Acque pubbliche e demanio necessario
(Commento critico a sentenza n. 2289 del 10/10/2013 del TAR Puglia, LE, depositata il 11/11/2013)
di Massimo GRISANTI
Acque pubbliche e demanio necessario
(Commento critico a sentenza n. 2289 del 10/10/2013 del TAR Puglia, LE, depositata il 11/11/2013)
di Massimo Grisanti
Con la sentenza in commento il TAR Puglia, Lecce, richiamandosi alla sentenza n. 259/1996 della Corte Costituzionale ha affermato che non tutte le acque sono pubbliche e, di conseguenza, non è avvenuta, ad opera della legge n. 36/1994, alcuna modificazione del regime proprietario dei suoli che le contengono.
La decisione del TAR non è assolutamente convincente, giacché della sentenza n. 259/1996 della Corte Costituzionale ne è stato fatto solo un parziale richiamo che ha finito per distorcere l’interpretazione del Giudice delle Leggi in ordine all’intera questione della pubblicità dell’acqua.
Invero, il Giudice delle Leggi stabilì anche:
-
che “la "pubblicità delle acque" ha riguardo al regime dell'uso di un bene divenuto limitato, come risorsa comune, mentre il regime (pubblico o privato) della proprietà del suolo in cui esso è contenuto diviene indifferente in questa sede di controllo di costituzionalità dell'art. 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994, potendo formare oggetto di una questione di legittimità costituzionale solo in presenza di acquisizione coattiva di manufatti e opere o terreni necessari per la captazione o l'utilizzo.”;
-
che “la norma denunciata (art. 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994) certamente rientra tra le disposizioni costituenti, ai sensi dell'art. 33 della stessa legge, principi fondamentali per i fini dell'art. 117 della Costituzione, cui dovranno seguire ulteriori interventi di individuazione e sostituzione della precedente disciplina specificamente incompatibile (art. 32, comma 3, della legge n. 36 del 1994, come sostituito dall'art. 12 del d.-l. 8 agosto 1994, n. 507, convertito, con modificazioni, nella legge 21 ottobre 1994, n. 584: v. sentenza n. 174 del 1996).”.
Ebbene, con il D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, intitolato “Regolamento recante norme per l'attuazione di talune disposizioni della legge 5 gennaio 1994, n. 36,
in materia di risorse idriche”, lo Stato ha dichiarato all’art. 1 “Demanio idrico” che:
-
“1. Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne”;
-
“2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica a tutte le acque piovane non ancora convogliate in un corso d'acqua o non ancora raccolte in invasi o cisterne.”.
Inoltre, all’art. 2 ha abrogato l’art. 910 c.c. che consentiva ai proprietari di terreni di poter utilizzare acque non pubbliche scorrenti sul proprio fondo.
Non vi è chi non veda che attraverso disposizioni aventi forza di legge – in quanto emanate in virtù di delega legislativa contenuta nell’art. 32 della legge n. 36/1994 e ss.mm.ii. e finora mai impugnate innanzi alla Consulta – lo Stato si è appropriato di tutte le acque (“appartengono”), lasciandone libertù di uso in taluni casi specificamente individuati.
Abbiamo così avuto a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 238/1999 – per legge e conformemente all’art. 822 c.c. – quell’acquisizione coattiva (esproprio) delle necessarie porzioni di terreno già private che costituiscono i contenitori delle acque pubbliche, non esclusa dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 259/1996.
Per l’effetto, si ritiene che le porzioni di terreno che contengono l’acqua pubblica – sia in momenti ordinari, sia in momenti di piena – siano entrate a far parte del “demanio necessario” dello Stato (cfr. TAR Lazio, LT, n. 424/2011) e, quindi, sottratte alla disponibilità dei privati.
