Consiglio di Stato, Sez. V, n. 881, del 23 febbraio 2015.
Rifiuti. Legittimità ordinanza di provvedere alla presentazione del piano di caratterizzazione e di bonifica di un’area interessata dall'incenerimento dei rifiuti
La giurisprudenza ha chiarito che - sia in base al D. Lgs. 18 aprile 2011, n. 2376, sia in base al D. Lgs. n. 152 del 2006 - l’obbligo della bonifica è posto in capo al «responsabile» dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’obbligo di ricercare e individuare, mentre il «proprietario non responsabile» dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera facoltà di effettuare interventi di bonifica, con conseguente illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario o al detentore del fondo stesso in ragione solo della loro qualità, ma in mancanza dell’adeguata dimostrazione della responsabilità, occorrendo invece un’istruttoria completa ed un’esauriente motivazione, anche se fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza, dell’imputabilità soggettiva della condotta. E’ stato peraltro anche precisato che la responsabilità dell’«autore» dell’inquinamento costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale, ciò essendo desumibile dal fatto che l’obbligo di effettuare tali interventi sorge in connessione anche di una condotta accidentale, ossia a prescindere da qualsiasi elemento soggettivo, doloso o colposo, in capo all’«autore» dell’inquinamento, rivelandosi imprescindibile soltanto l’esistenza di un rapporto di causalità tra l’azione o l’omissione dell’autore dell’inquinamento e la contaminazione o il suo aggravamento in coerenza con il principio comunitario, secondo cui «chi inquina paga». (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 00881/2015REG.PROV.COLL.
N. 03707/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3707 del 2005, proposto dal
COMUNE DI SAN CASCIANO VAL DI PESA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Baldassarri e Carlo Srubek Tomassy, con domicilio eletto presso l’avvocato Carlo Srubek Tomassy in Roma, via Caio Mario, n. 27;
contro
La s.p.a. WASTE ITALIA, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Angela Gemma e Alessandro Cassetti, con domicilio eletto presso l’avvocato Angela Gemma in Roma, via Sabotino, n. 22;
la signora BRIZZI NICOLETTA, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 662 del 3 marzo 2004, resa tra le parti, concernente il progetto di bonifica di un’area interessata dall'incenerimento dei rifiuti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della s.p.a. Waste Italia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti l’avvocato Srubek Tomassy Chiara, per delega dell’avvocato Srubek Tomassy Carlo, e l’avvocato Cassetti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con nota prot. 10/6030 US del 2 aprile 2001, alcuni operatori del Dipartimento provinciale di Firenze dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale per la Toscana – ARPAT -informavano il responsabile della predetta struttura che, in occasione di un intervento effettuato presso la stazione di trasferimento RSU Le Sibille, nel Comune di San Casciano Val di Pesa, passando sulla strada sterrata che costeggia l’impianto e l’area SAFI – Grifoni/Masini, avevano «rilevato la presenza di scorie e ceneri anche a monte di questa strada che conduce a Casa Buca», precisando che le ceneri erano «uguali a quelle presenti nell’area SAFI Grifoni/Masini già oggetto di campionamento nel settembre 2000 così come previsto dal piano di caratterizzazione di questa area» ed erano «visibili a monte della strada in corrispondenza del piezometro PZ2», precisando che «per quanto rilevato visivamente si tratta(va) di un riporto sulla scarpata che occupa un’estensione di circa 1000 metri quadrati»”.
L’ARPAT, con nota prot. 10/0014639 B7 dell’8 agosto 2001, trasmetteva al Comune di San Casciano Val di Pesa la segnalazione del Dipartimento provinciale di Firenze, evidenziando che, «per quel che è stato possibile constatare, che trattasi di abbandono di rifiuti costituiti da ceneri e scorie analoghi per tipologia a quelli depositati in area adiacente oggetto di bonifica».
Individuata l’area de qua in quella catastalmente contraddistinta dal foglio 36, particella 97, e ricollegata la responsabilità dei fatti accertati alla società Waste Italia S.p.A. (incorporante la s.p.a. S.A.S.P.I. operante nell’area fino al 1993), l’amministrazione comunale richiedeva all’ARPAT della Toscana l’effettuazione di un campionamento sui rifiuti, rinvenuti al fine di accertarne la provenienza, operazione che veniva espletata il giorno 31 gennaio 2002, alla presenza della proprietaria, di un rappresentante della predetta s.p.a. Waste Italia, oltre che di un funzionario comunale.
