Cass. Sez. III n. 40265 del 7 ottobre 2015 (Ud. 26 mag 2015)
Presidente: Mannino Estensore: Scarcella Imputato: Amitrano e altro
Beni Ambientali.Reato ex art. 181, comma primo, D.Lgs. n. 42 del 2004 e momento consuntivo

Il delitto di cui all'art. 181, comma primo-bis, del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, qualora sia realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo; ne consegue che ove la condotta venga interrotta e poi ripresa, il termine della prescrizione decorre dal momento della cessazione finale dell'attività. (Fattispecie in cui la Corte, con riferimento a lavori edilizi eseguiti su area dichiarata di notevole interesse paesaggistico, ha individuato il termine di decorrenza della prescrizione, in assenza di altri elementi utili, nella data nella quale, successivamente alla revoca del sequestro che aveva determinato la cessazione degli interventi, veniva accertata la ripresa dell'attività edificatoria).


 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 18/03/2014, depositata in data 17/05/2014, la Corte d'appello di NAPOLI, in parziale riforma della sentenza del tribunale di NAPOLI, sez. dist. ISCHIA, emessa in data 20/07/2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti di AMITRANO LUIGI e D'ABUNDO MADDALENA in ordine ai reati contravvenzionali loro ascritti contestati fino al 19/05/2008 perché estinti per intervenuta prescrizione nonché, nei confronti del solo AMITRANO LUIGI in ordine al reato di violazione di sigilli contestato al medesimo sino al 7/02/2006 perché estinto per intervenuta prescrizione, per l'effetto rideterminando la pena inflitta ai medesimi, per i residui reati loro ascritti, ritenuto più grave il reato di cui all'art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42 del 2004, con il concorso delle già riconosciute attenuanti generiche, nella misura di 1 anno e 2 mesi di reclusione quanto ad AMITRANO e di mesi 6 di reclusione, quanto alla D'ABUNDO, confermando nel resto l'impugnata sentenza; per migliore intelligibilità del ricorso, pertanto, residuano al giudizio di questa Corte: a) il reato di violazione di sigilli contestato al solo AMITRANO per le condotte successive al 7/02/2006; b) il delitto paesaggistico contestato ad entrambi i ricorrenti (contestato come accertato in data 30 marzo 2008).
2. Hanno proposto ricorso AMITRANO LUIGI e D'ABUNDO MADDALENA a mezzo di difensore fiduciario — procuratore speciale cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deducono cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo dell'insufficienza ed illogicità della motivazione e dell'erronea applicazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p., per non aver la Corte d'appello dichiarato l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver il giudice di appello dichiarato estinto per prescrizione anche il delitto paesaggistico, atteso che, nel caso in esame, sarebbe stata configurabile la sola contravvenzione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1; sul punto, osservano i ricorrenti che il sito delle opere oggetto di contestazione era già stato oggetto di un provvedimento di sequestro risalente all'anno 2005 e che l'accertamento da cui aveva tratto origine il procedimento risulta datato (OMISSIS); tanto premesso, nè il PM nè i giudici di merito avrebbero fornito alcuna motivazione in ordine alla corretta datazione delle nuove opere oggetto di contestazione; l'illogicità della motivazione, in particolare, emergerebbe dal fatto che, mentre per i reati contravvenzionali contestati la Corte ha prosciolto i ricorrenti ritenendo che il dies a quo dovesse essere considerato prossimo alla data della prima violazione del 7/02/2006, diversamente, per il delitto paesaggistico, non sarebbe stato applicato il principio del favor rei, senza quindi dichiararlo estinto per prescrizione; richiamata, sul punto, l'evoluzione giurisprudenziale di legittimità in materia, sostengono i ricorrenti che anche la più recente e rigorosa giurisprudenza che impone all'imputato un onere probatorio sulla più remota datazione delle opere, richiede pur sempre un onere motivazionale rafforzato per il giudice che ritenga di non poter applicare il principio del favor rei; nel caso in esame, non vi sarebbe certezza in ordine alla commissione delle opere e le prospettazioni difensive concernenti una diversa ed anticipata datazione delle opere sarebbero basate su elementi fattuali e concreti (opere di fattura non recente; assenza di lavori in corso o di attrezzature in loco); la Corte territoriale non avrebbe assolto a tale onere motivazionale "rafforzato", non avendo indicato gli elementi concreti da cui dedurre che il dies a quo andasse identificato con quello del sequestro anche al fine della corretta normativa da applicare al caso esaminato che, in