Infine, si evidenzia che la Cassazione Civile (Sez. II, n. 9331/2011) non dà alcuna razionale motivazione in ordine alla “assurdità” della siffatta disposizione legislativa (art. 1 L. 36/1994 e art. 1 D.P.R. n. 238/1999) che porta alla dichiarazione di pubblicità di tutte le acque e alla demanialità necessaria. L’apoditticità dell’affermazione della Suprema Corte è ancor più evidente se messa in relazione alle esigenze di tutela che hanno mosso il legislatore, riconosciute come valide dalla Corte Costituzionale, ovverosia il crescente interesse pubblico correlato: all'aumento dei fabbisogni; alla limitatezza delle disponibilità e ai rischi concreti di penuria per i diversi usi (residenziali, industriali, agricoli); alla raggiunta consapevolezza della limitata disponibilità idrica che costituisce un bene primario della vita dell'uomo, configurato quale "risorsa" da salvaguardare; aii rischi da inquinamento; agli sprechi; alla tutela dell'ambiente, in un quadro complessivo caratterizzato dalla natura di diritto fondamentale a mantenere integro il patrimonio ambientale.
Scritto il 11 dicembre 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 418 del 2006, proposto da:
Comune di Ostuni, rappresentato e difeso dall'avv. Cecilia Rosalia Zaccaria, con domicilio eletto presso Angelo Vantaggiato in Lecce, via Zanardelli 7;
contro
Autorità di Bacino della Puglia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gianluigi Pellegrino e Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore 16; nonché dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi 23;
Regione Puglia, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
nei limiti dell'interesse, della deliberazione n. 39 del 30.11.2005, pubblicata sul BUR della Puglia n. 15 del 2.2.2006, con la quale l'Autorità di Bacino della Puglia istituita ai sensi della L.r. 19/02 ha adottato il Piano di Bacino per la Puglia, stralcio "Assetto Idrogeologico" e le relative misure di
salvaguardia; di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso, ancorché non conosciuto ed in particolare degli atti istruttori adottati dalla Segreteria Tecnica Operativa dell'Autorità di Bacino della Puglia, nonché dei verbali del Comitato Tecnico dell'8.11.2005, del 15.11.2005 e del 22.11.2005.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorità di Bacino della Puglia;
Viste le memorie difensive;
Vista la dichiarazione di rinuncia al ricorso depositata il 1° ottobre 2013;
Visti gli artt. 35, primo comma, lett. c), e 85, nono comma, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore per l'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti l'avv. Alessandra Cursi, in sostituzione dell'avv. Gianluigi Pellegrino, e l'avvocato dello Stato Giovanni Pedone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- È impugnata la delibera di adozione del Piano di Bacino della Puglia - stralcio Assetto Idrogeologico (PAI) e le relative misure di salvaguardia, unitamente agli atti istruttori della Segreteria Tecnica dell’Autorità di Bacino e ai verbali del Comitato Tecnico.
Il ricorrente Comune premette di aver formulato all’Autorità le proprie osservazioni, nel procedimento di formazione del Piano, con cui ha richiesto:
a) di non assoggettare alla disciplina del PAI la realizzazione di interventi per i quali era già stato richiesto il permesso di costruire, inclusi in Piani di lottizzazione o attuativi e di particolare tipologia (sopraelevazioni; pertinenze funzionali di fabbricati esistenti; manufatti non qualificabili
come volumi edilizi; nuove costruzioni in lotti interclusi);
b) di escludere dalla perimetrazione del PAI alcune porzioni della zona costiera, la zona industriale e la zona a valle dell’abitato.
Espone che le osservazioni sono state obliterate (e, altresì, che non si è tenuto conto dell’apporto delle amministrazioni locali interessate), introducendo una disciplina che, senza recare disposizioni in tema di acque pubbliche, introduce prescrizioni di carattere urbanistico.
