Cass. Sez. III n. 21975 del 26 maggio 2016 (Ud 17 mar 2016)
Pres. Fiale Est. Di Nicola Ric. Taddei ed altro
Urbanistica.Nozione di committente

Per committente deve intendersi, ai fini della disciplina urbanistica, chiunque concretamente si adoperi, indipendentemente dall'assunzione di vincoli formali consacrati in stipulazioni contrattuali, a realizzare l'opera abusiva, con la conseguenza che risponde penalmente della esecuzione di opere che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio anche chi, pur non essendo proprietario del suolo, e quindi non legittimato a chiedere il titolo abilitativo, abbia comunque realizzato le opere non autorizzate

RITENUTO IN FATTO

    1. T.A. e T.V. ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d'appello dell'Aquila ha confermato quella emessa dal tribunale dell'Aquila che aveva condannato gli imputati alla pena di anni uno di arresto ed Euro 40.000 di ammenda ciascuno per il reato di cui al capo b), in esso assorbito il reato contestato al capo a).

    Con quest'ultima imputazione si contestava ai ricorrenti il reato previsto dall'art. 110 c.p. e D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 29-44 perchè si rendevano responsabili della mancata conformità delle opere alla normativa urbanistica (il regolamento edilizio post terremoto approvato con Delib. di giunta n. 41 del 4 giugno 2009 del Comune di Barisciano), costruendo tre grosse case in cemento armato, in zona agricola, completamente difformi dal regolamento edilizio e senza avere gli obbligatori requisiti richiesti, mentre si contestava, con il reato di cui al capo b), la contravvenzione prevista dall'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30-44 perchè, in concorso tra loro, ben consapevoli di essere in possesso di una "presa d'atto" illegittima, lottizzavano una vasta area ricadente su zona agricola del piano regolatore generale del Comune di Barisciano, frazione (OMISSIS), su cui si stavano realizzando tre grandi manufatti in cemento armato che sarebbero stati adibiti a civile abitazione. Accertato in (OMISSIS), frazione (OMISSIS), dal (OMISSIS).

    2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza, i ricorrenti articolano, tramite il comune difensore, sei motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

    2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge processuale in relazione alla inutilizzabilità della documentazione urbanistica acquisita agli atti per erronea e falsa applicazione degli artt. 253 e 431 c.p.p. (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)).

    Sostengono che il primo giudice ha erroneamente affermato di poter utilizzare la documentazione acquisita ai sensi dell'art. 253 c.p.p. in quanto corpo di reato, affermazione erronea giacchè, per acquisire il corpo del reato con il procedimento ex art. 253 c.p.p., dovrebbe risultare in atti un decreto di sequestro del corpo del reato, decreto che mai è stato emesso. La Corte territoriale, consapevole di ciò, ha egualmente sostenuto l'utilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita agli atti, riferendosi all'ordinanza resa all'udienza del 21 ottobre 2013 allorchè vennero effettuare dal pubblico ministero produzioni documentali ulteriori.

    Tuttavia anche tale assunto non avrebbe alcun fondamento in quanto la documentazione depositata dal Pubblico ministero in udienza aveva ad oggetto documenti diversi da quelli de quibus, con la conseguenza che i giudici del merito hanno utilizzato documenti irritualmente acquisiti e che non potevano essere posti a base delle sentenze che sono state pronunciate.

    2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono falsa applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) sul rilievo dell'inesistenza dei presupposti soggettivi richiesti dalle norme incriminatrici contestate posto che i ricorrenti non possedevano la qualifica giuridica soggettiva richiesta per l'integrazione delle fattispecie incriminatrici, non essendo essi nè proprietari e nè costruttori. La Corte territoriale ha affermato che i ricorrenti erano i committenti delle opere ma per essere tali occorreva la stipula di un contratto di appalto e nel processo non vi è traccia di tale documento.