particolare, sostengono i ricorrenti, escludeva in applicazione del predetto principio, l'applicabilità del delitto paesaggistico, in quanto non ancora in vigore al momento della consumazione del reato "istantaneo" di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della mancanza ed illogicità della motivazione e dell'erronea applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, e, precisamente: a) in ordine alla natura dell'intervento contestato, all'erronea qualificazione dello stesso come delitto e non come contravvenzione ed all'omessa derubricazione dello stesso nella fattispecie contravvenzionale; b) in ordine all'omessa verifica dell'offensività specifica della condotta in relazione all'indimostrato danno al paesaggio ed all'omessa pronuncia sui motivi di appello ed ultrapetizione; e) in ordine, infine, all'omessa motivazione sui motivi di appello relativi alla mancata indicazione degli estremi del provvedimento ministeriale impositivo del vincolo nonchè per violazione dell'art. 24 Cost. e del divieto di irretroattività della legge penale. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver il giudice di appello provveduto alla derubricazione del delitto paesaggistico nella corrispondente contravvenzione paesaggistica prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, essendo databili le opere in data antecedente all'entrata in vigore della modifica normativa che ha introdotto il c.d. delitto paesaggistico; sul punto, i giudici di appello non avrebbero fornito alcuna motivazione, condividendo acriticamente quanto affermato dal giudice di primo grado e, quindi, erroneamente ritenendo che le opere in contestazione finalizzate alla manutenzione straordinaria ed all'esecuzione delle opere di finitura del preesistente corpo di fabbrica (iniziato, secondo la tesi dei ricorrenti, ben prima dell'entrata in vigore della fattispecie delittuosa in questione) fossero riferibili all'epoca successiva dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1; i giudici territoriali non avrebbero peraltro considerato che il reato in esame non poteva ritenersi sussistere difettando nel caso di specie l'immutazione dello stato dei luoghi e la sua prova, richiamando sul punto una decisione di questa Corte risalente al 1994 relativa ad abusi eseguiti nei Giardini Poseidon dell'Isola di Ischia, donde, in mancanza di un accertamento del grado di incidenza e di rilevanza della modifica non sarebbe stato possibile ritenere configurabile il reato; del resto, si aggiunge, i giudici di appello non avrebbero motivato circa la reale offensività specifica dell'intervento realizzato (che, secondo la tesi dei ricorrenti, difetterebbe, in quanto si sarebbe trattato di opere di finitura e manutenzione, correlati ad esigenze di igiene e sicurezza, senza alcuna "verticalizzazione" atta ad offendere od occludere visioni panoramiche, prospettiche o di insieme, che sarebbero state peraltro impossibili in quel sito) nè sulla sussistenza del danno al paesaggio che tale intervento avrebbe provocato, sostenendo che il reato in questione non è reato di pericolo o formale, a tal fine richiamando giurisprudenza di questa Corte, difettando anche qualsiasi valutazione in ordine ai casi sottratti all'autorizzazione paesaggistica ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, lett. b); ancora, difetterebbe qualsivoglia indicazione circa la sussistenza del vincolo paesaggistico sull'immobile oggetto dell'intervento, esigendo la norma - per la configurabilità del delitto di cui al comma 1 bis - che i lavori intervengano su immobili o aree dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; nella specie, si sostiene, non sarebbe assolutamente applicabile la norma in esame in quanto l'area non sarebbe stata dichiarata di notevole interesse pubblico con provvedimento anteriore, non esistendo alcuno specifico vincolo gravante sull'immobile in questione nè contenendo il capo di imputazione alcun riferimento al provvedimento impositivo del vincolo, sicchè, trattandosi di elemento costitutivo del reato, la mancata indicazione ne determinerebbe l'insussistenza; conclusivamente, attesa la documentata preesistenza del manufatto, già sequestrato in data 28/10/2005, i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare prescritto anche il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, previa sua derubricazione nell'ipotesi del comma 1, in quanto il reato doveva intendersi iniziato al momento di realizzazione delle opere, momento riferibile certamente al preesistente corpo di fabbrica di cui all'imputazione ed esistente in loco "svariati anni prima il 7/10/2006", dunque ben prima dell'entrata in vigore della norma che ha introdotto il delitto paesaggistico, con conseguente violazione del divieto di irretroattività della legge penale.

