Cass. Sez. III n. 28530 del 20 giugno 2018 (Cc 11 mag 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Gai Imputato: Vivolo
Urbanistica.Sanatoria e giudizio di revisione

Tenuto conto della rilevata natura del giudizio di revisione e ricordato che in tema di cause di estinzione del reato, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, opera quale causa estintiva solo nella fase di cognizione, mentre l'eventuale conseguimento del titolo dopo il passaggio in giudicato della sentenza non può avere alcun effetto estintivo del reato, si deve trarre la conclusione dell’inammissibilità di una richiesta di revisione fondata su una rilevata causa estintiva venuta in essere addirittura in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 9 marzo 2015, la Corte d’appello di Ancona ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza della Corte d’appello di Bologna, in data 16/09/2008, irrevocabile il 25/06/2009, proposta da Vivolo Luciano e Vivolo Mariannina, con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, sez. dist. di Porretta Terme, aveva rideterminato la pena a loro inflitta, per il reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 perché, in concorso tra loro, in assenza dal permesso di costruire, realizzavano un corpo di fabbrica in muratura sviluppato su due livelli e destinato acivile abitazione su terreno di loro proprietà sito nel comune di Sasso Marconi. Accertato in corso di realizzazione alla data dell’11 agosto 2004.
1.1. Deve premettersi che l’istanza di revisione era diretta a rimettere in discussione la natura di “nuova costruzione”, come ritenuto dalle sentenze di merito, e a far valere l’estinzione del reato per effetto del rilascio di permesso in sanatoria. E ciò in forza dell’allegazione di prove nuove atte a dimostrare, come sempre sostenuto dai ricorrenti, una “mera ristrutturazione edilizia di un rudere già esistente”, e ciò sulla scorta di nuove prove e segnatamente: dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dal geometra Renzo Tebaldi, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dal signor Roberto Montagnana, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dal signor Domenico Bagnato, fotoeaegrammetria del 23 giugno 1998, nonché determina n.  584 del 18 ottobre 2010, emessa dal Comune di Sasso Marconi di revoca di tutti provvedimenti amministrativi adottati di ingiunzione di demolizione e diniego espresso con provvedimento del 21 dicembre 2006 in merito alla domanda di permesso di costruire in sanatoria per intervenuta ricostruzione dell’edificio preesistente, prove nuove che, in uno con l’intervenuto Accordo Amministrativo, ai sensi dell’articolo 11 della legge 10 agosto 1990 n. 241, del 25 ottobre 2010, che, qualificato l’intervento come ristrutturazione edilizia, ritenuto lo stesso conforme alla disciplina urbanistica edilizia vigente sia momento della realizzazione delle opere e al momento di presentazione della domanda di sanatoria, valeva quale concessione edilizia in sanatoria, fondavano la richiesta di la revisione perché estinti i reati ex art. 36 e 45 del d.P.R. n. 380 del 2001.
 1.2. La Corte d’appello di Ancona, esclusa la natura di prove nuove in punto qualificazione delle opere quale mera ristrutturazione edilizia, paventando anche  il dubbio che le prove nuove proposte fossero le stesse che la Corte d’appello di Bologna non aveva ammesso quale rinnovazione dell’istruttoria, e considerato che veniva in rilievo, nel caso di specie, un provvedimento amministrativo (l’Accordo Amministrativo del 25 ottobre 2010) successivo al processo e al passaggio in giudicato della sentenza che, se valutato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, presentava profili di illegittimità essendo rimasta immutata la destinazione urbanistica dell’area che non consentiva la realizzazione di costruzioni esclusivamente residenziali facenti capo a soggetti non dediti all’agricoltura, ha ritenuto insussistenti i presupposti a cui è subordinata la revisione ex art. 634 cod.proc.pen. ed ha dichiarato inammissibile la stessa.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione Vivolo Luciano e Vivolo Mariannina, a mezzo del loro difensore, e hanno chiesto l’annullamento della sentenza deducendo, con un unico motivo di ricorso, l’inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale in relazione agli artt. 631, 634 cod.proc.pen., l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 44 lett. b), 36 e 45  del d.P.R. n. 380 del 2001, in punto sussistenza elementi per giustificare la revisione  e fondare il proscioglimento dei ricorrenti, nonché  la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’esclusione della rilevanza delle nuove prove a fondare la revisione della sentenza.