    2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione all'errore di diritto su norma diversa da quella penale e difetto di motivazione su punti decisivi per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)).

    Rilevano che l'emergenza post sisma è stata regolata da un complesso di norme emanate in deroga rispetto a quelle ordinarie, predisposte in fretta e con poca chiarezza, norme che sono state spesso modificate in corso d'opera. Convincimento degli imputati era infatti che la "presa d'atto" non legittimava alcuna opera destinata a insistere stabilmente sul territorio, potendo permanere le opere solo sino al 31 dicembre 2010, dopo di che avrebbero dovuto ipso facto e ipso iure essere eliminate.

    2.4. Con il quarto motivo deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 29 e 44, nonchè di ogni altra normativa in materia e difetto e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)).

    Osservano che, come ampiamente dedotto nel corso dei giudizi di merito, il reato ritenuto in sentenza non era configurabile poichè una costruzione precaria - in quanto destinata, per espressa previsione della normativa regolamentare, ad essere demolita in breve tempo - non poteva, in alcun caso, dare luogo a "un'apprezzabile modificazione urbanistica non consentita, per come, di contro, è stato ritenuto nella sentenza impugnata. Infatti, in virtù della "presa d'atto", il fabbricato realizzato poteva permanere fino al 31 dicembre 2010 ossia sino alla fine dello stato di emergenza, alla scadenza della quale i manufatti avrebbero dovuto essere rimossi salva la possibilità per i proprietari di chiedere la sanatoria in caso di conformità ai parametri edilizi ed urbanistici previsti per la zona interessata.

    2.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 29 e 44, nonchè della L. n. 75 del 1985, art. 18 e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)), sul rilievo che la realizzazione di un singolo immobile era inidoneo ad integrare l'ipotesi di lottizzazione.

    2.6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, u.c., nonchè la violazione e la falsa applicazione dell'art. 165 c.p. in materia di sospensione condizionale della pena (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine alla statuizione di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive.

    3. Con atto depositato in data 17 agosto 2015 (per l'udienza del 27 agosto 2015), l'avv. Calderoni Vincenzo, per i ricorrenti e per T.D. (nei cui confronti non è stata pronunciata la sentenza impugnata), ha proposto motivi nuovi premettendo che contro la sentenza emessa dalla Corte di appello dell'Aquila avevano proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati nonostante T. D. non avesse proposto tempestivamente appello avverso la sentenza di primo grado per fatti indipendenti dalla sua volontà e derivanti da caso fortuito. Si osserva che, per ottenere la restituzione in termini dell'imputato non appellante, il difensore aveva rivolto la Corte territoriale, ai sensi dell'art. 175 c.p.p., la richiesta di restituzione nel termine che era stata rigettata con ordinanza notificata al difensore in data 16 giugno 2015, avverso la quale era stato proposto tempestivo ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 175 c.p.p., comma 6. Tuttavia l'imputato non appellante avrebbe ugualmente proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello sollevando, al pari degli altri ricorrenti, i motivi nuovi caratterizzati da un innegabile interesse alla legittimità e regolarità del processo, i cui esiti sarebbero suscettibili di provocare ripercussioni anche sulla sua posizione processuale, posto che l'eventuale riforma della sentenza di condanna nei confronti dei coimputati, purchè basata su motivazioni non strettamente personali, produrrebbe effetti positivi anche con riferimento alla sua posizione processuale sulla base dell'effetto estensivo della pronuncia favorevole. Da ciò si deduce l'esistenza di un autonomo diritto dell'imputato non appellante a ricorrere per cassazione a presidio dell'effetto estensivo della sentenza, tanto più che nei confronti dell'imputato non appellante non è stata emessa alcuna declaratoria di inammissibilità dell'appello atteso che l'impugnazione non è stata ancora proposto, avendo egli richiesto di essere restituito nel termine, con la conseguenza che sia che venga restituito nel termine per proporre l'impugnazione, sia che gli venga negata tale facoltà, conserverebbe, quale l'imputato non appellante, intatto il suo interesse alla regolarità formale del processo, il cui esito positivo avrebbe, come in precedenza sottolineato, dirette ripercussioni anche nella sua sfera giuridica.

