Cass. Sez. III n. 30617 del 3 novembre 2020 (UP 11 set 2020)
Pres. Izzo Est. Di Stasi Ric. PG in proc. Arnone ed altri
Urbanistica.Opere destinate alla difesa nazionale
L’opera destinata alla difesa nazionale ex art 233 lett. m) codice dell’ ordinamento militare, risulta assoggettata ad uno speciale regime derogatorio: assoluto in materia urbanistica ed edilizia in quanto le opere destinate alla difesa militare non sono soggette al all’accertamento di conformità alle previsioni urbanistiche né al rilascio di titolo abilitativo (art. 81, secondo comma del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e 352 del codice dell’ordinamento militare; art 7, comma 1-lett.G, T.U. n. 380/2001 e art 353 del codice dell’ordinamento militare) e soggetto a speciale procedimento amministrativo ex art, 147 d.lgs n. 42/2004. Le opere destinate alla difesa militare, in particolare, sono soggette alle leggi sulla tutela del paesaggio e la loro costruzione in zona vincolata necessita, pertanto, della preventiva comparazione con l'interesse alla cui tutela è posto il vincolo paesaggistico dato che la Costituzione attribuisce al paesaggio (art. 9), un valore primario che non può essere sacrificato a quell'altro, di pari dignità, della sicurezza del paese (art. 52).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/07/2019, la Corte di appello di Catania confermava la sentenza emessa in data 05/04/2018 dal Tribunale di Caltagirone, che aveva assolto Arnone Giovanni, Gemmo Mauro, Valenti Concetta e Puglisi Carmelo dal reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 cod.pen. e 181, comma 1, d.lgs n. 42/2004 perchè, nelle rispettive qualità di cui all’imputazione, eseguivano e facevano eseguire, senza la prescritta autorizzazione assunta legittimamente o in difformità di essa, i lavori per la realizzazione di un sistema di comunicazioni per utenze mobili (denominato M.U.O.S. - Mobile User Objective System) insistente su beni paesaggistici all’interno della riserva naturale denominata Sughereta di Niscemi area A, di inedificabilità assoluta, in sito di interesse comunitario.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 233 lett. t) del codice ordinamento militare.
Argomenta che erroneamente la sentenza impugnata aveva qualificato l’impianto radar come opera della difesa nazionale e, come tale opera militare che usufruirebbe di un regime derogatorio assoluto, in quanto non può ritenersi che si tratti di un’opera di difesa nazionale perché l’art. 233 - lett. t) richiede a questo scopo, in via cumulativa due requisiti e, cioè, il finanziamento con fondi comuni della NATO e la provenienza da “utenti alleati nel territorio”; in particolare, difetterebbe il requisito del finanziamento dell’opera con fondi comuni della NATO, risultando per tabulas che l’impianto era stato finanziato dal governo degli U.S.A.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 233 lett. t) del codice ordinamento militare e dell’art. 5 d. P.R n. 357/1997.
Espone che: l’art 352 cod. ord. militare prevede che per la localizzazione di tutte le opere che sono qualificate dalle norme vigenti come destinate alla difesa nazionale o che siano comunque destinate alla difesa nazionale non occorre l’accertamento di conformità urbanistica; l’art. 353 cod. ord. militare stabilisce che non occorre titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) d.P.R. n. 380/2001; l’art. 354 cod. ord. militare rinvia all’art. 147 T.U. Beni culturali che prevede un particolare procedimento autorizzatorio con rilascio dell’autorizzazione, previa conferenza di servizi indetta ai sensi delle vigenti disposizioni di legge; argomenta, quindi, che se pure si ritenesse l’opera un manufatto finalizzato alla difesa nazionale, risulterebbe violato l’art. 5 d.P.R n. 357/1997, perché l’Aeronautica Militare italiana non aveva indicato un sito alternativo come imposto dalla predetta norma.