In sintesi, argomentano i ricorrenti, che la Corte d’appello avrebbe, da un lato, erroneamente escluso il carattere nuovo delle prove allegate all’istanza di revisione e, dall’altro, la portata dell’accertamento di conformità ex art. 36 che sarebbe pienamente idonea ad estinguere il reato, e dunque a fondare la richiesta di revisione, e così illogicamente escluso che ricorressero i presupposti per la revisione della sentenza. L’idoneità dell’Accordo amministrativo a determinare l’estinzione della contravvenzione edilizia ex art. 36-45 del d.P.R. n. 380 del 2011 rende le prove funzionali a superare il vaglio di ammissibilità dell’istanza di revisione e a condurre ad una sentenza di proscioglimento rientrante nei casi previsti dall’art. 631 cod.proc.pen.
 
3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile attesa la manifesta infondatezza dei motivi che per evidenti ragioni di connessione, possono essere apprezzati congiuntamente.
Deve darsi atto che la Corte d’appello di Ancona, all’esito di un contraddittorio partecipato, all’udienza del 14 dicembre 2017, ha dichiarato inammissibile la richiesta in quanto ha ritenuto insussistenti gli elementi indicati dalle parti a giustificare la revisione all’esito di una delibazione dell’assenza del requisito del novum rispetto alle prove allegate (dichiarazioni sostitutive e fotoaerogrammi) e dell’inefficacia del novum, costituito dall’accertamento di conformità, a condurre il proscioglimento degli istanti per estinzione del reato ai sensi degli artt. 36-45 del del d.P.R. n. 380 del 2001.
Il vaglio di ammissibilità compiuto dalla Corte d’appello è immune da censure ed è corretto sul piano del diritto.
Pur in presenza di una mutata struttura del giudizio di revisione che, come è noto, prevede ora una fase preliminare, che si svolge dinanzi alla Corte d’appello giudice competente per la revisione, volta ad effettuare un vaglio di ammissibilità al fine di fermare le iniziative proposte fuori dalle ipotesi previste dalla legge o senza l’osservanza delle forme prescritte ovvero quando la richiesta “risulta manifestamente infondata” ex art.634 comma 1 cod.proc.pen., seguito poi dal giudizio di revisione al quale si applicano le disposizioni di cui agli artt. 465 cod.proc.pen. e si conclude con una pronuncia di sentenza, non di meno, di fronte alla mutata struttura del giudizio di revisione, la giurisprudenza di questa Corte è concorde nell’affermare che la delibazione dell’ammissibilità dell’istanza concerne la verifica della potenzialità delle nuove prova a pervenire ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 529, 530 e 531 cod.proc.pen. (art. 631 cod.proc.pen.).
Da qui, l'assunto secondo il quale per manifesta infondatezza della richiesta di revisione che ne determina l'inammissibilità, deve intendersi l'evidente inidoneità delle ragioni poste a suo fondamento a consentire una verifica circa l'esito del giudizio nei termini di cui all’art. 631 cod.proc.pen.
In altri termini, l'inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 634 cod. proc. pen. sussiste, dunque, solo quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all'evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l'esito del giudizio nel senso di pervenire ad un epilogo tra quelli indicati nell’art. 631 cod.proc.pen.