    A seguito di tale premessa, T.D., con i motivi nuovi, denuncia, con un primo motivo, la violazione dell'art. 601 c.p.p., comma 5, per omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio dinanzi alla corte d'appello ai difensori e la conseguente nullità della sentenza impugnata, sul rilievo che il Presidente della corte d'appello dell'Aquila ha ordinato la citazione dell'imputato non appellante ai sensi e per gli effetti dell'art. 601 c.p.p., comma 1.

    Tuttavia l'imputato, nel corso del primo grado di giudizio, era assistito da due difensori che non hanno ricevuto la notifica dell'avviso della data fissata per l'udienza, laddove l'imputato non appellante è stato assistito, nel corso del processo di appello, da un terzo difensore di fiducia e la cui nomina doveva ritenersi inefficace per mancata revoca di uno dei difensori in esubero cosicchè la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare l'inefficacia della nomina e rilevare che non era stata assicurata all'imputato la difesa tecnica sicchè il mancato espletamento di tali attività avrebbe determinato una nullità di ordine generale che affligge anche la sentenza impugnata.

    Con un secondo motivo nuovo si lamenta la carenza assoluta di motivazione in riferimento alla nuova prospettiva determinata dal passaggio in giudicato della assoluzione degli imputati in riferimento alla reato di abuso d'ufficio, di cui al capo C) dell'imputazione.

    Si assume che la Corte d'appello avrebbe aggiunto al capo di imputazione rubricato sub C) la dicitura "non impugnato", indicando con tale locuzione il passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado con la quale era stata invece pronunciato l'assoluzione di tutti gli imputati in riferimento al reato di abuso d'ufficio.
    
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. I ricorsi sono infondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

    2. Deve tuttavia essere preliminarmente delimitata la portata soggettiva dell'impugnazione, alla quale deve ritenersi del tutto estranea la posizione di T.D..

    Sebbene, nell'epigrafe del ricorso per cassazione, quest'ultimo risulta formalmente indicato come ricorrente avverso la sentenza emessa dalla corte d'Appello dell'Aquila in data 26 giugno 2015, va rilevato, in primo luogo, come la sentenza impugnata non sia stata emessa nei suoi confronti (ma soltanto con riferimento ai coimputati T.A. e T.V.); in secondo luogo, che il ricorso per cassazione non risulta sottoscritto da T.D. (ma unicamente dai coimputati T.A. e T.V.), con ciò dovendosi escludere la presentazione personale del gravame;

    in terzo luogo, che la sottoscrizione del ricorso per cassazione da parte degli avvocati Calderoni Vincenzo e Lopardi Riccardo, pure in presenza di una conclamata inammissibilità per non essere l'imputato parte del giudizio d'appello, non equivale, in mancanza di nomina (neppure rilasciata, a differenza degli altri coimputati, in calce al ricorso), a presentazione del gravame da parte dei difensori.

    Ancora più radicalmente, la mancata proposizione del ricorso per cassazione, comunque inammissibile, da parte e nell'interesse di T.D. rende inammissibili i motivi nuovi, comunque presentati fuori termine.

    Va peraltro ricordato che l'art. 587 c.p.p., comma 1, consente al coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, ma non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nella ipotesi di mancato accoglimento, come nella specie, dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante; invero, l'effetto estensivo della impugnazione tende semplicemente ad assicurare la par condicio degli imputati che si trovino in situazioni identiche, ma non determina una riammissione nei termini prescritti per la impugnazione (Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000, dep. 2001, Mattioli, Rv. 218068).