Le analisi svolte dall’ARPAT accertavano che il campione prelevato «presenta(va) una morfologia ed un inquinamento da metalli pesanti (per tipologia quantità relative) dello stesso tipo di precedenti campioni, rinvenuti nella sopraccitata area oggetto di bonifica, che erano stati prelevati durante il sopralluogo ARPAT del 22/03/1999…che risultavano contaminati da scorie provenienti da incenerimento di rifiuti», concludendo che «è pertanto presumibile che anche il campione raccolto possa essere contaminato da scorie di combustione di rifiuti».
Il Responsabile del servizio gestione del territorio del Comune di San Casciano Val di Pesa, con ordinanza n. 4/2002 del 3 giugno 2002, sulla scorta dei predetti atti e dati, nonché della circostanza che «fino alla metà degli anni ’80 nelle vicinanze dei terreni oggetto di analisi era in attività un impianto per l’incenerimento dei rifiuti gestito dalla Società Servizi Pubblici Italiani S.p.A., e che in epoca successiva l’impianto è stato utilizzato esclusivamente per il trattamento di rifiuti preliminare all’avvio in discarica degli stessi, con esclusione di qualsiasi trattamento termico degli stessi, e che pertanto l’abbandono dei rifiuti successivamente al loro incenerimento non possa che essere imputato alla S.A.S.P.I. S.p.A.», ordinava alla s.p.a. Waste Management Italia (che ha incorporato la s.p.a. S.A.S.P.I.) di provvedere alla presentazione del «piano di caratterizzazione», predisposto secondo i criteri definiti nell’allegato 4 del D.M. n. 471 del 1999, avvertendo che la sua mancata ottemperanza ne avrebbe determinato l’esecuzione ai sensi dell’art. 14 del D.M. n. 471 del 1999 e avrebbe comportato l’applicazione di quanto previsto dall’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22 del 1997, e precisando ancora che gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, costituiscono onere reale sulle aree inquinate, che le spese sostenute sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime ai sensi e per gli effetti dell’art. 2748, secondo comma, del codice civile, che detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile e che le predette spese sono altresì assistite da privilegio speciale immobiliare.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. II, con la sentenza n. 662 del 3 marzo 2004, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, riuniti i separati ricorsi proposti rispettivamente dalla s.p.a. Waste Italia (nrg. 1753/2002) e dalla signora Nicoletta Brizzi (nrg. 1816/2002), accoglieva il primo ed annullava la predetta ordinanza, ritenendo fondato il motivo di censura di violazione e falsa applicazione dell’articolo 14, comma 3, del D Lgs. n. 22 del 1997, in quanto la stessa sarebbe stata emessa in assenza di elementi idonei a provare una qualsiasi colpa della società per l’accertato abbandono dei rifiuti sull’area in questione, e dichiarando inammissibile per carenza di interesse il secondo (essendosi limitato il provvedimento impugnato - nei confronti della proprietaria dell’area - semplicemente a riportare gli effetti normativamente previsti nei confronti del proprietario non responsabile delle violazioni).
3. Il Comune di San Casciano Val di Pesa, con atto ritualmente notificato il 18 aprile 2005, chiedeva la riforma della predetta sentenza ed il rigetto del ricorso di primo grado n. 1753 del 2002, deducendo l’erroneità e l’ingiustizia per travisamento dei fatti, omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, nonché per errata applicazione delle norme di cui al D. Lgs. n. 22 del 1997 e al D.M. n. 471 del 1999, e rilevando la piena legittimità dell’ordinanza impugnata, anche sotto il profilo dell’accertamento della responsabilità dell’inquinamento da parte della s.p.a. Waste Italia, facendo riferimento anche alle conclusioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio svolta nel corso del giudizio di «accertamento tecnico preventivo», richiesto al Tribunale di Firenze dalla s.p.a. S.A.F.I., divenuta successivamente proprietaria dell’area, contigua a quella di proprietà della signora Brizzi, su cui la s.p.a. S.A.S.P.I., poi incorporata dalla s.p.a. Waste Italia, aveva gestito fino alla metà degli anni ’80 un impianto di rifiuti solidi urbani.
La s.p.a. Waste Italia resisteva al gravame, chiedendone il rigetto per inammissibilità ed infondatezza.
4. Con decreto n. 1026 del 30 luglio 2013, è stato revocato il precedente decreto di perenzione n. 2668 del 16 ottobre 2012 ed è stata disposta la reiscrizione dell’appello sul ruolo di merito.
