Cass.Sez. III n. 5461 del 4 febbraio 2014 (Ud 4 dic 2013)
Pres.Fiale Est.Di Nicola Ric.Caldaroni
Urbanistica.Aree demaniali e opere edilizie realizzate da privati
In materia edilizia, per le opere eseguite da privati in aree del demanio marittimo sono necessari sia l'autorizzazione demaniale che il permesso di costruire (art. 8 d.P.R. n. 380 del 2001), assolvendo i due provvedimenti a diverse finalità di tutela in quanto la prima è diretta a salvaguardare gli interessi pubblici connessi al demanio marittimo, mentre il secondo ha la funzione di consentire all'ente locale di esercitare il controllo urbanistico del territorio.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Latina sez. dist. di Terracina, con sentenza emessa in data 28 settembre 2012, ha condannato C.A. alla pena, condizionalmente sospesa, di 516,00 Euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, ed al risarcimento del danno in favore della regione Lazio, costituita parte civile, per il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. perchè in qualità di titolare della ditta Orsa del Sisto, concessionaria in (OMISSIS) di porzione di area golenale e relativo specchio acqueo, procedeva alla realizzazione di innovazioni abusive, in particolare costruiva un pontile le cui misure non corrispondevano a quelle progettuali di larghezza tra pontile e piede arginale.
Il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità dell'imputata sulla base della documentazione amministrativa, dell'esame dei testi e della documentazione fotografica, confermativa della non approvata rientranza delle banchine rispetto ad un progetto assentito e per il quale il letto libero del fiume doveva essere di larghezza costante.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, affidando le doglianze a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per travisamento della prova.
Deduce la ricorrente come l'affermazione contenuta nella motivazione dell'impugnata sentenza, secondo cui il progetto a firma dell'ing. P. prevedeva gli allineamenti delle banchine progettate in linea retta lungo le linee catastali delle sponde indipendentemente dall'arretramento di fatto delle sponde stesse, non abbia alcun riscontro con le risultanze istruttorie e sia frutto di un errato costrutto, logicamente inconciliabile con gli atti del processo, contrastando, in particolare, con il progetto approvato ed assentito dal quale risulta ictu oculi che il pontile - contrariamente a quanto supposto (ovvero ipotizzato) dal giudice del primo grado - non è situato lungo la linea catastale che, raffigurata lungo il tratto in concessione della ditta, presenta tre segmenti con diverse inclinazioni, con la conseguenza che il pontile, così come raffigurato nel progetto, non può considerarsi, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, allineato alla linea catastale.
2.2. Con il secondo motivo di gravame la ricorrente parimenti denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per travisamento della prova, avendo il primo giudice fondato il proprio convincimento su una prova inesistente agli atti del processo.
Assume in proposito la ricorrente come la responsabilità penale sia stata affermata sulla base di un presunto progetto, non prodotto in atti, ma comunque approvato ed agli atti dell'ufficio ARDIS (pagina n. 2 sentenza impugnata) sul quale l'organo accertatore avrebbe verificato le violazioni contestate alla ricorrente, laddove, dalle risultanze istruttorie, è emerso che l'organo accertatore ha raffrontato l'opera con un progetto cosiddetto quadro, ovvero di massima, che non risulta essere stato acquisito agli atti processuali.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia nuovamente la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione.
Deduce la ricorrente come il ragionamento del primo giudice sia completamente avulso dalle emergenze istruttorie, tra cui la consulenza tecnica di parte della quale non si è tenuto alcun conto, e viziato da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica, tanto sul rilievo che il Tribunale, avendo rilevato che la concessione edilizia faceva espresso riferimento alla concessione regionale, ha sostenuto che il progetto sottoposto al Comune non si identificasse con quello sottoposto alla Regione per il rilascio della concessione, e richiamato dall'ARDIS, al punto che le date di redazione dei progetti erano diverse, senza tenere conto che tale diversità ineriva al fatto che i progetti si erano succeduti tra di loro a livello temporale; senza tenere conto che la non corrispondenza del progetto approvato con quello depositato al Comune era in contrasto con la deposizione testimoniale dello stesso teste di accusa che aveva, sia pure erroneamente, riferito che la ditta avrebbe realizzato un progetto di modifica; senza tenere conto che tale diversità ineriva al fatto che l'ARDIS, come organo accertatore, si era riferito al progetto non approvato, ossia al progetto quadro, e non al progetto esecutivo presentato ed assentito dalla regione e dal Comune.
2.4. Con il quarto motivo di gravame la ricorrente ancora lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) per travisamento della prova non avendo il Tribunale dato conto, nell'assumere la decisione, delle inequivocabili conclusioni della consulenza tecnica della difesa e delle deposizioni dei testi a discarico.
2.5. Con il quinto ed ultimo motivo si deduce il vizio di mancanza della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) in ordine all'elemento soggettivo del reato.