Con il terzo motivo deduce violazione della normativa statale e regionale sul punto della inedificabilità assoluta.
Espone che l’art. 1 della legge n. 431/1985, alla quale si era uniformata la normativa regionale, prevede che sui territori coperti da boschi e foreste e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento sono assoggettati a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 1 della legge n. 431/1985; l’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996 sono vietate le nuove costruzioni; tale questione di inedificabilità assoluta non era stata dedotta in sede giurisdizionale amministrativa e doveva essere valutata dal giudice penale; nella specie, quindi, sussisteva il reato paesaggistico per l’inedificabilità assoluta prevista dalla legge, la cui integrabilità prescinde da quella del reato urbanistico.
Con il quarto motivo deduce violazione della normativa statale e regionale sul punto della inedificabilità assoluta, come refluente sulla illegittimità delle autorizzazioni pesaggistiche.
Ripropone le suesposte considerazioni in tema di divieto di nuove costruzioni e precisa che trattasi di norma di tutela ambientale e paesaggistica che non ammette alcuna deroga; risultano, quindi, illegittimi gli atti autorizzatori e sul punto la Corte territoriale aveva pretermesso la valutazione della legittimità degli atti amministrativi.
Chiede, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Con memoria depositata in data 26.02.2020 presso la Corte di appello di Catania, il ricorrente ha proposto motivo nuovo, deducendo violazione di legge, ponendo l’interrogativo se gli accordi e/o i trattati internazionali possano travolgere l’efficacia del vincolo di inedificabilità della Sughereta di Niscemi, disposto con normativa nazionale precedente agli accordi internazionali menzionati dai Giudici di merito.
Il difensore dell’imputato Gemmo Mauro ha depositato memoria difensiva, nella quale ha rilevato l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso sono infondati.
2. I Giudici di appello, confermando la valutazione del Tribunale, hanno rimarcato che l’art. 233 codice dell’ordinamento militare (d.lgs n. 66/2010), che individua le opere destinate alla difesa nazionale, menziona alla lett. m) anche “le strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo.
Hanno, quindi, ritenuto che l’opera di cui all’imputazione (che prevede l’installazione di tre antenne paraboliche, trasmittenti su banda “ka”, di due trasmettitori elicoidali ad altissima frequenza UHF, manufatti di supporto delle antenne di radiocomunicazione, manufatti di servizio, linee di alimentazione nonché attrezzature e strumentazioni di supporto), in considerazione delle sue caratteristiche oggettive intrinseche e per la sua destinazione funzionale, costituisce opera destinata anche alla difesa nazionale, in quanto avente una struttura di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo e, quindi, finalizzata al controllo ed alle comunicazioni satellitari per utenti mobili tra le stazioni terrestri ed i relativi satelliti.
Non risulta fondata la deduzione del ricorrente, secondo la quale l’art. 233 lett. t) codice dell’ordinamento militare richiederebbe, per poter qualificare l’opera come destinata alla difesa militare, in via cumulativa due requisiti e, cioè, il finanziamento con fondi comuni della NATO e da utenti alleati nel territorio, tanto che, risultando per tabulas che l’impianto in esame era stato finanziato dal governo degli U.S.A., esso non rientrerebbe nella suddetta normativa.