Nell’imminenza dell’udienza di trattazione, le parti hanno illustrato con apposite memorie le rispettive tesi difensive, replicando a quelle avversarie; in particolare la s.p.a. Waste Italia, che a seguito di cambi di denominazione, fusione per incorporazione e trasferimento di sede legale, è divenuta «s.p.a. Daneco Impianti», ha sottolineato che la relazione del consulente tecnico d’ufficio, resa nel procedimento per accertamento tecnico preventivo e cui fa riferimento l’amministrazione appellante, si riferirebbe ad un altro fondo, sicché le relative conclusioni sarebbero del tutto irrilevanti e comunque inutilizzabili per poterle imputare la responsabilità dell’inquinamento di cui si tratta.
All’udienza pubblica del 3 dicembre 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è fondato, sicché – in riforma della sentenza impugnata – va respinto il ricorso di primo grado n. 1753 del 2002.
5.1. Nella materia de qua la giurisprudenza ha chiarito che - sia in base al D. Lgs. 18 aprile 2011, n. 2376, sia in base al D. Lgs. n. 152 del 2006 - l’obbligo della bonifica è posto in capo al «responsabile» dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’obbligo di ricercare e individuare, mentre il «proprietario non responsabile» dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera facoltà di effettuare interventi di bonifica (Cons. St., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4791; sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376), con conseguente illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario o al detentore del fondo stesso in ragione solo della loro qualità, ma in mancanza dell’adeguata dimostrazione della responsabilità, occorrendo invece un’istruttoria completa ed un’esauriente motivazione, anche se fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza, dell’imputabilità soggettiva della condotta (Cons. St., sez. V, 26 gennaio 2012, n. 333).
E’ stato peraltro anche precisato che la responsabilità dell’«autore» dell’inquinamento costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale, ciò essendo desumibile dal fatto che l’obbligo di effettuare tali interventi sorge in connessione anche di una condotta accidentale, ossia a prescindere da qualsiasi elemento soggettivo, doloso o colposo, in capo all’«autore» dell’inquinamento, rivelandosi imprescindibile soltanto l’esistenza di un rapporto di causalità tra l’azione o l’omissione dell’autore dell’inquinamento e la contaminazione o il suo aggravamento in coerenza con il principio comunitario, secondo cui «chi inquina paga» (Cons. St., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4784; 9 gennaio 2013, n. 56; sez VI, 15 luglio 2010, n. 4561; sez. II, 21 febbraio 2012, n. 282).
Alla base di tale principio vi è la necessità che – in coerenza con i principi generali già desumibili dall’art. 2050, quanto meno quando l’attività produttiva sia di per sé pericolosa per l’integrità dell’ambiente, attinendo all’incenerimento dei rifiuti - siano gli operatori economici a sopportare i costi dell’inquinamento dagli stessi prodotti (Cons. St., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4756).
5.2. Sulla base di tali consolidati principi giurisprudenziali, applicabili al caso di specie, la Sezione è dell’avviso che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, l’ordinanza impugnata sia esente dal vizio riscontrato.
5.2.1. In punto di fatto deve innanzitutto rilevarsi che non è stata giammai contestata la circostanza che sull’area di proprietà della signora Nicoletta Brizzi sia stata accertata la presenza di rifiuti «abbandonati», costituiti da scorie di combustione e ceneri, con una morfologia ed un inquinamento da metalli pesanti, per tipologia e quantità relative, dello stesso tipo di quelle presenti nell’area adiacente (località Le Sibille), oggetto di bonifica in quanto sede nel passato (fino alla meta degli anni ’80) di un impianto di incenerimento di rifiuti gestito dalla s.p.a. S.A.S.P.I., incorporata dalla s.p.a. Waste Italia.
La presenza di tale materiale inquinante non è peraltro ricollegabile all’esito di un mero episodico sopralluogo, avvenuto in data 5 marzo 2001, trattandosi di una circostanza specificamente verificata a seguito di apposite analisi eseguite dall’ARPAT, su sollecitazione della stessa amministrazione comunale appellante, su un campione di terreno successivamente prelevato, alla presenza, oltre che di un funzionario comunale, anche della proprietaria dell’area e di un rappresentante della s.p.a. Waste Italia.
Sotto tale profilo, non può dubitarsi della completezza e dell’adeguatezza dell’attività istruttoria in relazione ai fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato.