Sostiene la ricorrente come la fattispecie contestata rientri tra quelle ad illiceità speciale, esigendosi la previa consapevolezza di agire in violazione degli elementi normativi del reato, derivando da ciò il fatto che l'elemento soggettivo non può essere parametrato con riferimento alla colpa penale ma richiede la conoscenza del contrasto della condotta con le disposizioni che disciplinano la materia e dunque richiede, per la sua integrazione, il dolo, con la conseguenza che, oltre alla già richiamata conformità del manufatto, l'assenza di qualsivoglia dolo nell'esecuzione dell'opera in contestazione avrebbe dovuto escludere qualsiasi responsabilità.
Si aggiunge, a dimostrazione della prospettata buona fede, che la ricorrente dopo aver ricevuto l'ordinanza di sospensione lavori (documento n. 15 allegato) ha ottenuto due pronunce positive da parte degli organi giudiziari amministrativi, nella specie una ordinanza di sospensione cautelare e una sentenza del Tar di accoglimento (documenti 16 e 17 allegati), sicchè ha proseguito i lavori e concluso gli stessi in piena legittimità.
Da tutto ciò scaturirebbe comunque un ragionevole dubbio sulla esistenza dell'elemento soggettivo del fatto - reato contestato.
In ogni caso, si assume che la provvisoria esecutività della condanna civile, contenuta nella sentenza impugnata, reca un danno grave ed irreparabile nei confronti della ricorrente, che versa in una situazione economica difficoltosa che non le consente di erogare la somma richiesta a titolo di provvisionale e, all'uopo, chiede che, ai sensi dell'art. 612 c.p.p., venga disposta la sospensione dell'esecuzione della condanna civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
2. I primi quattro motivi di gravame, essendo tra loro strettamente connessi e sostanzialmente omologhi, possono essere congiuntamente valutati.
Con essi la ricorrente, pur formalmente denunciando il travisamento della prova (primo, secondo e quarto motivo) e/o la illogicità della motivazione (terzo motivo), sottopone alla cognizione della Corte di cassazione censure non consentite, sollevando questioni relative alla ricostruzione del fatto e alla valutazione del materiale probatorio, il cui apprezzamento rientra alla esclusiva competenza del giudice di merito, cercando, in tal modo, di ottenere una interpretazione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato.
Il Tribunale, sulla base dei documenti regolarmente acquisiti agli atti del processo, ha premesso come l'imputata beneficiasse di una concessione del 28 luglio 2006 per la realizzazione di un molo per ormeggio di natanti alla foce del fiume Sisto ed ha chiarito come tale concessione fosse stata rilasciata dopo che era stato conseguito il parere favorevole del 3 aprile 2006 rilasciato dall'Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo (d'ora in poi ARDIS).
Senonchè tra la data del predetto parere e quella di rilascio della concessione, la C. chiese, in data 15 giugno 2006, di essere autorizzata a modificare il "tracciato della sponda con conseguente allargamento dell'alveo del fiume".
Siffatta richiesta fu respinta dall'ARDIS che all'uopo allegò l'iniziale progetto approvato, a firma dell'ing. P. S., che non prevedeva, come puntualmente indicato in sentenza, gli interventi che la ricorrente si riprometteva di conseguire e che non erano stati autorizzati per effetto del mancato rilascio del prescritto nulla osta.
Tali interventi, secondo la puntuale ricostruzione del primo giudice, la C. illegittimamente eseguì ed il Tribunale è giunto a tali conclusioni, oltre che sulla base della documentazione acquisita e più volte richiamata, anche in virtù del testimoniale raccolto nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
In particolare, è stata menzionata la deposizione del teste D. S., funzionario dell'ARDIS, il quale ha riferito di aver accertato che era in corso la realizzazione di un pontile lungo le sponde del fiume Sisto; che dalle misurazioni lo specchio d'acqua ricavato risultava maggiore rispetto a quello assentito; che all'imputata era stato negato il nulla osta alla richiesta di modifica dell'originario progetto approvato; che gli interventi non consentiti potevano compromettere il deflusso delle acque lungo la sponda con la creazione di buche, vortici e depositi alluvionali nella sabbia sottostante la palificata.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non ha mancato il primo giudice di scrutinare le deposizioni dei testi della difesa (Marostica, dell'ufficio tecnico del comune di Terracina, che ha comunque confermato la rientranza della banchina e M., consulente tecnico della difesa, che ha deposto sulla conformità delle opere eseguite rispetto alla concessione edilizia rilasciata dal comune di Terracina) ed il Tribunale ha concluso come non fosse in discussione, ai fini dell'accertamento della responsabilità in ordine al reato contestato, il fatto che l'imputata avesse inosservato il secondo permesso di costruire rilasciato dal comune di Terracina, concesso peraltro in assenza del nulla osta regionale, quanto che avesse inottemperato al primo permesso, quello cioè rilasciato il 28 luglio 2006, l'unico che, munito nel nulla osta dell'ARDIS, consentiva di realizzare legittimamente le opere assentite ma non quelle poi effettivamente eseguite sulla base del nulla osta richiesto il 15 giugno 2006 e mai ottenuto.
