobili già ultimati in base a precedenti permessi di costruire che hanno già esaurito il loro effetto.
4.4. Sicché, una volta che l’opera sia stata ultimata, potranno essere eseguiti in base a SCIA solo gli interventi elencati dal comma primo dell’art. 22, cit., a condizione che siano conformi non solo agli strumenti urbanistici ma anche alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti al momento della realizzazione dell’intervento stesso. Sicché gli interventi di ristrutturazione edilizia diversi da quelli di cui all’art. 10, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere realizzati in base a SCIA purché conformi agli strumenti urbanistici e alla disciplina urbanistico-edilizia vigenti, dovendosi intendere per “disciplina urbanistica-edilizia” il complesso delle norme del Testo Unico dell’Edilizia che disciplinano (appunto) l’attività edilizia in ogni suo aspetto, comprese quelle relative alle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica e quelle che riguardano le costruzioni in zone sismiche.
4.5. Nel caso di specie, come visto, l’area oggetto di intervento non solo era vincolata a verde pubblico, sicché la ristrutturazione non avrebbe potuto essere realizzata in base a SCIA, ma era soggetta anche vincolo sismico ed era stata realizzata in cemento in totale spregio delle norme che disciplinano tali costruzioni.
4.6. A ciò si aggiunga che le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono sempre assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 268847 - 01; Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014, dep. 2015, Rv. 262475; Sez. 3, n. 29466 del 22/02/2012, Rv. 253154; Sez. 3, n. 8064 del 02/12/2008, dep. 2009, Rv. 242741; Sez. 3, n. 6930 del 27/01/2004, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Rv. 227565). Ciò sul rilievo che per “interventi di nuova costruzione” devono intendersi quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, che comportino, cioè, la trasformazione in via permanente del suolo inedificato (art. 3, comma 1, lett. e, d.P.R. n. 380 del 2001), laddove solo i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola non sono soggetti ad alcun titolo abilitativo (art. 6, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 380 del 2001).
4.7. Allo stesso regime è soggetta la realizzazione di muri di contenimento trattandosi di manufatti che si elevano al di sopra del suolo e sono destinati a trasformare durevolmente l'area impegnata (Sez. 3. n. 55366 del 21/11/2018, Ferraro, Rv. 274631 - 01; Sez. 3, n. 35898 del 14/05/2008, Russo, Rv. 241075 - 01; Sez. 3, n. 9096 del 25/05/1984, Capalbo, Rv. 166295 - 01; Sez. 3, n. 8078 del 20/05/1983, Imparato, Rv. 160535 - 01).
4.8. La ricorrente non prende in considerazione la realizzazione dei muri di contenimento, negligendo in tal modo che il regime urbanistico-edilizio delle opere deve essere valutato nella sua interezza ed unicità, con la conseguenza che non può mai essere qualificato come “ristrutturazione” un intervento che comporta la contestuale realizzazione di muri di contenimento.
5. Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 133 cod. pen. ma di fatto sollecita un’inammissibile riesame dei criteri utilizzati dalla Corte di appello per confermare la pena irrogata in primo grado, in tal modo allegando un vizio di motivazione nemmeno esplicitamente illustrato. Qui è sufficiente prendere atto del fatto che la Corte di appello ha puntualmente spiegato le ragioni della propria decisione, certamente non sindacabile attraverso le deduzioni fattuali proposte dal ricorso.
5.1. Resta, al riguardo, insuperato l’insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, secondo il quale è da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'art 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16/03/2023.