5.2.2. Quanto alla “causa” di tale inquinamento, che costituisce l’oggetto effettivo della controversia, essa è stata individuata nell’ordinanza impugnata nella vicinanza dell’area in questione al sito in cui fino alla metà degli anni ’80 era in attività un impianto per l’incenerimento dei rifiuti, gestito dalla s.p.a. S.A.S.P.I., successivamente utilizzato per il trattamento dei rifiuti preliminare all’avvio dei rifiuti in discarica, con esclusione di qualsiasi trattamento termico degli stessi, sito oggetto di un progetto di bonifica.
La presenza in quel sito di scorie e ceneri, ricollegabili proprio all’esercizio dell’impianto di incenerimento, è provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, non solo dal piano di bonifica proposto dalla s.p.a. S.A.F.I divenuta proprietaria dell’area (il cui progetto definitivo è stato approvato dalla stessa amministrazione comunale di San Casciano Val di Pesa con determinazione dirigenziale n. 218 del 10 luglio 2001), ma anche dalla relazione di consulenza tecnica espletata nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo (NRG. 2036/01) instaurato innanzi al Tribunale di Firenze dalla s.p.a. S.A.F.I. nei confronti della stessa s.p.a. Waste Management, depositata nel presente giudizio dall’amministrazione appellante.
Per quanto qui interessa, nelle conclusioni di quella relazione si legge tra l’altro che «il sito ha l’aspetto inconfondibile del deposito di scorie e ceneri adiacente ad un impianto di incenerimento di rifiuti solidi urbani, avendo evidenziato, durante le operazioni di rimozione dei materiali depositati, stratificazione di scorie e ceneri alternate a terreno e a materiali rimaneggiato, con presenza anche di rifiuti urbani tal quali», precisandosi che «le operazioni di rimozione con trasporto a discarica hanno interessato le scorie e ceneri e il materiale rimaneggiato» ed aggiungendosi che «la natura dei materiali inquinanti, conferiti in discarica, è: 1) residui del processo di incenerimento di RSU senza poter fare distinzione fra scorie e ceneri…non sono state rilevate ceneri o scorie provenienti da fornaci o da altre attività industriali; 2) miscuglio di scorie, ceneri e terreno, talvolta anche con presenza di RSU, che hanno subito rimescolamenti dopo la loro deposizione nell’area» e che quanto alla loro provenienza «si può affermare con ragionevole certezza» essi provengono «dall’impianto di incenerimento presente nell’area».
5.2.3. Ancorché, come sottolineato dalla società appellata, tali conclusioni abbiano riguardato effettivamente l’area adiacente a quella di proprietà della signora Nicoletta Brizzi, oggetto dell’ordinanza impugnata, è del tutto ragionevole ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit, che l’inquinamento che ha interessato la prima ha determinato l’inquinamento anche della seconda, tanto più che, come si è avuto modo di accennare, in quest’ultima sono stati rinvenute scorie e ceneri della stessa specie, per qualità e quantità, di quelle presenti nel sito dell’ex impianto di incenerimento.
Non può pertanto dubitarsi della correttezza e dell’esaustività dell’attività istruttoria del provvedimento impugnato, anche sotto il profilo della individuazione della causa, cui consegue la correttezza anche dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento nella s.p.a. Waste Italia, che ha incorporato la s.p.a. S.A.S.P.I., che gestiva l’impianto di incenerimento: del resto la particolare natura del materiale inquinante ritrovato nell’area in questione - costituito da scorie di incenerimento e ceneri - esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la esistenza di altre possibili cause dell’inquinamento, tanto più che in tal senso nessun elemento probatorio o indiziario è stato fornito dalla società che ha contrastato gli atti dell’amministrazione.
5.2.4. La fondatezza dell’appello esime dalla Sezione dall’esame circa la rilevanza e l’ammissibilità dei mezzi istruttori di cui è stata chiesta l’assunzione da parte della stessa amministrazione appellante.
6. In conclusione l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso n. 1753 del 2002, proposto in primo grado dalla s.p.a. Waste Italia.
Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello (nrg. 3707/2005) proposto dal Comune di San Casciano Val di Pesa avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. II, n. 662 del 3 marzo 2004, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della stessa, respinge il ricorso n. 1753 del 2002 proposto in primo grado dalla s.p.a. Waste Italia.
Condanna quest’ultima al pagamento in favore del Comune di San Casciano Val di Pesa delle spese del doppio grado di giudizio che liquida complessivamente in €. 7.000,00 (settemila), oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti, nonché alla restituzione del contributo unificato per il giudizio d’appello, se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)