L’art 233 del codice dell’ordinamento militare, infatti, come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, individua, partitamente, varie categorie di opere destinate alla difesa militare (“Ai fini urbanistici, edilizi, ambientali e al fine dell'affidamento ed esecuzione di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, sono opere destinate alla difesa nazionale le infrastrutture rientranti nelle seguenti categorie: a) sedi di servizio e relative pertinenze necessarie a soddisfare le esigenze logistico - operative dell'Arma dei carabinieri; b) opere di costruzione, ampliamento e modificazione di edifici o infrastrutture destinati ai servizi della leva, del reclutamento, incorporamento, formazione professionale e addestramento dei militari della Marina militare, da realizzare nelle sedi di La Spezia, Taranto e La Maddalena su terreni del demanio, compreso quello marittimo; c) aeroporti ed eliporti; d) basi navali; e) caserme; f) stabilimenti e arsenali; g) reti, depositi carburanti e lubrificanti; h) depositi munizioni e di sistemi d'arma; i) comandi di unita' operative e di supporto logistico; l) basi missilistiche; m) strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo e aereo; n) segnali e ausili alla navigazione marittima e aerea; o) strutture relative alle telecomunicazioni e ai sistemi di allarme; p) poligoni e strutture di addestramento; q) centri sperimentali di manutenzione dei sistemi d'arma; r) opere di protezione ambientale correlate alle opere della difesa nazionale; s) installazioni temporanee per esigenze di rapido dispiegamento; t) attivita' finanziate con fondi comuni della NATO e da utenti alleati sul territorio nazionale).
Tra le categorie previste dalla norma, alla lett. m), sono menzionate “le strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo”, categoria che assume rilievo nel presente giudizio; alla lett. t) sono, poi, menzionate “le attività finanziate con fondi comuni della NATO e da utenti alleati sul territorio nazionale”, che costituiscono, al pari di tutte quelle elencate nella norma, una categoria distinta ed autonoma da quella appena menzionata.
La deduzione del ricorrente, pertanto, non trova riscontro nel chiaro dettato normativo, che prevede distinte ed autonome categorie di opere destinate alla difesa nazionale.
Ciò posto, correttamente qualificata l’opera come destinata alla difesa nazionale ex art 233 lett. m) codice dell’ ordinamento militare, essa risulta assoggettata ad uno speciale regime derogatorio: assoluto in materia urbanistica ed edilizia in quanto le opere destinate alla difesa militare non sono soggette al all’accertamento di conformità alle previsioni urbanistiche né al rilascio di titolo abilitativo (art. 81, secondo comma del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e 352 del codice dell’ordinamento militare; art 7, comma 1-lett.G, T.U. n. 380/2001 e art 353 del codice dell’ordinamento militare) e soggetto a speciale procedimento amministrativo ex art, 147 d.lgs n. 42/2004.
Le opere destinate alla difesa militare, in particolare, sono soggette alle leggi sulla tutela del paesaggio e la loro costruzione in zona vincolata necessita, pertanto, della preventiva comparazione con l'interesse alla cui tutela è posto il vincolo paesaggistico (così sin da Sez. 3, n. 12570 del 24/11/1995, Setaro, Rv. 203361, che, ha sottolineato che la Costituzione attribuisce al paesaggio, art. 9, un valore primario che non può essere sacrificato a quell'altro, di pari dignità, della sicurezza del paese, art. 52).
Nella specie, lo speciale procedimento amministrativo ex art, 147 d.lgs n. 42/2004 risulta conclusosi favorevolmente in sede amministrativa con il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche ed è stato oggetto di sindacato favorevole anche in sede di giurisdizione amministrativa per effetto di decisioni non più impugnabili dell'organo di giustizia amministrativa.
I Giudici di merito hanno compiutamente ripercorso l'iter procedimentale relativo alle autorizzazioni paesaggistiche riguardanti l'opera, necessarie ai sensi dell'art. 147 del d.lgs. n. 42 del 2004 ed ottenute all'esito della Conferenza dei Servizi del 9 settembre 2008, tenendo conto della verifica di legittimità anche sostanziale, effettuata in sede di contenzioso giurisdizionale amministrativo.
Hanno, quindi, valutato i profili dell' iter amministrativo non direttamente esaminati nelle decisioni del giudice amministrativo in linea con il principio di diritto, secondo cui al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale, qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (cfr. Sez.6, n.17991 del 20/03/2018,Rv.272890 – 01; Sez.3,n.44077 del 18/07/2014,Rv.260612 – 01; Sez. 1, n. 11596 del 11/1/2011 P.G. in proc. Keller, Rv. 249871; Sez. 3, n. 44077 del 18/7/2014, Scotto di Clemente, Rv. 260612; in materia urbanistica: Sez. 3, n. 39707 del 5/6/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 226592).