    Ciò preclude all'imputato non appellante di eccepire vizi che derivino da un difetto di citazione dello stesso o dei suoi difensori giacchè la citazione del non appellante (o dei suoi difensori) non può ritenersi richiesta a pena di nullità in quanto non pregiudica il dispiegarsi degli effetti estensivi dell'impugnazione i quali -

    operando come rimedio straordinario per evitare difformità di giudicati e verificandosi nonostante la formazione del giudicato -

    possono sempre essere fatti valere in sede esecutiva e devono essere riconosciuti con pronuncia autonoma introdotta con ricorso al giudice dell'esecuzione (Sez. 2, n. 9022 del 26/03/1997, Passalacqua, Rv.208743). Più chiaramente, si è detto che, qualora il giudice d'appello, pur sussistendone i presupposti, non abbia citato i coimputati non impugnanti e non abbia pertanto esteso a tali soggetti gli effetti favorevoli del gravame, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., il giudice dell'esecuzione, ovviando all'omissione e alla parziale invalidità della sentenza, può rivedere la condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta del citato effetto estensivo della più favorevole decisione eventualmente assunta (tra le altre, Sez. 6, n. 16509 del 21/01/2010, Di Maggio, Rv. 246654).

    Ne consegue che T.D. non è parte del presente giudizio;

    che comunque non ha proposto personalmente o tramite il difensore ricorso per cassazione; che l'impugnazione sarebbe in ogni caso inammissibile mancando la qualità di parte; che la medesima sorte deve essere assegnata ai motivi nuovi, il cui esame è pertanto precluso nel presente giudizio di legittimità.

    3. Possono essere quindi esaminati i motivi proposti da T. A. e T.V..

    3.1. Quanto al primo motivo, l'affermazione - secondo la quale l'utilizzazione processuale del corpo del reato sarebbe possibile solo in presenza di un previo provvedimento di sequestro, nella specie mancante - è priva di giuridico fondamento.

    Per rendersene conto è sufficiente considerare che lo scopo del sequestro è soltanto quello di assicurare, attraverso l'imposizione di un vincolo, l'acquisizione della cosa al processo per fini di prova (sequestro probatorio) o di sottrarre la cosa alla disponibilità di chi la detenga in considerazione delle finalità preventive descritte nell'art. 321 c.p.p., comma 1, oppure per assicurare la cosa al processo nei casi in cui ne sia consentita la confisca nelle ipotesi previste dall'art. 321 c.p.p., commi 2 e 2-bis, (sequestro preventivo).

    Ciò non autorizza minimamente a sostenere che il sequestro costituisca un antecedente logico e giuridico necessario per l'utilizzazione processuale delle cose pertinenti al reato o dello stesso corpo del reato.

    Quest'ultimo, al pari delle cose pertinenti al reato, deve essere raccolto, ai sensi dell'art. 431 c.p.p., comma 1, lett. h), e pertanto obbligatoriamente inserito, quando non debba essere custodito altrove per ragioni "fisiche", nel fascicolo per il dibattimento per la fondamentale ragione che non possono essere sottratte al processo le cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l'azione delittuosa e quelle (ossia le cose pertinenti al reato) che sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali all'accertamento dei fatti, ovvero quelle necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'"ante factum" e del "post factum" comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all'"iter criminis", purchè funzionali all'accertamento del fatto ed all'individuazione dell'autore (Sez. 4, n. 2622 del 17/11/2010, dep. 2011, Rossini, Rv.

    249487).

    Infatti, l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di un atto che debba farne parte per espressa previsione di legge non è soggetta a preclusioni o decadenze e può avvenire in qualsiasi fase del processo di merito, in quanto non rientra nel potere dispositivo delle parti restringere l'ambito degli atti che per legge devono essere raccolti nell'incartamento processuale (Sez. 3, n. 12795 del 26/01/2016, Marconi, non ancora mass.; Sez. 2, n. 25688 del 23/05/2014, Narducci, Rv. 259627), in quanto costituenti materiale necessariamente funzionale alla cognizione processuale e all'espletamento del contraddittorio.

