Cass. Sez. III n 8408 del 28 febbraio 2007 (ud. 30 nov. 2006)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Martino ed altro
Urbanistica. Responsabilità del prprietario dell'area
Deve essere ribadito l'orientamento ormai consolidato in tema di responsabilità del proprietario dell'area per gli interventi edilizi abusivi ivi realizzati secondo il quale occorre considerare la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata
Pubblica Udienza del 30.11.2006
SENTENZA N. 1948
REG. GENERALE n. 27342/2006

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli III. mi Signori

1. Dott. Guido De Maio                                            Presidente
2. Dott. Pierluigi Onorato                                         Componente
3. Dott. Aldo Fiale                                                   Componente
4. Dott. Antonio Ianniello                                          Componente
5. Dott. Giovanni Amoroso                                        Componente

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. MARTINO Giuseppe, nato a Sant'Eufemia di Aspromonte il 19.9.1941
2. FRACHEA Rosa, nata a Sant'Eufemia di Aspromonte il 21.4.1949

avverso la sentenza 8.5.2006 della Corte di Appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Vincenzo Geraci, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, Avv.to Antonino Tripodi, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza dell' 8.5.2006, in parziale riforma della sentenza 18.1.2005 del Tribunale monocratico di Palmi:

a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Martino Giuseppe e Frachea Rosa in ordine ai reati di cui:

- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, due fabbricati in totale difformità dalla concessione edilizia ad essi rilasciata - acc. in Sant'Eufemia d'Aspromonte, il 5.6.2002);

- all'art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (per avere eseguito opere edilizie senza la prescritta autorizzazione paesaggistica);

b) dichiarava estinte per prescrizione le ulteriori contravvenzioni di cui agli artt. 17, 18 e 20 della legge n. 64/1974; 2, 4, 13 e 14 della legge n. 1086/1971;

c) e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., determinava per ciascuno la pena condizionalmente sospesa - in complessivi mesi sei arresto ed euro 12.500,00 di ammenda, confermando gli ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi;

d) confermava la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta al Martino alle effettive demolizione e rimessione in pristino, da eseguirsi entro 60 giorni dalla formazione del giudicato.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso congiunto gli imputati, i quali hanno eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:

- la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell'attività di edificazione abusiva alla Frachea;

- la erronea determinazione della pena residua, in seguito alla declaratoria di intervenuta prescrizione di alcuni reati;

- la incongrua subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta al Martino alla effettive demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, non avendo i giudici del merito tenuto conto della sostanziale irrilevanza dei precedenti penali a suo carico.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

In ordine alla individuazione della responsabilità per l'esecuzione di opere edilizie abusive deve rilevarsi che la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori illeciti di edificazione, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori abusivi.

Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; del eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo durante  l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale delle stesse [vedi, tra, le decisioni più recenti, Cass., Sez. III 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone; 12.1.2007, Catanese].

La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell'area interessata dal manufatto, dall'esistenza di un consapevole contributo all'integrazione dell'illecito, ma grava sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n, 35537, Vitale ed altro).

2. Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito hanno fondato correttamente la responsabilità della Frachea sui seguenti elementi:

- la concessione edilizia rispetto alla quale erano state eseguite opere totalmente difformi (con rilevante aumento di volumetria) era stata congiuntamente rilasciata al Martino ed alla stessa Frachea;

- entrambi detti coniugi avevano la disponibilità giuridica e di fatto del terreno sul quale sono stati edificati i due fabbricati.

Da tali elementi a stata razionalmente dedotta la compartecipazione della ricorrente all'esecuzione delle opere abusive, tenuto conto che ella non solo era pienamente consapevole della realizzazione delle stesse ma era addirittura contitolare dell'originario titolo abilitativo le cui prescrizioni sono state eclatantemente violate e non ha comunque dimostrato di avere posto in essere una qualsiasi concreta attività di opposizione ad una edificazione illecita.

3. Infondato è pure il terzo motivo di ricorso.

Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo - hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva [rivolta a rafforzare il ravvedimento del condannato indipendentemente della circostanza che egli sia o meno gravato da precedenti penali] e tale principio, a maggior ragione, deve applicarsi all'ordine di rimessione in pristino già previsto dagli art. 1 sexies della legge n. 431/1985 e 164 del D.Lgs. 29.10,1999, n. 490 (ed attualmente dall'art. 181, 2° comma, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42), allorché si consideri che:

- è sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 cod. pen., poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare "conseguenze dannose o pericolose";

- la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all'esercizio stesso dell' azione penale;

- in relazione a tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato che essa costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale predestinato dalla norma che lo prevede - e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del giudizio di che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale. (Corte Cost., Sent. 20.7.1994, n. 318)

4. Deve essere accolta, invece, la doglianza dei ricorrenti riferita alla determinazione della pena inflitta a ciascuno di essi e, sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio ben potendo questa Corte procedere al computo esatto alla stregua dei criteri utilizzati in sede di merito.

Il Tribunale, riconoscendo la colpevolezza degli imputati in ordine a tutti i sette reati ad essi originariamente ascritti, aveva condannato ciascuno alla pena complessiva di mesi sei di arresto ed euro 16.000,00 di ammenda (pena base, per la più grave violazione dell'art. 20 lett. c), della legge n. 47/1985, fissata in mesi sei di arresto ed euro 18.000,00 di ammenda ridotta ex art. 62 bis cod. pen, a mesi quattro ed euro 12.000,00 ed aumentata di mesi 2 di arresto ed euro 4.000,00 per la ritenuta continuazione con altre sei fattispecie contravvenzionali, computando così un aumento di giorni 10 ed euro 666,66 per ciascuna di esse). La Corte territoriale ha dichiarato la prescrizione di quattro delle contravvenzioni già unificate nel vincolo della continuazione, sicché dalla pena inflitta dal primo giudice si sarebbero dovuti complessivamente detrarre 40 giorni di arresto ed euro 2.666,64 di ammenda. Sono stati detratti, invece, 3.500,00 euro di ammenda.

Tale decurtazione della pena pecuniaria non può essere modificata in senso peggiorativo per i ricorrenti, ma la pena detentiva, rimasta incongruamente inalterata, deve essere diminuita di mesi uno e dieci giorni.

La pena complessivamente inflitta a ciascun imputato resta fissata, conseguentemente, in mesi quattro, giorni venti di arresto ed euro 12.500,00 di ammenda.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione,

visti gli artt. 607, 615 e 620 c.p.p„

annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena detentiva, che riduce di mesi uno e dieci giorni.

Rigetta il ricorso nel resto.

ROMA, 30.11,2006

L' estensore              Il presidente
Aldo Fiale                    Guido De Maio