5. Ciò premesso, l’istanza promossa dai ricorrenti era inammissibile per manifesta infondatezza e la Corte d’appello l’ha correttamente dichiarata tale, e il ricorso per cassazione è manifestamente infondato non conducendo le c.d. nuove prove ad un epilogo assolutorio di cui all’art. 631 cod.proc.pen. ed in particolare, al proscioglimento per estinzione del reato edilizio ai sensi degli art. 36-45 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In linea di principio deve ammettersi che le prove nuove idonee ad innescare il giudizio di revisione non sono solo quelle che conducono al proscioglimento nel merito, ma anche quelle che determinano una causa di proscioglimento ex art. 529, 530 e 531 cod.proc.pen. e, dunque, anche quelle che determinano la prescrizione del reato, stante il chiaro disposto normativo.
Non di meno, con riferimento alla causa estintiva della prescrizione del reato, questa Corte di legittimità ha ritenuto inammissibile dedurre per la prima volta una causa di estinzione per prescrizione in sede di revisione, laddove nel giudizio la prescrizione era già maturata, poiché il dispositivo di revisione non ha la funzione di "rimettere in termini" rispetto al contenuto carente delle difese svolte nel giudizio giunto all'accertamento che si chiede di modificare (Sez. 3, n. 43421 del  28/10/2010, P., Rv. 248726). Nella citata pronuncia è stato osservato che la revisione è pur sempre un mezzo d'impugnazione straordinario e non un rimedio utilizzabile per dedurre o fare valere successivamente qualsiasi negligenza della parte o omesso rilievo del giudice ancorché non diretta al riconoscimento dell'innocenza del condannato, tanto più che l’art. 637 comma 3 cod.proc.pen. vieta di pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.
La corte ha ritenuto che la prescrizione, essendo legata al decorso del tempo assume rilevanza solo a partire da un determinato momento, non può essere assimilata alle prove acquisite al processo ma non valutate, le quali, secondo qualche decisione di questa Corte, non rientrerebbero nel divieto di cui all'art. 637 c.p.p., comma 3.
Tenuto conto della rilevata natura del giudizio di revisione e ricordato che in tema di cause di estinzione del reato, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, opera quale causa estintiva solo nella fase di cognizione, mentre l'eventuale conseguimento del titolo dopo il passaggio in giudicato della sentenza non può avere alcun effetto estintivo del reato (Sez. 3, n. 32706 del 07/04/2015, Tufano, Rv. 264520), si deve trarre la conclusione dell’inammissibilità di una richiesta di revisione fondata su una rilevata causa estintiva venuta in essere addirittura in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza.
Tale conclusione non si pone in contrasto con il precedente citato nel ricorso (sentenza n.45184/2013) caso nel quale la causa estintiva del rilascio del permesso a costruire in sanatoria era già sussistente, il permesso a costruire in sanatoria era già stato rilasciato, ma era stato erroneamente valutato dal giudice della cognizione che ne aveva escluso gli effetti estintivi sul reato edilizio.
Il caso in scrutinio è diverso, poiché i ricorrenti giustificano la revisione del processo in ragione di una sopravvenuta causa estintiva del reato edilizio, causa estintiva venuta a giuridica esistenza successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di cui si chiede la revisione, per effetto di una rinnovata valutazione dell’autorità amministrativa, a fronte di un precedente diniego di permesso in sanatoria (del 2006) che non era stato oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo.
Nel caso in esame, i ricorrenti non avevano impugnato davanti al giudice amministrativo il diniego di rilascio di accertamento di conformità ed ora, sulla scorta di un novum documentale, che la stessa Corte d’appello dubita sia tale, pretendono di fare valere una causa estintiva sorta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, giacchè l’accordo amministrativo, che vale ex art. 36-45 cit., è stato rilasciato in data 25 ottobre 2010 e, dunque, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di appello del 25 giugno 2009. Anche a prescindere dalla corretta valutazione della sua illegittimità (cfr. pag. 8), la causa estintiva è venuta ad esistenza successivamente al processo di cognizione e come tale non opera né rispetto a questo (Sez. 3, n. 32706 del 07/04/2015, Tufano, Rv. 264520) ne a fortiori può fondare un giudizio di revisione.

6. Conclusivamente i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso l’11/05/2018