    Ciò precisato, non è neppure fondato il concorrente rilievo circa il denunziato vizio di error in procedendo a causa di un difetto formale di acquisizione dei documenti nel senso che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, gli atti sarebbero stati utilizzati in mancanza di un qualsiasi e valido provvedimento di acquisizione.

    La natura del vizio denunciato abilita la Corte all'esame degli atti processuali, desumendosi da essi che le parti hanno svolto in due udienze (del 6 dicembre del 2012 e del 21 ottobre 2013) le attività concernenti le richieste di prove ed in entrambi i casi il Tribunale ha emanato il provvedimento ammissivo delle prove senza che le parti abbiano eccepito alcunchè.

    Più precisamente, nel corso dell'udienza del 21 ottobre 2013, il pubblico ministero ha proceduto ad una integrazione documentale (con la produzione dei documenti contestati contenuti infatti nei sottofascicoli inseriti in quello per il dibattimento, precedente formato e non contenente detti atti che invece avrebbe M.C.)".

    dovuto contenere), mentre i difensori hanno chiesto l'ammissione dei testi di lista, reiterato le precedenti richieste di prova e chiesto l'esame dell'imputato, seguendo a ciò il provvedimento del Tribunale di ammissione delle prove sicchè, come ha correttamente affermato la Corte d'appello, la documentazione "urbanistica" è stata ritualmente acquisita ai fini della decisione.

    3.2. Anche il secondo motivo è infondato.

    Sulla base di una risalente, e tuttora valida, giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, per committente deve intendersi, ai fini della disciplina urbanistica, chiunque concretamente si adoperi, indipendentemente dall'assunzione di vincoli formali consacrati in stipulazioni contrattuali, a realizzare l'opera abusiva, con la conseguenza che risponde penalmente della esecuzione di opere che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio anche chi, pur non essendo proprietario del suolo, e quindi non legittimato a chiedere il titolo abilitativo, abbia comunque realizzato le opere non autorizzate (Sez. 3, n. 6274 del 25/11/1987, dep. 1988, Tavani, Rv. 178451; Sez. 6, n. 11712 del 03/05/1978, Cascia, Rv. 089435).

    Pertanto il fatto che i ricorrenti non abbiano stipulato alcun contratto di appalto non vale ad escludere la qualità di committenti e dunque la presenza della qualifica giuridica soggettiva richiesta per l'integrazione della fattispecie incriminatrice contestata e ritenuta in sentenza, in presenza di una pluralità di elementi riportati nella doppia conforme decisione dei giudici di merito e dimostrativi dell'ingerenza e del diretto interessamento all'esecuzione dei lavori (predisposizione della documentazione urbanistica; essere stati personalmente destinatari della "presa d'atto" a firma del responsabile dell'ufficio tecnico comunale in data 23 settembre 2009; l'aver richiesto, attraverso l'istanza personalmente sottoscritta, una proroga per la presentazione della documentazione necessaria per l'eventuale rilascio del permesso in sanatoria al termine del periodo di emergenza post - sisma; l'avere successivamente comunicato al Comune di Barisciano la data entro la quale sarebbe stata consegnata la documentazione all'uopo richiesta e successivamente trasmessa con dichiarazione di assunzione della responsabilità dell'abuso).

    3.3. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.

    Essi sono infondati.

    3.3.1. E' opportuno precisare che i giudici del merito, con logica ed adeguata motivazione, hanno accertato come nella fattispecie si fosse in presenza di una c.d. lottizzazione materiale, che si configura quando vengono realizzate opere edilizie tali da comportare una trasformazione del terreno a scopo edificatorio in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1), strumento che qualificava come agricoli i suoli sui quali le opere sono state realizzate. Trattandosi di edifici destinati ad uso residenziale e tenuto conto delle dimensioni di ognuno di essi (circa 700 mq), gli interventi sono stati ritenuti idonei a caratterizzare una nuova maglia di tessuto urbano, avendo la loro costruzione anche comportato la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (es.

    fognature) in una zona destinata all'uso agricolo, realizzandone un'apprezzabile modificazione urbanistica non consentita.