2.3. Deduce, la sola D'ABUNDO, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), sotto il profilo della inesistenza, mancanza, insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione e dell'erronea applicazione di legge, in relazione agli artt. 163 e 164 c.p., per mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena ed omessa pronuncia sul relativo motivo di appello, sospensione condizionale che avrebbe potuto tutt'al più essere subordinata alla demolizione, ma che sarebbe stata confermata solo implicitamente in appello nonostante la mancata revoca dell'ordine di demolizione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver il giudice di appello motivato in ordine al diniego del beneficio di cui all'art. 163 c.p.. alla ricorrente D., nonostante sussistessero le condizioni soggettive per la sua concedibilità, atteso che la stessa era gravata da un unico precedente per reato edilizio relativo allo stesso immobile; inoltre, i giudici di appello, nonostante la declaratoria di estinzione per i reati urbanistici, non avrebbero revocato l'ordine di demolizione.

2.3. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della mancanza della motivazione e dell'erronea applicazione di legge, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, non avendo i giudici di appello provveduto a revocare l'ordine di demolizione nonostante l'intervenuta declaratoria di estinzione dei reati urbanistici loro ascritti.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver il giudice di appello revocato, come invece era suo dovere, revocato l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, nonostante l'intervenuta declaratoria di proscioglimento per tutti i reati contravvenzionali, in particolare per quello di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).

2.5. Deducono, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione e dell'erronea applicazione di legge, in relazione all'art. 157 c.p., non avendo la Corte d'appello dichiarato la prescrizione di tutti i reati ascritti in applicazione del principio del favor rei.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver il giudice di appello dichiarati estinti per prescrizione tutti i reati contestati, nonostante il reato dovesse intendersi consumato il giorno dell'apposizione del sequestro, donde l'intervenuta prescrizione degli stessi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono parzialmente fondati.

4. Ed invero, seguendo l'ordine sistematico suggerito dalla struttura dell'impugnazione di legittimità, può procedersi con l'esame del primo ed il secondo motivo di ricorso, che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza mossi e lo stretto legame logico che li unisce, possono essere trattati congiuntamente.

4.1. I motivi, comuni ad entrambi i ricorrenti, sono infondati. Ed invero, è pacifico che il delitto paesaggistico oggetto di contestazione ad entrambi risulta essere stato correttamente contestato; emerge dalla sentenza impugnata che risulta, per tabulas, che l'area su cui insisteva l'intervento edilizio abusivo, per le sue caratteristiche paesaggistiche, era stata dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento (si tratta del D.M. 12 gennaio 1958). Deve, poi, rilevarsi che è pacifico nella giurisprudenza di questa stessa Sezione che la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, lett. a) - esecuzione di lavori senza la prescritta autorizzazione su immobili o aree dichiarati di notevole interesse pubblico, introdotta dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 36, lett. c), è configurabile anche se la dichiarazione è avvenuta con provvedimento emesso ai sensi delle disposizioni previgenti; peraltro, trattandosi di dichiarazione di notevole interesse pubblico (nel caso di specie, effettuata con il D.M. 12 gennaio 1958), non è necessaria alcuna notificazione del vincolo ai proprietari o ad altri soggetti interessati (v., tra le tante: Sez. 3, n. 45609 del 09/11/2005 - dep. 16/12/2005, Pastore, Rv. 232641); inoltre, il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, lett. a), è configurabile anche se la dichiarazione di notevole interesse pubblico sia intervenuta - come nel caso di specie - con provvedimento emesso ai sensi delle disposizioni previgenti (Sez. 3, n. 9278 del 26/01/2011 -dep. 09/03/2011, Berti, Rv. 249755).