In particolare, i Giudici di appello hanno esaminato il vincolo di inedificabilità assoluta previsto dalla dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996 (nella parte in cui vieta le nuove costruzioni all’interno dei boschi e delle fasce forestali ed all’interno delle riserve naturali), e ne hanno escluso la rilevanza, rimarcando, correttamente, che l’opera insiste su zona già facente parte del demanio militare italiano (l’area apparteneva al demanio militare italiano, ramo Aeronautica militare, già da epoca anteriore alla istituzione del R.N.O “Sughereta di Niscemi”, vedi pag 56 e ss della sentenza di primo grado) e che essa è assoggettata al regime speciale previsto per le opere destinate alla difesa militare e non rientra, dunque, nella categoria di “nuove costruzioni” - da intendersi riferite a quelle “civili” - oggetto del divieto di edificazione.
I Giudici di merito hanno, poi, correttamente chiarito anche la portata applicativa dell’art. 5 d.P.R n. 357/1997 (che consente la realizzazione di un’opera in area s.i.c. nonostante le conclusioni negative della valutazione di incidenza sul sito ed in mancanza di soluzioni alternative possibili, in presenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico nonché per esigenze connesse alla sicurezza pubblica con l’adozione di speciali misure compensative), rimarcando che, nella specie, la valutazione dell’impatto ambientale era risultata positiva e che, invece, l’indicazione di un sito alternativo era necessaria solo in caso di esito negativo della V.I.A, ipotesi nella specie non ricorrente.
I motivi di ricorso, quindi, meramente ripropositivi di censure correttamente disattese dai Giudici di merito, risultano destituiti di fondamento.
3. Il motivo nuovo proposto con la memoria del 26.02.2020 è, invece, inammissibile.
Il ricorrente, deducendo vizio di violazione di legge, ripropone le deduzioni ed argomentazioni poste a fondamento dei motivi del ricorso principale; propone, poi, l’ulteriore questione se gli accordi internazionali e/o trattati internazionali (intercorsi tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America in ordine all’uso esclusivo del M.U.O.S.) possano travolgere il vincolo di inedificabilità assoluta previsto dalla normativa regionale e statale.
Trattasi di censura che, come si rileva dalla stessa lettura della sentenza impugnata, non era oggetto di specifico motivo di appello. Va ricordato che, ai sensi dell'art. 609 comma 2 cod.proc.pen., le questioni non dedotte in grado di appello sono proponibili e valutabili dalla Cassazione solo se rientrano nel novero di quelle rilevabili di ufficio, in ogni stato e grado del processo, oppure se non sono state dedotte prima per impossibilità oggettiva, ipotesi che qui non ricorrono.
Va, inoltre, rilevato che la memoria contente i motivi nuovi risulta presentata nella cancelleria del giudice “a quo” e non in quella del giudice dell’impugnazione, profilandosi anche sotto tale ulteriore profilo l’inammissibilità del motivo (Sez.6, n. 27603 del 18/03/2016, Rv.267263 – 01, che ha affermato che, in tema di impugnazioni, sono inammissibili i motivi nuovi depositati nella cancelleria del giudice "a quo" anziché in quella del giudice dell'impugnazione, in quanto la specifica disposizione di cui all'art. 585, comma quarto, cod. proc. pen., volta a consentire al giudice l'immediata conoscenza delle ragioni integrative dedotte dalle parti, non è derogabile applicando analogicamente le previsioni speciali di cui agli artt. 582, comma secondo, e 583, comma primo, cod. proc. pen. che attengono, rispettivamente, alle modalità di presentazione o di spedizione dell'atto di impugnazione.
3. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso.
4. Nulla va disposto per le spese delle parti civili, atteso il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 11/09/2020