Avverso il Piano sono formulate le seguenti censure:
1) violazione dell’art. 9 L.R. 9 dicembre 2002, n. 19; violazione del giusto procedimento; violazione delle norme di autolimitazione contenute nella deliberazione del Comitato Istituzionale dell’AdB n. 25 del 15/12/2004 (non essendo stata fornita alcuna motivazione del rigetto delle osservazioni);
2) eccesso di potere per istruttoria superficiale (essendo stata condotta l’istruttoria in poche sedute dei Comitati Tecnico e Istituzionale, insufficienti a valutare la ponderosa attività compiuta dalle sette sottocommissioni);
3) eccesso di potere per contraddittorietà e istruttoria superficiale e lacunosa (non essendo stati acquisiti dati basilari, per effetto del mancato coinvolgimento degli enti territoriali);
4) eccesso di potere per trascurata considerazione dei presupposti ed irragionevolezza (palesandosi irragionevoli e illogiche le scelte del PAI, sia quanto all’assoggettamento alla sua disciplina di alcune tipologie di interventi edilizi che in ordine alla inclusione di zone del territorio del Comune di Ostuni).
L’Autorità di Bacino della Puglia si è costituita in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione (pendendo identica controversia al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche) e deducendone l’infondatezza (in particolare, trattandosi di programmazione aperta, suscettibile di continuo aggiornamento con l’apporto delle amministrazioni interessate).
Con atto del 16 maggio 2013 l’Autorità si è costituita per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato irricevibile, inammissibile e, gradatamente, rigettato.
Con ordinanza del 10 giugno 2013 è stato ordinato alla stessa di depositare le deliberazioni del Comitato Istituzionale n. 25 del 15 dicembre 2004, n. 39 del 30 novembre 2005 e n. 42 del 17 marzo 2006, unitamente ad una relazione illustrativa sulle modificazioni del Piano successivamente intervenute, anche per adempimento di ordini giurisdizionali; l’Autorità vi ha adempiuto in data 10/8/2013.
Con istanza dell’1/10/2013 il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso, risultando che le proprie richieste sono state accolte dall’Autorità.
All’udienza pubblica del 9 ottobre 2013 la causa è stata assegnata in decisione.
2.- Occorre innanzitutto valutare se sussista nella specie la giurisdizione amministrativa, poiché la relativa statuizione ha carattere preliminare, fondando il potere del Giudice di decidere la controversia, seppure con una pronuncia in rito.
L’Autorità di Bacino ha contestato che la cognizione della controversia spetti al G.A., essendo devoluta al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, innanzi al quale essa è stata ugualmente proposta dal Comune di Ostuni (con ricorso che, secondo quanto affermato nella nota depositata il 10/8/2013, è stato cancellato dal ruolo).
La questione involge la qualificazione – in termini di pubblicità o meno – delle acque che, nei vari aspetti che possono venire in rilievo (acque meteoriche o inglobate in corsi d’acqua), formano oggetto del Piano di Assetto Idrogeologico; strumento che, con valore di piano territoriale di settore, è “finalizzato al miglioramento delle condizioni di regime idraulico e della stabilità geomorfologica necessario a ridurre gli attuali livelli di pericolosità e a consentire uno sviluppo sostenibile del territorio nel rispetto degli assetti naturali, della loro tendenza evolutiva e delle potenzialità d’uso” (art. 1 delle Nta del PAI).
Le norme a cui occorre riferirsi sono:
- l’art. 1 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, il quale reca la seguente definizione: <<Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse>>;
- il successivo art. 143, primo comma, lett. a), che devolve al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche la cognizione dei “ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti [definitivi] presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche” (il termine “definitivi” è da intendersi eliminato, per effetto della sentenza della Corte costituzionale del 31 gennaio 1991 n. 42);
- l’art. 1, primo e secondo comma, del DPR 18 febbraio 1999, n. 238 (Regolamento recante norme per l'attuazione di talune disposizioni della l. 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche), con cui è stato stabilito che: <<Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne. La disposizione di cui al comma 1 non si applica a tutte le acque piovane non ancora convogliate in un corso d'acqua o non ancora raccolte in invasi o cisterne>>;
- l’art. 144, primo comma, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in virtù del quale: <<Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato>>.