Al cospetto di una motivazione articolata ed immune da vizi logici, la ricorrente chiede alla Corte una rivisitazione, non consentita, del materiale probatorio attraverso censure, da un lato, eccentriche rispetto al tema di prova, che è limitato non al fatto di avere l'imputata regolarmente eseguito lavori autorizzati dal comune di Terracina ma di aver illegittimamente realizzato lavori non autorizzati dalla regione Lazio, e che, dall'altro, non tengono conto della natura del controllo demandato alla Corte di legittimità.
Ne consegue che la sentenza impugnata non merita le critiche che le vengono mosse con i primi quattro motivi di gravame, avendo accertato, con congrua ed adeguata motivazione, come l'imputata avesse eseguito in una zona del demanio idrico innovazioni non autorizzate attraverso la costruzione di un pontile le cui misure non corrispondevano a quelle progettuali di larghezza tra pontile e piede arginale.
La giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'integrazione del modello legale del reato di cui all'art. 1161 cod. nav., è ferma nel ritenere che per le opere eseguite da privati in aree del demanio marittimo (di cui il demanio idrico è parte) è necessaria sia l'autorizzazione demaniale che il permesso di costruire (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 8), essendo richiesta, per la legittimazione degli interventi, la necessaria coesistenza di entrambi i provvedimenti, i quali assolvono a diverse finalità di tutela in quanto, da una parte, il permesso di costruire consente all'ente locale di esercitare il controllo urbanistico del territorio (Sez. 3^, n. 37250 del 11/06/2008, dep. 01/10/2008, Rv. 241077), mentre, dall'altra, l'autorizzazione demaniale è diretta a salvaguardare gli interessi pubblici connessi al demanio marittimo (Sez. 3^, n. 8110 del 07/11/2002, dep. 19/02/2003, Rv. 224161).
Ne deriva che alcuna innovazione, che non sia stata previamente autorizzata, può essere eseguita su area demaniale sicchè, per escludere l'antigiuridicità della condotta, è necessaria un'autorizzazione valida ed efficace al momento del fatto (Sez. 3^, n. 37250 del 2008 cit.), autorizzazione che l'imputata non aveva ottenuto con riferimento agli interventi che ha, in concreto, realizzato, perchè diversi da quelli assentiti con il nulla osta del 3 aprile 2006 come ha correttamente spiegato il Tribunale.
3. Manifestamente infondato è anche il quinto motivo di gravame.
Con esso si deduce l'assenza dell'elemento soggettivo del reato sul rilievo che si verterebbe in una ipotesi di contravvenzione a struttura necessariamente dolosa, non essendosi la condotta dell'imputata atteggiata in tal senso e comunque mancando una adeguata motivazione nella sentenza impugnata circa la sussistenza del dolo.
E' il caso invece di osservare come proprio le modalità del fatto contestato, come ricostruito in sentenza, fanno ritenere l'esistenza del dolo.
L'imputata, dopo aver ottenuto le primitive autorizzazioni, ha infatti richiesto di modificare il tracciato dell'originario progetto ed ha eseguito le opere, munendosi del solo permesso comunale, nonostante fosse stata respinta, con il negato nulla osta, la domanda con la quale aveva chiesto di eseguire lavori diversi da quelli originariamente assentiti, agendo pertanto nella piena consapevolezza dell'illiceità del suo comportamento.
Peraltro il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. non può essere configurato come contravvenzione a struttura necessariamente dolosa, essendo una norma a più fattispecie che, tra loro distinte e costituite da elementi materiali differenti in rapporto alla condotta ed all'evento, possono integrare diversi titoli di reato previsti dalla medesima disposizione penale (occupazione arbitraria di spazio demaniale; esecuzione di innovazioni non autorizzate; inosservanza dei vincoli cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio).
Precisato che all'imputata è stata contestata la innovazione non autorizzata, ne consegue che esclusivamente la occupazione arbitraria, siccome nella descrizione della condotta tipica della contravvenzione è stato inserito l'avverbio "arbitrariamente", rientra nelle ipotesi di cd. illiceità speciale che esigono la precisa consapevolezza di agire in violazione degli elementi normativi del reato. (Sez. 3^, n. 29915 del 13/07/2011, dep. 26/07/2011, Rv. 250666).
Nè è possibile ritenere la buona fede della C., con conseguente positiva ricaduta sull'assenza dell'elemento soggettivo del reato, sul rilievo che i provvedimenti amministrativi di sospensione dei lavori sono stati annullati dal TAR. Il giudice amministrativo ha infatti censurato il comportamento dell'amministrazione per vizi procedurali e non di merito ossia limitatamente a violazioni formali ex L. n. 241 del 1990.
4. Il rigetto del ricorso esclude che la Corte debba delibare sulla richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna connessa agli interessi civili.
5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013.