Quanto al momento di consumazione, deve essere qui precisato che, al pari della contravvenzione paesaggistica di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1, anche il delitto paesaggistico di cui al comma 1 bis, qualora sia realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013 - dep. 08/07/2013, Borsani, Rv. 256897).

Il problema, dunque, è individuare il momento in cui può ritenersi cessata la permanenza. Orbene, osserva sul punto il Collegio che la contestazione in esame reca come data di accertamento il 30/03/2008;

è ben vero che l'ultimo sequestro venne eseguito in data 7/02/2006, ma è altrettanto vero che, per come emerge dalla sentenza di appello e da quella di primo grado (donde è consentito, trattandosi di doppia conforme sul punto, la vicendevole integrazione delle motivazioni, che si saldano in un unicum) i lavori erano in corso alla data dell'accertamento, come risulta dalla denuncia dei fratelli A. depositata in data 20/03/2008 al Comune di Forio, trattandosi di lavori di completamento del fabbricato oggetto dell'ordine di demolizione n. 219/05, essendo infatti l'area stata dissequestrata come risulta dalla c.n.r. del 30/03/2008, documenti tutti acquisiti ed utilizzabili in quanto facenti parte della documentazione valutata dal primo giudice a seguito del giudizio abbreviato richiesto.

Ne consegue, dunque, che non essendo al momento dell'accertamento l'area in sequestro, il momento di cessazione della permanenza, trattandosi di lavori che erano proseguiti successivamente al dissequestro ed in corso al momento dell'accertamento del 30/03/2008, è individuabile alla data dell'accertamento medesimo, in base al principio consolidato secondo cui qualora in un reato permanente la condotta venga interrotta e successivamente ripresa, il termine della prescrizione decorre dal momento della cessazione finale (Sez. 3, n. 5480 del 12/12/2013 - dep. 04/02/2014, Manzo, Rv. 258930), che, non essendovi elementi per poterlo ritenere individuabile alla data della sentenza di primo grado (20/07/2009), deve essere quindi individuato nella data dell'accertamento (30/03/2008).

Sul punto, infatti, si è correttamente affermato che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta "aperta" o a "consumazione in atto", senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di "natura processuale" per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale (Sez. 1, n. 39221 del 26/02/2014 - dep. 24/09/2014, P.G. in proc. Saputo e altro, Rv. 260511, principio affermato in relazione a fattispecie relativa al reato di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina la cui consumazione, agli effetti della prescrizione, è stata fatta decorrere dalla data dell'accertamento del fatto).

Ne discende, pertanto, che, avuto riguardo al termine di prescrizione massima del delitto paesaggistico per cui si procede (anni 7 e mesi 6), il termine di prescrizione, individuato il dies a quo di decorrenza alla data del 30/03/2008, maturerà solo in data 30/09/2015, successiva alla decisione di questa Corte. Ulteriore conseguenza, dunque, è che le pretese omissioni motivazionali della Corte territoriale denunciate nel secondo motivo, in realtà non inficiano la sentenza impugnata, trovando applicazione il principio secondo cui in sede di legittimità non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 - dep. 15/01/2014, Cento e altri, Rv. 259643).

4.2. Proseguendo nell'esame dei motivi di ricorso, può essere esaminato il motivo esclusivo della D., per non aver il giudice di appello motivato in ordine al diniego del beneficio di cui all'art. 163 c.p. alla ricorrente D., nonostante sussistessero le condizioni soggettive per la sua concedibilità, atteso che la stessa era gravata da un unico precedente per reato edilizio relativo allo stesso immobile.

Il motivo è inammissibile, non risultando dall'impugnata sentenza nè specificato nel relativo motivo di ricorso che la richiesta di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena fosse stata chiesta nei motivi di appello; dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, emerge che l'unica richiesta della D. era quella assolutoria per non aver commesso il fatto; non rileva, peraltro, la circostanza che tale richiesta fosse stata avanzata in sede di discussione (come emerge dalla lettura del motivo di ricorso a pag. 18, ove si legge "nonostante la richiesta di benefici avanzata dalla difesa"), atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice d'appello non è tenuto a concedere d'ufficio la sospensione condizionale della pena nè a motivare specificamente sul punto, quando l'interessato si limiti, nell'atto di impugnazione e in sede di discussione, ad un generico e assertivo richiamo dei benefici di legge, senza indicare alcun elemento di fatto astrattamente idoneo a fondare l'accoglimento della richiesta (Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013 - dep. 15/01/2014, Shehi, Rv. 258487), non rilevando ovviamente che di tali elementi fattuali vi sia menzione nel motivo di ricorso in sede di legittimità, dovendo infatti l'illustrazione relativa essere svolta o in sede di atto di appello o in sede di discussione davanti al giudice di merito.