Ciò posto, occorre evidenziare che la Corte Costituzionale, con sentenza del 19 luglio 1996 n. 259, ha statuito che permane la necessità di valutare la destinazione ad uso pubblico delle acque, benché l’espressione che si ritrova nell’art. 1 del R.D. n. 1775 del 1993 (“abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”) non è più rinvenibile nei successivi testi di legge.
In particolare, la Corte Costituzionale ha ritenuto che: <<l'interesse generale è alla base della qualificazione di pubblicità di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito; ma questo interesse è presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una proiezione verso il futuro), di uso dell'acqua, suscettibile, anche potenzialmente, di utilizzazione collimante con gli interessi generali. La nuova legge n. 36 del 1994 ha accentuato lo spostamento del baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà>> (punto 4 della suindicata sentenza).
La giurisprudenza della Cassazione, civile e penale, ha riaffermato il concetto, giungendo alla conclusione che <<se una considerazione letterale della L. n. 36 del 1994, artt. 1 e 34 potrebbe indurre ad una conclusione drastica (secondo cui tutte le acque hanno natura pubblica), la lettura dell'intero dettato normativo consente di rilevare come non sia stato modificato il dettato del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1, mantenendo in realtà fermo il concetto secondo cui l'attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse è elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche ad ogni specie di acqua". Si sottolinea, anzi, in proposito, che "una diversa interpretazione porterebbe all'assurdo di dover considerare pubblica anche l'acqua piovana raccoltasi in un avvallamento del terreno, attesa la onnicomprensività della dizione di cui alla L. del 1994...">> (Cass. Pen. – Sez. III, 22 febbraio 2012 n. 12998, con riferimento a Cass. Civ. – Sez. II, 26 aprile 2011 n. 9331). Il Collegio condivide e fa proprio tale orientamento, osservando che nel presente giudizio non si fa questione di utilizzazione per fini di interesse generale delle acque, la cui pubblicità deve perciò essere esclusa (in base a quanto detto), atteso che le acque meteoriche o le altre acque vengono in rilievo in relazione alla programmazione territoriale che, attraverso il Piano di Assetto Idrogeologico, determina l’idoneità del suolo a essere destinato ai diversi usi; in altri termini il Piano in questione si occupa della stabilità del terreno, del rischio di inondazioni ecc., cioè dei danni e non della utilità che le acque piovane possono causare.
Con la conseguenza che, dovendosi escludere la natura pubblica delle acque, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, concernente tutte le controversie attinenti ai diversi aspetti dell’uso del territorio (art. 133, primo comma, lett. f), cod. proc. amm.).
3.- Tanto premesso, si è detto che, con atto depositato il 1° ottobre 2013, il Comune di Ostuni ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
Il Collegio ritiene che non può darsi atto della rinuncia, poiché formulata con un atto privo delle formalità richieste dall’art. 84 cpa (non essendo stata notificata), e consistente nella dichiarazione dei difensori e del Sindaco dell’Ente.
Tuttavia, ai sensi dell'art. 84, comma 4, cod. proc. amm., anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice amministrativo può desumere da fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso, ed altresì dal comportamento delle parti, argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa (cfr. Tar Lazio, sez. III, 8 luglio 2011, n. 6064).
Ciò è reso manifesto nell’atto depositato, in cui il Comune di Ostuni rileva espressamente “che, pertanto, è cessato l’interesse all’impugnativa”.
È principio generale che la parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta per la decisione, ha la piena disponibilità dell’azione e, quindi, può dichiarare di avere perduto ogni interesse alla decisione.
In questo caso il Giudice – non avendo né il potere di procedere d’ufficio, né quello di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell’interesse ad agire – deve dichiarare l’improcedibilità del ricorso per carenza sopravvenuta d’interesse.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
Spese compensate.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere
Giuseppe Esposito, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/11/2013