    Quindi, nel caso in esame e come risulta dall'accertamento dei giudici del merito, non sindacabile in sede di legittimità perchè sorretto da congrua motivazione immune da vizi di manifesta illogicità, le varie unità abitative (tre nel complesso), autonomamente funzionali ed autosufficienti, sono state realizzate in zona non edificata, insistendo su una ampia superficie di natura agricola e non residenziale; le grosse ville in corso di edificazione, per la loro vasta superficie abitativa (ca. 700 mq.

    ciascuna) e per l'indubbio aumento del carico urbanistico, richiedevano l'esecuzione di un complesso di opere di urbanizzazione primaria (rete idrica - elettrica, strade, ed altro).

    Sulla base di ciò è risultata logicamente evidente la volontà dei ricorrenti di porre in essere una condotta avente l'effetto di limitare il potere di programmazione territoriale facente capo all'ente pubblico approfittando, in maniera illegittima, della normativa emergenziale post-sisma ed esorbitando palesemente da essa.

    I ricorrenti hanno infatti realizzato l'attività edilizia sulla base di una "presa d'atto" disposta dall'Ufficio Tecnico del Comune di Barisciano. Tale provvedimento era stato elaborato dal Comune, analogamente a quanto disposto da altri enti locali limitrofi interessati dal sisma, al fine di rispondere prontamente alle esigenze abitative della popolazione nel periodo immediatamente successivo all'evento tellurico e ciò al fine di evitare di dar luogo alla procedura ordinaria, complessa, che prevedeva, fra l'altro, l'intervento della Commissione edilizia, sicchè era stato deciso che, per la realizzazione degli immobili temporanei secondo le caratteristiche di cui alla Delib. 4 giugno 2009, n. 41 della Giunta Comunale del Comune di Barisciano, era solo il responsabile dell'Ufficio Tecnico ad effettuare una rapida istruttoria verificando esclusivamente il rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi indicati nella stessa delibera, assumendone la responsabilità. In sintesi, nella richiamata delibera e molto comprensibilmente, si consentiva ai cittadini residenti nel territorio del Comune che si trovavano nella momentanea indisponibilità della propria abitazione a seguito del sisma, se dichiarata inagibile dalla Protezione civile, di realizzare dei manufatti provvisori ricadenti in diverse zone del P.R.G. Nello stesso provvedimento si prescrivevano limiti massimi tassativi di volumetria per gli immobili in relazione al numero di componenti il nucleo familiare e, per quanto d'interesse, nel caso di famiglia composta di 4/5 persone, si indicava comunque come limite massimo - non essendo peraltro previste categorie ulteriori a quella indicata - il limite di 108 mq.

    La Corte territoriale ha pertanto osservato come - a prescindere dall'unitarietà dell'intervento, comunque chiaramente desumibile dai vincoli di parentela fra gli imputati ed il coimputato non appellante, dall'identico iter amministrativo seguito per l'abusiva edificazione e lottizzazione, dall'identico progettista e direttore dei lavori incaricato, dalla vicinanza dei manufatti e dalla pressochè identica fattura dei singoli corpi di fabbrica - non potesse sussistere alcun dubbio circa la configurabilità della lottizzazione, correttamente rilevando che la distinzione tra il semplice abuso edilizio in zona non edificata e la lottizzazione fisica o materiale va individuata nella rilevanza causale della trasformazione del territorio, nel senso che l'atto lottizzatorio materiale deve potere influire sulla futura pianificazione del territorio, deve porsi cioè come fatto pregiudizievole del potere pubblico di pianificazione territoriale e non essere diretto unicamente al controllo preventivo di conformità ai piani ed alle norme.

    Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato in sede di legittimità secondo il quale il reato di lottizzazione abusiva fisica o materiale si distingue da quello di costruzione senza titolo abilitativo in quanto, nel primo, l'intervento, per le sue dimensioni o caratteristiche, è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale e non è diretto unicamente al controllo preventivo di conformità ai piani ed alle norme laddove, diversamente, nel secondo, l'intervento per la dimensione del manufatto, non presuppone opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Lorefice, Rv. 246340).

    Ne consegue che i parametri sintomatici di riferimento per verificare se esista un semplice abuso o una lottizzazione materiale prescindono dall'unicità o pluralità dell'intervento e sono costituiti dalle caratteristiche dell'intervento stesso e della relativa area (lotto) nonchè dallo stato di urbanizzazione della porzione territoriale sulla quale l'intervento incide.

    Ciò comporta che l'intervento, quanto più è rilevante per le dimensioni degli edifici (o del singolo edificio) realizzati e quindi per il numero degli abitanti o per le attività da insediare, tanto più tendenzialmente richiede una preventiva pianificazione la quale peraltro dipende anche dalla natura della zona, ossia a seconda che l'intervento incida in area isolata e lontana dal centro abitato o all'interno di esso o a seconda che esso insista o meno in area già dotata di opere di urbanizzazione, dovendosi assegnare rilevanza anche lo stato di urbanizzazione della zona circostante perchè, ai fini della configurabilità della lottizzazione, sì deve tenere conto della necessità o meno del raccordo pianificatorio.

    I Giudici del merito hanno tenuto ampiamente conto di tali parametri ed hanno quindi motivatamente ritenuto configurabile il reato di lottizzazione, conseguendo da ciò l'infondatezza del quinto motivo di gravame.

    3.3.2. Con motivazione parimenti corretta, la Corte territoriale ha poi stimato prive di rilevanza le obiezioni tendenti ad affermare la legittimità dell'intervento eseguito alla luce del carattere temporaneo delle opere realizzate, osservando che quelle previsioni sarebbero state, in ipotesi, invocabili in presenza dei presupposti, del tutto insussistenti, per l'applicazione della normativa emergenziale, difettando innanzitutto il fatto che gli imputati, alla data del sisma (6 aprile 2009) fossero residenti nel territorio di (OMISSIS), con una abitazione resa inagibile dal terremoto ( T.A., era residente in (OMISSIS), frazione (OMISSIS), T.V. nel Comune di (OMISSIS)), e sussistendo la violazione dei limiti di altezza e superficie degli immobili assentibili con la presa d'atto (altezza massima m. 4, superficie massima mq. 108), che nel caso in esame sono risultati totalmente superati dai manufatti realizzati, la cui altezza effettiva è stata accertata in m. 7.75, e la cui superficie su tre piani è di complessivi mq. 694.

    In sostanza sono stati realizzati, fin quando il sequestro preventivo disposto il 6 ottobre 2010 ne ha bloccato la costruzione allo stato grezzo, tre immobili di grossa consistenza con un titolo urbanistico non idoneo (mera presa d'atto), in mancanza di un permesso a costruire, che comunque nella zona, attesa la superficie edificata e l'altezza dei manufatti fuori terra, non sarebbe stato rilasciabile in ragione della destinazione ad uso agricolo dell'area; in tale situazione, i requisiti richiesti alla normativa regolamentare emergenziale del Comune di Barisciano sono stati in partenza palesemente violati.