5. Fondati, invece, si appalesano gli ultimi due motivi.

5.1. Ed infatti, quanto al motivo con cui si censura la sentenza per non aver il giudice di appello revocato, come invece era suo dovere, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, nonostante l'intervenuta declaratoria di proscioglimento per tutti i reati contravvenzionali, in particolare per quello di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'estinzione per prescrizione del reato di costruzione abusiva dichiarata dal giudice d'appello comporta la conseguente dichiarazione di revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di primo grado, atteso che questo consegue alle sole sentenze di condanna per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 come disposto dal cit. D.P.R., art. 31, comma 9 (Sez. 3, n. 8409 del 30/11/2006 - dep. 28/02/2007, Muggianu, Rv. 235952).

Ne discende, pertanto, l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza nei confronti di entrambi i ricorrenti quanto all'omessa revoca dell'ordine di demolizione, che può essere eliminato da questa Corte ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l).

5.2. Quanto, poi, all'ultimo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza per non aver il giudice di appello dichiarato estinti per prescrizione tutti i reati contestati, nonostante il reato dovesse intendersi consumato il giorno dell'apposizione del sequestro, la doglianza - attesa la fondatezza del precedente motivo - impone l'annullamento senza rinvio per prescrizione del reato di violazione di sigilli, contestato al solo A., sino alla data del 26/09/2007.

Ed infatti, poichè risultano già interamente dichiarati prescritti i fatti sino al (OMISSIS), deve tenersi conto dei sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria; risulta che un primo sequestro venne eseguito in data 16/11/2006 ed un secondo, ed ultimo sequestro, venne eseguito in data 19/05/2008; avuto riguardo, quindi, al termine di prescrizione massima per il delitto in esame (anni 7 e mesi 6) e tenuto conto della non manifesta infondatezza del motivo di impugnazione illustrato nel paragrafo che precede, devono essere dichiarati estinti per prescrizione i fatti successivi al (OMISSIS) (dunque dall'8/02 in poi) sino al 26/09/2007 (atteso che, per i fatti commessi in tal data, nel termine di prescrizione che sarebbe dovuto maturare in data 26/03/2015, vanno computati anche gg. 60 di sospensione - v. pag. 2 della sentenza impugnata -, con conseguente individuazione del termine finale alla data del 26/05/2015, data della presente udienza davanti a questa Corte Suprema).

Ne consegue, pertanto, l'annullamento senza rinvio per prescrizione del delitto di violazione di sigilli ascritto all'Amitrano, limitatamente ai fatti commessi sino al 26/09/2007 compreso, cui segue la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la rideterrninazione della pena da infliggersi all'Amitrano, divenendo esecutiva nei suoi confronti la condanna sia per il delitto di cui all'art. 181, comma 1 bis, d. Igs. n. 42 del 2004 che per il delitto di violazione di sigilli, limitatamente ai fatti successivi al 26/09/2007 e sino alla data del secondo sequestro, individuata nel 19/05/2008. Per la D'Abundo, diversamente, la sentenza è invece divenuta integralmente irrevocabile anche in punto di pena non essendo prescritto il delitto paesaggistico per le ragioni dianzi esposte.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di AMITRANO LUIGI per i reati di cui all'art. 349, cpv., cod. pen., commessi dall'8/02/2006 al 26/09/2007 per essere gli stessi estinti per prescrizione, e rinvia ad altra Sezione della Corte d'Appello di NAPOLI per la rideterminazione della pena; annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di AMITRANO LUIGI e D'ABUNDO MADDALENA, limitatamente all'omessa revoca dell'ordine di demolizione, che elimina, e rigetta, nel resto, i ricorsi.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 26/05/2015