Cass. Sez. III n. 28787 del 21 giugno 2018 (Cc 16 mag 2018)
Presidente: Sarno Estensore: Ramacci Imputato: Scalise
Urbanistica.Legittimità del permesso di costruire
Nell’individuare quelle situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non può farsi riferimento se non alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente, con la conseguenza che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludere la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Crotone con ordinanza del 30 gennaio 2018 ha rigettato l'istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari, il 6 gennaio 2018, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Salvatore SCALISE ed Armando SCALISE, indagati per il reato di cui all'articolo 44, lett. c) d.P.R. 380\2001 relativamente ad una lottizzazione abusiva conseguente alla realizzazione di quattro capannoni in area a destinazione agricola.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico, articolato, motivo di ricorso deducono il difetto di motivazione, lamentando che il Tribunale si sarebbe limitato alla sostanziale riproduzione del contenuto del sequestro preventivo, senza nemmeno esaminare e confutare in modo specifico le argomentazioni sviluppate nel ricorso, effettuando un richiamo generico ai principi giurisprudenziali applicabili nel caso.
Deducono, altresì, che il vizio di motivazione sarebbe evidente laddove i giudici avrebbero omesso di considerare il primo motivo di riesame nella sua interezza, ritenendo sussistente la contestata lottizzazione abusiva per il solo fatto che il permesso di costruire sarebbe stato rilasciato in difetto del piano di utilizzazione aziendale richiesto dalle norme di attuazione del Piano Regolatore Generale.
Osservano che una simile evenienza, se sussistente, comporterebbe una semplice violazione di una disposizione pianificatoria e, conseguentemente, un semplice abuso edilizio e non anche una lottizzazione abusiva, dal momento che la edificazione in quella zona non sarebbe effettivamente condizionata dall'esistenza di un piano di lottizzazione.
Richiamate quindi le disposizioni regionali ed i contenuti degli strumenti urbanistici, lamentano che l’ordinanza impugnata si limiterebbe a rilevare l'illegittimità del titolo abilitativo per la ritenuta assenza del Piano di utilizzazione aziendale, ipotizzando un potenziale mutamento di destinazione d'uso del complesso immobiliare di fatto non esistente, essendo state realizzati, allo stato, solo le strutture al rustico di capannoni aventi tutte le caratteristiche delle delle strutture agricole per la conservazione ed utilizzazione dei prodotti della terra e risultando accertato che sul fondo viene svolta esclusivamente attività agricola. Le autorizzazioni edilizie paesaggistiche, inoltre, sarebbero decadute per decorso dei termini di efficacia senza che i proprietari abbiano richiesto alcun rinnovo, dovendosi quindi escludere ogni diversa futura destinazione degli immobili.
Aggiungono che il Tribunale non avrebbe considerato che il piano di utilizzazione aziendale era di fatto esistente ed acquisito agli atti del giudizio e che esso non costituisce un elemento essenziale del permesso di costruire, incidendo esclusivamente sull'efficacia dello stesso. Il fatto che il piano non fosse rintracciabile agli atti del comune non sarebbe poi determinante, poiché ciò che rileva è la sua effettiva esistenza ed, inoltre, la mera assenza del Piano sarebbe idonea, semmai, a configurare un semplice abuso edilizio.
Osservano, inoltre, che l'ordinanza impugnata si limiterebbe a richiamare genericamente la motivazione del sequestro, asserendo che un aggravio urbanistico sarebbe configurabile a livello di fumus, senza però considerarne l'inesistenza, evidenziandosi, così, la contraddittorietà della motivazione.
Aggiungono che, esclusa la lottizzazione abusiva, non sarebbe comunque configurabile nemmeno il semplice abuso edilizio, dato che era stato rilasciato un permesso di costruire i cui contenuti non sarebbero sindacabili dal giudice penale.
Rilevano, inoltre, che l'ordinanza impugnata solo genericamente affermerebbe la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ed altrettanto erroneamente avrebbe considerato insussistenti i presupposti per la declaratoria di prescrizione del reato.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
In data 10/5/2018 hanno presentato memoria ad ulteriore sostegno delle loro ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’articolo 606, lettera e) cod. proc. pen., pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 . V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255).
La mera apparenza della motivazione, peraltro, è stata individuata nell'assenza dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (da ultimo, Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656 ed altre prec. conf.).
3. I principi appena richiamati rendono dunque evidente che il ricorso non supera la soglia dell’ammissibilità, in quanto lo stesso, senza nemmeno confrontarsi integralmente con le argomentazioni sviluppate dai giudici del riesame, si limita sostanzialmente a riproporre le questioni già sottoposte all’attenzione del Tribunale ed a fornire una personale lettura degli elementi fattuali considerati nel provvedimento impugnato, dolendosi di carenze motivazionali non prospettabili, come si è detto, in questa sede e, peraltro, inesistenti.