    Da ciò i giudici del merito hanno tratto il logico convincimento che la volontà degli imputati fosse quella di realizzare un immobile in spregio alle disposizioni urbanistiche vigenti e in primis alla Delib. n. 41 del 2009, mancando il requisito della residenza dei committenti all'interno del Comune e, con tutta evidenza, la temporaneità già ab origine degli edifici avuto riguardo al materiale utilizzato (cemento armato) per la costruzione ed ai tempi di esecuzione (i manufatti dovevano essere rimossi al 31 dicembre 2010, mentre nel settembre 2010 erano ancora in corso le rifiniture sicchè nel frattempo non erano stati utilizzati dai soggetti "bisognosi", e verosimilmente alla scadenza indicata gli edifici non sarebbero stati affatto utilizzati dai proprietari).

    Nel pervenire a tale conclusione i giudici del merito si sono attenuti al principio di diritto più volte affermato dalla Corte Suprema secondo il quale la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636), conseguendo da ciò la manifesta infondatezza del quarto motivo.

    3.3.3. Alle stregua delle precedenti considerazioni, deve ritenersi manifestamente infondato anche il rilievo secondo il quale - essendo stata l'emergenza post sisma regolata da un complesso di norme emanate in deroga rispetto a quelle ordinarie, predisposte in fretta e con poca chiarezza - gli imputati sarebbero incorsi in un errore scusabile su legge diversa da quella penale.

    In realtà i ricorrenti si limitano a reiterare una doglianza già motivatamente respinta senza prendere alcuna posizione su un punto decisivo che le sentenze di merito hanno opportunamente coltivato ossia che fosse onere dei committenti e del direttore dei lavori verificare i requisiti previsti dalla normativa edilizia di settore e conformarsi ad essa.

    Infatti è stato correttamente sostenuto come non fosse verosimile ritenere che i ricorrenti avessero ignorato l'esatto contenuto della più volte richiamata Delib. n. 41 del 2009 avendo essi fatto espresso riferimento nei rapporti con l'autorità comunale allo stato di emergenza e quindi avendo mostrato di essere a conoscenza dell'esistenza di una normativa derogatoria rispetto a quella ordinaria che avevano l'obbligo di verificare e di osservare, potendo rispondere del reato contestato anche a solo titolo di colpa per difetto di diligenza.

    Sotto tale profilo il motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, difetta della necessaria specificità per essere del tutto assertivo.

    4. Allo stesso modo difetta di specificità, oltre ad essere manifestamente infondato in presenza di adeguata motivazione, il sesto motivo di impugnazione.

    I ricorrenti non hanno affatto preso posizione sulle ragioni con le quali la Corte d'appello ha disatteso l'analoga doglianza espressa nei confronti della sentenza del Tribunale, avendo la Corte territoriale affermato che l'eventualità che il giudice possa del tutto legittimamente subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile, persegue la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, non sussistendo alcuna incompatibilità fra lo stato di incensuratezza degli imputati e la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto, posto che l'art. 165 c.p., nel prevedere che il giudice possa subordinare la sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, attribuisce allo stesso un potere discrezionale che può anche trascurare il dato dell'incensuratezza, ove altre circostanze impongano la subordinazione del beneficio.

    Nel caso in esame, infatti, la Corte distrettuale ha significativamente spiegato che la già ricordata consistenza e vastità dell'intervento incriminato, la sua natura di abuso non di necessità, le imponenti dimensioni delle singole opere abusive, per di più realizzate in terreni a destinazione agricola, hanno giustificato la pronta esecuzione della demolizione, imponendo il mantenimento della subordinazione della sospensione condizionale disposta ai sensi dell'art. 165 c.p. in primo grado.

    Perciò, avendo la Corte d'appello pienamente adempiuto all'obbligo di motivazione, il motivo di ricorso, in assenza di una specifica critica, deve ritenersi manifestamente infondato e del tutto generico.

    5. Nel ricordare che i termini di prescrizione sono stati sospesi dal 27 agosto 2015 e sino al 17 marzo 2016 a seguito di richiesta di rinvio avanzata dai difensori, segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
    
    P.Q.M.

    Rigetta i ricorsi e la condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

    Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2016