4. Sebbene quanto appena rilevato sia di per sé sufficiente per pervenire ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso, il Collegio ritiene comunque di dover precisare che il provvedimento impugnato risulta, comunque, del tutto immune da censure.
5. Occorre in primo luogo osservare che il Tribunale ha fornito esauriente risposta alle censure formulate con l’istanza di riesame, motivando adeguatamente il provvedimento.
Il percorso argomentativo sviluppato, inoltre, si presenta scevro da cedimenti logici o manifeste contraddizioni che, peraltro, non assumerebbero comunque rilievo nel giudizio di cassazione per le ragioni dianzi esposte.
Il Tribunale ha invero fornito una esaustiva ricostruzione dei fatti, specificando che la vicenda in esame attiene alla realizzazione, in zona classificata come agricola, di quattro immobili, individuati come “capannoni” nel permesso di costruire, permesso rilasciato in assenza del necessario Piano di utilizzazione aziendale richiesto dalle norme tecniche di attuazione del PRG.
I giudici del riesame indicano anche gli elementi fattuali sulla base dei quali ritengono sussistente il fumus della lottizzazione abusiva.
Invero gli edifici, definiti come “capannoni”, vengono descritti come “quattro corpi di fabbrica realizzati su due piani ed un piano seminterrato” non completati e composti da pilastri, solai e tamponatura esterna. I giudici pongono in evidenza alcuni dati sintomatici di una diversa destinazione degli immobili e, segnatamente, l’estetica degli stessi, il posizionamento in fila, l’ubicazione su un colle ove si può ammirare il panorama della costa crotonese, la realizzazione di un piazzale di sosta e l’inserimento di una vasca Imhoff per lo scarico dei liquami nella fognatura .
Si tratta, come emerge dal complesso della motivazione, di un ragionamento diverso da quello sviluppato in ricorso, poiché il Tribunale non si è affatto limitato a ritenere la lottizzazione sulla base della mera mancanza del piano di utilizzazione aziendale, avendo tenuto conto di dati fattuali significativi che non riguardano esclusivamente l’anomalia del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del titolo abilitativo, ma anche la natura, le caratteristiche costruttive delle opere e la loro ubicazione, ritenendo tali elementi pienamente giustificativi della sussistenza del fumus del reato oggetto di provvisoria incolpazione.
Il riferimento ad una possibile, futura, diversa destinazione dei manufatti si pone, conseguentemente a completamento della complessiva motivazione posta a sostegno del provvedimento, risultando chiaro al lettore che quanto accertato in fatto è stato valutato come idoneo a determinare una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in violazione delle prescrizioni espresse dagli strumenti urbanistici e delle leggi tipica della condotta lottizzatoria.
Va peraltro rilevato che, tanto nel ricorso quanto nel provvedimento impugnato, non emerge alcun elemento indicativo di una effettiva relazione diretta tra gli edifici e la conduzione del fondo, volta ad escludere che l'attività edificatoria sia solo fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo dell’area.
6. Per ciò che concerne, poi, la rilevata inesistenza del Piano di utilizzazione aziendale, osservano i giudici del riesame che nel fascicolo acquisito presso l’amministrazione comunale (mediante sequestro, come risulta in altra parte dell’ordinanza) non vi è traccia di tale documento e che quello prodotto dalla difesa unitamente al ricorso manca di un timbro di deposito dell’amministrazione o, comunque, della data di ricezione, mancando anche quella di redazione.
Tale stato di cose evidenzia, dunque, una situazione del tutto diversa da quella prospettata in ricorso, che il Tribunale ha posto in evidenza con una motivazione adeguata.
7. Anche le critiche effettuate dai ricorrenti sui poteri del giudice penale rispetto al titolo edilizio sono prive di fondamento e basate su richiami ad una risalente giurisprudenza, senza tener conto di quanto ripetutamente affermato da questa Corte.
E’ sufficiente ricordare, a tale proposito, che, anche recentemente, si sia chiarito come, nell’individuare quelle situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non possa farsi riferimento se non alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente, con la conseguenza che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludere la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato (Sez. 3, n. 12389 del 21/2/2017, Minosi, Rv. 271170).
8. Il provvedimento risulta, poi, adeguatamente motivato quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dovendosi a tale proposito ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato come, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sia demandata, nell'ambito della valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, anche la verifica dell'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, purché di immediata evidenza (Sez. 6, n. 16153 del 6/2/2014, Di Salvo, Rv. 25933701; Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008 (dep. 2009), Bedino e altri, Rv. 24265001; Sez. 4, n. 23944 del 21/5/2008, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 24052101; Sez. 1, n. 21736 del 11/5/2007, Citarella, Rv. 23647401 ed altre prec. conf.).
9. Quanto alla dedotta prescrizione, che comporta un accertamento in fatto, il Tribunale ha valutato il contenuto della dichiarazione di fine lavori e lo stato di avanzamento dei lavori, offrendo, anche in questo caso, una motivazione sufficiente.
10. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 16/5/2018